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Capitolo III La situazione interna dell’Argentina e le motivazioni che portarono alla guerra

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Capitolo III

La situazione interna dell’Argentina e le motivazioni che portarono

alla guerra

3.1 La Giunta e il regime militare

Con un colpo di stato, il 24 marzo 1976 le forze armate rimossero il governo democraticamente eletto di Maria Estela Martinez de Perón, succeduta al marito, Juan Domingo Perón, dando vita a quello che è passato alla storia come Processo di Riorganizzazione Nazionale. Scopo di tale azione fu di ripristinare i valori basilari posti a fondamento dello stato, fortemente compromessi dal clima di instabilità e insicurezza causato dagli scontri tra i gruppi terroristici e paramilitari anticomunisti di destra e le organizzazioni guerrigliere e sovversive clandestine di sinistra, dichiarando la democrazia e le sue istituzioni inadatte per ristabilire pace e ordine nel paese e legittimando così l’autocrazia militare.

La Giunta militare, composta dai comandanti in capo delle tre forze armate, rappresentava l’organo supremo della Repubblica Argentina e deteneva tutti i poteri dello Stato1. Formalmente il presidente deteneva il controllo dello stato ma in realtà, il potere competeva alla Giunta nel suo insieme2; nessuna decisione importante poteva essere presa senza il consenso dei tre militari.

I personaggi chiave nella struttura decisionale argentina erano: generale Leopoldo Fortunato Galtieri (comandante in capo dell’esercito e presidente); ammiraglio Jorge Isaac Anaya (marina); brigadiere Basilio Lami Dozo (aeronautica).

Chi erano queste personalità? Quali erano gli ideali in cui credevano? Domande a cui difficilmente, stante la scarsità delle informazioni sui tre membri riportate nella

1 Nel corso di cinque anni si succedettero alla presidenza i generali: Jorge Rafael Videla (22 marzo 1976 -

29 marzo 1981), Roberto Viola (29 marzo 1981 – 11 dicembre 1981), Leopoldo Fortunato Galtieri (22 dicembre 1981 – 18 giugno 1982).

2

Il meccanismo decisionale della Giunta era collegiale. Ciascuno dei tre ufficiali deteneva il diritto di veto quindi, ogni decisione era presa collegialmente e non solo dal presidente. L. Freedman-V. Gamba-Stonehouse, op. cit., p. 167.

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30 letteratura esistente, si potrà dare una risposta esaustiva ma che, tuttavia, sono necessarie a evidenziare il rapporto esistente tra le caratteristiche personali dei protagonisti e l’elaborazione delle decisioni in politica. Leopoldo Fortunato Galtieri nacque il 15 luglio 1926 a Casaros, un sobborgo di Buenos Aires. Secondogenito di un una modesta famiglia di immigrati italiani, dopo aver terminato gli studi ingegneristici presso il collegio militare argentino, andò negli Stati Uniti per perfezionare le proprie competenze3. Ritornato in Argentina nel 1976, venne nominato comandante in capo dell’esercito nel 1979. Due anni dopo, entrò a far parte della Giunta militare e venne nominato Presidente della Repubblica Argentina. Convinto sostenitore dei valori occidentali e cristiani, Gualtieri ambiva a trasformare l’Argentina nel più forte e fedele partner latinoamericano degli Stati Uniti. Un’alleanza che si sarebbe dovuta basare non sulla subordinazione, bensì sulla cooperazione. Convinto anticomunista, palesò sin da subito un fermo sostegno alla politica di Reagan contro la guerriglia comunista nell’America centrale4.

A queste caratteristiche si aggiungeva un grande senso dell’onore e del rispetto degli interessi corporativi militari, nonché la volontà di far uscire l’Argentina dall’isolamento mondiale e farla divenire una grande potenza, capace di ricoprire un ruolo guida nel panorama mondiale5.

L’ammiraglio Jorge Isaac Anaya, compagno di scuola e coetaneo di Gualtieri, nacque da una famiglia di immigrati baschi. Nel 1981, dopo una lungo servizio prestato a Londra, ritornò in patria per assumere la carica di comandante in capo della marina. Due mesi dopo, entrò a far parte della giunta militare.

3 R. Sala, op. cit., p. 96. 4

Nel 1981, Gualtieri compì due viaggi negli Stati Uniti. Nel corso di uno di questi, «Etiqueta», così soprannominato per la sua marca di whisky preferita, parlò a Washington della necessità di una «cooperazione emisferica», rafforzando i legami tra i paesi latino-americani e gli Stati Uniti al fine di espellere dalla regione la presenza dell’Unione Sovietica e della possibile creazione della SATO (South Atlantic Treaty Organizzation).

5 In merito alla salvaguardia degli interessi delle forze armate operata da Gualtieri, alcuni storici hanno

sostenuto che questi, per ristabilire la credibilità e il prestigio delle forze armate, si trovò «costretto» ad utilizzare le Falkland/Malvinas come mezzo per placare le proteste dell’opinione pubblica. D. Rock, op.

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31 Al contrario di Galtieri, l’ammiraglio Anaya era considerato un «fervente malvinista»6; dichiarava che il ritorno dell’arcipelago sotto la bandiera argentina fosse il suo più grande sogno. Sogno ben si legava alla volontà di far emergere la marina come principale corpo delle forze armate argentine al posto dell’esercito, cui da sempre era riconosciuto tale ruolo.

L’inflessibilità e l’intransigenza di Anaya ne fecero il più strenuo sostenitore e, forse, il principale ideatore dell’operazione Rosario7.

Il brigadiere Basilio Lami Dozo, era il membro della Giunta più incline al dialogo e al compromesso con la Gran Bretagna.

Nazionalista di destra e sostenitore di ideali cristiani, Dozo era forse il più conscio dei rischi comportati da una guerra contro la Gran Bretagna, ma le sue riserve non frenarono l’evolversi degli eventi.

La struttura decisionale argentina, oltre ai tre componenti della giunta, contava anche un numero elevato di consiglieri, per la maggioranza militari8.

Tra di essi, un ruolo importante fu ricoperto dal ministro degli esteri Costa Mendez. Cattolico conservatore di destra, Mendez era stato a capo della diplomazia già nei primi anni dei negoziati sulle Falkland/Malvinas. Egli considerava le rivendicazioni territoriali contro il Cile e la Gran Bretagna uno strumento «indispensabile» per rafforzare l’unità l’identità nazionale e contrastare l’avanzata del socialismo.

In qualità di ministro degli Esteri, Mendez diede un importante contributo all’operato della Giunta, fornendo importanti informazioni sulla situazione politica interna ed estera

6 R. Sala, op. cit., p. 98.

7 Il segretario di stato americano Haig suppose, addirittura, che l’operazione Rosario fosse stata operata

esclusivamente dalla marina senza l’accordo degli altri servizi. Ipotesi inverosimile, in quanto l’ammiragliato non disponeva di un potere tale da scavalcare i comandanti delle altre due armi. Sulla tesi dell’esclusiva responsabilità della marina si veda A. Haig, Caveat: realism, Reagan, and foreign policy, New York, Macmillan, 1984, p. 278.

8 Tra i vari esperti militari che affiancarono la Giunta, vi erano i componenti del Malvinas Working

Group. Istituito l’8 aprile 1982, il Gruppo di lavoro delle Malvinas fu creato dal Comitato militare per

aiutare il ministero degli affari esteri durante i negoziati e mantenere informata la Giunta sulla loro evoluzione. Tra i suoi membri vi erano, oltre al ministro Mendez: l’ammiraglio Moya, il generale Iglesias, il brigadiere Miret e il capo di stato maggiore Suarez. R. Sala, op. cit., p. 100.

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32 della Gran Bretagna, sulla linea guida seguita dall’esecutivo inglese durante i negoziati, nonché sul possibile atteggiamento statunitense e sovietico9.

A prescindere dagli orientamenti dei singoli comandanti in capo, l’apparente «assolutezza» del potere della Giunta si scontrava non solo con l’obbligatorietà dell’accordo fra i tre membri, ma anche con la necessità di assicurarsi il consenso dei militari anziani delle tre armi, costruendo così un meccanismo decisionale particolarmente macchinoso e facilmente condizionabile10.

Il regime militare imposto dalla Giunta fu autoritario, corporativo e chiuso alle istanze della società civile, della quale però si diceva portavoce e protettore. La partecipazione del Parlamento, dei partiti politici e dei gruppi di pressione era fortemente ridimensionata.

L’opinione pubblica, contrariata per la grave crisi economica che imperversava nel paese, venne acquietata dalla Giunta con la carta del nazionalismo. A tal fine, i dirigenti politici fecero leva sul forte sentimento di indignazione nei confronti della Gran Bretagna presente in ampi strati della popolazione. La Giunta era convinta, erroneamente, che occupando le Falkland/Malvinas avrebbe ricreato l’unità popolare attorno ai militari. Tuttavia, nel corso del conflitto vero e proprio, la struttura di comando militare argentina si dimostrò del tutto insufficiente perdendo, giorno dopo giorno, il consenso popolare accumulato in anni di feroce dittatura.

Negli anni trascorsi a gestire un’infinita guerriglia urbana, le forze armate argentine avevano perso la prontezza e l’efficienza nell’affrontare una vera guerra; a maggior

9 Il compito più delicato ed importante che ebbe Mendez fu quello di patrocinare dinanzi alla comunità

internazionale l’azione argentina. A tal fine, durante la crisi, Mendez compì numerosi viaggi, in particolare negli Stati Uniti. Il 3 aprile 1982, andò a New York per difendere dinanzi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU l’azione di forza del suo paese; alla fine di aprile andò a Washintgont per sostenere la causa argentina dinanzi ai rappresentanti dell’OSA. Oltre a Mendez, altri tre diplomatici svolsero un ruolo fondamentale: Edoardo Roca, ambasciatore all’ONU; Oscar Pena e Enrique Ros, sottosegretari al ministero degli esteri. Il testo del discorso tenuto da Mendez al Consiglio di Sicurezza dell’ONU è consultabile in A. Sinagra, op. cit., p. 145.

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I membri della Giunta erano «prigionieri» degli interessi corporativi della casta militare. Infatti, prima della nazione, bisognava salvaguardare gli interessi delle forze armate. B. Russett, H. Starr, World

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33 ragione se questa doveva essere condotta contro un avversario meglio armato e preparato, per quanto penalizzato dalla distanza dello scenario di guerra11.

Durante il conflitto, oltre a ciò, vennero commessi errori molti gravi imputabili, nella maggioranza dei casi, alla assoluta mancanza di coesione tra le tre forze armate. Infatti, ciascuno di loro agì in maniera indipendente dagli altri, senza nessun tipo di coordinazione nelle operazioni contro gli inglesi12.

Ciascuna delle tre forze armate disponeva di un terzo di tutto: ⅓ del potere; ⅓ del budget; ⅓ delle responsabilità13. A questa netta divisione si deve aggiungere la profonda rivalità fra le armi e la ferma volontà di ciascuno di tutelare i propri privilegi.

L’episodio che meglio rappresenta tale condizione fu lo sbarco delle truppe britanniche presso Port San Carlos, quando la mancata cooperazione fra i vari reparti argentini consentì ai nemici di costituire rapidamente e quasi senza disturbo una solida testa di ponte.

Di fronte ad un fallimento così evidente, la Giunta operò una ristrutturazione radicale del comando, istituendo il Centro de Operaciones Congiuntas, il cui compito sarebbe stato di coordinare unitariamente le operazioni militare delle tre forze armate; per la prima volta, vi era una struttura di comando unificata14.

Ciò nonostante, la posizione della Giunta e dell’intero regime militare era stata definitivamente compromessa. Il generale Galtieri fu sostituito dal generale Reynaldo Bignone, in attesa che con le elezioni del 1983, la dittatura militare tramontasse definitivamente e salisse al potere Raul Alfonsín, fondatore e leader della fazione Renovacion y Cambio, interna all’Union Civica Radical.

3.2 La realtà socio-economica argentina

Tra il 1975 e il 1976 il paese era precipitato in una profonda crisi economica. L’inflazione raggiungeva cifre sproporzionate, il deficit della bilancia dei pagamenti e il debito estero erano aumentati, mentre la produzione era in netto calo.

11 Le ultime operazioni militari delle forze armate argentine risalivano alla fine degli anni Sessanta del

1800, quando il paese aveva sostenuto il conflitto con il Paraguay.

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R. Sala, op. cit., p. 103.

13 V. Gamba, op. cit., p. 179.

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34 La Giunta militare, salita al potere nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1976, dichiarò di voler restituire al paese, grazie al Processo di Riorganizzazione Nazionale: ordine politico ed economico, sgominare il terrorismo e la guerriglia, eliminare il mal governo e la corruzione, ristabilire la sicurezza nazionale e i valori della moralità cristiana. Buoni propositi che alla fine si tradussero, però, in una dittatura violenta e repressiva15. Per tentare di risanare l’economia argentina, la Giunta nominò ministro dell’economia, un rappresentante di spicco dell’imprenditoria e nonché sostenitore della politica di libero mercato, José Alfredo Martinez de Hoz16.

Il primo provvedimento di de Hoz fu la privatizzazione delle imprese, ma incontrò la resistenza di alcuni generali della vecchia guardia. Questi, proprio a seguito degli enormi contributi che le industrie pubbliche e militari ricevevano dallo Stato, non avrebbero mai permesso a de Hoz di privatizzarle. A seguito della loro resistenza, de Hoz decise di vendere solo alcune imprese accessorie e per il resto, di limitarsi a dismettere alcune attività tramite le c.d. «privatizzazioni secondarie».

Il passo successivo fu abbassare le barriere doganali per poter favorire l’esportazione e allo stesso tempo, cercò di ridurre la domanda interna. A seguito della politica economica intrapresa da de Hoz la Giunta, se da un lato concesse ampie libertà alla classe imprenditoriale, dall’altro lato, nel timore che i lavoratori contestassero il nuovo indirizzo economico, limitò fortemente i sindacati. Nondimeno, se molti militari non vedevano l’ora di eliminare i sindacalisti «sovversivi»; alcuni temevano che un attacco troppo duro alle organizzazioni sindacali non avrebbe reso il mercato competitivo ma avrebbe generato, semmai, la nascita e lo di «sindacati di base» permeabili alla sovversione17. Inoltre, una eccessiva liberalizzazione del mercato del lavoro avrebbe potuto incoraggiare molte imprese a licenziare in massa, con un conseguente aumento del tasso di disoccupazione e del mal contento popolare18.

15 R. Sala, op. cit., p. 109.

16 La maggioranza degli storici concorda nel ritenere che la nomina di de Hoz fu legata a un problema di

credibilità. Invero, dato che il paese era sull’orlo del default, i collegamenti che de Hoz aveva con i centri finanziari internazionali e le istituzioni locali, gli conferivano lo rendevano la persona più appropriata a ricoprire il ruolo di ministro dell’economia. M. Novaro, La dittatura argentina (1976-1983), Roma, Carocci, 2005, pp. 47-48.

17 Ibidem.

18 La politica seguita dal ministro de Hoz, non era ben vista dal ministro del lavoro Liendo che si impegno

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35 Oltre a ciò, de Hoz era persuaso che per combattere l’inflazione era necessario che il paese disponesse di un credito estero a basso costo. Usando il prestigio di cui godeva presso le banche estere e gli organismi finanziari internazionali, contrasse crediti per parecchi miliardi di dollari; questo avrebbe permesso altresì, di sintonizzare l’economia locale con quella internazionale, ma al contempo, avrebbe comportato un enorme costo economico e fiscale.

Nonostante i molti dissensi, fu proprio il sostegno assicuratogli dalle banche e dagli organismi finanziari internazionali che permise a de Hoz di restare al suo posto. Come mai? Perché grazie ai crediti contratti, l’Argentina poté finanziare ambiziose infrastrutture, alcune delle quali legate ai mondiali di calcio che da lì a poco si sarebbero disputati e, inoltre, garantire i fondi necessari per l’acquisto di armi. Per di più, man mano che le denunce sulle violazioni dei diritti umani aggravavano l’isolamento del regime, il sostegno internazionale era sempre più fondamentale alla Giunta che vedeva la sua immagine in parte compensata, in parte, agli occhi dei partner occidentali19. Nel breve periodo, gli esiti di queste manovre diedero dei risultati incoraggianti; nel lungo periodo, tuttavia, si rivelarono disastrosi.

Nel quadriennio 1976-1981, il PIL subì una riduzione pari al 16%, mentre l’inflazione toccò un tasso superiore al 200%. La disoccupazione, a seguito della liberazione del mercato, crebbe fino ad arrivare al 10%. Se sul piano interno la situazione era drammatica, sul piano internazionale i risultati dell’economia argentina erano prossimi al collasso. Nel marzo del 1981, il debito estero aveva raggiunto i 25 miliardi di dollari, pari al 42% del prodotto interno lordo, con interessi pari al 30% delle esportazioni. La crisi economica e finanziaria nella quale versava l’Argentina alla vigilia della guerra era la peggiore che avesse mai conosciuto.

Nel marzo del 1981, il generale Videla venne sostituito dal generale Roberto Viola. Quest’ultimo rimase in carica poco tempo, poiché a dicembre dello stesso anno si insidiò una nuova Giunta, capeggiata dal generale Galtieri20.

19 Si ricordi che nel 1977, il Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter aveva inaugurato una politica di

difesa dei diritti umani.

20 Giunta Videla: 29 marzo 1976 – 29 marzo 1981; Giunta Viola: 29 marzo 1981 – 11 dicembre 1981;

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36 Nonostante il cambio di vertice, la situazione continuò a peggiore giorno dopo giorno. La società civile, esasperata dalle incerte condizioni in cui versava, diede vita a scioperi e manifestazioni di scontento in tutto il paese, chiedendo un immediato ritorno alla democrazia e a migliori condizioni sociali. La stessa classe media, principale sostegno dei militari, criticò apertamente i programmi economici della Giunta21. I sindacati, fortemente compromessi dalla politica intrapresa da de Hoz, ritornarono alla carica reclamando maggiori libertà e migliori condizioni sociali22.

I vertici militari, di concerto con il nuovo ministro dell’economia Roberto Alleman, cercarono di risollevare la situazione senza raggiungere, tuttavia, risultati degni di nota. Stante l’irreversibilità della crisi economica che non accennava a migliorare, la Giunta, sottoposta alle sempre più crescenti critiche e pressioni dell’opinione pubblica e degli stessi militari, si trovò a decidere se trasferire il potere ad un governo civile oppure, tramite una politica estera ben accetta dall’opinione pubblica, rinnovare la propria credibilità23. In questo contesto, le Falkland/Malvinas erano un ottimo diversivo per allontanare l’attenzione della gente dai problemi interni. Scelta venne fortemente condizionata dal fatto, che in un ritrovato regime democratico, gli eccessi, gli abusi e i crimini commessi durante la dittatura fossero divenuti pubblici, compromettendo irrimediabilmente la posizione della Giunta.

3.3 La politica estera del regime

Il principale obiettivo della politica estera della Giunta era quello di far divenire l’Argentina il più forte e fedele partner latinoamericano degli Stati Uniti trasformandosi, nei termini di una stretta collaborazione e non di una sudditanza, nel punto di riferimento degli USA in Sud America.

21 E. Nordlinger, op. cit., p. 163.

22 Il 30 marzo 1982, la Confederación General del Trabajo de la República Argentina (CGT) organizzò

una grande manifestazione di protesta operaia a Buenos Aires. Ad essa si unirono altri sindacati minori e le organizzazioni in difesa dei diritti dell’uomo. La manifestazione venne violentemente repressa dai militari che arrestò circa 2000 manifestanti. R. Sala, op. cit., p. 111.

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37 Durante l’amministrazione Carter, i rapporti fra USA e Argentina erano stati quasi inesistenti, e le gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo argentino non ne avevano certamente favorito il miglioramento24.

Con l’avvento di Reagan si decise di tentare un approccio amichevole con la Giunta in modo da indurla, da una parte ad un maggiore rispetto dei diritti dei cittadini argentini e dall’altra, favorendo la collaborazione fra i due paesi nel contrastare l’espansione dei movimenti comunisti in Argentina e nel continente latinoamericano.

Per riuscire nel proprio intento rispetto al rapporto con gli USA, l’Argentina si erse a baluardo contro l’avanzata comunista nel continente latinoamericano, non solo operando attivamente sul proprio territorio, ma finanziando e addestrando gli eserciti degli altri paesi sudamericani alla lotta contro la guerriglia e i movimenti di sinistra. In sintonia con questa prospettiva furono inviati dei «consiglieri militari» argentini in Guatemala, Salvador e Honduras al fine di addestrare gli eserciti locali alla guerriglia contro le forze insurrezionali di matrice comunista.

La ricerca di un rapporto privilegiato con gli USA si legava anche alla mai sopita aspirazione argentina di venir considerato il paese leader fra gli stati sudamericani. Suddetta leadership, pressoché incontestata rispetto ai paesi di cultura spagnola, vedeva un potente avversario nel Brasile.

Tra Brasile e Argentina, ai molti periodi di tensione ed estraniamento, seguirono momenti di riavvicinamento e cooperazione.

Ne decennio 1960 – 1970, gli accordi siglati tra il Brasile e i «vicini minori» provocarono una reazione argentina, in vista di un possibile aumento dell’influenza brasiliana nella regione. L’attrito diplomatico riguardò principalmente il problema dell’utilizzazione delle risorse idroelettriche della Conca del Plata25.

La politica di industrializzazione, avviata dal Brasile nel 1964 con la costruzione della diga di Itaipu, fu vista con interesse dalla vicina argentina che: se da un lato, nutriva un

24 In applicazione della politica di difesa dei diritti umani avviata da Carter nel 1977, l’amministrazione

USA aveva imposto un embargo sulla vendita delle armi all’Argentina, nella speranza di interrompere il susseguirsi di violenze. L Freedman, V. Gamba-Stonehouse, op. cit., p. 32.

25 Nello specifico si trattava della diga idroelettrica di Itaipu e della diga argentino – paraguayana Corpus

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38 certo timore a seguito di una possibile destabilizzazione geopolitica; dall’altro, anche lei voleva realizzare il «miracolo economico» del Brasile26.

Deciso a emulare il modello brasiliano, nonché a risolvere lo stallo nelle relazioni con il Brasile, il governo di Videla adottò tre importanti misure.

La prima fu la nomina di Oscar Camilion quale ambasciatore argentino a Brasilia27. La seconda fu la decisione di continuare, nonostante la crisi economica interna, la costruzione del Corpus28. La terza riguardò lo sviluppo del progetto nucleare29. Queste scelte, ovviamente, generarono delle pressioni di non poco su Brasilia che tuttavia, a seguito della crisi economica degli anni Settanta, obbligarono i dirigenti politici brasiliani a formulare degli accordi con i loro omologhi argentini e paraguayani30.

Durante i primi tre anni del suo mandato, Videla e Camilion incalzarono le riunioni trilaterali affinché venisse terminato nel minor tempo possibile il Corpus e l’adeguamento di Itaipu; nonostante la volontà di addivenire presto a un risultato, i negoziati non furono esenti da imprevisti31.

26

Dal 1963 al 1971 il debito pubblico si ridusse da 4.3% a 0.3% e l’,inflazione crollò dal 90% del 1964 al 20% circa per tutto il resto della decade. La produzione industriale aumentò annualmente al ritmo del 13% e il PIL dell’11%. Questo successo si basò sull’alleanza tra stato, imprenditori privati locali e capitale estero; un successo sa cui , però, rimase fuori la maggior parte della popolazione e che accrebbe la distanza tra ricchi e poveri. Infatti, mentre nel 1960 a metà della popolazione andava il 17% del reddito nazionale e al 10% più ricco il 40%, nel 1980 le due percentuali erano diventate rispettivamente 13% e 51%. S. Sideri, Il Brasile e gli altri. Nuovi equilibri della geopolitica, Milano, ISPI, 2013, p. 22.

27

Fine diplomatico, era in ottimi con personaggi politici brasiliani di spicco.

28 Tale decisione giocò un ruolo determinante affinché il Brasile decidesse di negoziare con l’Argentina

per la realizzazione del Corpus e l’adeguamento di Itaipu.

29 Sicuramente, lo status che l’Argentina avrebbe acquisito con lo sviluppo di un programma nucleare

sortì una certa pressione sulle autorità brasiliane che, inizialmente, si dissero, contrari a una negoziazione trilaterale per poi, successivamente, esserne favorevole. Bisogna dire, inoltre, che entrambi i paesi subirono delle fortissime pressioni esterne affinché rinunciassero ai rispettivi piani nucleari. Ciò spinse gli ambienti militari e diplomatici brasiliani a considerare la negoziazione con Buenos Aires uno strumento utilissimo per resistere a queste pressioni e quindi, non rinunciare allo sviluppo nucleare e idroelettrico.

30 Altri fattori stimolanti della negoziazione tra Argentina e Brasile furono le pressioni nordamericane

circa il piano nucleare e la crisi petrolifera.

31 Gli ostacoli di maggior rilievo riguardarono: la dimensione del Corpus la cui altezza, secondo gli

ingegneri brasiliani doveva essere massimo di 105 metri, mentre i tecnici argentini erano per un’altezza non inferiore ai 115/120 metri; le opere di adeguamento di Itaipu, aumento del numero delle turbine, massino 18 per gli ingegneri argentini, mentre Brasile e Paraguay erano favorevoli per 20.

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39 Nonostante ciò, il 19 ottobre 1979 il governo di Videla siglò assieme alle autorità brasiliane e paraguayane l’Accordo Multilaterale Corpus – Itaipu.

Quali furono i fattori che permisero la conclusione di questo accordo?

Dal lato argentino, un ruolo determinate lo giocò il convincimento di Videla e di de Hoz della necessità di avvicinarsi al capitalismo brasiliano per riuscire a superare il periodo di stagnazione economica che stava attraversando l’economia argentina. Dal lato brasiliano, oltre allo sforzo compiuto in ambito diplomatico da Camilion di migliorare i rapporti tra i due paesi, determinante fu la crisi economica che stava imperversando nel paese32.

3.3.1 La crisi del Canale di Beagle

I dirigenti argentini, mossi dal «contenimento» della minaccia comunista, dalla percezione di una tradizione ispanoamericana comune nonché dalla necessità di migliorare l'immagine del regime e prevenire l'isolamento internazionale, incoraggiarono tutta una serie di alleanze diplomatiche con i paesi latino-americani ideologicamente vicini tra i quali, il Cile.

L’esistenza di un consenso ideologico tra i regimi di Buenos Aires e Santiago fu evidente durante l’assemblea generale dell’OEA, tenutasi a Santiago del Cile, ai primi di giugno del 197633.

Le somiglianze ideologiche tra i regimi militari cileno-argentino contribuirono a rafforzare significativamente non solo la cooperazione politica anti-comunista ma anche il settore economico34.

32 Agli inizi degli anni Settanta il Brasile importava l’80% del petrolio consumato, per cui durante il

primo shock petrolifero (1973), scaturito a seguito della guerra del Kippur, la spesa per questa importazione raddoppio passando da $ 6.2 miliardi $ 12 miliardi e con un disavanzo di $ 5 miliardi. Allo shock petrolifero si poteva reagire: continuando a sostenere la crescita, il che implicava bruciare riserve valutarie; o aumentare il debito estero. Poiché la legittimazione del regime stava proprio nella crescita economica, si decise di continuare a investire nella produzione dei prodotti industriale di base e nelle infrastrutture, ma il secondo shock petrolifero (1979) fece crescere ancora di più i prezzi del petrolio gonfiando ancora di più il debito estero. Di conseguenza, se da un lato l’economia brasiliana continuò a crescere annualmente al ritmo del 7,1% e l’esportazione del 22%, l’inflazione quasi triplicò passando dal 34.8% al 110%. S. Sideri, op. cit., p. 24.

33

In quell’occasione, il ministro degli esteri argentino Augusto Guzzetti sostenne il governo cileno, accusato dalla comunità internazionale di violare sistematicamente i diritti umani, affermando che le azioni poste in essere dai militari cileni erano finalizzate a contrastare movimenti terroristici.

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40 L’intensa cooperazione politico-economica tra Cile e Argentina non cancellò, tuttavia, le pretese territoriali pregresse fra le quali, particolare rilevanza rivestivano le isole Picton, Nueva, Lennox e il Canale di Beagle.

Giuridicamente di competenza del Cile, questo piccolo arcipelago ricopriva un certo valore economico e strategico. Si ipotizzava infatti, analogamente a quanto supposto per le Falkland/Malvinas, che nei loro pressi esistessero importanti giacimenti petroliferi. Inoltre, oltre a consentire al Cile la possibilità di affacciarsi sull’Oceano Atlantico e migliorare, quindi, la sua posizione rispetto alla corsa all’Antartide, permettevano il controllo della base navale argentina di Ushuaia pregiudicando così le rivendicazioni argentine sulle Falkland/Malvines35.

Il 22 luglio 1971, il presidente cileno Salvador Allende e il presidente argentino Alejandro Lanusse formalizzarono il Trattato generale di arbitrato in forza del quale la disputa relativa all’arcipelago sarebbe stata definita da un arbitrato internazionale condotto sotto la supervisione della regina Elisabetta II36.

Nel febbraio del 1977, il tribunale arbitrale, presieduto dal giudice Gerald Fitzmaurice, dopo aver fatto proprie le ragioni addotte dai due paesi statuì che le isole Picton, Nueva e Lennox, assieme ai loro isolotti e pertinenze appartenevano alla Repubblica del Cile37. Il Congresso argentino non accettò tale decisione e votò all’unanimità per la sospensione del processo arbitrale38.

Nel maggio del 1977, l’Argentina propose dei negoziati bilaterali spostando così, il dibattito dal campo giuridico a quello politico.

34 Gli accordi firmati riguardarono: 1) la cooperazione economica; 2) il divieto delle doppie imposizioni

in materia di imposte sul reddito, utili o profitti e capitali; 3) igiene e profilassi sull’importazione-esportazione di prodotti a base di carne; 4) prodotti agricoli; 5) cooperazione nel campo degli usi pacifici dell'energia nucleare; 6) scambio di parti e componenti nel settore locomotivo; 7) consultazione reciproca sulle informazioni commerciali; 8) integrazione territoriale; 9) uso reciproco di porti e zone franche; 10) estensione del credito ai settori commerciali emergenti; 11) proroga linee di credito bilaterale per l'acquisto di merci; 12) proroga del contratto per la fornitura di gas naturale. J. A. Lanús, De Chapultepec

al Beagle. Politica exterior argentina, 1945-1980, Buenos Aires, Hyspamerica, 1986, vol. II, pp. 18-19.

35 R. Sala, op. cit., p. 114.

36 Nel 1915, Cile e Argentina avevano già sottoscritto un Trattato generale di arbitrato però, solo nel

1970, sotto il governo di Allende, i due stati decisero di chiedere la mediazione della regina d’Inghilterra.

37

Accordo e arbitrato sono consultabili all’indirizzo: http://legal.un.org/riaa/cases/vol_XXI/53-264.pdf

38 J. M. Church, La crisis del Canal de Beagle, in “Estudios Internacionales”, vol. XLI, n. 161, 2008, p.

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41 Tra il mese di luglio e quello di ottobre, si tennero a Santiago i primi negoziati bilaterali tra Cile e Argentina. Nonostante i buoni propositi del caso, il 14 luglio la giunta militare cilena promulgò il Decreto n. 216, mediante il quale il Cile eseguiva unilateralmente il lodo. La tensione si elevò rapidamente. La Bolivia, alleata dell’Argentina e nemica storica del Cile, ruppe le relazioni diplomatiche con questi. L’Argentina inviò immediatamente i primi segnali al Cile che il ricorso alla forza armata era un’opzione concreta: mobilitò immediatamente la sua flotta navale e aumento la sua presenza nell’area dello Stretto di Magellano39.

Il 19 gennaio 1978 ebbe luogo a Plumerillo, il primo dei due incontri tra i presidenti Videla e Pinochet. Scopo dell’incontro era di addivenire ad una soluzione pacifica della controversia. A tal fine vennero create due commissioni: la prima, in 60 giorni, avrebbe dovuto studiare e creare un meccanismo per evitare eventuali incidenti alle frontiere; la seconda, in 180 giorni, avrebbe dovuto approntare una soluzione politica al problema. Sin da subito, il Cile sembro trovarsi in una situazione difficile mentre l’Argentina, invece, fu molto decisa nelle sue decisioni.

La strategia dell’Argentina consisteva nel minacciare il Cile con un ipotetico intervento armato: non una semplice occupazione delle isole contese, ma una vera e propria invasione della nazione. Credendo alla minaccia argentina,Pinochet commise il grave errore di passare da una posizione inflessibile ad una più cedevole e permissiva40. Il 25 gennaio 1978, poco prima che entrasse in vigore il lodo, l’Argentina dichiarò ufficialmente che era «assolutamente nullo»41 e che, pertanto, la sua attuazione non avrebbe avuto nessun seguito. Il fatto che l’Argentina avesse rilevato la nullità e non

39 Verso la fine del 1977, i due paesi avevano valutato anche la possibilità di riconoscere l’accesso al Cile

ad alcuni porti argentini e viceversa, al fine di facilitare il commercio cileno in Atlantico e quello argentino nel Pacifico. Se questa opzione fu sostenuta da Videla, gli altri membri della Giunta la rifiutarono categoricamente primo fra tutti, dal comandante della marina Massera. Questa circostanza rivela come i conflitti e le rivalità all’interno delle forze armate e tra le diversi rami, specialmente tra la marina e l’esercito, debilitarono la capacità negoziatrice dell’Argentina prima, durante e dopo la crisi, fino agli ultimi giorni del governo militare, nel 1983. J. M. Church, op. cit., p. 10.

40 Alcuni storici hanno sostenuto che il «cambiamento» nell’atteggiamento di Pinochet fu uno dei fattori

che portarono i due paesi vicini ad una guerra totale. R. B. A. Bignone, El ultimo de Facto: la liquidaciόn

del proceso: memoria y testimonio, Buenos Aires, Planeta, 1992, pp. 50-51; B. Passarelli, El Delirio Armado. Argentina-Chile: La guerra che evitό el Papa, Buenos Aires, Sudamericana, 1998, pp. 52-53. Si

veda altresì, l’articolo di C. A. Gabetta, Dictatures militaires et conflits frontaliers, in “Le Monde diplomatique”, gennaio 1979, p. 4.

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42 avesse rifiutato l’arbitrato non fu il risultato di una semplice coincidenza. Invero, se l’Argentina avesse semplicemente respinto il lodo, non contestandone la validità, avrebbe dato la possibilità al Cile di ricorrere unilateralmente alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, come previsto dal Trattato generale di arbitrato del 197242. Il 4 maggio 1978, a Puerto Montt si tenne il secondo incontro tra le rappresentanze dei due paesi per formalizzare le commissioni e discutere la proposta del presidente Pinochet.

Sin dalle prime battute, però, le trattative tra le due delegazioni non sembrarono andare nella direzione giusta. I rappresentanti cileni mantenevano ferma la loro posizione sulla validità giuridica del lodo arbitrale, mentre i diplomatici argentini contestavano in toto quanto sostenuto dai collegi cileni. Il dialogo tra le due rappresentanze, già di per sé difficile, fu ulteriormente gravato dalle dichiarazione belligeranti di Massera43. Nonostante ciò, le trattative proseguirono ma le dichiarazione del comandante della marina argentina avevano sortito un certo effetto sull’orgoglio cileno e, immediatamente dopo il summit di Puerto Montt, il Cile organizzò un’imponente manifestazione dell’aeronautica militare e più tardi, l’esercito e l’aviazione compirono delle esercitazioni nel sud del paese. I preparativi per la guerra stavano sostituendo gradualmente i negoziati politici.

Durante i mesi di novembre e dicembre, i governi di Argentina e Cile convennero che il nuovo mediatore sarebbe stato Papa Giovanni Paolo II che avrebbe operato per il tramite del nunzio apostolico argentino, il cardinale Pio Laghi.

Questa scelta rappresentò, certamente, un passo molto importante verso la distensione, ma ebbe degli effetti molto limitati. Infatti, se da una parte, i rappresentanti argentini proponevano una mediazione fortemente limitata, dall’altra i cileni cercavano di riconoscere al mediatore una maggiore capacità di azione.

Giorno 20 novembre, il governo cileno invitò i dirigenti argentini a continuare i negoziati e ad accettare la mediazione vaticana; il giorno seguente ricevette il rifiuto

42 T. E. Princen, Beagle Channel Negotiations, in International Affairs, 1988, n. 401, p. 108; R. Russell,

El rpoceso de toma de decisiones en la politica exterior argentina, in R. Russell (ed.), Politica exterior y el proceso de toma de decisiones en America Latina”, Buenos Aires, Grupo Editorial Latinoamericano,

1990, pp. 41-42.

43

Massera dichiarò, durante un discorso tenuto nel mese di agosto 1978 presso la base navale di Ushuaia, che il territorio argentino non sarebbe stato amputato e che lo Stato non avrebbe permesso a terzi di giudicare e decidere su ciò che era di sua competenza esclusiva. Ivi, p. 112.

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43 argentino. Lo stesso giorno Videla informò in nunzio apostolico Pio Laghi che se il Vaticano non immediatamente intervenuto la guerra sarebbe sicuramente scoppiata. Il giorno seguente, Giovanni Paolo II nominò il cardinale Antonio Samorè quale suo delegato per porre fine alla contesa.

La notizia della mediazione papale e della sua accettazione fu accetta con entusiasmo dall’opinione pubblica di entrambi i paesi.

A metà luglio del 1980, i negoziati ricevettero una dura battuta di arresto. Il Cile aveva presentato una copiosa documentazione comprovante la propria tesi, circa la sovranità sulle isole contese; l’Argentina, invece, non era riuscita a produrre nulla di sostanziale ed anzi, accusò duramente i cileni di aver manipolato le mappe da loro prodotte44. Il 12 dicembre, il Santo Padre rese pubblica la sua proposta che richiamava molto il lodo britannico, con aggiunte le modifiche suggerite da Samorè.

Il Cile accettò immediatamente la proposta formulata dal Papa; l’Argentina, invece, la rigettò. Inoltre, il Trattato generale di Arbitrato del 1972 scadeva il 27 dicembre 1982 e l’Argentina aveva deciso di non rinnovarlo impedendo così al Cile di poter ricorrere unilateralmente alla Corte internazionale di giustizia. La mediazione papale era l’unica soluzione.

Quali furono le ragioni che, nonostante la crescente crisi economica e finanziaria, spinsero i dirigenti argentini a fare questa scelta? Il motivo principale è da ricercare

nella crescente pressione dei gruppi militari favorevoli ad una soluzione armata. Nel dicembre del 1981 il generale Galtieri45 aveva sostituito il generale Viola e, nel

frattempo, si erano registrate altre violazioni territoriali che assieme all’occupazione delle Falkland/Malvinas e al rigetto del Tratto del 1972 preoccuparono seriamente i dirigenti politici cileni.

La controversia iniziò a dirimersi a partire dal 1 giugno 1982, quando Reynaldo Bignone subentrò a Galtieri. Bignone dichiarò sin da subito che quale che fosse stato il risultato dei negoziati, questo avrebbe dovuto ricevere l’approvazione del Congresso.

44 Lo storico argentino Pablo Lacoste dichiarò che gli argentini avevano tolto tutte le mappe che

confermavano la versione cilena dall’Archivio Nazionale di Buenos Aires. P. Lacoste, La imagen del otro

en las relaciones de la Argentina y Chile (1534-2000), Buenos Aires, Universitad de Santiago de Chile,

2003, p. 203.

45 Alcuni diplomatici cileni non esitarono ad affermare che: «Galtieri fu il più stupido dittatore che

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44 Il cardinale Samorè intravide in ciò uno spiraglio e si adoperò immediatamente per convincere l’Argentina a rinnovare il Trattato generale.

Il 15 settembre i rappresentati dei due paesi firmarono l’Accordo di Città del Vaticano e accettarono di rinnovare il Trattato generale di arbitrato.

Il 1983 iniziò con la scomparsa di Samorè, che venne sostituito dal cardinale Agostino Casaroli. Questi, rifacendosi all’operato del suo predecessore, insistette affinché le parti firmassero un «trattato parziale». Tale soluzione era ben accetta dal Cile ma non dall’Argentina che, invece, era favorevole ad una soluzione definitiva in quanto, una soluzione parziale avrebbe potuto generare nuove frizioni in un futuro prossimo. La svolta decisiva si ebbe nell’ottobre del 1983 quando Raul Alfonsin, membro dell’Union Civica Radical, vinse le elezioni presidenziali46.

Le priorità della presidenza di Alfons erano di migliorare le condizioni dell’economia, gravemente danneggiata, e impedire il ritorno dei militari al potere. A tal fine, il neo presidente argentino decise di dare una rivoluzione alle trattative concernenti l’arcipelago delle Beagle.

Alfonsin sapeva benissimo che i militari avrebbero potuto utilizzare la carta del nazionalismo per sovvertire il nuovo governo. Inoltre, la risoluzione della disputa era un modo per riconquistare la fiducia degli investitori stranieri e cercare di risollevare la martoriata economia.

La felice conclusione si ebbe il 29 novembre 1984 con la sottoscrizione del Trattato di Pace e Amicizia47.

Il 26 di luglio Alfonsin indisse un referendum popolare per obbligare gli oppositori del Trattato a esporsi pubblicamente. Il 25 novembre ben l’81%48 degli argentini votò favorevole alla ratifica del Trattato, mettendo a tacere i militari e l’opposizione.

46 Raul Ricardo Alfonsin è stato presidente dell’Argentina dal 10 dicembre 1983 all’8 luglio 1989. 47 Il Trattato venne ratifico dall’Argentina il 26 marzo 1985. Il Cile lo ratificò l’11 aprile 1985. Il testo è

consultabile all’indirizzo: http://treaties.un.org

48

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45

3.4 La decisione di intraprendere l’azione armata verso le Falkland/Malvinas

Alla vigilia dell’invasione delle Falkland/Malvinas le condizioni socio-economiche in cui versava l’Argentina erano disastrose mentre, sul fronte interno la posizione del Regime era gravemente compromessa.

Tuttavia, nonostante la situazione interna fosse ormai prossima al collasso, le sole ragioni economiche difficilmente potevano giustificare il conflitto, quindi, le decisioni argentine dovevano essere sorrette da altri motivi, primo fra tutti: la volontà di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su di una situazione esterna di particolare interesse49.

Posto di accettare questa tesi come la più aderente ai fatti, la scelta che si profilava alla dirigenza argentina era fra quattro possibili alternative, ovvero le dispute con: Brasile, Cile, Gran Bretagna e l’impegno contro l’avanzata comunista in Sud America. Come già detto, i rapporti con Brasilia si erano ormai distesi e sarebbe stato oltremodo controproducente, visti anche i vari accordi siglati, riaccendere i contrasti fra i due paesi; mentre, l’impegno anticomunista della Giunta al fianco degli USA non era sentito dalla popolazione come una «causa nazionale» e il porlo in risalto avrebbe anzi conseguito l’effetto di rafforzare le opposizioni di sinistra, con il rischio di peggiorare la percezione del lavoro del Regime da parte della società civile.

Ai dirigenti politici argentini restavano, pertanto, solo due alternative: il contrasto con il Cile per il possesso delle isole Beagle; la secolare controversia con la Gran Bretagna per le Falkland/Malvinas entrambe adatte allo scopo, in quanto dotate di una forte carica nazionalista.

Per parecchio tempo, la controversia sulle isole Beagle è stata la priorità numero uno della politica estera argentina50. Tuttavia, la Giunta decise di escludere anche questa dalle possibilità e, quindi, l’unica soluzione praticabile era l’invasione delle Falkland/Malvine.

Il perché di questa scelta è di facile intuizione. In primo luogo, la disputa era ancora sottoposta ai tentativi di mediazione del Vaticano, di conseguenza, in un paese in cui la

49

E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali 1918-1999, Bari, Laterza, 2000, pp. 1274-1280; R. Sala, op. cit., p. 112; A. Haig, op. cit., p. 260.

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46 stragrande maggioranza della popolazione è di religione cattolica, interrompere i negoziati avrebbe significato inimicarsi ulteriormente l’opinione pubblica interna e quella degli altri paesi latinoamericani. In secondo luogo, la controversia avrebbe potuto sfociare in una guerra con il Cile. Gli oneri di una guerra con lo Stato confinante sarebbero stati eccessivamente gravosi e anche questo conflitto avrebbe minato i rapporti con gli altri paesi del continente, dato che l’Argentina avrebbe ricoperto il ruolo dell’aggressore.

L’unica possibilità rimasta era, dunque, la «riconquista» delle Falkland/Malvine. Questa presentava tutta una serie di aspetti apparentemente favorevoli: la forte partecipazione emotiva della popolazione51; il coinvolgimento di una potenza extra sistemica (Gran Bretagna), non avrebbe comportato complicazioni nelle relazioni con i paesi vicini; il passato di potenza imperialista e coloniale della Gran Bretagna, sfruttabile sia in ambito ONU che nei confronti del Movimento dei Non Allineati. A queste «condizioni di base» si aggiunsero, successivamente, delle interpretazioni erronee che indussero gli argentini a ritenere altamente improbabile una reazione forte di Londra e, invece, probabile l’appoggio o l’accondiscendenza di USA e URSS. Rispetto agli USA, le previsioni di Buenos Aires si rilevarono totalmente errate. Invero, gli Stati Uniti, per quanto importante potessero ritenere la relazione con l’Argentina, non avrebbero mai accettato di chiudere un occhio su una palese violazione del principio del non ricorso alla forza per la soluzione delle controversie internazionali, particolarmente in Sud America. La mappa del continente evidenziava molte dispute territoriali che, se l’intervento argentino fosse stato considerato legittimo, avrebbero portato come conseguenza l’accendersi di numerosi altri focolai di violenza, che avrebbero ulteriormente indebolito il blocco occidentale.

Altra previsione fallace fu quella relativa al comportamento dell’URSS, dalla quale la Giunta aspettava l’apposizione del veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su ogni tentativo di risoluzione a favore della Gran Bretagna. Gli analisti argenti,

51 La popolarità goduta dalla questione delle Malvinas era altissima. L’opinione pubblica argentina, nei

confronti delle Malvinas era composta per la sua maggioranza da favorevoli o addirittura « favorevoli fanatici», mentre il numero degli indifferenti o contrari era minoritario. Un sondaggio di opinione, effettuato nel maggio del 1982, ha mostrato come ben il 90% degli intervistati fosse favorevole alla difesa militare delle isole; l’82% contrario ai negoziati sulla sovranità; il 76% credeva fermamente nella vittoria argentina. C. Mack, op. cit., p. 152.

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47 rifacendosi alla circostanza che Mosca era stata sempre favorevole al processo di decolonizzazione, prevedevano che il governo sovietico nella disputa tra la Gran Bretagna e l’Argentina, avrebbe appoggiato quest’ultima nella possibilità di indebolire la posizione di uno dei «nuclei duri» dell’Alleanza Atlantica.

In realtà, come si è già visto, l’URSS mantenne la più assoluta neutralità in merito alla faccenda, tanto da astenersi rispetto al voto sulla risoluzione ONU 502/82, relativa alla condanna dell’uso della forza da parte dell’Argentina.

Una previsione parzialmente esatta, invece, si ebbe in riferimento all’appoggio dei paesi aderenti al Movimento dei Paesi Non Allineati. A partire dal 1973, l’Argentina fece regolarmente appello al Movimento e al suo spirito anticolonialista per ottenere un sostegno concreto contro il Regno Unito. Questo arrivò il 30 agosto 1975, durante la V Conferenza dei Ministri dei Paesi Non Allineati tenutasi a Lima. In quell’occasione, venne adottata una dichiarazione finale nella quale i paesi aderenti al Movimento, facendo salvo il principio di autodeterminazione dei popoli, appoggiavano fermamente il reclamo della Repubblica Argentina e intimavano alla Gran Bretagna di proseguire energicamente i negoziati avviati dalle Nazioni Unite, con lo scopo di restituire l’arcipelago all’Argentina e ponendo fine ad una «situazione illegale» che si era protratta per fin troppo tempo52.

3.4.1 Gli errori di interpretazione della Giunta

Gli analisti e la dirigenza politica argentina errarono totalmente la percezione della realtà e l’analisi dei dati provenienti dalla Gran Bretagna decretando il completo fallimento delle operazioni militare, nonché la caduta del regime militare. L’analisi argentina della politica interna britannica evidenziò un governo in grandi difficoltà economiche. Gli sforzi per ridurre la disoccupazione e l’inflazione, nonché quelli indirizzati alla privatizzazione delle società statali, non avevano ancora portato ad un miglioramento dei conti e il livello di malcontento e di insoddisfazione tra la popolazione andava crescendo sempre di più.

52

L’appoggio del Movimento fu molto importante in quanto, tra i quindici membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cinque erano suoi membri. Nello specifico: Uganda, Zaire, Togo, Giordania e Guyana.

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48 La Giunta ritenne che, stante tali difficoltà, il governo britannico non sarebbe mai intervenuto attivamente in difesa di un arcipelago dal valore economico e strategico-militare ridotto.

Sul fronte della polita esterna, la Giunta colse nelle scelte operate dalla Gran Bretagna dal 1945 in poi, dei segnali confortanti.

In primo luogo,nelle logiche del confronto USA – URSS, il ruolo di potenza egemone detenuto da Londra fino alla seconda guerra mondiale era, ormai, solamente un lontano ricordo.

L’Impero Britannico aveva perso il suo smalto ed era relegato al ruolo di «media potenza»; condizione evidenziata dai fatti di Suez del 195653.

La scelta di campo della Gran Bretagna al fianco degli Stati Uniti portava il Governo Thatcher a concentrare la propria attenzione in ambito NATO. La sua attenzione era focalizzata principalmente verso il teatro europeo e l’Atlantico settentrionale. Venivano a trovarsi così, in secondo piano, le situazioni concernenti il Pacifico, l’oceano Indiano e, il Sud Atlantico. Anche in questo caso le risorse finanziarie limitate avevano giocato un ruolo determinante, obbligando gli inglesi ad orientarsi verso un impegno più attivo in ambito continentale a scapito del mantenimento di una capacità d’intervento globale54.

Gli analisti politici argentini,avevano notato una serie di particolari che li indussero a ritenere che la Gran Bretagna stesse perdendo progressivamente interesse per le Falkland, prediligendo i rapporti con la CEE oppure le relazioni Est – Ovest.

Il primo di questi segnali fu la decisione del ministro della difesa di Sua Maestà di ritirare definitivamente la nave rompighiaccio HMS Endurance, unica unità della Royal

53 In quegli anni in Gran Bretagna si era sviluppata una vera e propria fobia dell’Egitto; tanto

nell’opinione pubblica quanto alla Camera dei Comuni. La sera del 26 luglio 1956, quando Nasser decise di nazionalizzare il canale di Suez e la compagnia che lo gestiva, ebbe inizio un vero e proprio incubo per l’Inghilterra. La perdita del controllo del canale avrebbe peggiorato lo stato di salute della sterlina, già gravemente compromesso, ma le conseguenza che derivarono dalla disfatta inglese furono molto ben peggiori. Per un analisi approfondita si veda M. Campanini, Storia dell’Egitto contemporaneo. Dalla

rinascita ottocentesca a Mubarak, Roma, Edizioni lavoro, 2005, pp. 150 e ss.

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49 Navy in servizio permanente nel Sud Atlantico55 decretando così, l’abbandono della presenza inglese nell’Atlantico del Sud e nell’Antartico56.

Un’altra circostanza, che contribuì a rafforzare le percezioni argentine, fu la decisione di chiudere nell’ottobre 1981 la base scientifica di Grytviken, nella Georgia del Sud; ciò avrebbe significato, agli occhi della Giunta, un ritiro dal territorio57.

Un terzo segnale, che indusse Buenos Aires a ritenere che i tempi fossero maturi per l’azione di forza fu l’emanazione nel 1981 del British Nationality Act con il quale il governo di Londra negava agli isolani che non avevano nonni nati nel Regno Unito il diritto di ritornare in Gran Bretagna come cittadini riconoscendogli, quindi, una cittadinanza di «seconda classe»; ciò a riprova di un imminente cambio di status per le isole Falkland/Malvinas.

Questi tre segnali, sommati all’analisi dell’evoluzione politica interna ed estera del Regno Unito, indussero la squadra decisionale argentina a concludere che Londra non sarebbe mai intervenuta attivamente e, soprattutto, militarmente. Pertanto, l’occupazione dell’arcipelago poteva aver luogo in quanto i rischi erano molto limitati, mentre i vantaggi sarebbero stati molteplici58.

Ad aumentare ulteriormente l’ottimismo della dirigenza argentina contribuì il modo in cui la Gran Bretagna aveva affrontato, nel 1980, la crisi rhodesiana che aveva portato alla nascita dello Zimbabwe.

55 A seguito della grave crisi che aveva investito l’economia inglese, il 30 giugno 1981 erano stati

approvati dei tagli al budget del ministero della difesa. Nello specifico, era stata prevista una riduzione da 66 a 44 unità navali e una diminuzione del ruolo della flotta navale di superficie a vantaggio di sottomarini nucleari. Per quel che riguarda l’Endurance, la sua importanza non risiedeva nella sua capacità di dissuasione, il suo armamento comprendeva soltanto 2 cannoni da 20 mm, ma nel suo significato simbolico. Rappresentava la volontà britannica di tutelare la propria sovranità e i propri interessi nell’arcipelago delle Falkland e in tutto il Sud Atlantico.

56 A questo proposito, il ministro degli esteri Mendez dichiarò che il ritiro dell’Endurance era un chiaro

segno che la Gran Bretagna non era più interessata all’Atlantico del Sud poiché così facendo stava eliminando la possibilità di avere una flotta di superficie in quella zona favorendo, invece, l’appoggio nucleare alla NATO. Infatti, con il Libro Bianco del 30 giugno 1981 era stato deciso, insieme alla già citata riduzione delle unità navali di superficie, l’acquisto del sistema missilistico americano Trident D-5, per un costo totale di 7,5 miliardi di sterline. Cfr. M. Bilton, P. Kominsky, op. cit., p. 13.

57 La presenza degli scienziati fu però prorogata di dieci mesi grazie ad un finanziamento dell’ultimo

minuto alla missione.

58

A tal proposito il generale Galtieri dichiarò che, in considerazione della crisi economica che stava attraversando il Regno Unito, era scarsamente probabile, se non addirittura impossibile, che avrebbe mobilitato la sua flotta per le Malvinas.

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50 Lungi dal cedere all’utilizzo della forza, il Governo Thatcher aveva dimostrato una netta propensione per la soluzione diplomatica e aveva proposto una serie di soluzioni negoziali con le quali era riuscito a sciogliere l’impasse59.

Un esame che la Marina argentina non evitò certo di effettuare riguardò le capacità militari delle forze armate britanniche, in particolare della Royal Navy. Questo evidenziò una condizione che avrebbe reso estremamente difficoltoso per la Gran Bretagna affrontare una guerra a 8.000 miglia dai propri porti, avendo a disposizione come avamposto più vicino la sola isola di Ascensione, distante più di 6.000 Km dalle Falkland/Malvinas60. Al contrario, le basi aeronavali argentine erano distanti poche centinaia di chilometri dalle Malvine assicurando facilità nell’assistenza, nei rifornimenti e nella fornitura di mezzi.

La Giunta tenne conto anche del fatto che il 4 gennaio 1983 sarebbe stato il 150º anniversario della presa delle Falkland/Malvinas da parte britannica e che, pertanto, bisognava evitare che la propria incapacità di ottenere la sovranità sull’arcipelago, venisse evidenziata da una ricorrenza carica di significati.

L’insieme di tutto quanto sopra descritto portò i dirigenti argentini non solo a ritenere altamente probabile la riuscita della conquista dell’arcipelago, ma che questa impresa avrebbe comportato grandi vantaggi alla loro posizione con dei costi incredibilmente ridotti.

Con queste premesse le Falkland/Malvinas avrebbero rappresentato la strada migliore per ottenere un miglioramento dell’immagine del regime in Argentina e la possibilità di farlo salire alle luci del palcoscenico internazionale come il difensore dell’anticolonialismo, capace di piegare e sconfiggere senza colpo ferire un veterano delle relazioni internazionali come la Gran Bretagna.

Qual’ora la Giunta avesse deciso di usare la forza per risolvere la controversia, l’operazione sarebbe dovuta essere rapida e assolutamente inaspettata. Ciò al fine di impedire che la Gran Bretagna non solo potesse organizzarsi preventivamente, ma che

59 Oscar Camilion, capo della diplomazia argentina dal marzo 1981 al dicembre dello stesso, ebbe a

dichiarare che fu estremamente meravigliato dall’approccio del governo inglese verso il problema rhodesiano.

60 Lo stesso ammiraglio Anaya, comandante in capo della marina argentina, riteneva che la Royal Navy

non avesse né i mezzi né la logistica necessaria per operazioni di tale portata, a maggior ragione se si considerava che la flotta britannica avrebbe da lì a poco perso due portaerei: la HMS Invincibile, venduta all’Australia; l’HMS Hermes, destinata alla demolizione. R. Sala, op. cit., p. 120.

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51 trovasse una «eventuale» alleanza con il Cile che, come già detto, aveva validi motivi per cercare un solido rapporto con Londra.

Posta dinanzi al fatto compiuto, la Gran Bretagna non avrebbe potuto fare altro che accettare, suo malgrado, la nuova situazione. Queste, almeno, erano le conclusioni cui gli analisti argentini erano giunti sulla base dei dati raccolti.

Il comportamento tenuto dalla Giunta rientra nello schema tipico del c.d. wishful thinking61, ossia: «una forma motivata di percezione distorta». Invero, i dirigenti politici argentini, nell’attesa di veder accrescere il consenso popolare nei loro confronti, sottovalutarono la forza e la determinazione della Gran Bretagna e i rischi annessi. La miopia dei militari argentini, nel ritenere che l’impresa delle Falkland/Malvine avrebbe fatto dimenticare alla popolazione civile i sei anni della feroce dittatura cui era stata sottoposta, impedì alla Giunta di percepire, prima dello sbarco delle truppe inglesi, tutta una serie di segnali che avrebbero dovuto farla riflettere sulle reali inclinazioni dell’opinione pubblica62.

Se da una parte, infatti, è vero che subito dopo la notizia della riconquista dell’arcipelago, la gente scese nelle piazze a festeggiare e a inneggiare al governo; è vero anche, che una volta scemato l’entusiasmo, le proteste per un ritorno alla democrazia e i gravi problemi economici riaffiorarono in tutta la loro drammaticità. Per di più, la Giunta non tenne neanche conto delle implicazioni che avrebbe comportato una guerra, che si voleva fosse considerata di «liberazione coloniale» e «democratica». Infatti, a seguito della «restaurazione» del regime democratico sulle isole, la popolazione argentina avrebbe richiesto, quasi certamente, il ritorno alle istituzioni democratiche nel proprio paese63.

61 B. Russet, H. Starr, op. cit., p. 339.

62 Il premio nobel Adolfo Pérez Esquivel, uno tra i principali oppositori del governo ma al contempo

sostenitore dell’impresa, dichiarò che l’appoggio del popolo argentino alla rivendicazione storica sulle isole non significava, in nessuna maniera, il suo appoggio al regime militare che non rappresentava il popolo e che aveva condotto delle politiche antinazionali e antipopolari nel campo economico e sociale, nonché responsabile della scomparsa di miglia di oppositori, prigionieri e semplici cittadini.

http://www.lemonde.fr/archives/article/1982/05/12/m-perez-esquivel-oui-aux-malouines-non-au-regime-militaire_2909922_1819218.html?xtmc=adolfo_perez_esquivel&xtcr=5

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