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Capitolo 3: Ivanov, Potebnja, Florenskij.

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Academic year: 2021

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Capitolo 3: Ivanov, Potebnja, Florenskij.

L’amore totalizzante di Chlebnikov per la realtà circostante e per il mondo silvano che verrà, così come le audaci costruzioni verbali per rompere il concetto di abitudine e convenzione ormai insito all’interno della parola, sono rielaborazioni in modo originale di tutta una tradizione letteraria e linguistica russa (cfr. Ferrari-Bravo 2000, pag. 13 e sgg.). Tra gli studiosi che si sono occupati della concezione del linguaggio come elemento base della conoscenza del mondo, tre in particolare, grazie ai loro studi, possono aiutare a comprendere le basi e le innovazioni portate avanti da Chlebnikov nella sua opera poetica.

3.1 Vjačeslav Ivanov

Vjačeslav Ivanovič Ivanov (1866-1949) fu intellettuale di spicco della cultura russa. Filologo e filosofo, fu uno dei più profondi critici e divulgatori del movimento simbolista. Nella sua casa, definita “la torre” (cfr. Malcovati 1983, pag. 20), si incontreranno per anni gli scrittori e i poeti delle avanguardie e dei vari gruppi letterari che movimentavano Pietroburgo a quei tempi. Dopo la rivoluzione del 1917, a causa della sua profonda religiosità, viaggerà per tutta l’Europa (soggiornerà a lungo in Italia e in Germania), non smettendo però di insegnare e scrivere. Si stabilirà, negli ultimi anni della sua vita, a Roma, convertendosi poi al cattolicesimo. Amico di Chlebnikov fin dal suo arrivo a Pietroburgo, influenzerà il giovane studente con il suo rigore e il suo pensiero.

Partendo dalla concezione filosofica di Vladimir Solov’ёv, Ivanov basa la sua filosofia verso una perfetta unione tra la Sofia (la Saggezza, l’istanza

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superiore di conoscenza data da Dio) e l’uomo, in un circolo totalizzante che permette all’uomo di conoscere se stesso e la sua anima. Questo può essere ottenuto tramite un uso teurgico dell’arte, che non è però più arte individuale. Ivanov concepisce il concetto di sobornost’, ecumenicità. Il poeta si distacca dall’individualismo lirico e crea arte per calarsi all’interno dei bisogni di tutte le anime umane. Non più arte come Io lirico che, in modo solipsistico, parla di se stesso in relazione al mondo che lo circonda, ma Io lirico che diventa Noi, che È ed Esiste nel suo incontro con l’altro. Per raggiungere questo obbiettivo, secondo Ivanov, è necessario un amore incondizionato per Dio e per ciò che è metafisico, per ciò che non è subito percepibile dall’uomo. L’avvicinarsi all’Altro è la condizione fondamentale per riuscire a creare un’arte perfetta ed ecumenica. L’uomo non è più identificato con la creazione di un pensiero singolo e personale (cogito,

ergo sum: penso, quindi sono), ma con lo specchiarsi all’interno di una

realtà Altra e non conoscibile se non tramite l’arte (es, ergo sum: tu sei,

quindi sono) (cfr. ivi, pag. 50)

Lo strumento indicato da Ivanov per poter aver conoscenza dell’Altro attraverso l’arte è il simbolo, che opera attraverso il linguaggio. Il poeta deve, attraverso i simboli, accennare al lato nascosto delle parole e ridare a esse il significato primigenio che possedevano alla loro nascita. Se all’inizio il linguaggio operava in modo concreto sul reale, ora una patina, un velo ricopre il suo significato, impedendo all’uomo di svolgere il proprio ruolo di narratore e inventore della realtà: il simbolo è quindi la

«ripetizione di quell’ipotetico periodo della storia della lingua in cui esisteva (e dunque esisterà) un duplice livello: un livello reale, logico e analitico, di relazioni e oggetti reali, e un livello mitologico o religioso, di oggetti e relazioni «superiori», la cui espressione, appunto, è il mito inteso come forma sintetica composta da un soggetto-simbolo e da una copula, inteso cioè come forza mobile

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e motrice, forza agente e azione stessa, ecumenico per sua natura in quanto, se autentico, perpetua o inizia un culto.» (in Malcovati 1983, pag. 40).

Il simbolo viene espresso dal poeta tramite una glossolalia fonica, musicale, che solo in apparenza sembra oscura: il poeta conferisce alle nuove onomatopee, alla sua creazione artistica, una zvukoobraz, un’immagine

sonora, che darà un senso a ciò che viene osservato (cfr. Ghidini 1997, pag.

235). La parola del poeta ritrova così il proprio significato, permettendo all’arte di ri-diventare strumento di rivelazione delle verità universali: il poeta compie in sé una trasformazione palingenetica per poter tornare a parlare in modo universale e universalizzante alla folla, dando vita a una nuova mitopoiesi (cfr Carpi 1994, pag. 26).

3.2 Aleksandr Potebnja.

Aleksandr Afanas’evič Potebnja (1835/1891), filologo e professore dell’Università di Charkov, fu profondamente influenzato dalle idee del filosofo Wilhelm von Humboldt (1767/1835). Insieme ai suoi studi sulla fonosemantica e sulla semiologia del linguaggio, pubblicherà anche alcuni interessanti articoli sul folklore russo.

Potebnja incentrò i suoi studi sui legami tra conoscenza e linguaggio. Ponendo come base della sua ricerca filosofica e linguistica l’assioma che è indispensabile, per la maturazione psicologica e intellettuale dell’uomo, l’uso e la riflessione sulla parola (slovo) in quanto tale, Potebnja proporrà un sistema semiotico triadico: nella parola si distinguono una forma esterna (vnešnjaja forma) del significato (non semplicemente l’unità fonetica alla base della parola, ma anche la sua forma letteraria, cfr. Ferrari-Bravo 2000, pag. 70), la rappresentazione del significato, detto anche forma interna

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(vnutrennaja forma) della parola e infine il significato (značenie) stesso della parola.

(A= Forma Esterna; B= Significato; C= Forma Interna. In Mocchiutti 1983, pag. 3-4)

L’idea di parola in Potebnja è diversa da quella ipotizzata da Saussure:

«In his ‘objective’ theory Saussure considers language as a series of arbitrary connections between names and concepts. These concepts are not universal, they vary from language to language, because each language organizes the world in a different wa. Nor are they fixed within the boundaries of one language, the concepts may change from one period to the next. However, this does not alter the basic nature of the sign: signifieds as well signifiers may change during this development of language but there is no real reason why one signified rather than another should be connected with a given signifier. Potebnja’s ‘subjective’ theory starts from the reception of the sign and the resulting activity of the mind. Internal form is the representation of a motivated relation between signifier and signified» (Weststeijn 1983, pag. 5)

A

B

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Secondo Potebnja, l’immagine che l’uomo concepisce di un oggetto è dovuta al rapporto non esclusivamente visivo e psicologico che l’immagine suscita in noi. Le menti umane percepiscono ognuna in maniera diversa dall’altra la concezione di un oggetto, questo a causa dell’opacità ormai alla base del linguaggio e a causa delle differenze psicologiche di percezione di ogni essere umano. La forma interna della parola non è altro che l’istanza linguistica che, legata al significato, permette di interpretare la realtà definita dalla parola stessa. La parola è fondamentale per comprendere l’immagine e il significato che noi attribuiamo a essa, in quanto la parola, grazie alle sue proprietà di denotazione e unione, lega i vari significati che un’immagine suscita in noi con la rappresentazione di essa attraverso il linguaggio. Il rielaborare attraverso il linguaggio un’immagine e quindi il significato che noi abbiamo di essa è, secondo Potebnja, l’unico vero metodo per superare l'incomunicabilità umana: gli uomini, utilizzando le parole allo stato primitivo in funzione creatrice, risvegliano nell’essere umano il proprio concetto di una certa immagine, di un certo significato (vedi Avalle et Alii 1980, pag. 138-139).

Questa costante riflessione semantica e semiotica è tipica della lingua poetica, in quanto essa riesce a ristabilire, tramite il proprio significato metaforico, la giusta complessità del mondo che ci circonda:

«La comprensione per mezzo del linguaggio è possibile non perché chi comprende riceve in sé il complesso delle rappresentazioni (in senso psicologico) del suo interlocutore, ma perché la parola-metafora mette in moto nella sua mente lo stesso processo psicologico che avviene nella mente di chi parla.» (in Mocchiuti 1983, pag. 7)

Potebnja noterà inoltre l' oscuramento (zatemnenie) della parola e del suo significato interno originario, a causa dell'utilizzo ormai abitudinario di essa. In questo modo, suono e significato della parola coincidono,

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escludendo la forma interna della parola: viene così a mancare il concetto primigenio di creazione mitica che la parola aveva in sé fin dalla sua creazione.

(In ivi, pag. 9)

Il ristabilimento della forma interna caratteristica della parola per la costruzione e la denotazione mitica del mondo è per Potebnja fondamentale, in quanto la lingua è il mezzo attraverso cui l’uomo prende coscienza del pensiero stesso: «il pensiero non ha possibilità di svilupparsi se non attraverso la lingua» (in Ferrari Bravo 2000, pag. 66).

Le idee di Potebnja non erano di sicuro sconosciute a Chlebnikov, che sicuramente prenderà ispirazioni da esse per il suo lavoro:

«The word as an independent element occupies a very important position in Potebnja’s theories. This independence of the word is also one of the central features of futurist poetics. In his discussions of the literary work, Potebnja has made an analogy between a word and a word of art. […] The best illustration of

A

C

AL POSTO DI

A

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Potebnja’s relationship with Russian futurism is to be found in the work of Chlebnikov.» (Weststeijn 1983, pag. 83)

3.3 Pavel Florenskij

Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882/1937) fu teologo, filosofo e matematico russo. Uomo di vasta cultura, nel 1911 verrà ordinato sacerdote ortodosso. Insegnerà, a partire dal 1921, al Vchutemas, dove studierà l’utilizzo dello spazio e del colore nelle icone sacre ortodosse. Verrà condannato ai lavori forzati nel 1933 e poi fucilato nel 1937.

Il pensiero di Florenskij ha le sue basi nella convivenza antinomica nel mondo (e quindi nella letteratura) di forze opposte, che entrano in contatto tramite la preghiera e il linguaggio. Il simbolo diventa, per Florenskij, strumento del mondo Altro, della divinità (di Dio) per comunicare con il nostro mondo, grazie alla percezione di esso dall’uomo (cfr. Tagliagambe 2006). Partendo dalle idee del filosofo Wilhelm von Humboldt, in particolare dal saggio Sulla differenza della struttura linguistica dell'uomo e

sulla sua influenza sullo sviluppo spirituale del genere umano (in Florenskij

1989, pag. 113n) e dalle idee di Potebnja, Florenskij spiega che, a suo parere, la lingua

«è un equilibrio vivo di érgon ed enérgeia, di «prodotti finiti» e «vita». Detto in modo più preciso, è proprio per questa contraddittorietà, spinta al suo limite estremo, che è possibile la lingua: da un lato è eterna, incrollabile, Ragione oggettiva, lógos arciumano; dall’altro è invece indicibilmente vicina all’animo di ognuno, dolcemente flessibile nell’adattarsi al cuore del singolo[…]. La lingua – imponente e monumentale – è l’enorme grembo del pensiero umano, è l’ambiente in cui ci muoviamo, è l’aria che respiriamo. Ma nello stesso tempo la lingua è la nostra intimità che stentiamo a esprimere […].» (in ivi, pag. 74)

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Nella sua analisi delle varie poetiche che al meglio hanno espresso l’avvicendarsi nei secoli e nel mondo letterario di queste due forze contrapposte, Florenskij pone particolare attenzione al linguaggio dei futuristi, in particolare a Chlebnikov e Kručёnych e alle loro creazioni verbali. Propagatori di enérgeia nel mondo, i futuristi sono riusciti, secondo Florenskij, a «risvegliare la lingua dal suo letargo» (in ivi, pag. 82). Quando i futuristi

«intesero la lingua come creazione di un discorso, e sentirono nella parola l’energia vitale, allora, ubriacatisi di quel dono appena trovato, proruppero in lamenti, si misero a borbottare e cantare» (in ivi, pag. 82).

Nonostante Florenskij non apprezzi totalmente le idee e le ideologie poetiche portate avanti dai futuristi russi (in ivi, pag. 92-95), ne apprezza comunque la forza espressiva e il tentativo (portato avanti con buffonate e scherzi, a suo parere, ma comunque lodevoli per le motivazioni nascoste in questi gesti, cfr. ivi, pag. 82-84) di ridare alla parola una dignità persa ormai fin dai tempi passati. Riferendosi alle creazioni verbali di Chlebnikov, Florenskij scrive che

«[l’elaborazione formale della radice dei neologismi] manifesta la bellezza della lingua, aiuta a capire il valore del materiale stesso del discorso e la base spontanea dalla quale nasce anche il discorso logico e, con ciò, in modo più sottile contagia il contenuto spontaneo e immediato della parola.» (in ivi, pag. 92)

3.4 L’originalità chlebnikoviana.

Gli studi dei filosofi qui affrontati sono stati rielaborati sia per rendere evidente le somiglianze con gli studi letterari da Chlebnikov, sia per rendere evidente la posizione nuova e originale portata avanti dal poeta. La tradizione degli studi dello slovo in quanto metodo di crescita dell’uomo e

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comunicazione con l’Altro è precedente all’epoca di Chlebnikov , a cui non erano sicuramente estranei gli studi di Potebnja, Humboldt e degli altri filosofi del linguaggio dei tempi. La vera sorpresa rappresentata dalla poesia chlebnikoviana è il nuovo metodo di espressione utilizzato per riuscire a portare avanti le istanze ipotizzate fin dal 1800. Nonostante i numerosi saggi scritti sul linguaggio e sulla poesia, Chlebnikov non smetterà mai di scrivere versi: si può dire anzi che le opinioni da lui espresse sono posteriori alla creazione verbale diretta. Solo dopo il confronto con la lingua poetica (e, in questo caso, con nuove costruzioni linguistiche) Chlebnikov elaborerà un sistema di regole e di analisi. La riflessione di Chlebnikov sulla parola parte dalla parola stessa, in questo caso la parola poetica, che lo stesso Chlebnikov ritiene essere lo strumento più adeguato per riuscire a costruire mondi nuovi.

Non è lo scrivere poesia in sé che rende Chlebnikov originale e prezioso rispetto agli altri poeti del suo tempo. Sono il metodo che utilizza e i temi che affronta a diversificarlo completamente dagli altri letterati. La creazione ex novo di un linguaggio partendo da basi logiche soggettive lo rende diverso anche dai futuristi italiani, che utilizzavano il linguaggio in modo distruttivo di per sé: il linguaggio diventa, per gli italiani, arma per distruggere il linguaggio stesso (cfr. Gherarducci 1976). I propositi edificanti (nel senso di edificazione, di costruzione) delle opere di Chlebnikov sono quanto di più distante si possa immaginare. Se la parola dei futuristi italiani è distruzione, la parola di Chlebnikov è vita. Utilizzando un nuovo linguaggio, Chlebnikov dà spazio a nuovi miti, a nuovi mondi, a nuove realtà.

L’originalità di Chlebnikov è anche nel suo modo di porsi nei confronti della religione. Anche se molte delle pose e degli atteggiamenti di Chlebnikov sono quelle di un folle in Cristo, di un martire della Chiesa, l’idealizzazione del nuovo mondo avviene sempre in modo distaccato dalla

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divinità, in quanto è l’uomo stesso che cerca di diventare divinità. Il cielo, nelle opere di Chlebnikov, non è più abitato da dei (come si può vedere nella III superficie di Zangezi, sono diventati esseri boschivi, senza più poteri): l’Altro, ciò che è divino, è rappresentato da istanze misteriose che solo il poeta può cogliere e trasformare in qualcosa di nuovo. Più che di concetto di Dio, si potrebbe dire che quello in cui spazia la mente di Chlebnikov è un Iperuranio, spazio dove solo il poeta può giungere: grazie al suo linguaggio, sarà in grado di trasmettere ciò che ha visto agli altri essere umani. Un linguaggio, però, privo delle catene dell’abitudine, che ha risvegliato in sé il suo significato originale (obbiettivo che Chlebnikov prova a portare a compimento applicando una nuova logica di trasparenza nel significato delle parole stesse). Chlebnikov/Zangezi è sì profeta, ma non è gerarchicamente al di sotto di un’istanza divina superiore. È lui stesso che, a tratti consapevolmente, a tratti inconsapevolmente, sta diventando un essere divino tramite la riappropriazione del linguaggio primitivo.

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