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CAPITOLO VI Il porcospino

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Academic year: 2021

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CAPITOLO VI

Il porcospino

“…i porcospini s’ abbeverano a un filo di pietà”226

Il riccio, comunemente chiamato porcospino, compare in tre poesie montaliane:

- Questa rissa cristiana che non ha… (OC); - A pianterreno (SA);

- Intermezzo (QQ).

Dal punto di vista simbolico il porcospino è un animale che sembra in assetto di guerra perché armato di aculei, ma che viene generalmente considerato un guerriero di pace. Nell‟antichità i suoi aculei erano usati per rendere ruvidi i panni, mentre la carne, per le sue virtù terapeutiche, veniva utilizzata come farmaco, per esempio con-tro la calvizie, forse perché gli aculei hanno l‟aspetto di capelli fortissimi. Si pensava che una pelle di riccio appesa alle viti fosse in grado di allontanare la grandine. La “saggezza” del riccio e la sua fama di prudente accumulatore di scorte alimentari era già nota a Plinio (23- 79 d.C.). “Si arrampica sulla vite”, dice il Physiologus, “per scuotere le piante e far cadere gli acini dell‟ uva […] Poi si rotola sugli acini e, infil-zati sugli aculei, li porta nella tana ai suoi cuccioli. Divieni così anche tu, o fratello, partecipe della vigna spirituale […] San Basilio dice: imita il riccio, uomo! Perché anche se è un animale impuro, ha un modo di agire affettuoso e gentile verso i bam-bini […] Valuta con cura i tralci della vera vite, e cioè le parole di nostro Signore

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Gesù Cristo, e avvicinale ai fanciulli affinché, allevati nel giusto spirito, onorino il Padre che è nei cieli”. Anche l‟ostilità tra riccio e serpente è ben nota. I bestiari me-dioevali celebrano l‟“acume” del riccio che, se in pericolo, si appallottola; intelligen-za che si manifesta anche nella costruzione della tana, che ha sempre due accessi. Quando soffia il vento del Nord, l‟entrata posta a Nord viene bloccata e l‟animale at-tende fino a che il vento del Sud non ha dissolto la fredda nebbia. Ma all‟animale vengono talvolta rimproverate “avarizia” e “iracondia”, perché nel momento della lotta, è solito alzare minacciosamente gli aculei. Nel libro barocco sugli emblemi di Hohberg227 si legge inoltre, “Quando l‟autunno carica gli alberi di frutti, il riccio di-ligentemente li raccoglie nella sua tana: / quando la benedizione di Dio ci ha fatto tanti doni: / guarda che siano tenuti saggiamente in serbo”. L‟“avidità” del riccio lo ha reso, in Estremo Oriente, simbolo della ricchezza228.

La prima comparsa del porcospino all‟interno dell‟opera montaliana ha luogo nell‟ultimo tempo della poesia Notizie dall‟Amiata229

:

***

Questa rissa cristiana che non ha se non parole d‟ ombra e di lamento che ti porta di me? Meno di quanto t‟ ha rapito la gora che s‟interra dolce nella sua chiusa di cemento. Una ruota di mola, un vecchio tronco, confini ultimi al mondo. Si disfà

227 Cfr. W. H. Hohberg, Lust-und Arzneygarten deß Königlichen Propheten Davids, 1675, ristampa con premessa di G. Lesky, Graz, 1969.

228 Cfr. Hans Biedermann, op. cit., pp. 439- 440. 229

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un cumolo di strame: e tardi usciti a unire la mia veglia al tuo profondo sonno che li riceve, i porcospini s‟ abbeverano a un filo di pietà230

.

Come è stato evidenziato da Dante Isella, l‟ Indice delle Occasioni assegna Notizie

dall‟Amiata al 1938, ma da numerosi indizi si ricava che il poeta continuò a lavorare

sul testo nei mesi iniziali dell‟ anno seguente231

.

Questa poesia è collocata in chiusura della seconda raccolta montaliana Le occasioni, e con la sua posizione di epilogo declina e rielabora, contemporaneamente, motivi esistenziali e motivi ideologici tipici di questa raccolta, riproponendo nello specifico una variante più problematica dell‟epifania. Il titolo stesso della raccolta rinvia a questa particolare fenomenologia dell‟esperienza nella modernità: l‟ occasione è il recupero casuale di un momento di vita piena. Molto spesso è un ricordo, che rie-merge all‟improvviso. Nelle Occasioni il ritmo del tempo è associato sia all‟immagine del prisma sia a quella del cerchio e del gorgo, al fluire ma anche al ri-stagnare delle acque, di un fiume, di un torrente, di un lago, del mare. Tutto questo

230 Per una approfondita analisi metrica e stilistica rimando a Tiziana de Rogatis, Montale e l‟

epifa-nia. Commento e interpretazione di “Sotto la pioggia”, “Punta del Mesco”, “Notizie dall‟Amiata”, in

“Allegoria”, s. III, XXII, 2010, 62, p. 17: la poesia è composta da “tre tempi (in analogia con Tempi di

Bellosguardo, terza sezione delle Occasioni), rispettivamente di diciotto, ventotto e undici versi. La

tessitura rigorosamente endecasillabica del primo (fa eccezione solo il v. 3, settenario) e del terzo tempo incornicia la metrica composita del secondo, nel quale ai pochi endecasillabi (vv. 20, 23, 35, 43) si mescolano diversi ipermetri (vv. 21- 22, 24, 27 , 29, 31, 34, 38, 41), anche tredecasillabi (vv. 19, 25, 40), e versi più o meno lunghi, di misura variabile tra il martelliano (per es. vv. 26, 30, 39) e il verso esametrico e paraesametrico (per es. vv. 33, 36, 42, 42, 45, 45, 46) già incontrati in Elegia di

Pico Farnese. Nel primo tempo, l‟ assenza (o quasi) di rime è compensata dalla ricorrenza di parole o

versi sdruccioli (2 murmure, 5 penetra, 6 morbide, 6 risalgono : 7 diafano : 8 m‟ intorbidano, 9

tavo-lo, 10 cellula, 13 esplodono, 16 t‟affabula). Nel terzo tempo, invece, un elaborato gioco di rime (47 ha

: 53 disfà : 57 pietà, rima tronca e finale, quest‟ ultima, in contrappunto ritmico con le sdrucciole di 53

ultimi, 57, s‟abbeverano; e poi 48 lamento : 51 cemento), quasi- rime (52 trONcO : 55 profONDO),

rime interne (53 mondo : 55 profondo, 53 : confini : 56 porcospini) e assonanze (54 uscItI, 56

porco-spInI) suggella l‟esile speranza finale.

231 Cfr. Dante Isella, La fontana delle ultime “Occasioni” [1988], in L‟idillio di Meulan. Da Manzoni

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per dire che, se per un verso gli attimi significativi dell‟ esistenza non possono ripe-tersi, per l‟altro la vita continua a consumarsi in un eterno ritorno dell‟identico; pic-cola eccezione sono “le occasioni” in grado di scardinare la gabbia del mondo feno-menico.

Questa funzione liberatoria è spesso assolta da animali (in questo caso i porcospini), da oggetti e da dettagli minimi. In larga misura, si tratta di residui del passato, persi-stenze di un tempo perduto spesso, ma non sempre, legate alla donna amata ormai assente, sue emanazioni: sono frammenti di realtà assolutamente insignificanti, che vengono però caricati di un enorme valore salvifico, di un sovrasenso magico232. La verità non coincide quindi con le forme esteriori del mondo e può disvelarsi soltanto in pochi attimi significativi, questo è il senso delle Occasioni.

Macchia ricorda che“Le occasioni si aprono e si chiudono con la visione di due in-terni. Sono due stanze ammobiliate con esattezza, con un‟ accuratezza che nessun al-tro poeta contemporaneo ha mai raggiunto (tranne Pascoli o Gozzano), visione ritma-ta su un tempo narrativo che è preparazione intensa e sviluppo di una vicenda, un ritmo d‟attesa che si rompe improvvisamente sulle ombre del nulla e della morte.”233.

Proprio sulle ascendenze di tipo letterario vorrei soffermarmi: Macchia individua Pa-scoli e Gozzano, ma si può andare anche oltre. Infatti, la stanza con cui si apre

Noti-zie dall‟Amiata per la sua particolare classicità fa pensare a Leopardi, o addirittura a

Dante; Natale Tedesco si esprime con queste parole: “nel „linguaggio‟ montaliano a noi pare s‟incontrino e la parola del Leopardi, essenziale e „vaga‟, evocatrice, e tutta interiore in sostanza, e la parola del Pascoli, concreta, tecnicista, di un naturalismo

232 Cfr. Tiziana de Rogatis, art. cit., p. 8.

233 Cfr. Giovanni Macchia, La stanza dell‟Amiata, in Atti del Convegno Internazionale La poesia di

Eugenio Montale, Milano 12/13/14 settembre, Genova, 15 settembre 1982, Milano, Librex 1983, p.

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mimetico che tenta di ricreare tutta la ricchezza fenomenica della natura”234. Altra di-scendenza Pascoliana sarebbe secondo Ettore Bonora l‟anticipazione in Notizie

dall‟Amiata del tema del ritorno dei morti, tema che verrà svolto nella Bufera. Il

cri-tico parla delle: “figure del paesaggio autunnale che assurgono a emblemi di una vita che si è consumata nei suoi impulsi e tende a ridursi a ricordo di sé […]. I morti in siffatta atmosfera sentimentale entrano dunque come presenze necessarie: a loro ri-porta la ricerca delle ragioni di ciò che è stato e che non si vorrebbe fosse del tutto perduto.”.235 Un‟ulteriore reminiscenza ci viene offerta da Francesca Ricci, che pone il problema della possibile presenza di una novella pirandelliana dal titolo

Pallottoli-ne236, uno dei „piccoli capolavori‟ che Montale lesse nel‟28 all‟interno della raccolta

il Viaggio237, che ha molti aspetti in comune con Notizie dall‟Amiata. Si tratterebbe

di una reminiscenza doppiamente significativa, perché l‟oggetto di riscrittura sarebbe in questo caso il Pirandello di una delle novelle di palese referenza leopardiana,

234

Cfr. Natale Tedesco, Di Montale e del crepuscolarismo (leggendo “Notizie dall‟Amiata”) in La

condizione crepuscolare. Saggi sulla poesia italiana del „900, Firenze, La nuova Italia 1970, pp.

165-200: 192. 235

Cfr. Ettore Bonora, Per un passo di “Notizie dall‟ Amiata”, in Letterature comparate: problemi e

metodo. Studi in onore di Ettore Paratore, Bologna, Patron 1981, pp. 1919-1926: 1921.

236 Pallottoline ha una trama molto esile, quasi assente, personaggi paradossali, ma un significato filo-soficamente impegnativo: c‟è molto di Pirandello in questo racconto composto, pare, nel 1895 e poi pubblicato nel 1902. Siamo quindi in una fase precedente il saggio sull‟umorismo. Tutto ruota intorno alla figura dell‟astronomo Jacopo Maraventano, direttore dell‟Osservatorio Meteorologico sito sulla vetta del Monte Cavo, sui colli Albani, nei pressi di Roma. Qui egli vive con la moglie Guendalina e i figli Didina, ventenne, e Francesco. La sua famiglia soffre di solitudine e perciò attende con ansia l‟estate, la stagione in cui giungono fin lassù un po‟ di visitatori, in cerca di fresco e incuriositi dagli strumenti astronomici. Invece il capofamiglia desidera l‟inverno, che gli consente di non essere di-sturbato nei suoi studi e nelle sue riflessioni, quelle che poi espone ai familiari nelle lunghe sere d‟inverno presso la stufa. Tali riflessioni riguardavano l‟immensità dell‟universo e, per contrasto, la piccolezza del Sole e della Terra; di conseguenza, la nullità dell‟uomo, questo verme che c‟è e non c‟è, questo niente pieno di paura; da qui anche l‟assurdità dell‟idea di Dio, concepita invece per la paura degli uomini; sempre di conseguenza, Maraventano ne deduce l‟assurdità dei lamenti sui biso-gni e anche sulle sofferenze fisiche, come ad esempio il mal di denti. È uno dei testi più importanti per studiare la visione relativistica del mondo da parte di Pirandello.

237 Il Viaggio è anche una novella di Luigi Pirandello, pubblicata per la prima volta nel 1910, succes-sivamente inserita nella raccolta omonima edita nel 1928 e infine pubblicata all‟interno delle Novelle

per un anno. La protagonista è Adriana Braggi, una vedova che dopo tredici anni di lutto e di clausura

lascia per la prima volta il suo paese natale dell‟entroterra siciliano, nel tentativo di curare la malattia da cui è stata improvvisamente colpita. Tutto il viaggio che Adriana compie, accompagnata dal cogna-to Cesare, è all‟insegna di un processo epifanico, coincidente con la sua scoperta della vita nel mo-mento in cui ha saputo che sta per perderla. Molte di queste rivelazioni avvengono di fronte al mare o comunque davanti all‟acqua. Anche questa novella è per certi versi affine a Notizie dall‟Amiata, dove sono presenti sia l‟epifania che l‟acqua, “i porcospini che si abbeverano a un filo di pietà”.

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nervate dal cosiddetto “motivo copernicano”. L‟interrogazione metafisica e il senso di smarrimento cosmico presenti in Leopardi (La ginestra) e in Pirandello

(Pallotto-line) richiama la differenza tra la quotidianità rassicurante delle cose e l‟infinità degli

spazi siderei, che si ritrova nella sequenza centrale del primo quadro di Notizie

dall‟Amiata238.

È utile alla nostra analisi ricordare che “l‟occasione” non può mai prescindere dalla vita quotidiana; e proprio al mondo della vita, nelle sue varianti più umili e bizzarre, appartiene, come già detto, il catalogo di animali, o altri oggetti su cui si catalizza l‟epifania. Ma il primato di concretezza, come ricorda Tiziana de Rogatis, “è imposto anche dalla situazione tipica della raccolta, quella del viaggio, o almeno dello spo-stamento dell‟io in scenari diversi e sempre documentati da una toponomastica, ita-liana e internazionale. Il viaggio impone, infatti, un inevitabile decentramento, una fuoriuscita dai confini abituali dell‟esistenza, chiede una compromissione dei sensi con nuove architetture urbane, piazze, scenari naturali: è anch‟ esso un‟ attesa dello scatto epifanico.”239

.

Notizie dall‟Amiata ha infatti un titolo da reportage giornalistico che definisce la

poesia come un messaggio – resoconto, concepito sotto forma di lettera e inviato dal-la montagna toscana dell‟Amiata. Giovanni Macchia nel suo prezioso contributo ri-corda che Notizie dall‟Amiata “è uno dei tanti titoli „antipoetici‟ di Montale”240. Il poeta scrive da un luogo lontano, geograficamente ben definito, il critico suggerisce

238 Cfr. Francesca Ricci, Montale e Pirandello: appunti in margine a una “sfera”, “Studi e problemi di critica testuale”, 66, 2003, pp. 175- 183: 178, l‟argomento è ampiamente discusso dalla Ricci, che oltre alla sottolineatura culturale e latamente filosofica, individua una pista tra una sequenza di versi montaliani e un passo di Pallottoline.

239 Cfr. Tiziana de Rogatis, art. cit., p. 9. 240

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che si tratti di uno degli antichi paesini del monte Amiata, Pian Castagnaio o Badia San Salvatore, che hanno chiese romaniche e portali rinascimentali241.

Fra i tanti elementi del paesaggio amiatino descritti nella lirica compare nella secon-da parte del testo il “vento del nord”, un vento gelido e violento in grado di spazzare le antiche sedimentazioni depositate dal tempo; al quale, senza spingersi in congettu-re troppo ardite, sembra poter corrispondecongettu-re il piccolo animaletto che fa capolino, esattamente nell‟ultima parte del testo: il porcospino. Questo, come già abbiamo vi-sto, grazie alla sua intelligenza è in grado di costruire tane con due accessi proprio per difendersi dal vento del Nord. Che sia proprio il porcospino, l‟emblema di una salvezza contro lo scorrere del tempo? Che sia esso l‟apparizione in grado di rispol-verare una memoria mai sopita?

Prima di rispondere a questi quesiti vorrei soffermarmi sulla struttura di questa lirica.

Innanzitutto la poesia è divisa in tre parti, che costituiscono tre tempi che articolano la composizione del messaggio in tre diverse tappe, tre temporalità successive: un pomeriggio, una sera e forse una situazione prealbale, di un unico sofferto conflitto esistenziale. Natale Tedesco parla inoltre di una struttura musicale, secondo la quale: “la poesia si sviluppa in tre coordinate parti che sono come tre „tempi‟ determinati: abbiamo prima il prologo, come introduzione della materia e dell‟occasione poetica, poi il canto, svolgimento dei temi principali già presentati prima, infine il commento, conclusione del movimento ideale cui abbiamo assistito. Poetico concerto, esso fa pensare ad una inconsueta sinfonia i cui tempi potremmo identificare in un „ adagio ‟, al quale fanno seguito un „andante maestoso‟ e un „andantino‟.”242. Macchia invece pensa ad una struttura di tipo teatrale intravedendo nelle prime due parti due

241 Cfr. Giovanni Macchia, art. cit., p. 87. 242

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vi, nella seconda un recitativo drammatico, che nella sua metrica mossa giunge, uti-lizzando l‟esametro, fino al declamato. Mentre negli ultimi versi la dialettica delle parti sembra placarsi in un parlato che, quasi una confessione, riassume il significato della lirica e forse di tutto il libro e sembra annunciarne uno nuovo243.

Tiziana de Rogatis identifica l‟attacco del terzo movimento come il momento in cui “il discorso del poeta si autodefinisce come „parole d‟ombra e di lamento‟, messag-gio di sconforto inviato alla donna e il cui contenuto è la „rissa cristiana‟ (v. 47) ”. Si pone così l‟accento sul “sapore cristiano – romanico”244, dell‟Amiata e dei suoi pae-si, luoghi montani che oscillano tra la claustrofobia dell‟ architettura medievale e la tensione visionaria verso un altrove: non a caso Montale ricorda a Guarnieri245 che “l‟Amiata è il regno di David Lazzaretti”, figura ottocentesca di un presunto Cristo reincarnato e fondatore di un diffuso movimento ereticale. Uberto Motta ricorda che “Notizie dall‟Amiata è una poesia a suo modo ascetica: resoconto inviato dalla mon-tagna toscana, che comprende l‟attenta illustrazione della situazione contingente den-tro cui si sprigiona un‟occasione di vita piena. L‟Amiata ne fornisce, da questo punto di osservazione, lo sfondo ideale, lo spazio matrice.”246. Interessante è l‟osservazione del già citato Natale Tedesco, che oltre a porre l‟attenzione sulla situazione di crisi esistenziale e spirituale del poeta, ci presenta un Montale “storico” di un momento pratico del nostro vivere, riuscendo a comunicarci una delle più veritiere visioni del terribile anno, per l‟Europa, 1938: “la vecchia Europa che ha partorito dal suo seno

243

Cfr. Giovanni Macchia, art. cit., p. 94.

244 Cfr. Eugenio Montale, Commento a se stesso, questionario di Silvio Guarnieri, a cura di Lorenzo Greco, in Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1996, pp. 1503- 1516.

245 Montale ricorda a Silvio Guarnieri nella lettera del 22 Maggio 1964 che l‟ Amiata è “il regno di David Lazzaretti”, luogo di “religiosità ancestrale”, segnalandogli il volume di Giacomo Barzellotti,

Monte Amiata e il suo profeta, Milano, Treves, 1910.

246 Cfr. Uberto Motta, L‟“icona” e la “stanza” di “Notizie dall‟ Amiata”, in “Le occasioni” di

Euge-nio Montale 1928- 1939, Giornata di Studi, Università di Ginevra, 9 dicembre 2011, a cura di Roberto

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fascismo e nazismo, ma nelle più riposte pieghe dell‟ animo umano, della società ita-liana ed europea, tra gli uomini e dagli uomini è sorta e si va consolidando un‟ansia e una speranza per un mondo nuovo247.

Si può senza dubbio affermare che gli undici endecasillabi che formano la terza parte della poesia siano come un commento partecipe, ma esposto con animo pacificato, al canto esacerbato di prima. L‟irrequietezza del vivere, che pur troverà il suo rifugio nella eterna quiete della morte, ha un suo modo vitale di persistere: “i porcospini s‟abbeverano a un filo di pietà”, la vita che muore si scontra con la vita che nasce. La terza parte della poesia aveva suggerito a Bazlen248 qualche riserva, parendogli, nel complesso, troppo oscura. Montale rispose allegando, a due riprese, una parafrasi esplicativa, pure riferita a una redazione diversa dalla definitiva: “Un povero diavolo si abbandona alla sua sorte presso il lucido solco di una gora […]. Si intende, si dà per cuscino una pietra a forma di ruota […] e ascolta il lieve fruscio che si alza dallo strame. Sono i porcospini che escono a bere (acqua, e anche un filo di pietà) ”; “Mi pareva (quella parte) di evidenza lapalissiana: un uomo che dorme con la testa ap-poggiata su una pietra rotonda.”249.

Ed eccoci giunti al nodo centrale del nostro discorso, la presenza dei porcospini all‟interno della lirica: come abbiamo visto il racconto del sofferto conflitto del poeta non consente alcuna comunicazione con la donna; che giungerà invece da un‟ im-provvisa apparizione notturna: un cumulo di foglie secche si smuove e compaiono dei porcospini, che possono essere visti come i senhals della donna amata. Il filo d‟acqua, presso il quale gli animali si abbeverano, lenisce anche la sete di pietà del poeta. I porcospini sono animali da “bestiario medioevale”, come dice Montale a

247 Cfr. Natale Tedesco, art. cit., p. 177.

248 Cfr. la lettera riportata in Dante Isella, La fontana, cit., pp. 198- 208. 249

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Guarnieri, ma anche senhals della donna, sempre attratta dalle forme viventi insolite. Il “filo di pietà” è il ruscello che concede acqua ai porcospini e pietà al poeta, final-mente confortato dall‟apparizione degli animali e in qualche modo accomunato al lo-ro stesso destino. Il filo d‟acqua evoca anche il tenue legame che tiene ancora uniti la donna e il poeta250.

Interessante l‟analisi di Federico Italiano, secondo il quale “nella dinamica semantica del testo, „i porcospini‟ hanno una funzione decisiva: rappresentano, il correlativo oggettivo dell‟io-lirico, che a loro guisa, si abbevera „a un filo di pietà‟ […] il detta-glio dello „strame‟251

, se di primo acchito non pare marcante, è invece assai eloquen-te, giacché mostra l‟accuratezza montaliana nell‟osservazione e fissazione dell‟elemento naturale, in particolare di quello zoologico: tipico, infatti, del compor-tamento dei ricci è lo sbucare a notte inoltrata dalle loro tane, coperte di foglie ed er-be secche (le „strame‟, in senso lato, appunto), per darsi alla caccia. Dal punto di vi-sta della tassonomia zoologica, il nome comune „porcospino‟ è ambiguo: in alcune regioni italiane, prevalentemente del centro-sud, indica l‟istrice crestata, Hystrix

cri-stata, mentre al centro-nord, invece, si riferisce al riccio, Erinaceus europaeus.

Seb-bene sia più corretto attribuire l‟appellativo „porcospino‟ all‟istrice, ne sia conferma, per lo meno da un punto di vista lessicologico, l‟utilizzo nel vocabolario anglosasso-ne del termianglosasso-ne porcupianglosasso-ne come nome comuanglosasso-ne per gli istrici, Montale pare si riferisca piuttosto al riccio252. Optiamo per questa accezione del lemma sia in considerazione della provenienza ligure del poeta (cioè in un area linguistica settentrionale), sia per la semantica etologica che quest‟ipotesi interpretativa convoglia: l‟arte difensiva del riccio. Infatti, se le abitudini crepuscolari e notturne, la copertura delle tane con

250

Cfr. Tiziana de Rogatis, art. cit., p. 21.

251 Con “strame” si indica l‟erba o la paglia che si sparge sotto alle bestie nei recinti o nelle stalle. Per estensione, il vocabolo indica ogni tipo di erba o fogliame secco.

252 A questo proposito il lemma “riccio” ritorna nella poesia A pianterreno insieme ai rampicanti già presenti in Notizie.

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glie ed erbe secche (le „strame‟ del testo), sono elementi che sia l‟istrice quanto il riccio hanno in comune, l‟appallottolarsi, trasformandosi in una sfera di aculei, è in-vece tipica difesa del secondo. Per quanto questo dettaglio non emerga in maniera esplicita, crediamo si tratti esattamente della suggestione nascosta che ha spinto Montale a concepire il porcospino quale correlativo oggettivo dell‟io-lirico. […] Quest‟immagine è la metafora nascosta di una salvezza provvisoria, di una possibili-tà, pur precaria e temporanea, di farsi schermo e scudo dirimpetto alle violenze che procedono dal mondo esterno”253

.

Filiberto Borio sempre a proposito dei porcospini afferma “che sembrano usciti, qua-si per generazione spontanea, dal disfacimento dello strame, e con ciò verificano, al livello più elementare, che „la morte…vive‟, uniscono „ la veglia‟ al „sonno che li ri-ceve‟, l‟estatico al vitale, senza pronunciamenti eroici, in un loro modo (s‟ immagi-na) goffo e impacciato, che ne fa i segni del saldo negativo della vitalità, e quindi bi-sognosi di pietà come in Crisalide254: „vibra nell‟aria una pietà per l‟ avide / radici,

per le tumide cortecce‟. Ma s‟immagina che il „filo di pietà‟, filo a un tempo di co-municazione e di un corso d‟acqua, abbia la sua fonte nel religioso, facendo di questa una poesia non certo di assimilazione e identificazione, ma di coesistenza e concilia-zione”255

. Macchia dal canto sublima il rapporto con la donna, affermando che “que-sta immagine inconsapevole di vita, retta sulla pietà, è il filo che unisce il poeta alla sua donna lontana; lega il sonno di lei alla veglia del poeta. E quando questa donna si risveglierà e riapparirà viva accanto al poeta, con un suo volto, con le sue parole,

253 Cfr. Federico Italiano, Tra miele e pietra, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2009, pp. 107-109. 254 Cfr. Eugenio Montale, Crisalide, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, pp. 87-89. 255

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sa darà forma a tutta una nuova serie di poesie, che diventerà il vero romanzo del poeta: la Bufera.”256.

In conclusione, cercando di individuare la funzione del porcospino in questa lirica, si può sicuramente affermare che esso rappresenti effettivamente un baluardo contro lo scorrere del tempo, in grado di resistere con la sua intelligenza alla tempesta e alle turbolenze della vita, di difendersi dai pericoli (il vento del nord) che minacciano di sgretolare i sedimenti della memoria, così fragile e così cara al poeta. Il porcospino rappresenta con certezza un‟immagine simbolicamente257 positiva, latamente religio-sa, non frutto di una credenza, ma di una fede laica, una luce umana che pure vuol cercare di creare dei valori non caduchi. Cosa più importante, con la sua improvvisa apparizione questo grazioso animaletto funge da transfert , in grado di far riemergere dalla mente del poeta il legame con la donna amata, ad essa legato indissolubilmente da “un filo di pietà”. Non solo: Montale addirittura si paragona ad un porcospino nel-la lettera a Irma Brandeis del 2 dicembre 1935: “I love you, Irma, with all my ten-derness. Forgive my faults, my mistakes, my ugliness of mind and features. I am the porcupine holding the little dish, the empty dish – and hope God will pour his milk in the piattino”258.

Il porcospino chiude Le occasioni con un messaggio di vaga speranza, ma la sua sto-ria non termina qui; esso è un caso esemplare di riutilizzo che Montale fa dei suoi miti e dei suoi animali emblematici, soprattutto dopo la Bufera. Filiberto Borio dice

256 Cfr. Giovanni Macchia, art. cit., p. 95.

257 “Simbolicamente” nel senso di un “oggetto”, in questo caso il porcospino, caricato di associazioni dirette e indirette, inconsce e ideali. Montale basa tutta la sua poetica sul rapporto oggetto – simbolo – associazioni.

258

Eugenio Montale, Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, Gloria Manghetti e Franco Zabagli, con un saggio introduttivo di Rosanna Bettarini Milano, Mondadori, 2006, pp. 191-92. Già nella lettera del 18 ottobre 1934, Montale parla di un “hedgehog” che teneva in gabbia, poi sostituito da un guinea- pig

bianco rosso e nero con annesso cucciolo, del quale allega il disegnino, mentre nella lettera del 30

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che si può parlare di “un generale smorzamento di tono, ma non si può comunque parlare di liquidazione, qualche volta forse di travestimento”259

.

Così il piccolo porcospino riappare a distanza di anni nella poesia A pianterreno260,

(Satura II, 1969):

Scoprimmo che al porcospino piaceva la pasta al ragù. Veniva a notte alta, lasciavamo il piatto a terra in cucina. Teneva i figli infruscati vicino al muro del garage. Erano molto piccoli, gomitoli. Che fossero poi tanti

il guardia, sempre alticcio, non n‟era sicuro. Più tardi il riccio fu visto

nell‟orto dei carabinieri. Non c‟eravamo accorti di un buco tra i rampicanti261.

L‟andamento della lirica è piano, quasi prosastico, con versi che oscillano dalle otto alle undici sillabe. Il protagonista, il porcospino, all‟insaputa di tutti scava un buco e

259

Cfr. Filiberto Borio, op. cit. p. 116.

260 Eugenio Montale, A pianterreno, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 365.

261 Lo spunto di questo minuscolo aneddoto è svolto anche in una prosa: Trentadue variazioni 1 in

Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti. Note ai testi e varianti a c. di Luisa Previtera,

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va oltre, va al di là, all‟insaputa di tutti. È forse un inno alla libertà? O, ricollegandosi al porcospino di Notizie, va al di là nel senso più latamente religioso, di unire i vivi con i morti? Quello che è certo è che ora mangia pasta al ragù.

Evidentemente non ci sarebbe stato questo porcospino senza il precedente di Notizie

dall‟Amiata: in generale queste reincarnazioni, come afferma Borio, “hanno

l‟ontologia un po‟ stralunata di un‟apparizione che non si vuole più dovuta al simbo-lo, e non si rassegna ad essere un frammento d‟intenerita cronaca domestica. Ma il simbolo non è scomparso […] e vediamo che il titolo A pianterreno è come il pro-gramma di una riduzione felicemente non riuscita.”262.

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