• Non ci sono risultati.

La situazione attuale APITOLO III C

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La situazione attuale APITOLO III C"

Copied!
22
0
0

Testo completo

(1)

80

C

APITOLO

III

(2)

81

2007

I round di consultazione promossi nel corso del 2007, insomma, si rivelano poco più che formali e non contribuiscono di fatto a sbloccare la situazione, che continua ad essere di stallo. Il dibattito, cioè, si è nuovamente impantanato e nessuno dei modelli presentati ottiene il sostegno necessario, perché da esso si dia finalmente vita alla riforma. A settembre dello stesso anno, perciò, gli Stati membri hanno deciso di spostare la questione dall’Open ended working Group a un nuovo forum: negoziati intergovernativi formali all’interno dell’Assemblea generale, nei quali i cinque temi chiave in esame possono essere così schematizzati:

 Categorie di appartenenza e allargamento del Consiglio di Sicurezza con aggiunta di membri permanenti e/o membri non permanenti e/o nuova categoria di membri non permanenti rinnovabili.

 Questione del veto, se estenderlo a nuovi membri, limitarlo agli attuali, abolirlo

in toto.

 Rappresentanza regionale, garantendo cioè che la rappresentazione geografica sarà equa o che i nuovi membri saranno responsabili nei confronti delle loro regioni di appartenenza.

 Dimensioni di un Consiglio allargato e metodologie di lavoro: cioè accordo sui numeri necessari per votare in un Consiglio allargato e contestualmente implementazione della trasparenza nonché della qualità delle relazioni annuali.

Rapporto tra Consiglio di Sicurezza e Assemblea generale.

Prima di arrivare ad un accordo sui parametri del processo di negoziazione, però, è trascorso un anno, come si può evincere dalla decisione 62/557 del 15 settembre 20081. Ancora una volta, infatti, sono

1

Il testo è consultabile all’indirizzo http://www.un.org/en/ga/president/65/issues/screform.shtml.

(3)

82

venuti a galla vecchi attriti e rivalità regionali, segno che il raggiungimento di una risoluzione efficace del problema è ancora lontano da venire.

2008

Un esempio, tra i tanti è proprio del 2008 la proposta cipriota, redatta in realtà non solo dalla piccola isola del Mediterraneo, ma anche da Germania, Malaysia, Paesi Bassi, Romania e Regno Unito per l’aggiunta di sette nuovi membri, di cui due da assegnare all’Africa, due all’Asia, uno per i Paesi dell’America Latina, uno per l’Europa Occidentale e uno per quella Orientale. Nell’ipotesi, però, non vengono indicati quali Stati avrebbero aderito per ciascun continente, lasciando intendere che la questione si sarebbe discussa in seguito. La proposta si scontra con il netto e categorico rifiuto dell’India, la quale, per bocca del suo rappresentante permanente afferma: «the interim solution is not a solution but a problem»2. Il caso di Cipro mi sembra esemplificativo di quanto un rinnovamento del Consiglio stia a cuore anche a Paesi “secondari”, i quali, sebbene negli anni non si siano adoperati come altri nel rivestire ruoli chiave per attrarre attorno alla propria orbita altre Nazioni, hanno tuttavia cercato di dare il proprio contributo. Questo, cioè, dovrebbe dare la misura di quanto sia sentito il problema, proprio da parte di Paesi più piccoli, i quali, come dimostra l’esempio su citato, si scontrano con l’ostruzionismo dei grandi.

2

Reform of the security council from 1945 to september 2013, a cura di Center for UN Reform Education, New York, consultabile all’indirizzo http://nebula.wsimg.com/d1c5ba495f003b04e7f766a3b570ea28?AccessKeyId=4179117 2F0E6AB1AA1DC&disposition=0&alloworigin=1, p. 27.

(4)

83

2009

Veniamo al 2009, quando, nel corso della 63a Assemblea generale, il processo negoziale diviene ufficialmente il luogo per discutere del progetto di riforma: in realtà, anche se i negoziati iniziano in maniera ufficiale nei primi mesi del 2009, passerà ancora un anno prima che un testo negoziale venga prodotto. Quest’ultimo, stilato sulla base delle proposte presentate dai diversi Stati membri, è stato più volte rivisto, attestandosi, infine, su una consistenza pari a trenta pagine circa. Tra gli Stati membri, Russia e Cina hanno sistematicamente messo in discussione lo status di tale testo quale base effettiva per dare avvio ai negoziati.

Numerosi sono stati i round svoltisi tra il 2009 e il 2010, ognuno organizzato attorno a diverse conferenze, incentrate queste ultime, su ciascuno degli elementi della riforma elencati precedentemente.

Zahir Tanin, vice-Presidente dell’Open ended group e Presidente dei negoziati intergovernativi, eletto nel corso della 63a Assemblea generale3, ha inviato, per ciascuna conferenza, documenti che presentassero la posizione dei diversi membri, così come a loro volta la avevano presentata i facilitatori del 2007. Si tratta, per quanto riguarda le relazioni dei facilitatori, di resoconti molto puntali4, che è possibile riassumere nei seguenti punti:

 un cospicuo gruppo di Stati si è detto favorevole all’ingrandimento del Consiglio di Sicurezza, sia con membri permanenti sia con membri non permanenti. Tra questi, poi, alcuni sarebbero favorevoli ad estendere il diritto di veto anche ai nuovi, altri no. E

3

Zahir Tanin, rappresentante permanente dell’Afghanistan, è stato riconfermato alla presidenza dei negoziati fino all’attuale assemblea, la 68a, iniziata il 17 settembre 2013.

4

Per consultare tali relazioni vedere all’indirizzo http://nebula.wsimg.com/d1c5ba495f003b04e7f766a3b570ea28?AccessKeyId=4179117 2F0E6AB1AA1DC&disposition=0&alloworigin=1, Appendice III.

(5)

84

ancora, c’è stata anche la proposta di chiedere, almeno inizialmente ai nuovi arrivati, di non esercitare il diritto di veto.

 Alcuni Stati si sono dichiarati favorevoli ad un ampliamento solo dei membri non permanenti.

 Alcuni membri hanno chiesto una soluzione provvisoria e transitoria, che prenda le mosse dall’eventualità di seggi più lunghi e/o rinnovabili.

Alcuni Stati si sono detti favorevoli all’opzione seggi-regionali.

Quanto al veto, sono due gli approcci possibili: una riforma ideale e quindi abbastanza improbabile ed una comunque raggiungibile. Numerosi Paesi hanno dichiarato senza retorica che l’eliminazione del veto appare piuttosto irrealistica. Le proposte raccolte su questo aspetto rispecchiano anch’esse una sostanziale divisione tra i diversi Stati. Alcuni ritengono che esso debba essere esteso anche ai nuovi membri, altri ritengono che, invece, debba rimanere prerogativa solo degli attuali P5. Alcuni hanno suggerito di estenderlo in un secondo momento, altri di operare delle restrizioni sul suo uso. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma.

L’unica vera novità, probabilmente, una maggiore apertura mostrata durante il primo round dalla Germania, che in passato ha sempre dichiarato di voler concorrere per un seggio permanente e che, appunto in seguito al primo giro di consultazione, sembra essere possibilista circa l’ipotesi di seggi a lungo termine. Contemporaneamente l’Italia e la Colombia, tra gli Stati più attivi del gruppo Uniting for Consensus, hanno presentato una proposta interessante, che, tuttavia, non ha fatto sviluppare un dibattito serio5.

Anche nel corso del secondo round non sono mancate polemiche. Poche, invece, sono state le proposte innovative rispetto a quelle già circolanti. Ne è un esempio, l’ipotesi offerta dalle Filippine, presentata

5

(6)

85

dall’ambasciatore Hilario G. Davide, il quale ha dichiarato: «Thus, the only way forward is not to go back again and repeat, for the nth time, all such proposals. Rehashing them would not do us any good. The only way forward is now to give these proposals a life all their own by way of the appropriate resolution proposing amendments to Article 23 of the United Nations Charter»6. La proposta filippina, dunque, riguarda otto nuovi potenziali seggi permanenti, ognuno dei quali assegnati inizialmente per un periodo di cinque anni, da rinnovare eventualmente o da assegnare per altri cinque anni, a un Paese diverso da scegliere all’interno di gruppi regionali. L’ipotesi, pure interessante, non ha avuto seguito7

.

Anche la seconda tornata di incontri, perciò, si conclude con un nulla di fatto: i Paesi che vi hanno preso parte hanno esposto le proprie teorie, senza, tuttavia, giungere, ad alcun risultato concreto. Il terzo round, agli inizi di settembre 2009, non aggiunge ugualmente particolari novità, se non quella degna di nota di Nigeria e Sudafrica che “rompendo” con il Gruppo Africano e conseguentemente con l’Ezulwini Consensus sono apparse maggiormente flessibili circa l’uso del veto. Ancora nel corso del quarto round la Germania ha dichiarato di essere disposta a discutere circa l’evenienza di una nuova categoria di membri a lungo termine, il cui limite sarebbe compreso tra i dodici ed i quindici anni. Altri Stati, quali l’Olanda e la Slovenia hanno suggerito, invece, come limite rispettivamente otto-dieci e dodici anni.

6

Si veda per il resoconto completo la pagina all’indirizzo internet: http://www.centerforunreform.org/node/399.

7

(7)

86

2010

Terminato anche il quinto round senza nuove sostanziali ipotesi di riforma, il 24 novembre 2010 si apre il sesto, durante il quale è da rilevare che a nome del gruppo L698, India e Giamaica hanno sottolineato la necessità di espandere il Consiglio di Sicurezza con il contributo di Stati membri non rappresentati o sottorappresentati: posizione questa che sembra avvicinare i due Paesi al Gruppo Africano.

Ma anche il settimo e l’ottavo round non presenteranno grosse novità, se non per la notizia, cominciata a circolare negli ambienti ufficiali, circa una bozza a firma del G4, con la quale il gruppo avrebbe chiesto non più solo seggi permanenti, ma anche seggi non permanenti. La cosa, è ovvio, non può che innescare il disappunto di quanti siedono all’interno della compagine Uniting for Consensus e in primis dell’Italia, la quale, intanto, ha espresso riserve in merito alla terza revisione del testo negoziale e di recente ha sollevato appunto obiezioni alla formulazione di un documento più conciso.

2011

Ad ogni modo, il 28 Novembre 2011, gli Stati membri, pur nella confusione evidente, e in un clima di non piena collaborazione, danno parere favorevole a proseguire con il forum per i negoziati intergovernativi.

Quanto finora descritto è la sintesi degli incontri svoltisi nel tempo, che in effetti, non hanno permesso ancora di porre la parola fine al delicato processo di riforma. Volendo in qualche modo provare a riassumere in

8

Il gruppo L-69, nato nel 2007, è costituito da quaranta Paesi dell’Africa, dell’America Latina e Caraibi, dell’Asia e del Pacifico. Il loro obiettivo è quello di realizzare una riforma duratura del Consiglio di Sicurezza. Hanno aderito a tale gruppo anche India e Brasile, già presenti nel G4.

(8)

87

un’ottica maggiormente globale, si può dire che dalla fine del 2007, anno in cui si cerca di imprimere una svolta al processo di riforma, che si trascina da anni, l’allargamento del Consiglio di Sicurezza e il processo di deliberazione sono state le questioni più intensamente trattate e perciò, oggetto di contestazioni.

Negli ultimi anni, infatti, i Paesi del G4 e del L69 hanno cercato di ottenere risultati più immediati sulla espansione con nuovi membri permanenti, ricercando sostegno da parte di altri Stati, per la realizzazione di bozze di risoluzione. Il gruppo Uniting for Consensus ha in un primo momento resistito alla stesura di un testo negoziale, per poi successivamente avanzare critiche e riserve alla terza revisione del documento, come già accennato. Più di recente il gruppo capeggiato dall’Italia ha criticato la volontà da parte di altri Stati di attestarsi su un documento più conciso. Queste strategie, che puntano da un lato ad imprimere accelerazioni per ottenere risultati specifici e dall’altro a creare delle azioni che vengono percepite come difensive e destinate, invece, a rallentare l’avanzamento del progetto di riforma, hanno, ad ogni modo, contribuito ad alimentare un clima di sfiducia e a sollevare notevoli perplessità circa la fattibilità reale dei negoziati.

I diplomatici del G4 e del L69, d’altro canto, sostengono, in difesa delle proprie posizioni, che ci sono evidenti maggioranze in favore delle proposte da loro presentante – affermazione, questa, che è stata veementemente contestata dal gruppo Uniting for Consensus – e che i loro progetti di risoluzione del 2007 e del 2011 erano principalmente destinati a imprimere nuovo slancio ad un processo altrimenti lentissimo e di fatto frenato da sterile immobilismo.

Il gruppo di cui il nostro Paese fa parte, accusato di voler intenzionalmente creare ostruzionismo, bloccando le delibere, si è difeso,

(9)

88

facendo riferimento alla proposta di compromesso, presentata già nel 2009 e della quale si è già detto. L’Italia, inoltre, ha criticato il G4, reo a suo parere di un atteggiamento poco flessibile, in cui la politica del “tutto o niente” non ha pagato e non ha dato risultati effettivi, neppure nel lungo periodo.

Quanto al gruppo africano, esso, come già diffusamente ricordato, ha più volte ribadito la propria posizione, nota come Ezulwini Consensus e ha sottolineato il proprio punto di vista, dichiarando che mostrare in questa fase del processo flessibilità o apertura ad altre proposte sarebbe poco produttivo e poco efficace strategicamente, almeno fino a quando non si arriverà ad un accordo sui reali principi, che devono ispirare la riforma del Consiglio di Sicurezza. Il gruppo africano ha strenuamente difeso la propria posizione volta ad abolire il veto o comunque ad estenderlo ai nuovi membri. Tale atteggiamento è stato considerato da molti altri Paesi, in primis dal Gruppo dei quattro, irrealistico, ma recentemente questo concetto è stato effettivamente posto sul tavolo.

2012

E siamo al 2012, quando il gruppo L69, ha prodotto una proposta e una bozza di risoluzione che sembra soddisfare le esigenze del gruppo africano. Dal momento che del primo fanno parte, come già menzionato, anche l’India e il Brasile, membri “storici” di un altro gruppo, quello dei quattro, cioè, la cosa si fa evidentemente interessante. In futuro, perciò, sarà importante vedere se l’Africa manterrà tale posizione comune o se divisioni interne al gruppo, derivanti dalle diverse posizioni dei numerosi Stati del continente, verranno a galla, così come accaduto per esempio anche per la compagine dei P5.

(10)

89

Molti dei diplomatici che da anni seguono la delicata questione della riforma del Consiglio di Sicurezza, tra cui anche alcuni che sostengono la creazione di nuovi seggi permanenti, si sono dichiarati scettici sul fatto che la stessa possa verificarsi in tempi rapidi, date le divisioni evidenti e le differenti posizioni di ciascuno Stato o Gruppi di Stati, sulle cinque questioni chiave richiamate a inizio capitolo.

In particolare molti di coloro che pure sostengono con entusiasmo la creazione di nuovi membri permanenti, non sono, però, disposti a concedere il diritto di veto. A ciò si aggiunga che la volontà di ottenere un sostegno sufficiente per una determinata risoluzione potrebbe spingere alcuni membri a promettere una migliore rappresentanza nel Consiglio per perseguire specifici interessi, rendendo, in questo modo, le dimensioni del Consiglio stesso troppo vaste, a detta di altri.

E tutto sommato poiché i numerosi meeting, negli anni, hanno visto il riproporsi delle posizioni già note, con lievi e non significative modifiche, alcuni diplomatici sostengono che i veri e propri negoziati debbano ancora iniziare. Rispetto a cinque anni fa, tuttavia, sembra esserci una conoscenza più approfondita della vastità di tutte le proposte messe in campo, del livello di sostegno ottenuto da alcune di esse e degli ostacoli da affrontare. E alcuni addetti ai lavori hanno visto addirittura segni di convergenza tra i Paesi in via di sviluppo, cosa che potrebbe fare ben sperare se non per una soluzione in tempi rapidi, quanto meno per un progetto che affronti la questione in maniera più concreta.

Rispetto a cinque anni fa, inoltre, bisogna sottolineare l’ingresso sulla scena di un altro gruppo, che accanto a quello africano, a quello Uniting for Consensus e a quello dei P5, ha fatto sentire la propria voce: il già menzionato gruppo L69.

(11)

90

Alla luce di quanto finora detto, credo sia chiaro a tutti che la riforma del Consiglio di Sicurezza appaia quanto meno di difficile attuazione. Nonostante la mole di proposte e ipotesi di riforma che da più parti sono giunte (e che in questa sede non sono state ovviamente analizzate nella loro interezza), è mancata, a mio avviso, la reale volontà da parte soprattutto dei membri permanenti di mettere in discussione la loro posizione e cercare un accordo o un compromesso con i restanti membri dell’Organizzazione, i quali, chi più chi meno, hanno bussato e continuano a bussare con insistenza alle porte del Consiglio.

I P5, in sostanza, hanno continuato a giovarsi di una situazione di stallo, in cui lenti progressi delle negoziazioni hanno, di fatto, perdurato lo status quo. Ciò a fronte di dichiarazioni pubbliche rese probabilmente più per dovere che per reale convinzione, nelle quali non sono mancate, come si è visto, rassicurazioni sulla volontà di procedere a una riforma concreta. È possibile ipotizzare, perciò, anche confortati dal punto di vista del Center for UN Reform Education di New York, che perfino i diversi punti di vista all’interno dei P5 siano in realtà intenzionali e niente altro che un modo per prendere tempo. La mancanza di risultati sostanziali nel corso degli ultimi venti anni di delibere presentate dal Working Group sui negoziati intergovernativi, d’altro canto, sembra essere sicuramente conseguenza di lotte di potere tra i diversi gruppi, ma anche il frutto di differenze sostanziali e strategiche tra quegli Stati che pure dicono di condividere i medesimi obiettivi.

La Cina, che tra i permanenti è il Paese che maggiormente ricerca un accordo il più possibile condiviso, ha più volte espresso il proprio sostegno in favore dell’Africa, senza, tuttavia, approfondire la questione. E comunque rimane contraria all’ingresso di Giappone e India.

(12)

91

Francia e Gran Bretagna, invece, che tendono a considerarsi attori piuttosto costruttivi nel processo di rinnovamento del Consiglio, al punto da provare quasi disagio nell’essere paragonati ad altri dei P5, sono disposte ad accettare come nuovi membri Nazioni del G4 e del continente africano. Allo stesso tempo accetterebbero soluzioni temporanee, in attesa di una riforma definitiva. Restano contrari, comunque, a concedere il veto ai nuovi membri. Il che, è evidente, è forse la prova più lampante di quanto detto altrove: manca la volontà a che il Consiglio di Sicurezza diventi un organo realmente democratico e aperto al contributo di tutti. Altrimenti a che pro perseverare nella distinzione tra membri di serie A e membri di serie B?

La federazione Russa da poco e non ufficialmente, ha approvato la presenza di Brasile e India come nuovi membri permanenti, senza però esprimersi circa il potere di veto. In generale e come in passato già ribadito, il Cremlino crede che solo un Consiglio “ristretto” possa realmente essere efficace: ha chiesto, perciò, che non si superi il numero di venti membri totali. In tempi più recenti ha anche dichiarato che avrebbe preso in considerazione l’ipotesi un modello intermedio. Sempre di recente, in una intervista apparsa sul giornale di Stato «Russia Oggi», Aleksandr Belonogov, ambasciatore dell’Urss presso le Nazioni Unite dal 1986 al 1990, commentando le dichiarazioni di Gennady Gatilov, vice ministro degli affari esteri russi, il quale aveva affermato «la Russia affronterà in modo flessibile e pragmatico la questione della riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU», ha sostenuto: «Quanto dichiarato da Gatilov si basa su una posizione da noi assunta ormai da decenni, secondo la quale la condizione essenziale per riformare il Consiglio di Sicurezza in quanto organo direttivo dell’ONU, dalla cui governance dipendono molte decisione, è il consenso tra gli Stati membri delle Nazioni Unite. La nostra

(13)

92

è una posizione davvero flessibile e pragmatica, ma ciò non significa che accetteremo qualunque formula per riformare il Consiglio di Sicurezza, poiché noi siamo estremamente interessati sia all’ONU nel suo complesso che al Consiglio di Sicurezza. La dichiarazione di Gatilov sottintende la possibilità di giungere a una mediazione, che porti a un relativo ampliamento del Consiglio mediante l’aumento del numero dei membri non permanenti. Se non risulterà possibile giungere in altro modo ad un accordo sui membri permanenti, allora questa variante potrebbe essere realistica. Ma quale sarà l’opinione generale al riguardo? Occorre trovare un’intesa, ma trovare un’intesa tra centonovantatre Paesi non è un’impresa così facile»9. E ancora, circa la posizione di Nazioni come Italia e Spagna, ha aggiunto: «Questi Paesi non hanno alcuna speranza di divenire membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e perciò sono naturalmente interessati a che venga aumentato il numero dei membri non permanenti, per avere più chance di contare su una loro presenza all’interno del Consiglio»10. Dichiarazioni che, evidentemente, non lasciano spazio a dubbi.

Quanto agli Stati Uniti, essi sarebbero disposti a prendere in considerazione una modesta espansione del Consiglio, da realizzare sia con nuovi membri permanenti, senza tuttavia diritto di veto, sia con membri non permanenti. Hanno espresso, inoltre, sostegno per una eventuale candidatura del Giappone, tornando così su posizioni del passato, che sembravano essere state accantonate, dopo l’amministrazione di George W. Bush. Contemporaneamente è stato espresso anche parere positivo per l’ingresso di India e Brasile, anche se non in modo costante. E comunque,

9 L’intervista integrale è consultabile all’indirizzo

http://russiaoggi.it/mondo/2013/02/11/onu_la_riforma_del_consiglio_di_sicurezza_seco ndo_la_russia_22293.html.

10

(14)

93

in passato, era stata sottolineata la volontà di legare la permanenza in Consiglio di Sicurezza al contributo che il Paese in esame poteva apportare alla democrazia e alla pace globali, piuttosto che alle dimensioni dello stesso. Ugualmente, è stato sottolineato, la permanenza avrebbe dovuto essere «country-specific» e ciò è sembrato un chiaro messaggio per il continente Africano, (verso le cui rivendicazioni il presidente Obama sembrava meglio disposto), affinché, cioè, il gruppo africano decidesse in maniera definitiva quale tra i suoi candidati dovesse occupare i seggi.

Allo stato attuale, infine, non sembra che l’amministrazione Obama abbia fatto pervenire nuove ipotesi o risoluzioni su proposte cosiddette intermedie.

In conclusione, ritengo sia giusto spendere qualche parola sul ruolo del presidente dei negoziati intergovernativi, il già citato ambasciatore afghano Zahir Tanin e sui recenti presidenti dell’Assemblea generale. Tra questi ultimi molti hanno cercato di attivarsi in maniera concreta perché il processo di riforma avanzasse, per esempio con la nomina di facilitatori, la creazione di task force, l’elaborazione di generiche linee guida e la redazione di piani di lavoro. Tutti, però, alla fine hanno dovuto ammettere che le fazioni più agguerrite non hanno consentito un accordo né sui metodi né sui contenuti. Per i presidenti dell’Assemblea generale, nonché per il presidente Tanin, del resto, non è stato sempre facile apparire come imparziali esecutori di un mandato loro affidato. Così, come precedentemente menzionato, i Paesi contrari alla creazione di nuovi seggi permanenti (tra cui l’Italia) non hanno accolto favorevolmente la dichiarazione dell’ambasciatore afghano rilasciata nel corso dell’ottavo round, nel luglio del 2012, in cui caldeggiava l’idea di una trattativa per arrivare a un testo più conciso. La stessa proposta, invece, aveva incontrato il favore del gruppo dei quattro: ritengo che l’esempio sia per l’appunto

(15)

94

emblematico del clima di scarsa collaborazione che ha circolato nell’ambiente oltre che delle sponde opposte su cui sono arroccati i diversi membri interessati alla riforma. Come se non bastasse, nel corso della 67a Assemblea generale11, presieduta dall’ambasciatore serbo Vuk Jeremić, non c’è stato accordo tra quest’ultimo e Tanin su come e quando procedere. Spiega il Center for UN reform education «The President of the General Assembly of the previous session, Vuk Jeremić of Serbia, clearly was not pushing for such a concise text and even appeared reluctant to agree with Tanin’s proposals to organize meetings during the 67th session. Jeremić simply stated that was no agreement among Member States on how to proceed. Suspicions that he was too much under the influence of Russia and the UfC were rife at the time»12.

Per quanto concerne le proposte di compromesso finora presentate, bisogna sottolineare che nel 2007 e nel 2008 le mozioni per un modello intermedio di espansione del Consiglio di Sicurezza hanno effettivamente ottenuto nuovo slancio, ma nulla hanno potuto contro l’opposizione dell’India e del Gruppo Africano, che hanno smorzato le aspettative. Tuttavia, durante gli ultimi cinque anni, Liechtenstein, Filippine e il gruppo Uniting for Consensus hanno formulato ipotesi di compromesso, ma, allo stato attuale, appare piuttosto chiaro che le discussioni su queste possibilità difficilmente porteranno a risultati concreti almeno fino a quando gli Stati membri rimarranno convinti che i negoziati in corso possano condurre alla realistica creazione di nuovi seggi permanenti.

Quanto al gruppo Uniting for Consensus, che è da sempre in prima fila per battersi contro un allargamento del Consiglio a membri permanenti,

11

La 67a Assemblea generale si è aperta a settembre 2012 e si è conclusa un anno dopo.

12

La citazione è tratta dalla pagina internet http://www.centerforunreform.org/node/509.

(16)

95

esso probabilmente manca della neutralità necessaria per avanzare in modo veramente efficace la sua proposta e creare una nuova categoria di membri, eletti a lungo termine, che nella parte iniziale di questo lavoro sono stati segnalati come membri semi-permanenti13.

I membri del G4, invece, che ufficialmente sono a favore di entrambe le categorie esistenti di membri, hanno mostrato aperture anche verso il “modello intermedio”, da articolarsi nelle loro intenzioni secondo un meccanismo per cui tali seggi a lungo termine diventino un giorno permanenti. Un’opzione, questa, che, come si intuirà, non condividono i rappresentanti di Uniting for Consensus.

Questo per quanto riguarda i cosiddetti “attori” principali che, all’incirca dagli anni Novanta, hanno mantenuto la scena, con le proposte fino ad ora presentate.

Cosa dire invece, della restante parte di Paesi, pur numerosa, di cui l’ONU si compone? Ricordiamo, infatti, che al momento ben centonovantatré Nazioni aderiscono all’Organizzazione14. Sebbene la maggior parte di essi appaiano fortemente interessati ai negoziati – o almeno lo sono i loro rappresentanti permanenti presso il Palazzo di vetro – essi non si sono curati di esporre chiaramente le proprie opinioni nel corso di contatti con altri Paesi per sostenere un progetto di risoluzione o per formare un nuovo gruppo di Stati dalle idee simili. Molti addetti ai lavori, perciò, sostengono che troppe Nazioni sono solo passivamente coinvolte anche se continuano pubblicamente a professare di essere a favore di un

13

Con la dicitura membri semi-permanenti, in realtà, si designano a oggi Paesi eletti a lungo termine e tanto Paesi che siedono in Consiglio in maniera per l’appunto non permanente.

14

Non fa parte dell’ONU Taiwan, estromesso nel 1971 per permettere alla Repubblica Popolare Cinese di entrarvi. Godono dello status di osservatore permanente, come Stato non membro, la Palestina, rappresentata dall’ANP e il Vaticano, rappresentato dalla Santa Sede.

(17)

96

Consiglio di Sicurezza più ampiamente rappresentativo, come deciso al vertice mondiale del 2005. Per molti di questi Paesi, insomma, che non hanno dimostrato un interesse particolarmente importante, esprimere soluzione vaghe e non prendere seriamente posizione, potrebbe risultare una strategia per affrontare un’intensa attività di lobbying da parte dei vari gruppi di Paesi.

La situazione attuale per l’Italia

Ritengo giusto, in conclusione, dedicare qualche riga alla posizione che l’Italia ha assunto negli ultimi anni.

L’attuale rappresentante permanente, l’ambasciatore Sebastiano Cardi, che aveva già lavorato alla missione italiana ai tempi dell’ambasciatore Fulci, nello scorso mese di marzo, in occasione del decimo turno di negoziati intergovernativi sulla riforma del Consiglio di Sicurezza, rivolgendosi all’Assemblea generale e parlando a nome del gruppo Uniting for Consensus, ha ribadito ancora una volta l’impegno e il sostegno della compagine a una riforma che possa realmente soddisfare gli interessi di tutti gli Stati membri e non solo di alcuni. A tale proposito, il rappresentante Cardi ha criticato, in particolare, il cosiddetto non-paper, un documento molto contestato, redatto dal neo gruppo consultivo di cinque Paesi (Belgio, Liechtenstein, San Marino, Sierra Leone, Papa Nuova Guinea), su richiesta del Presidente dell’Assemblea generale John Ashe, lo scorso novembre. A quella data, infatti, Ashe, già ambasciatore di Antigua e Barbuda, sperando di superare lo stallo in cui versavano i tentativi di riforma, ha cercato di imprimere un’accelerazione al processo, anche in vista della scadenza simbolica dei settanta anni dell’ONU, che, come in precedenza detto, cadrà nel prossimo 2015. In seguito, ha poi trasmesso al

(18)

97

già citato Zahir Tanin, Presidente dei negoziati intergovernativi e coordinatore del processo tutto, il non-paper di sintesi delle posizioni raggiunte fino a quel momento dai diversi attori. Il documento, tuttavia, ha sollevato non poche polemiche: Daniele Bodini, rappresentante permanente di San Marino ha, infatti, espresso in una ferma lettera, il proprio dissenso rispetto a tale bozza, sostenendo che la Riforma del Consiglio di Sicurezza deve essere il risultato di negoziati intergovernativi aperti a tutti. In particolare, ha scritto nel documento indirizzato al Presidente Ashe: «L’advisory group deve avere ruolo soltanto consultivo e, non essendo rappresentante di alcuna parte negoziale, non ha ruolo nel negoziato né mandato per redigere bozze o semplificare documenti negoziali»15.

Come già detto, una maggioranza di Paesi, tra cui l’Italia a nome di Uniting for Consensus, molti Stati Africani, la compagine araba e, dei P5, Russia e Cina, si erano pronunciati contro i metodi utilizzati per raggiungere la stesura di un documento, il cui contenuto pure non era visto di buon occhio.

Il rappresentante Cardi, dunque, parlando nel corso del decimo turno dei negoziati intergovernativi ha, per l’ennesima volta, confermato che gli obiettivi dell’Italia si orientano verso l’allargamento di entrambe le categorie di membri (permanenti e non permanenti), l’allargamento nella sola categoria non permanente di appartenenza, l’allargamento tramite la creazione di una nuova categoria di appartenenza, che preveda un rinnovo del seggio anche immediato. «Il Consiglio di Sicurezza deve essere più rappresentativo, efficace, trasparente e responsabile. Penso che sia giusto dire che tutti i membri concordino su questi principi. Ma non basta, perché c’è un problema cruciale da risolvere: vale a dire come raggiungere questi

15

http://www.smtvsanmarino.sm/politica/2013/12/17/onu-stallo-riforma-consiglio-sicurezza-dura-presa-posizione-rappresentante-sammarinese.

(19)

98

quattro obiettivi. Abbiamo bisogno di una composizione dinamica e flessibile del Consiglio, in grado di adattarsi alle realtà mutevoli, e non, invece, di una rigida disposizione che consolidi gli schemi disfunzionali del passato. L’idea di allargare il Consiglio di Sicurezza a nuovi membri permanenti, insomma, non funziona. Per questo motivo oggettivo, l’approccio che dobbiamo prendere non è quello di forzare la mano a favore di un modello rispetto ad un altro, ma piuttosto di trovare un nesso comune tra di loro»16. Le parole di Cardi, insomma, non suonano nuove, non si discostano, cioè, dagli intenti dichiarati fin dagli anni Novanta. È interessante, tuttavia, il riferimento a una posizione comune tra le diverse proposte fino ad ora presentate, poiché, a mio parere, esso è probabilmente la prova più tangibile, in un contesto di dichiarazioni anche piuttosto evanescenti, della volontà di cooperare per giungere, finalmente, a una riforma del Consiglio. Del resto, lo stesso rappresentante permanente Cardi ha ricordato, non senza una punta di orgoglio, che solo il gruppo di cui l’Italia fa parte, ha, nel tempo, dimostrato flessibilità e capacità di scendere a compromessi, presentando nel 2005 e nel 2009 proposte concrete per un cambiamento. L’ambasciatore ha perciò dichiarato: «Le nostre aperture non sono state ricambiate. È tempo per gli altri di mostrare flessibilità e di aiutarci ad esplorare un terreno comune. L’unica via di uscita è il compromesso, una soluzione in grado di raccogliere il più vasto consenso politico possibile, una via di mezzo tra quelli che appoggiano un incremento dei singoli seggi permanenti e quelli che, come l’UFC, preferiscono l’istituzione di seggi non permanenti. La nostra proposta è un

16

La citazione è tratta dal periodico on line «La voce di New York» (http://www.lavocedinewyork.com/ONU-riaprono-le-discussioni-sulla-riforma-del-Consiglio-di-Sicurezza/d/5210/). Il discorso intero è consultabile alla pagina internet http://www.italyun.esteri.it/Rappresentanza_ONU/Menu/Comunicazione/Archivio_Ne ws/203_03_13_Cardi_UFC.htm.

(20)

99

tentativo per cercare di salvaguardare gli interessi di piccoli, medi e grandi Stati/regioni»17.

Il diplomatico italiano ha anche spezzato una lancia in favore del continente africano, quello maggiormente penalizzato, in quanto sottorappresentato, ed ha esortato a che si prendano in considerazione le aspirazioni di particolari categorie di Stati membri e tradizionali gruppi regionali delle Nazioni Unite, come ad esempio gli Stati appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione islamica o la Lega Araba.

Ad aprile 2014, nel corso della quarta riunione ancora nella decima tornata dei negoziati intergovernativi, l’ambasciatore Cardi, ripercorrendo brevemente la storia del Consiglio di Sicurezza, dall’anno della sua fondazione fino ai giorni attuali, passando attraverso la riforma che nel 1963 ne allargò la componente non permanente, ha mantenuto la posizione presentata un mese prima, dichiarando: «Better accessibility to the Council is therefore an evident problem that must be addressed. The G4 argue that some Countries have “greater responsibilities” than others, and thus deserve a different, higher status, regardless of the principle of sovereign equality enshrined in the Charter. On the contrary, our discussions on the size of an enlarged Security Council demonstrate that the responsibility in the maintenance of peace and security is shouldered by a much wider group of Countries. It would therefore be very difficult to assert which Country could deserve, more than others, to have a right to sit permanently in the Council. Consequently, in our view, the only forward-looking solution is to set aside the idea of creating new permanent national seats. Instead, we should add new non-permanent seats, which would allow the under-represented regions and all those with greater responsibility in the maintenance of peace and security a greater chance to serve in the Security

17

(21)

100

Council. […] All the main proposals being examined today envisage an enlarged Security Council of at least 25-27 members, and only few Member States still refer to a “limited expansion”, without more precise indications. In any case, the consensus is broad on the need to adapt the Security Council to today’s reality, and this objective can be reached also (but not only) by increasing its members. UfC is not calling for an individual seat and is therefore ready to consider any proposal, within the limits of a reasonable and workable enlargement. As for the type of additional seats, our position is well known: only by expanding the non-permanent seats – within regional groups and maybe also other categories of States yet to be defined – we can combine more equitable geographic representation with increased access to the Council»18. Credo sia particolarmente significativa la conclusione, in cui il rappresentante italiano auspica senza mezzi termini che il Consiglio di Sicurezza riacquisti un maggiore senso di legittimità, anche nei confronti della comunità internazionale: «More transparency, openness and inclusive decision-making are areas where improvement is undoubtedly needed. We need to instill in the International Community a greater sense of ownership of the Council and need to correct the misperception that it is a self-directed body. Let us not forget that it is the elected members who have traditionally supported improved working methods, legitimizing our belief that new non-permanent members will strengthen the collective efforts to improve working methods of the Council. […] When we discuss size and working methods, we automatically raise other key issues of the reform. This is why, once again, we re-affirm that only a comprehensive reform can grant

18

Il testo è tratto dalla pagina internet http://www.italyun.esteri.it/Rappresentanza_ONU/Menu/Comunicazione/Archivio_Ne ws/2014_04_11_Cardi_Riforma_SC.htm.

(22)

101

the Security Council the greater legitimacy it deserves. We seek a reform that goes beyond the national ambitions of few Countries and that responds to the greater interest of the International Community: increasing the effectiveness of the Security Council in preserving and maintaining peace and security»19.

19

Riferimenti

Documenti correlati

La firma non va autenticata quando sia apposta dinanzi al funzionario addetto a ricevere la documentazione o quando alla domanda sia allegata la fotocopia di un valido documento

Università di Pisa DESTeC - Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile - Architettura

Università di Pisa DESTeC - Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile - Architettura

Nelle stima delle tempistiche di completamento 1° dose è stato tenuto in considerazione il conteggio delle 2° dosi Pfizer a 21 giorni ed è stato escluso quello di AstraZeneca a

Leggendo la tabella 12 per righe si nota che la differenza nel costo del lavoro oscilla tra circa 14.000 e circa 8.000 Euro in meno per i lavoratori parasubordinati, tuttavia non è

Con Malkum Khan inizia un’evoluzione del nazionalismo modernista iraniano che partendo da una strumentalizzazione dell’Islam per fini politici teorizzata per esempio da

il 10 gennaio 2019,l’Ambasciatore Israeliano sarà in visita a Torino, la mattina andrà all’Unione Industriale, ci sarebbe l’opportunità di proporre una visita di un ora in MBC

Allo stato attuale esistono in Libia quattro “governi” (qualora si considerino anche i ribelli dell’ISIL), ognuno esercitante autorità su parte del territorio: