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-L’artista e il suo mondo………...pag.6 -Dietro le quinte della creazione artistica………..pag. 9 -Empatia sulla scena………...pag.14

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(1)

INDICE

 PREFAZIONE………...pag.5

 CAPITOLO I: L’ARTISTA E LA CREAZIONE

PER LA SCENA

-L’artista e il suo mondo………...pag.6 -Dietro le quinte della creazione artistica………..pag. 9 -Empatia sulla scena………...pag.14

 CAPITOLO II: IL CONTESTO INGLESE TRA

SCIENZA, MAGIA E CULTURA

-L’Inghilterra del Cinquecento……….…..pag.17 -Tra ateismo e magia……….….pag.22 -Scoperte scientifiche e geografiche il “Nuovo

Mondo” del Cinquecento...……….………….…..…pag.26 -Giordano Bruno e John Florio, ombre dietro le luci di Marlowe e in Shakespeare……….……pag.31

 CAPITOLO III: MARLOWE, SHAKESPEARE E LA MAGIA

-Il Teatro Elisabettiano………..…...…..pag.35

(2)

-Gli anni della formazione di Marlowe e di Shakespeare……….pag.38

-Christopher Marlowe……….pag.39 -The Tragical History of Doctor Faustus:

origini e spunti.……….……….…..pag.42 -William Shakespeare………..pag.47 -The Tempest: origini e spunti……….……...pag.50 -Doctor Faustus e Prospero: maghi e creatori………….pag.53 -La magia in Doctor Faustus e in Prospero……….pag.60

 CAPITOLO IV: MARLOWE E SHAKESPEARE

A CONFRONTO

-L’Influenza di Marlowe sulle opere di Shakespeare ....pag.71

-La Musicalità del verso ed Il fattore tempo ………..…pag.79

-Marlowe e Shakespeare………..pag.82

-Il Faustus di Christopher Marlowe……….pag.94

-Il Faust di Johann Wolfgang von Goethe………...pag.96

-The Tempest di William Shakespeare……….…...pag.98

-The Mock Tempest di Thomas Duffet……….…..pag.100

(3)

 CAPITOLO V: L’ARTE E LA MUSICA

-L’Arte……….………pag.103 -L’Histoire du Soldat……….……..pag.109 -Doctor Faustus e The Tempest in Musica……….……pag.114

 CONCLUSIONI………....…pag.118

 BIBLIOGRAFIA………....…...pag.120

(4)

“Two roads diverged in a wood and I, I took the one less traveled by,

and that has made all the difference.”

By Robert Frost

To my mother and

my family…

(5)

PREFAZIONE

In questo lavoro, partendo dalla mia esperienza di musicista, dalla lettura di alcune opere di Freud e dall’analisi di creazioni nella letteratura, nella danza, nel cinema e nel teatro comico e tragico, ho cercato di analizzare il perché del momento magico della creazione dell’artista, attraverso l’analisi di due maghi della creazione: Faustus di Marlowe e Prospero di Shakespeare.

Per fare di queste sensazioni soggettive un lavoro oggettivo mi sono servito

contemporaneamente di due parti di me, che ho imparato col tempo a far

coesistere: la parte dell’artista e la parte dello studioso. L’artista, semplicemente

vivendo questo tragitto con l’ingenuità e la veracità del miglior Faustus, ne ha

colto epifanie ed emozioni, lo studioso, con l’attenzione e la destrezza del miglior

Prospero, ne ha posto chiarezza e limiti.

(6)

CAPITOLO I

L’ARTISTA E LA CREAZIONE PER LA SCENA

1.1.L’ARTISTA E IL SUO MONDO

Per prima cosa bisogna puntualizzare che creare non è da tutti! Il momento creativo nasce, infatti, solo in un soggetto predisposto: l’artista.

Come ogni uomo egli vive le sue esperienze, paure, delusioni, violenze, eventi negativi, perturbanti che rimuove o nasconde, cercando un equilibrio tra il suo io interiore e la realtà.

In un determinato momento però, della sua vita reale o psichica succede un evento, anche insignificante, ma che in lui predisposto alle “epifanie”, sconvolge questo equilibrio: si apre infatti una breccia, un “buco nella serratura” del suo mondo rimosso, ed è come una bomba che deve esplodere, che non si può più ignorare.

A questo punto gli si presentano due possibilità: o vivere nella realtà parallela che

gli si è mostrata in quel momento apertamente, davanti ai suoi occhi e passare alla

follia solitaria, incompresa, alienandosi nel suo mondo interiore; o essere un

artista creare, esprimere, dare vita, mettendo in versi, in musica o in scena quella

parte di sé, che l’io cosciente e vigile aveva tenuto finora nascosto attraverso

inibizioni morali o religiose, con privazioni e tabù.

(7)

Così egli, dopo la visione di quel suo mondo ignorato, lontano dal suo cosciente, crea un’opera d’arte comica, tragica, in versi o in musica che esteriorizza ciò che fino a quel momento non gli era chiaro e che ora diventa l’oggetto del suo scavo interiore.

Ma, come l’aquila dopo un volo altissimo ritorna a terra per riposarsi, anch’egli per ritrovare il suo equilibrio, deve tornare alla realtà: deve necessariamente condividere questa sua esperienza con gli altri ed è questo il momento in cui l’artista cerca di coinvolgere il suo pubblico.

E il momento dell’applauso, del consenso è fondamentale per lui non per la sua vanità, ma perché gli dà la certezza che il pubblico ha recepito e condiviso finalmente quella sua epifania: l’applauso, terapeutico per l’ artista , diventa però, anche se solo temporaneamente, liberatorio per lo spettatore .

Infatti, l’opera d’arte, attraverso la condivisione e l’empatia tra l’eroe-autore e lo spettatore, promuove anche in quest’ultimo un’epifania, una piccola breccia in quell’indistinto senso di angoscia, d’impotenza, di paura, di un ricordo, o di un’esperienza traumatica vissuta che anch’ egli voleva tenere chiuso nell’ io profondo per poter continuare a vivere serenamente.

Sullo stesso piano della creazione artistica, si muove la magia: anch’essa

permette, infatti, all’uomo di allontanarsi dalla ristretta realtà, creando un mondo

parallelo, dove tutti i desideri si possono realizzare, dove la mente può volare

senza freni e senza inibizioni.

(8)

L’io creatore, per godere di questa sua potenza straordinaria e non esserne vittima deve rimanere intelligentemente umile, cioè rimanere consapevole che quel mondo che ha creato da un imperfetto non può mai giungere, ma solo tendere alla perfezione.

Il mago creatore, quasi si sostituisce a Dio, egli crea per avere un’altra realtà, la quale però è irreale, imperfetta e ciò lo sa bene Prospero, mentre Faustus, che cerca di fare di quella, la vera vita reale, è inevitabilmente destinato a smarrirsi e ad essere condannato come Lucifero che cercò di assomigliare a Dio.

Anche stavolta, il creatore, il mago: Faustus o Prospero, è come l’aquila che dopo il volo deve tornare a terra, deve ad un certo punto allontanarsi da quel mondo da lui stesso creato, se non vuole esserne vittima e perdersi per sempre.

Un altro Faustus invece avrebbe potuto avere un pensiero per gli uomini che ha lasciato a soffrire sulla terra, provare a fare qualcosa di buono per loro con la sua magia, creare una realtà migliore, senza miserie: l’Eden, già offerto da Dio una volta all’uomo, ma stupidamente perduto da questi, per disobbedienza e per arroganza.

Questo è ciò che ha fatto il Faust di Goethe, e solo per questo si è salvato!

(9)

I.2.DIETRO LE QUINTE DELLA CREZIONE ARTISTICA

Ai primi del Novecento Theodor Lipps, Martin Heidegger e Edith Stein, svilupparono un tipo particolare di filosofia: la “filosofia della psicologia” intesa come scienza dello spirito piuttosto che come scienza sperimentale 1 .

Lipps trasformò l’originario concetto di filosofia quale scienza generale, in quello di “scienza dello spirito o scienza dell’esperienza interna”, distinguendola così dalla scienza della natura, o dell’esperienza esterna.

Lipps parla negli scritti del 1905 di una “tensione” fra l’approccio scientifico ai dati immediati dell’anima e l’approccio liberato dall’atteggiamento cosiddetto

“oggettivante” che ha come fulcro la “psicologia dell’appercezione”: 2 in generale, la coscienza delle proprie percezioni, cioè la riflessione, che sta alla base degli atti conoscitivi e che io definirei epifanie.

È l’autocoscienza, attività riflessiva del pensiero con cui l'io diventa cosciente di sé, che può avviare un processo d’introspezione rivolto alla conoscenza degli aspetti più profondi dell'essere, è la coscienza dell’io che non manca in nessun momento della vita cosciente.

Dall’analisi dell’espressione “contenuto di coscienza” 3 emerge un altro momento accanto a quello della relazione dell’io immediatamente vissuta: si tratta anche in

1

- Theodore LIPPS (1966), Empathy, Inner Imitation, and Sense-Feelings, Holt, Rinehart

& Wintston, New York, in: M. Rader (Ed.), Aesthetics, pag. 42.

2

- RAGNISCO Pietro, La Critica della ragione pura di Kant, Published: Napoli, Stabilimento tipografico Perrotti, 1875. Edizione ebook on-line, pag. 100.

3

- RAGNISCO, La Critica della ragione pura di Kant, Published: Napoli, Stabilimento

tipografico Perrotti, 1875. Edizione ebook on-line, pag. 112.

(10)

questo caso di una relazione all’io, ma di segno opposto, per la quale il contenuto è vissuto immediatamente come diverso da me.

Da questo dualismo nascono dei conflitti interiori, dialoghi e riflessioni che portano l’io a sviluppare una dialettica che riesce a trovare ogni volta delle soluzioni, e a garantire quella calma apparente.

Caratteristica peculiare di questo stato d’animo è l’ipersensibilità, fattore che porta alcuni a cogliere aspetti del mondo che molti, cosidetti “normali”, non sono soliti cogliere.

E’ una sensazione che si può ben trovare, a mio avviso, nella poesia di Montale Eugenio “Forse un Mattino”:

“Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:

il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi case colli per l'inganno consueto.

Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto”.

4

Sentire le proprie percezioni che ci allontanano sempre più dal reale, che non trovano un senso, che rimangono astratte, difficili da classificare e da controllare, ci porta a stare in tensione, ad assumere un atteggiamento che ad un occhio esterno, altro, che ci stesse osservando, potrebbe sembrare un’inibizione, un distacco dalla realtà e suscitare paura o comicità, ed è in questo momento che, o ci si estranea definitivamente nella solitudine e nella follia, o crea.

4

- Eugenio Montale, prima edizione (1925), Forse un mattino andando in un'aria di

vetro, in Ossi di seppia, a cura di P. Cataldi e F. d'Amely, Collana Oscar poesia del Novecento,

Milano, Mondadori, 2003, pag. 78.

(11)

C’è un legame importante tra “io Creatore” e “arguzia”, elemento essenziale per cogliere a pieno quel messaggio nascosto che si cela nel regolare e si mostra sottoforma di epifanie.

In definitiva la definizione più attinente alla mia analisi sembra essere quella di Vischer il quale definisce l’arguzia come “prontezza nel collegare con rapidità sorprendente in un tutt’unico parecchie idee di per sè estranee tra loro, sia per contenuto intrinseco che per il contesto cui appartengono” 5 . L’occhio arguto, sensibile si accorge di trovarsi di fronte ad un “contrasto di rappresentazione”, ad un “senso dell’assurdo” tra “stupore e illuminazione”, una manifestazione involontaria, non ponderata, un paradosso, in contrapposizione tra “senso e assurdo”: ciò che per un attimo sembrava dotato di senso, e ora appare totalmente assurdo.

Dalla capacità dell’occhio arguto di cogliere epifanie, nasce l’io creatore che si esprime nel comico o nel tragico, per condividere proprio la materia di questa epifania con mezzi più chiari, oggettivi e comprensibili agli altri uomini, ai cosiddetti esseri “normali”.

5

- Sigmund FREUD (1905), il motto di spirito e la sua relazione con l’incoscio,

ParteAnalitica, Cap.1, introduzione.

(12)

Nel Cinquecento, dopo la rivoluzione copernicana e le critiche di Lutero alla Chiesa Cattolica ed ai suoi dogmi, nasce e si sviluppa la tragedia, forma teatrale privilegiata, apprezzata dagli “uomini nuovi” del Rinascimento .

E’ in questo periodo di instabilità intellettuale e religiosa, di drastica rottura con il passato medioevale: cristiano, feudale, geo ed antropocentrico, ma comunque, a suo modo, rassicurante che si può trovare la molla che dà vita alla creazione artistica.

Secondo Freud, la disposizione più favorevole all’io creativo, è l’esistenza di numerose pulsioni inibite, la cui repressione però, conserva un certo grado di labilità.

L’artista sensibile ai movimenti del suo io interiore, mosso da esperienze personali, del tempo e del luogo in cui vive, è soggetto ad un’ epifania.

E’ il momento in cui tutto gli è chiaro, ma si sente addosso un “ingorgo psichico” 6 , un’ immensa energia che deve “scaricare” e in quel momento egli si estranea dalla realtà e, per evitare di essere frainteso o preso per folle, deve assolutamente “creare “.

L’artista crea per comunicare agli altri una sua intuizione, ma lo fa con un’urgenza, una pulsione forte, equiparabile quasi all’esibizione nel campo sessuale.

Perchè egli si sente come quel “Vecchio marinaio” di Coleridge, che cerca a tutti i costi di comunicare e non si calma fino a quando gli altri non lo ascoltano:

6

- Theodor LIPPS (1966), Empathy, Inner Imitation, and Sense-Feelings, Holt, Rinehart &

Wintston, New York, in: M. Rader (Ed.), Aesthetics.

(13)

“Quegli l'afferra con la scarna mano:

"C'era una nave..." incominciò.

"Lasciami, non toccarmi, vagabondo!"

Subito la sua mano cadde giù.

Il convitato subisce l'incanto dell'occhio del lupo di mare,

ed è costretto ad ascoltare il suo racconto.

Ma lo tiene con l'occhio sfavillante - il convitato resta immoto,

ascolta come un bimbo di tre anni:

il marinaio è pago nel suo voto”. 7

La tragedia del periodo elisabettiano dà voce ai tormenti interiori dei suoi eroi, uomini in cerca di nuove certezze, terrene e non divine, uomini soli (Prospero, Tamerlano, Faust, Amleto, Barabas, Amleto …), che con le loro azioni cercano di soddisfare in terra le loro aspirazioni, la bulimia dei loro desideri, senza aspettare la ricompensa ultraterrena, senza mai pace, né appagamento, incompresi e chiusi inevitabilmente in un mondo solitario, a volte astratto, senza limiti e senza tempo.

In particolare, nelle opere di Marlowe e Shakespeare, troviamo immagini “forti”:

diavoli, omicidi, intrighi, stragi efferate, creature mostruose e i protagonisti sono uomini qualunque, non eroi o semidei, eppure essi si ritengono degli esseri unici, prescelti, superiori che, seguendo una machiavellica logica, si permettono tutto tranne il pentimento; esseri che appartengono alla sfera del “perturbante”, che generano nello spettatore angoscia, repulsione, ma poi empatia e catarsi.

7

- COLERIDGE Samuel T, The rime of the ancient mariner, con le illustrazioni di

Gustave Dorè, a cura di Ginevra Bompiani, Traduzione di Mario Luzi, Biblioteca Universale

Rizzoli (2000), pag. 73.

(14)

1.3.EMPATIA SULLA SCENA

Secondo Sigmund Freud il dramma ha il dono di creare empatia, attraverso l’impersonificazione dello spettatore col personaggio-eroe che si agita sulla scena.

Ciò avviene in quanto lo spettatore che vive troppo poco intensamente la sua vita reale: che si sente un “misero al quale nulla di grande può accadere” 8 o che da tempo ha dovuto rivolgere altrove l’ambizione di essere al centro del mondo, ha ora la possibilità di vivere da eroe. Lo spettatore è cosciente però, che essere realmente quell’eroe gli comporterebbe dolori e sofferenze che annullerebbero quel suo piacere dell’immedesimazione che, invece, lo spettacolo gli procura con l’ausilio della musica e del testo. 9

Infatti il godimento dello spettatore ha come presupposto l’illusione, ossia l’attenuazione della sofferenza, dovuta alla certezza che in primo luogo “chi si agita e soffre là sulla scena è un’altra persona e poi che in fondo si tratta solo di una finzione dalla quale non può derivare alcun danno per la sua sicurezza personale”: 10 lo spettatore può, dal dramma, creare così una fugace e temporanea soddisfazione al suo animo prometeico anche se è misto ad una mediocre e vile disposizione .

8

- FREUD Sigmund (1905), Il Motto di Spirito e la sua Relazione con l’Incoscio, Boringhieri Editore S.p.A., Torino, Corso Vittorio Emanuele 86, (1972), pag. 232

9

- FREUD (1905), Personaggi psicopatici sulla scena, in Il motto di spirito e la sua relazione con l’incoscio, Boringhieri Editore s.p.a., Torino, Corso Vittorio Emanuele 86, (1972).

10

- FREUD (1905), Personaggi psicopatici sulla scena, in Il motto di spirito e la sua

relazione con l’incoscio,Boringhieri Editore s.p.a., Torino, Corso Vittorio Emanuele 86, (1972),

pag. 233

(15)

Il dramma secondo Freud mira a scandagliare nel profondo le possibilità affettive, a trasformare in godimento i presentimenti di sventura, mostrando l’eroe in lotta, o che gode con soddisfazione masochistica anche nella disfatta, come per un atto sacrificale che gli è dovuto per essersi ribellato a un ordine divino, quello stesso che inizialmente gli aveva decretato la sofferenza.

Gli eroi sono quindi dei ribelli: a Dio, ad una divinità, ad un ordine sociale, ad un destino sfavorevole, sono gli artefici del proprio destino nel bene e nel male e, come vedremo nel mio lavoro, quanto minore diviene la fede nella divinità (così come avviene in Doctor Faustus), tanto più aumenta l’importanza e la fede nel fattore umano e nella società che vengono ritenuti responsabili delle sofferenze e delle lotte proprie (così in Prospero di The Tempest ). In essi c’è sempre ciò che Freud individua come condizione iniziale, peculiare del dramma: una situazione di conflitto, che richiede uno sforzo della volontà e una resistenza.

L’opera che più di ogni altra rispecchia i conflitti interiori è la tragedia, dove il vero plot è il tormento, lo sviluppo dell’ io del protagonista, attraverso un ripiegarsi su se stesso, un viaggio personale che lo distacca dal reale per seguire le proprie aspirazioni.

Ma quando l’eroe diventa finalmente libero e senza limiti, non più “vittima” di

uno spazio o tempo definiti, rischia di vivere, una nuova sofferenza spirituale, una

nuova insoddisfazione: perché la libertà senza un limite da superare diventa

condizione statica e quindi a breve, stancante “normalità”. È questa la

condizione in cui vivrà la sua “libertà” Faustus, fino a perdersi nella magia, alla

(16)

ricerca di risposte e di limiti sempre piu’ alti da abbattere, limiti che, in realtà, lui non può più avere, per la condizione di libertà assoluta ormai ottenuta.

Prospero invece, che vive la magia solo per raggiungere uno scopo reale, la sua vendetta, riuscirà veramente vincitore.

Egli dominerà il suo desiderio di onnipotenza, le sue conoscenze e farà della magia e della libertà, il “mezzo” e non il fine ultimo della sua ribellione, rinunciando alla potenza di forze magiche, di spiriti e folletti, nel momento in cui la sua vendetta si è compiuta.

(17)

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