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Sistemi di accumulo energetico

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Academic year: 2021

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Capitolo 2

Sistemi di accumulo energetico

Molte sono le tecnologie oggi a disposizione per accumulare energia elettrica. La parola accumulo rimanda immediatamente alle batterie anche chiamate accumulatori elettro- chimici, oggetto principe di questi sistemi. Esse sono difatti i primi componenti che sono stati utilizzati per accumulare energia elettrica. Non sono per`o i soli sistemi per immagazzinare energia elettrica; essa la si pu`o facilmente convertire in altre forme di energia, per accumularla sotto tale forma, e poterla riutilizzare quando pi`u opportuno.

Tutte queste procedure devono essere ovviamente economicamente convenienti e quindi devono presentare un rendimento accettabile affinch`e la tecnologia pensata venga effet- tivamente presa in considerazione.

Di seguito si introducono le tecniche di accumulo energetico, dalle pi`u tradizionali alle pi`u moderne e in fase di ricerca e sviluppo. In linea di principio gli accumuli si possono suddividere in:

• accumuli elettrochimici ovvero le batterie;

• accumuli meccanici di cui fanno parte gli impianti di pompaggio, gli impianti CAES (Compressed Air Energy Storage) e i volani;

• accumuli elettrici, i pi`u innovativi, e comprendono i supercondensatori e i su- perconduttori anche chiamati SMES (Superconducting Magnetic Energy Storage);

• vettore idrogeno; l’idea si basa sull’utilizzazione del vettore idrogeno, cio`e usare l’energia elettrica per produrre idrogeno il quale risulta pi`u facilmente accumulabi- le. L’idrogeno pu`o essere utilizzato per vari scopi, ma pu`o anche essere riconvertito in energia elettrica. Vedremo le varie metodologie di accumulo e i possibili utilizzi successivi;

• immagazzinamento termico utilizzati principalmente per il riscaldamento, ven-

tilazione ed aria condizionata.

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2.1 Accumuli elettrochimici

L’elemento principe degli accumulatori elettrochimici `e la batteria che fu ideata in seguito a ricerche sugli effetti di contatto tra metalli diversi e sull’interposizione tra essi di soluzioni ioniche. La batteria converte energia chimica in energia elettrica; i sistemi in grado di realizzare anche la trasformazione inversa prendono il nome di accumulatori elettrochimici o elettrici; essi possono accumulare energia elettrica in forma chimica durante il processo di carica per poi restituirla in forma elettrica durante il processo di scarica.

Per farsi un’idea di ci`o che si possa realizzare con un sistema di batterie si fa presente che attualmente il pi`u grande sistema di accumulatori elettrochimici `e installato a Tokyo e rende disponibile una energia di 48 MWh; a breve termine si prevede inoltre una installazione da 120 MWh a Barford in Inghilterra.

L’impatto ambientale di questi sistemi `e un punto a sfavore dovuto ai composti chimici utilizzati; questo ne limita la loro diffusione ad elevate capacit`a.

2.1.1 Batterie tradizionali Batterie al Piombo-acido

La batteria al piombo acido `e stata per lungo tempo la dominatrice degli accumulatori energetici nel settore automobilistico. Molti per`o i punti a sfavore che hanno segnato il suo inevitabile declino. Sono state utilizzate anche in alcune applicazioni commerciali di media capacit`a, quello pi`u grande `e un sistema da 40 MWh - 10 MW realizzato in California nel 1988. Hanno un costo ridotto, ma una densit`a energetica ridotta (30÷40 Wh/kg). L’utilizzo del piombo pone uno smaltimento problematico alla fine della vita.

Batterie al Litio

Celle molto promettenti sia dal punto di vista scientifico che commerciale. Hanno un mercato in espansione sui prodotti come computer portatili, telefoni cellulari e videore- gistratori. Hanno una elevata densit`a energetica (150 Wh/kg), un peso ridotto, molto longeve e non utilizzano materiali tossici per`o hanno un costo elevato.

Batteria Nichel-Cadmio

L’energia specifica degli accumulatori di questo tipo pu`o raggiungere i 50 Wh/kg (riferiti

alla scarica in 5h) e la potenza fino a 200 W/Kg. La durata di vita ai cicli si scarica

profonda, pu`o raggiungere il migliaio di cicli. L’utilizzo del Cadmio, elemento cancero-

geno, pone problemi alla fine della vita di queste batterie. Lo sviluppo di questi sistemi

Ni-Cd mira a contenere i costi e alla sostituzione del Cadmio con altro materiale come

leghe a base di Lantanio e Nichel o a base di Titanio, Nichel e Ferro.

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2.1.2 Batterie evolute affermate Batterie Z.E.B.R.A.

Sono costituite da celle contenenti Sodio-Nichel Cloruro funzionanti a caldo e conosciute con l’acronimo di ZEBRA (Zero Emission Battery Research Activity). Le caratteritiche tecniche sono molto promettenti (oltre 1.000 cicli di carica/scarica e ottimo rapporto peso/potenza) anche se al momento non sono ancora disponibili di serie; sono installate su prototipi di auto e mezzi pubblici in fase pre-commerciale. La loro particolarit`a `e di non contenere materiali tossici.

Batterie Nichel-Idruri

Sono batterie di recente progettazione e attualmente tra le favorite per alimentare veicoli elettrici e ibridi di nuova generazione. Non contengono metalli pesanti, hanno elevata densit`a energetica, sono ecologicamente accettabili e resistono fino a 1.000 cicli di carica.

Hanno per`o un costo elevato e tendono a scaricarsi anche se non utilizzate.

Batterie Nichel-Zinco

La loro capacit`a di poter erogare tanta potenza abbinata al peso ridotto rende questa batteria particolarmente adatta all’utilizzo in veicoli elettrici. Non utilizzano materiali tossici, ma numero di cicli ridotti (600÷800); la fase di rodaggio di queste batterie `e molto importante.

Batterie NaS (Sodio-Zolfo)

Una batteria NaS contiene Zolfo liquido (fuso) all’elettrodo positivo e Sodio liquido (fuso) all’elettrodo negativo come materiali attivi separati da un elettrolito di ceramica b-allumina solida. L’elettrolito permette soltanto agli ioni positivi del Sodio di passarvi attraverso. Gli inoni del Sodio si uniscono con lo Zolfo per formare i polisolfuri di Sodio:

2Na + 4S = Na 2 S 4 (fase di scarica). Il processo `e reversibile e nella fase di carica l’energia elettrica induce i polisolfuri di Sodio a liberare gli ioni positivi che attraversano l’elettrolito per ricombinarsi come sodio elementare; la cella ha circa 2 V di tensione nominale, funziona a 300 C ed `e accreditata di una elevata efficienza (circa 89%).

Batterie Metallo-Aria

La batterie Metallo-Aria sono interessanti per l’alta densit`a energetica (fino a 200 Wh/kg),

il possibile basso costo e un minor impatto ambientale. Sono ancora in fase di ricer-

ca e sviluppo; allo stato attuale hanno una vita di alcune centinaia di cicli di carica-

scarica. L’efficienza totale contenuta, di circa il 50%, `e dovuta a difficolt`a nel sistema di

ricaricamento con l’energia elettrica.

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2.1.3 Batterie a flusso di elettrolita

La loro caratteristica peculiare consiste nel fatto che la potenza e l’energia del sistema sono sostanzialmente indipendenti; dipendono la prima dalla superficie della membrana di separazione fra anodo e catodo e la seconda dalla capacit`a dei serbatoi di contenimento dell’elettrolita.

P [W ] = f (A[m 2 ]) E[W h] = f (V ol[m 3 ])

Convertono l’energia chimica contenuta in un elettrolita liquido in energia elettrica.

Utilizzano, per principio, reazioni accoppiate di ossido-riduzione in cui sia i reagenti, sia i prodotti di reazione, in forma ionica, sono completamente disciolti in soluzione acquosa.

Le soluzioni del catolita e dell’anolita sono separate in cella da una membrana in modo da evitarne il mescolamento e quindi l’autoscarica. Sono le batterie pi`u innovative per applicazioni di grossa potenza ed energia. Hanno due grossi serbatoi contenenti soluzioni che, con pompe, vengono fatte circolare per far avvenire le reazioni.

Batteria a flusso Vanadio Redox

Indicate con la siglia VRB, accumulano l’energia utilizzando le coppie redox del vanadio (V +2 /V +3 al catodo e V +4 /V +5 all’anodo) presenti nell’elettrolita in soluzione con acido solforico. Durante i cicli di carica/scarica gli ioni H + sono scambiati fra i due serbatoi dell’elettrolita tramite un membrana polimerica permeabile agli ioni di idrogeno.

Figura 2.1: Schema di funzionamento delle celle VRB

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Numerosi sono i vantaggi: numero indefinito di cicli di carica/scarica della batteria, efficienza elevata, carica facile e veloce della batteria mediante semplice sostituzione dell’elettrolita, vita praticamente illimitata (maggiore di 20 anni) e manutenzione quasi inesistente.

Batterie a flusso Zinco-Bromo

In una cella della batteria ZnBr il flusso di due elettroliti differenti `e separato da una membrana in poliolefina microporosa, mentre gli elettrodi sono formati da un composto carbonio-plastico. Durante la fase di scarica lo Zinco e il Bromo formano bromuro di Zinco, generando 1,8 V in ogni cella. Di conseguenza aumenta la densit`a di ioni Zn +2 e Br in entrambi i serbatoi dell’elettrolita. Durante la fase di carica lo zinco metallico si deposita formando una pellicola nell’elettrodo negativo e nel contempo il Bromo evolve in soluzione diluita dal lato opposto della membrana e reagendo con ammine organiche si stratifica sul fondo del serbatoio elettrolitico. L’efficienza netta `e data al 75%.

Lo sviluppo di questo sistema `e iniziato negli anni ’70; un impianto da 4 MWh - 1 MW `e stato installato in Giappone nel 1991 da una azienda elettrica mentre attualmente sono commercializzati sistemi fino a 200 kW - 500 kWh.

Batterie a flusso Poli-Solfuro Bromuro

La batteria Poli-Solfuro Bromuro (PSB) `e basata sulla reversibilit`a dei due elettroliti in soluzione salina (bromuro di Sodio e polisolfuro di Sodio). Il flusso degli elettroliti

`e separato da una membrana polimerica che permette di essere attraversata soltanto agli ioni positivi del Sodio, ogni cella produce circa 1,5 V e sono collegate in serie ed in parallelo per ottenere la tensione e la corrente voluta. Funziona a temperatura ambiente e l’efficienza netta `e di circa il 75%. Sono previste installazioni sperimentali con una capacit`a di 120 MWh e una potenza di 12÷15 MW.

2.2 Accumuli meccanici

2.2.1 Aria compressa

Con questo tipo di accumulo energetico si provvede a comprimere aria in un serbato- io ermetico ad una pressione di 70÷100 bar quasi sempre situato nel sottosuolo per il motivo principale di ingombro. Quando si vuole utilizzare l’energia contenuta nella pres- sione dell’aria si utilizza un impianto turbogas tradizionale per farla espandere e ricavare energia meccanica. Il compressore pu`o cos`ı lavorare nelle ore in cui l’energia elettrica ha un basso costo mentre, durante le ore di alto costo, l’impianto pu`o produrre energia elettrica senza utilizzare il compressore, ma utilizzando l’aria in precedenza compressa e accumulata.

Per costruire un CAES (Compressed Air Energy Storage) si utilizzano le formazioni geo-

logiche. Per la costruzione del serbatoio, che conterr`a aria compressa, si possono usare

strati acquiferi naturali, caverne di sale o caverne costruite nella roccia.

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L’aria compressa pu`o essere utilizzata anche per azionamenti pneumatici in linee di produzione. In molte unit`a produttive `e necessario un anello di aria compressa, normal- mente ad una pressione inferiore a 12 bar; utilizzando aria compressa prodotta di notte si ha un risparmio netto di energia elettrica giornaliera ed un abbassamento del picco di consumo della stessa.

Figura 2.2: Schema di un sistema CAES Compressed Air Energy Storage

Ci sono cinque componenti richiesti per realizzare un CAES:

- il motore/generatore che con delle frizioni si aggancia o alla turbina o al compressore;

- il compressore;

- recuperatore;

- centro di controllo per le operazioni di funzionamento;

- apparecchiatura ausiliaria (per esempio accumulo combustibile).

La produzione di elettricit`a avviene estraendo l’aria dal serbatoio in pressione; tale aria viene preriscaldata nel rigeneratore che utilizza l’energia estratta dai dispositivi di raf- freddamento del compressore. L’aria preriscaldata viene successivamente mescolata con delle piccole quantit`a di gas naturale per aumentare l’efficienza della successiva combu- stione. Il gas caldo che esce dalla camera di combustione viene infine inviato in turbina per l’espansione e la conversione in energia meccanica. Con il generatore poi si produce, tramite la rotazione, energia elettrica da inviare in rete.

In una normale turbina a gas, circa un terzo dell’energia prodotta viene consumata dal compressore. Questo significa che se l’impianto `e di 300 MW, il compressore ne consuma 100 MW; i 200 MW rimanenti sono effettivamente mandati in rete. Se la compressione

`e effettuata in un periodo tempo diverso da quando si produce (quindi utilizzando un

impianto CAES) la potenza immessa in rete `e la piena potenza prodotta (300 MW).

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Questi sistemi raggiungono potenze di 50÷300 MW, hanno un tempo di avviamento da freddo di 9÷12 minuti (contro il 20÷30 dei turbogas convenzionali) ed emissioni ridot- te rispetto a un impianto turbogas convenzionale. Il tempo per comprimere l’aria nel serbatoio `e lungo per ridurre le perdite. I sistemi CAES sono in grado di accumulare energia per anni.

Il primo sistema di accumulo ad aria compressa `e stato installato nel 1978 in Germania ed ha una potenza di 290 MW. Tramite rilevamento dei dati su questo impianto si `e rilevato che la centrale ha una affidabilit`a del 99% e una disponibilit`a del 90%. Lavora con un ciclo giornaliero per cui la centrale entra in produzione una volta al giorno (ci`o significa che avendo 28 anni di servizio ha subito intorno ai 10.000 avvii). In Giappone `e prevista l’installazione di un sistema con una potenza di 2.700 MW; il serbatoio `e posto a 670 metri di profondit ed `e una ex-miniera di calcare.

Questi sistemi hanno una buona capacit`a di accumulo: da 2 a 3 kWh/m 3 di serbatoio (sotterraneo). Per un confronto basti pensare che mediamente i sistemi idroelettrici di accumulo hanno una densit`a energetica di appena 0,3 kWh/m 3 di serbatoio idrico, invece l’efficienza netta `e generalmente favorevole ai sistemi idroelettrici i quali permettono di restituire pi`u dell’ 80% dell’energia di origine. Esistono aziende che commercializzano gruppi di accumulo integrato composti da serbatoio per l’aria compressa, compressore con motore/generatore, turbina e piccolo volano di avvio da utilizzare in caso di imme- diata richiesta di elettricit`a a causa di interruzioni di rete. La potenza massima erogabile per un gruppo singolo si aggira intorno agli 85 kW mentre la capacit intorno ai 21 kWh (tempo di avviamento pari a 15 minuti).

2.2.2 Serbatoi e bacini idrici

I sistemi convenzionali di accumulo, basati sul pompaggio di acqua, utilizzano due ser- batoi/bacini posti a quote differenti: nelle ore in cui l’energia prodotta `e superiore all’e- nergia richiesta, l’acqua `e pompata dal serbatoio inferiore al serbatoio superiore mentre nelle ore di picco di domanda, l’acqua accumulata a monte viene utilizzata per produrre l’energia elettrica. I serbatoi a monte possono costituire una riserva idrica anche per altre necessit`a e possono produrre energia elettrica gratuita quando raccolgono l’acqua di origine meteorica. In alcune situazioni `e tecnicamente possibile ricavare serbatoi da anfratti sotterranei naturali o da ex miniere.

Esistono sistemi di pompaggio binari e ternari a seconda se la turbina e la pompa sono il

solito macchinario oppure no; attualmente le migliorie tecniche permettono di ottenere

da questi impianti efficienze fino all’ 85%. In tutto il mondo sono installati pi`u di 90

GW (anno 2005) di impianti di pompaggio, corrispondenti al 3% della capacit`a globale

di generazione. Questi tipi di impianti sono essenziali per il funzionamento, regolazione

e razionalizzazione delle reti di trasmissione dell’energia elettrica. Il costo degli impianti

di pompaggio attualmente installati `e estremamente variabile; da 150 euro/kW (USA)

a pi`u di 2.000 euro/kW (Giappone). E’ evidente che questo dipende dalle situazioni

oggettive del territorio.

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Figura 2.3: Schema di una centrale idroelettrica di pompaggio

2.2.3 Volani

Un volano `e un disco, o un cilindro con un foro nel quale passa un albero che trasmette il moto rotativo. Vi sono alcune differenze significative fra i molti tipi di volani che esi- stono, ma tutti si basano su un semplice principio, ovvero immagazzinare energia sotto forma cinetica di rotazione del disco o del cilindro. L’energia che si riesce ad imma- gazzinare `e proporzionale alla resistenza specifica e in modo inverso per la densit`a del materiale utilizzato per il cilindro. Si utilizzando materiali compositi ad alta resistenza con i quali si possono raggiungere velocit`a elevate. L’elettronica di potenza permette l’utilizzo dei volani alla velocit`a desiderata in quanto adatta l’onda di tensione prodotta a quella della rete. Attualmente i volani vengono costruiti ad asse verticale in un robusto contenitore di forma cilindrica nel quale viene mantenuto un certo grado di vuoto al fine di ridurre rumorosit`a e attriti aerodinamici del rotore; a ci`o contribuisce anche l’adozione di cuscinetti magnetici (eliminano le perdite frizionali e di lubrificazione), sostitutivi dei cuscinetti meccanici. Il rotore monoblocco, senza avvolgimenti elettrici n´e parti a con- tatto strisciante, non richiede raffreddamento e non genera vibrazioni avvertibili. Dopo aver raggiunto l’elevata velocit`a di regime nominale (si parla di 68.000 fino a 100.000 rpm per volani commerciali) il rotore pu`o cedere energia quando necessario e lo fa sotto forma di corrente alternata ad alta frequenza variabile. Questa corrente viene prima raddrizzata da un convertitore a frequenza variabile e successivamente si ritrasforma in alternata alla frequenza di rete.

In commercio esistono sistemi fino a 500 kW con dimensioni contenute (quelli di un ar-

madio). I costi sono confrontabili con le batterie al piombo quando si considera la lunga

vita e la minima manutenzione di questi volani; essi sono anche privi delle incertezze di

funzionamento tipiche di un banco di batterie nel quale il malfunzionamento di una sola

pu`o comportare la disfunzione dell’intero sistema.

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2.3 Accumuli elettrici

2.3.1 Supercondensatori

I supercondensatori accumulano l’energia elettrica utilizzando il campo elettrostatico del doppio strato elettrico EDL (Elettrochemical Double Layer) che si viene a creare nella loro struttura interna. Per capire meglio l’idea di base si ricorda qui di seguito la formula elementare di un condensatore a facce piane, parallele e infinite `e:

C = ! 0 · ! r · A d

L’energia che viene immagazzinata nel condensatore `e pari a:

E = 1

2 · C · V 2 dove:

! 0 la costante dielettrica del vuoto pari a 8,854 ×10 −12 F/m

! r la costante dielettrica relativa del materiale A la superficie di una piastra affacciata d la distanza reciproca fra le piastre.

V la differenza di potenziale applicata alle piastre.

I supercondensatori sono realizzati con l’idea di riuscire ad aumentare notevolmente la superficie delle due piastre e nel contempo diminuirne la distanza reciproca. Ci`o `e reso possibile sfruttando il doppio strato elettrico che si viene a creare all’interfaccia elettrodo-soluzione elettrolitica, usando un metallo come elettrodo e una soluzione con- tenente ioni dello stesso. La distanza fra le cariche nei EDL `e intorno a 0,5 nm contro le decine di nm dei condensatori elettroliti e i 1.000 nm dei condensatori ordinari.

I materiali che utilizzano i supercondensatori hanno una micro-struttura con superficie porosa dove si viene ad accumulare il campo elettrico nei micro fori. Si ottiene cos`ı una miriade di piccole capacit`a ognuna con distanza piccolissima fra le armature. La capacit`a complessiva che si raggiunge arriva a centinaia o migliaia di Farad. Le tensioni massime che possono reggere queste strutture sono pari a 0,9 V per elettrolita acquoso (valore derivante dal limite dell’elettrolisi dell’acqua 1,2 V con un opportuno margine per garantire una adeguata vita) e 3,0 V per elettrolita non acquoso.

Si ottengono cos`ı per le supercapacit`a le seguenti caratteristiche:

- capacit`a di centinaia di F con tensioni massime di circa 1 o 2÷3 V;

- sistemi con molti elementi in serie e tensioni di decine o centinaia di V;

- energie specifiche intorno a 1 Wh/kg (contro 35 delle batterie al piombo);

- potenze specifiche intorno ai 1.000 W/kg (contro 100 delle batterie al piombo).

I supercapacitori sono interessanti per la loro elevata densit`a di potenza e per la loro

grande durata; inoltre, l’immagazzinamento di energia `e pi`u semplice e presenta meno

problemi rispetto alle batterie convenzionali.

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2.3.2 Superconduttori

Questa tecnologia per l’accumulo energetico esiste dagli anni ’70 quando venne deno- minata SMES (Superconducting Magnetic Energy Storage): `e basata sull’accumulo di energia nel campo magnetico. Il principio si basa sul far passare una corrente continua attraverso una bobina di materiale superconduttore (quindi idealmente priva di resi- stenza); si crea cos un campo magnetico, e visto che nella bobina non si disperde calore per effetto Joule, risulta sostenuto senza nessuna spesa, se non quella per raffreddare la bobina ed avere cos`ı un comportamento del materiale superconduttore. Questi sistemi stanno migliorando velocemente grazie all’ampia ricerca che viene effettuata. In futuro probabilmente potranno essere utilizzati anche per lo stoccaggio di grosse quantit`a di energia. Per adesso hanno caratteristiche improntate per la carica/scarica veloce e quin- di per applicazioni che richiedono un miglioramento della forma d’onda di alimentazione evitando le fluttuazioni di tensione.

La sfida per questi sistemi `e riuscire ad ottenere le solite prestazioni, ma senza dover spingere i materiali a temperature cos`ı fredde come adesso (temperature dell’azoto li- quido) per ottenere dei superconduttori. I superconduttori hanno resistenza nulla alla corrente elettrica continua. Per la corrente alternata invece presentano ancora delle per- dite, ma queste possono essere minimizzate con opportuni accorgimenti.

Questi sistemi sono in grado di erogare potenza attiva e reattiva; hanno un’efficienza

Figura 2.4: Disegno concettuale di un sistema SMES

del 97%. Sono ottimi per problemi di qualit`a della fornitura soprattutto per impianti che richiedono una alimentazione purissima, come impianti di montaggio di micro-chip.

Gli SMES godono delle economie di scala. Attualmente arrivano fino a potenze di 10

MW; alcuni ricercatori sostengono che gli SMES abbiano la potenzialit`a per erogare fino

a 2.000 MW (teoricamente, una bobina con raggio tra i 150÷500 m potrebbe sostenere

un carico di 5.000 MWh con potenza massima di 1.000 MW). Il vantaggio di puntare

sui superconduttori `e di non avere reazioni chimiche e di non produrre elementi nocivi

nel processo di accumulo energetico.

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2.4 Vettore idrogeno

L’era dell’idrogeno identifica il prossimo scenario futuro in cui il mondo dovr`a fare a meno del petrolio. L’idrogeno non `e una fonti di energia, ma `e un vettore energetico ovvero un sistema adatto per trasportare e accumulare energia. Anche l’elettricit`a `e un vettore energetico (vettore elettrico), ma a differenza delle propriet`a di quello dell’idro- geno, non `e direttamente ed economicamente accumulabile; difatti si ricorre ad accumuli elettrochimici, meccanici ecc... come visto fino ad ora. Pertanto `e corretto parlare di vettore idrogeno e non di fonte energetica. L’idrogeno `e l’elemento pi`u diffuso in natura e nell’universo, ma non si trova facilmente allo stato puro; `e quasi sempre legato ad altri elementi chimici come l’ossigeno o il carbonio. Per cui deve essere estratto dall’acqua (H 2 O) tramite l’elettrolisi o da combustibili fossili (idrocarburi C n H m ) attraverso vari processi termochimici. Ci`o comporta un consumo di energia.

Le migliori fonti di energia sono quelle rinnovabili, per`o hanno l’inconveniente di es- sere discontinue: a volte non c’`e vento, fiumi con portata non ottimale, sole coperto, a volte invece di queste fonti ve ne sono in eccesso; sfruttando l’immagazzinamento di energia nell’idrogeno si potrebbero rendere le fonti rinnovabili pienamente sfruttabili, non solo per ottenere energia elettrica: se ci fosse idrogeno in eccesso potrebbe essere usato per ottenere prodotti chimici e/o industriali come ammoniaca (oggi si ottiene da idrogeno petrolifero soprattutto per produrre fertilizzanti), metanolo (oggi si ottiene dal petrolio) ecc... ottenendo cos`ı un risparmio/non utilizzo di combustibili fossili (fonte esauribile ed inquinante).

L’idrogeno risulta, allo stato attuale, non una fonte primaria di energia, ma non `e nean- che un semplice vettore (come lo `e ad esempio la benzina). Esso permette il recupero di energia altrimenti dispersa o non utilizzabile e pu`o essere considerato una vera e propria fonte di energia primaria e rinnovabile come tutti i sistemi che permettono il recupero e il risparmio energetico. Il valore attuale commerciale minimo dell’idrogeno `e di 0,13 euro/Nm 3 (12 euro/GJ) e un costo massimo di 3,6 euro/Nm 3 (280 euro/GJ) (puro al 99,9999%).

Tutte le fonti energetiche rinnovabili possono essere immagazzinate sottoforma di idro- geno, con efficienze variabili a seconda delle tecnologie: l’energia eolica, idroelettrica e geotermoelettrica possono essere trasformate in idrogeno con una efficienza del 70%

circa, le biomasse possono dare idrogeno con efficienze simili a quelle ottenibili per la

produzione di energia elettrica o carburanti dalle stesse (circa 25÷30%). Attualmente ot-

tenere idrogeno dall’energia solare meno conveniente rispetto agli altri sistemi, ma sono

in fase sperimentale diverse tecnologie abbastanza promettenti: alcune ricerche stanno

portando avanti progetti di termolisi-catalitica che ha l’obiettivo di ottenere idrogeno

con un’efficienza superiore al 40% dell’energia solare captata. Altra tecnologie, in fase di

ricerca e sviluppo, sono basate sulle reazioni fotoelettrochimiche, con le quali due celle

solari catturano la luce del sole da ogni porzione dello spettro ultravioletto.

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Figura 2.5: Schema di sistemi di produzione di idrogeno da fonti energetiche rinnovabili

Linterazione dei fotoni con un materiale semiconduttore innesca la reazione che eccita gli elettroni e scinde le molecole di acqua in idrogeno e ossigeno; attualmente l’efficienza dell’8% ma si ritengono possibili efficenze superiori e una soglia di convenienza ad una efficienza del 10%.

E’ importante trovare validi sistemi di accumulo di idrogeno in quanto ci permettereb- be di utilizzare le enormi risorse rinnovabili che spesso possono essere coltivate in aree remote, quali le aree limitrofe ai deserti (sistemi solari), le pianure siberiane (enorme po- tenziale eolico) e gli acquiferi geotermici dell’Alaska e dell’ Islanda. L’idrogeno pu essere trasformato in loco per la produzione di composti chimici di largo impiego nell’industria chimica (ammoniaca, metanolo, ecc...).

2.4.1 Produzione

Per produrre idrogeno si possono percorrere due strade:

• estrarre l’elemento idrogeno H dai combustibili fossili tramite il processo di refor- ming. Per esempio il gas naturale e il carbone posti in un catalizzatore ad alte temperature scindono gli atomi di idrogeno da quelli di carbonio. E’ un processo fattibile gi`a nell’immediato, ma ha come handicap la produzione di emissioni di scarto inquinanti (CO 2 );

• tramite il processo dell’elettrolisi. L’energia elettrica in una massa d’acqua divi-

de gli atomi di idrogeno da quelli di ossigeno. L’operazione richiede una grande

quantit`a di energia elettrica e non `e ancora stata utilizzata su scala industriale in

quanto implica costi di produzione molto elevati. Rispetto al reforming ha il pregio

di non essere inquinante. Per questo motivo molti paesi stanno riconsiderando nel

lungo periodo l’uso del nucleare o delle energie rinnovabili (eolico, solare, biomasse,

idrico ecc...) per produrre idrogeno.

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La produzione mondiale annua di idrogeno `e di circa 500 miliardi di Nm 3 , equivalenti a 44 milioni di tonnellate, ottenuti per il 90% dal processo chimico di reforming degli idrocarburi leggeri (principalmente il metano) e dal cracking di idrocarburi pi`u pesanti (petrolio) e per il 7% dalla gassificazione del carbone. Solo il 3% dell’attuale produzione

`e ottenuta per elettrolisi. L’idrogeno prodotto viene impiegato nel 95% dei casi nell’in- dustria chimica, che con esso produce ammoniaca, alcool metilico (metanolo) e prodotti petroliferi; il rimanente 5% viene utilizzato dall’industria metallurgica per il trattamento dei metalli.

Vediamo di seguito i vari processi esistenti e in fase di ricerca e sviluppo per la produzione dell’idrogeno.

Steam reforming del gas metano SMR

E’ un processo sviluppato ed altamente commercializzato; vi si produce circa il 48%

dell’idrogeno mondiale. Pu`o essere applicato anche ad altri idrocarburi come l’etano e la nafta, ma non ad idrocarburi pesanti, perch´e potrebbero contenere impurit`a. La formula chimica che regola il processo `e la seguente:

12 · CH 4 + 5 · H 2 O + 5 · O 2 → 29 · H 2 + 9 · CO + 3 · CO 2

La reazione tra metano e vapore d’acqua avviene in presenza di catalizzatori. Tale processo richiede una temperatura operativa di circa 800 C ed una pressione di 2,5 MPa. La prima fase `e descritta dalla reazione chimica soprastante e consiste nella decomposizione del metano in idrogeno e monossido di carbonio, altamente nocivo. Nella seconda fase, chiamata shift reaction, il monossido di carbonio e l’acqua si trasformano in biossido di carbonio ed idrogeno:

CO + H 2 O → CO 2 + H 2

Il contenuto energetico dell’idrogeno ottenuto `e molto pi`u alto del metano utilizzato in partenza; ovviamente l’energia spesa per il processo fa scendere il rendimento del processo a circa il 65%. Il prezzo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale del- l’idrogeno. Questa tecnologia `e ampiamente sperimentata nella produzione combinata di idrogeno, vapore ed energia elettrica tramite un sistema integrato di produzione; in que- sto modo si hanno risparmi a livello di progettazione, sui costi operativi e sull’incidenza dei costi fissi all’aumentare della produzione. I costi complessivi sono notevolmente in- feriori a quelli dell’elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie inoltre il suo impatto ambientale `e ridottissimo.

Sorbition Enhanced Reforming SER

SER `e la denominazione data al nuovo processo che ha l’obiettivo, sempre in fase di

ricerca, di migliorare il tradizionale processo SMR. Questo processo implica la produzione

di idrogeno a temperatura particolarmente bassa e l’abbinamento di un processo di

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rimozione selettiva dell’anidride carbonica rilasciata durante la fase di reforming. Si ottengono, senza sistemi di purificazione, flussi puri e separati di idrogeno e CO 2 . Le prospettive di impiego di questo nuovo processo sono alte dati i ridotti costi operativi e il contributo che pu`o dare alla riduzione della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera.

Gassificazione del carbone

Consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una sostanza liquida o gassosa che ha l’obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano. Tale processo prevede il trattamento del carbone con vapore acqueo:

C + H 2 O → CO + H 2

La reazione `e endotermica, ossia richiede calore per compiersi; il calore viene fornito mi- scelando al vapore acqueo una frazione di ossigeno in modo che avvenga contestualmente anche la seguente reazione esotermica (che genera calore):

C + O 2 → CO 2

L’ossido di carbonio prodotto nel primo stadio viene successivamente trattato con altro vapore acqueo a 500 C su catalizzatore a base di ossidi di ferro e di cromo.

CO + H 2 O → CO 2 + H 2

La miscela gassosa ottenuta viene quindi purificata per distillazione frazionata.

La produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone `e una tecnologia che trova numerose applicazioni commerciali, ma `e competitiva con la tecnologia SMR solo dove il costo del gas naturale `e molto elevato.

Vengono utilizzati principalmente tre metodi di gassificazione. Tutti impiegano vapore ed ossigeno o aria, per ossidare parzialmente il carbone ed ottenere come risultato del gas:

fixed-bed (letto fisso) producono un gas contenente prodotti devolatilizzati come me- tano, etano ed un flusso di idrocarburi liquidi contenente nafta, catrame, oli e fenolici a basse temperature (425÷650 C);

entrained-bed (letto trascinato) producono gas ad alta temperatura (> 1.260 C) che elimina i prodotti devolatilizzati dal flusso di gas e dagli idrocarburi liquidi.

Questo metodo consente di ottenere un prodotto composto quasi interamente da

idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. In questo metodo la ripu-

litura dei gassificatori comporta una serie di operazioni in base alla diversa natura

dei residui con una perdita di efficienza, affidabilit`a ed un aumento rilevante dei

costi di questi sistemi;

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fluidized-bed (letto fluidificato) producono prodotti intermedi fra quelli prodotti dai letti fissi e letti trascinati ed agiscono a temperature medie (925÷1.040 C).

Il processo di gassificazione produce sostanze inquinanti come ceneri, ossidi di zolfo e ossidi di azoto che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto.

Le impurit`a vengono separate tramite due sistemi differenti: i sistemi a caldo (in fase di sviluppo) e i sistemi a freddo (commerciali da diversi anni).

In generale, nella gassificazione del carbone, durante la ripartizione dei costi, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo dell’idrogeno prodotto. Altri costi da sostenere sono il costo del capitale, manutenzione dell’impianto e smaltimento dei rifiuti solidi; tutto ci`o contribuisce a rendere i costi leggermente pi`u elevati rispetto alle altre tecnologie, non includendo l’elettrolisi, ed allo stato attuale non `e possibile rea- lizzare economie di scala. Da notare per`o che la presenza di numerose riserve di carbone in diverse parti del mondo fa del carbone il possibile sostituto del gas naturale ed oli come materia prima per la produzione di idrogeno.

Cracking

Il processo tradizionale di cracking dei combustibili fossili sta subendo delle notevoli innovazioni. Le nuove tecnologie di decomposizione termocatalitica degli idrocarburi, in assenza di aria o ossigeno, eviteranno di sostenere costi per la purificazione dell’idrogeno prodotto tramite l’eliminazione della produzione degli ossidi di carbonio. Ci`o avverr`a tramite l’identificazione e la modificazione di opportuni catalizzatori a base di carbonio e la successiva ottimizzazione del processo di produzione tramite l’impiego di combustibili liquidi o gassosi. L’obiettivo primario `e, inizialmente, quello di aumentare il contenuto di idrogeno a pi`u dell’85% e di ridurre notevolmente le emissioni di gas inquinanti.

Ossidazione parziale

L’idrogeno pu`o essere ottenuto dall’ossidazione parziale non catalitica, ad una tempera- tura che varia tra 1.300÷1.500 C, di idrocarburi pesanti, come la nafta. Questa tecno- logia pu`o utilizzare qualsiasi idrocarburo che possa essere compresso. L’efficienza com- plessiva del processo (50%) `e minore di quella ottenuta dalla tecnologia SMR (65÷75%) ed `e necessario ossigeno puro dato che se si utilizza l’ossigeno contenuto nell’atmosfera, e quindi mescolato con una grande quantit`a di azoto, l’idrogeno ottenuto risulta forte- mente contaminato dall’azoto. Anche se si utilizza il metano, l’efficienza del processo raggiunge il 70% di quella dello steam reforming. I reformer per l’ossidazione parziale utilizzano in genere solo combustibili liquidi.

I costi per la produzione di idrogeno tramite combustibili pesanti sono sensibilmente

pi`u alti, per stesse quantit`a di materia impiegata, di quelli relativi all’utilizzo di gas di

cokeria. Questo `e dovuto alla necessit`a di sostenere il trattamento e la rimozione delle

impurit`a derivanti dal processo. Utilizzando gas di cokeria `e possibile realizzare econo-

mie di scala che si riflettono in una notevole riduzione del prezzo finale dell’idrogeno.

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Simili risultati sono attesi per l’impiego di combustibili pesanti.

Anche se i costi non sono particolarmente elevati rispetto a quelli degli altri processi, bisogna anche considerare i costi aggiuntivi per l’eventuale pulizia degli impianti, a cui conseguirebbe un aumento del prezzo finale dell’idrogeno.

Elettrolisi dell’acqua

L’elettrolisi `e un processo che trasforma energia elettrica in energia chimica. Il suo nome deriva dal greco e significa ”rompere con l’elettricit`a”, dato che nella maggior parte dei casi sottoporre ad elettrolisi una sostanza significa scomporla nei suoi elementi costitu- tivi. Tramite questo processo `e possibile ottenere idrogeno. Fu applicato per la prima volta nel 1839. L’elettrolisi dell’acqua richiede il passaggio di corrente elettrica attra- verso l’acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite il catodo, un elettrodo caricato negativamente, attraversa l’acqua e va via attraverso l’anodo, un elettrodo ca- ricato positivamente. L’idrogeno e l’ossigeno cos`ı separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e verso l’anodo. L’acqua si scinde nei sui costituenti:

2 · H 2 O → 2 · H 2 + O 2 (#G 0 = 473, 38 kJ) 1

L’elettrolisi dell’acqua produce idrogeno ed ossigeno gassosi attraverso le seguenti rea- zioni:

Reazione anodica : 2 · H + O + 2 · e → H 2

Reazione catodica : 2 · OH 1

2 · O 2 + H 2 O + 2 · e

L’elettrolisi `e il metodo pi`u comune per la produzione di idrogeno anche se incontra no- tevoli ostacoli per la quantit`a limitata di idrogeno prodotta e per i costi, ancora troppo elevati, dovuti all’impiego di energia elettrica. Con questa procedura si ottiene idrogeno estremamente puro.

Una soluzione a questo problema `e utilizzare vapore ad alta temperatura (900÷1.000 ).

L’alta temperatura del sistema accelera le reazioni, riduce le perdite d’energia dovute alla polarizzazione degli elettrodi ed accresce l’efficienza complessiva del sistema. Que- sta tecnologia offre l’opportunit`a di ridurre il consumo di elettricit`a al 35% di quella utilizzata dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi e l’elevata efficienza di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali.

Il costo della produzione dell’idrogeno dall’elettrolisi `e il pi`u alto rispetto a qualsiasi altra tecnologia, e lo sar`a probabilmente anche quando le nuove tecnologie saranno operative.

I costi maggiori sono rappresentati dai sistemi fotovoltaici ed eolici i quali, nonostante i miglioramenti tecnologici previsti per i prossimi anni, richiedono e richiederanno ancora costi elevatissimi per al produzione di energia da impiegare nell’elettrolisi.

1

! G

0

`e l’energia libera di Gibbs

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Figura 2.6: Schema del processo dell’elettrolisi dell’acqua

Distillazione secca (o pirolisi)

La distillazione secca, o pirolisi, `e un processo che per mezzo della decomposizione termi- ca, spezza le molecole complesse delle sostanze organiche in elementi semplici, separati.

Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900÷1.000 C in assenza di aria, in opportuni impianti, con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido. L’applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi differenti gas, tra cui l’idrogeno. La composizione dei gas ottenuti dipende dal tipo di materiale, dalla presenza di ossigeno, dalla temperatura della reazione e da altri parametri. La ricerca sull’idrogeno `e incentrata attualmente sui gas dalle biomasse, a medio potere calorifico, da utilizzare principalmente come combustibili. La gassificazione delle biomasse pre- vede l’impiego sia di materiale derivato dai rifiuti solidi urbani sia materiali specifici appositamente coltivati per essere impiegati come fonti d’energia. Gassificatori di bio- masse sono stati sviluppati utilizzando tecnologie di combustione fixed-bed, fluidized-bed ed entrained-bed.

2.4.2 Accumulo

L’accumulo dell’idrogeno `e tra i principali ostacoli alla sua diffusione. A livello teori-

co esistono una decina di accumuli, alcuni prevedono lo stoccaggio di idrogeno puro,

altri prevedono di abbinare le molecole H 2 con altri elementi chimici dai quali essere

ricavato all’occorrenza, altri sistemi ancora prevedono di abbinare H 2 con carbonio o

con biossido di carbonio e di utilizzare tali miscele come carburante. Purtroppo non `e

incentivata la ricerca e lo sviluppo di questi sistemi di accumulo (al pari delle tecniche

per la produzione).

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Gas compresso

E’ il sistema pi`u semplice e pi`u utilizzato. il problema principale `e il grande volume che richiede questo metodo di accumulo, circa tre volte quello del metano che `e gi`a di per se molto voluminoso; a confronto della benzina, l’idrogeno compresso occupa 10 volte pi`u spazio. L’idrogeno viene compresso a circa 20,7 MPa e immagazzinato in cilindri per il gas, a pressione standard, o in contenitori sferici per quantit`a superiori a 15.000 Nm 3 . In generale l’accumulo sotto forma di gas compresso, in tubi ad alta pressione, `e generalmente limitato a sistemi inferiori ai 14.000 Nm 3 o ancora minori, a casua del loro costo elevato.

L’idrogeno pu`o anche essere accumulato in impianti sotterranei; questo metodo `e con- veniente per il trattamento di grossi quantitativi o per lunghi periodi. Attualmente esistono numerosi impianti di accumulo sotterraneo. In una citt`a della Germania si uti- lizza questo tipo di struttura sin dal 1971, per l’accumulo del gas di citt`a, costituito per il 60÷65% da idrogeno. Questa metodologia `e pi`u o meno conveniente, in termini di costi, a seconda che si sfruttino strutture preesistenti (miniere saline, pozzi di gas svuotati) o sia necessaria la loro creazione (pozzi artificiali).

La maggior parte dei costi `e, da sostenere per questo tipo di accumulo, sono rappre- sentati dal costo dell’energia impiegata per la compressione e dipendono dalle quantit`a trattate e dal periodo di accumulo.

Idrogeno liquefatto

Tecnologia ben nota e applicata. L’idrogeno diventa liquido a -253 C; si consuma energia per portarlo e mantenerlo a tali temperature. I costi sono alti dovuti alle difficolt`a tecniche. Viene utilizzato il ciclo Joule-Thompson secondo il quale il gas `e compresso a pressione ambiente e quindi raffreddato in uno scambiatore di calore prima di passare attraverso una valvola in cui `e sottoposto al processo di espansione producendo del liquido. Una volta rimosso il liquido, il gas ritorna al compressore tramite lo scambiatore di calore. La maggior parte dei contenitori di idrogeno liquido hanno forma sferica, perch´e quest’ultima ha la pi`u bassa superficie per il trasferimento di calore per unit`a di volume. I contenitori cilindrici sono preferibili invece per la loro facilit`a ed economicit`a di costruzione.

Idruri metalli

Tecnologia interessante, ma che mostra notevoli limiti per l’elevato costo della materia

prima e nel peso dei sistemi. Gli idruri metallici sono dei composti che trattengono

l’idrogeno nello spazio interatomico di un metallo. Gli idruri si formano ed agiscono at-

traverso due fasi: l’assorbimento ed il rilascio dell’idrogeno. L’assorbimento dell’idrogeno

nello spazio interatomico (idrogenazione) `e un processo esotermico che richiede raffred-

damento mentre la sottrazione di idrogeno (deidrogenazione) `e un processo endotermico

che richiede calore. Si alza inizialmente la pressione dell’idrogeno che quindi si dissolve

nel metallo e comincia a legarsi con esso. La dispersione di calore durante la forma-

zione dell’idruro deve essere continuamente rimossa per evitare che l’idruro si infiammi.

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Con la deidrogenazione invece, si spezza il legame formatosi tra il metallo e l’idrogeno e la pressione operativa aumenta all’aumentare della temperatura. Si opera a pressione elevata e viene rilasciato idrogeno puro quindi in seguito alla rottura del legame con il metallo la pressione si stabilizza fino a ridursi drasticamente quando nell’idruro residua circa il 10% dell’idrogeno; tale percentuale di gas `e molto difficile da rimuovere essendo quella pi`u saldamente legata al metallo e quindi spesso non pu`o essere recuperata nel normale ciclo di carico e scarico.

Queste tecnologie sono considerate sicure. Gli svantaggi sono la pesantezza dei sistemi e i costi generalmente elevati che non consentono ancora la realizzazione di sistemi di immagazzinaggio ad idruri di metallo funzionanti commercialmente su larga scala.

I costi operativi includono quelli relativi alle operazioni di raffreddamento per l’idro- genazione e riscaldamento per la deidrogenazione. Il calore richiesto dipende dal tipo di metallo e dalle sue applicazioni. E’ utile notare come per`o integrando il sistema ad idruri con celle a combustibile si abbiano dei vantaggi: la quantit`a di calore necessaria pu`o essere fornita dal carico di raffreddamento della cella ed avere in questo modo un costo insignificante. Cos`ı idruri a bassa temperatura si possono abbinare con celle PEM (Polymer Electrolyte Membrane) a 80 C, mentre idruri ad alta temperatura con celle tipo SOFC (Solid Oxide Fuel Cell) e MCFC (Molten Carbonate Fuel Cell) che operano rispettivamente a 1.000 e 650 C.

Il costo totale di questi sistemi `e influenzato fortemente dal costo dell’idruro di metallo e sono ulteriormente penalizzati dall’assenza di economie di scala.

Idruri chimici

Tecnologia promettente con continue evoluzioni utilizzata principalmente per periodi di stoccaggio stagionali. In pratica l’idrogeno viene imprigionato nei legami chimici di varie molecole inorganiche. L’uso di sistemi chimici `e vantaggioso, perch´e le infrastrutture di trasporto ed immagazzinaggio sono gi`a esistenti; la tecnologia `e sfruttabile commercial- mente e l’idrogeno liquido `e facilmente maneggiabile. Questo metodo pu`o essere essere utile per Paesi, come il Canada, che hanno un surplus di energia idroelettrica durante l’estate ed una carenza durante i mesi invernali. Il Giappone inoltre, sta program- mando la produzione di idrogeno in Canada, sfruttando appunto l’energia idroelettrica per l’elettrolisi, per poi importarlo e rigenerarlo per la produzione di elettricit`a. Per l’importazione tramite idruri chimici sono state proposte numerose sostanze chimiche contenenti idrogeno, tra cui ammoniaca e metanolo la cui elevata tossicit`a pone per`o non pochi problemi.

Sodio Boroidruro NaBH 4

L’idrogeno viene immagazzinato nei legami chimici del Boro e del Sodio, formando un

sale. Una soluzione acquosa composta per met`a da Sodio Boroidruro e met`a di acqua

fornisce idrogeno con un rapporto energetico simile, in volume, alla benzina. Una volta

che l’idrogeno viene estratto dal Sodio Boroidruro rimane del Borace, una sostanza pre-

sente nei detersivi comuni, la quale pu`o essere riciclata nuovamente in Sodio Boroidruro.

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I problemi da superare per questa tecnologia di accumulo sono l’alto costo del Sodio Bo- roidruro (comunque il Borace pu`o essere continuamente riciclato per cui il costo diventa ammortizzabile), la messa a punto di un buon sistema di riciclaggio Sodio Boroidruro- Borace-Sodio Boroidruro, l’ottimizzazione del sistema catalizzatore sia in costi che in rendimento. I problemi sono comunque in gran parte di tipo economico. Questo meto- do risolverebbe alcuni problemi che ostacolano l’impiego di idrogeno quali il sistema di accumulo/trasporto e il sistema di distribuzione/utilizzo, in quanto, a differenza di tutti gli altri sistemi, non `e infiammabile e neanche tossico-nocivo.

Nanotecnologie

Le nanostrutture e nanotubi di carbonio sono quelle pi`u in fase di studio. Sfruttano il fatto che il carbonio, reso radioattivo a temperature criogeniche e pressioni moderate (42÷54 atm), pu`o assorbire reversibilmente idrogeno. Le capacit`a di immagazzinaggio rimangono ancora piccole. Queste tecnologie, allo studio per funzionare anche a tempe- ratura ambiente, sembrano promettenti per un uso su veicoli alimentati ad idrogeno. Le nanostrutture al carbonio potrebbero essere realizzate con costi particolarmente bassi, ma la ricerca `e ancora ai primi passi e non `e possibile effettuare analisi precise.

Microsfere di cristallo

L’idrogeno viene imprigionato in minuscole sfere di vari tipi di cristallo; il carburante cos`ı ottenuto si presenta come una sabbia, alta densit`a di accumulo, peso relativamente basso e costi tra i pi`u promettenti. Le microsfere di cristallo hanno un diametro che varia da 25 a 500 micron ed uno spessore di un solo micron. Le microsfere vengono trattate e trasportate commercialmente sotto forma di polvere fluida. Possono essere utilizzate su grossi basamenti per immagazzinare idrogeno ad alta pressione. E’ stato dimostrato che questo metodo pu`o risultare pratico e conveniente per l’applicazione su veicoli. Sono state anche individuate le microsfere pi`u idonee, per composizione e dimensioni, a tale applicazione; risultano pi`u convenienti degli idruri di metallo. Le microsfere di cristallo hanno la stessa sicurezza degli idruri metalli e non presentano problemi in caso di esposizione all’aria.

Zeoliti

Le zeoliti sono delle rocce che a livello molecolare si comportano come delle spugne.

Si pu`o cos`ı pensare di intrappolare idrogeno al loro interno e riutilizzarlo in un altro momento. E’ possibile aggiungere degli ioni, con carica negativa, all’interno delle zeoliti.

Questi ioni agiscono come dei veri e proprio tappi bloccando i pori presenti nei cristalli di zeolite. Riscaldando leggermente i cristalli gli ioni vengono rimossi dai pori e a questo punto `e possibile riempire i cristalli di zeolite con l’idrogeno. Riportando il sistema alla temperatura ambiente, gli ioni ritornano al loro posto, sigillando all’interno l’idrogeno.

Le zeoliti in natura sono di 50 tipi diversi, ma nessuna riesce a conservare pi`u del 2÷3%

in peso di idrogeno. E’ necessario quindi sviluppare zeoliti artificiali.

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