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Un’altra è una fuga di stanze, con due aperture superiori, da cui riceve luce, ed un grosso pilastro centrale, che ne sorregge la volta e dà al luogo un aspetto solenne

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FRANCESCO CORONA GUIDA DI CAGLIARI

Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1894

Necropoli. - In un’altra collina, sempre al nord-ovest, ma più distante dalla città, sulla nuda roccia, qua e là chiazzata da qualche raro ciuffo d’erbe silvestri, trovasi la necropoli.

E’ il monumento più antico di Cagliari e l’unico che ricordi la dominazione cartaginese.

Dopo la cacciata di costoro, servì per lo stesso uso ai Romani.

Non vi conduce nessuna strada, non la indica alcuna colonna o insegna pur che sia, quantunque, per doveroso culto delle patrie memorie, sia da tenersi in venerazione.

Le tombe sono scavate nel masso a due, tre piani. Alcune sono grandissime e contengono molte celle, forse appartenenti ad una stessa famiglia.

Una di queste è una stanza sotterranea, alta quasi la statura regolare d’un uomo, di forma quadrata con doppi letti mortuari, sovrapposti tre a tre, lungo le due pareti opposte.

Un’altra è una fuga di stanze, con due aperture superiori, da cui riceve luce, ed un grosso pilastro centrale, che ne sorregge la volta e dà al luogo un aspetto solenne. Qui però non vi sono letti, né tombe, il che fa supporre ch’esso sia stato un tempio od un luogo di sosta per i visitatori.

Allorché questi sepolcri furono scavati per la prima volta, or sono venticinque anni, vi si trovarono, fra i pochi resti mortuari, molti vasi lacrimatoi, lampade funerarie, collane, armille, anelli e monete, che ora trovansi al museo, ed iscrizioni coi nomi ed i titoli dei morti.

Alcune di esse provano come il sentimento umanitario, detto poi cristiano, allorché la religione di Cristo fu professata, albergasse già nella coscienza privata e si estrinsecasse solo nelle tombe.

Una dice: Qui legis hunc titulum mortalem te esse memento, che in lingua italiana suona: Tu che leggi quest’epigrafe, ricordati di essere mortale. Ed un’altra: Quid tibi non vis, est, che tradotta significa: Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te, legge divina predicata infruttuosamente sulla terra.

(pp. 13-14).

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