L’ astronomia nel Medioevo
È difficile stabilire i confini temporali del Medioevo.
Generalmente viene suddiviso in Alto (V-X secolo ca) e Basso
Medioevo (X-XIV secolo ca).
La definizione che
preferisco (anche perchè
è semplice da ricordare)
è il periodo compreso fra
la caduta dell’impero
romano d’occidente
(476) e d’oriente (1453).
Il primo personaggio degno di attenzione in questo periodo è Boezio (Ancius Manlius Severinus Boethius) che nacque a Roma intorno al 475 e morì a Pavia intorno al 525. Studiò ad Atene (nell’ Accademia fondata da Platone) quelle che erano considerate le 4 scienze fondamentali del tempo: aritmetica, geometria, astronomia e musica. E’ probabile che ad Atene abbia conosciuto Simplicio (*).
Scrisse 4 opere sulle origine delle 4 scienze di cui sopra (ne sopravvivono solo 2: il De institutione arithmetica e il De institutione musica ), ma il suo desiderio più forte era quello di tradurre e commentare in latino tutte le opere del mondo classico che fosse riuscito ad ottenere.
Tradusse e commentò le Categorie e il de Interpretatione di Aristotele, dello stesso autore tradusse i Topica e commentò i Primi Analitici (traduzione e commento sono andati perduti). Commentò anche i Topica di Cicerone e scrisse altre opere di vario genere.
(*) Filosofo e matematico bizantino nato in Cilicia (cfr la carta) e vissuto fra il 490 e il 560 ca. Noto per
essere stato uno dei più famosi commentatori delle opere di Aristotele e per aver tentato di conciliare la filosofia di Platone con quella di Aristotele. Quando (nel 529) Giustiniano I (imperatore di Bisanzio) fece chiudere l’Accademia di Atene, si recò in Persia
(presso i Sassanidi , cfr. lezione scorsa).
La battaglia fra Teodorico e Odoacre in un particolare del Codice Palatino del XII secolo conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana
Odoacre era il generale (di origini non romane) che nel 476 aveva deposto Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore dell’ impero romano di occidente.
La vita di Boezio si incrociò drammaticamente con quella di Teodorico (re degli Ostrogoti) che nel 493 aveva sconfitto Odoacre (re degli Eruli) ed era divenuto re di Italia (in realtà la guerra fra Teodorico e Odoacre iniziò nel 489 e nel 493 Teodorico fece uccidere Odoacre e la sua corte durante un banchetto che avrebbe dovuto sancire la resa di Odoacre e il termine delle ostilità).
I 2 imperi si erano separati nel 395 quando alla morte di
Teodosio I (che aveva proibito ogni genere di culto pagano decretando di fatto la religione cristiana, religione di stato, anzi d'impero), i 2 figli Onorio e
Arcadio erano divenuti
imperatori dell’impero d’occidente
e di oriente.
Gli Eruli erano barbari originari della Danimarca o del sud della Svezia che avevano compiuto numerose scorrerie nell’ Europa meridionale ed orientali combattendo contro altri barbari e/o alleandosi con loro (per esempio con gli Unni).
Romolo Augustolo si trovava a Ravenna che dal 402 era divenuta la capitale dell’ Impero romano d’occidente (dal 296 al 402 la capitale era stata Milano ).
Gli Ostrogoti erano il ramo più orientale dei Goti (un insieme di tribù barbariche che molto probabilmente provenivano dall’ isola di Gotland e dalla regione del Götaland in Svezia) e che si erano spinti a sud in ondate successive a partire dal 200. I Visigoti erano Goti che si erano
insediati nelle regioni più occidentali dell'Europa.
Ma torniamo a Boezio: la sua fama di studioso insigne giunse fino a
Teodorico che lo chiamò a corte e gli diede il titolo di magister officiorum (una carica istituita intorno al 300 e mantenuta sia in oriente che in
occidente in seguito alla divisione dell'impero).
Era una posizione importante molto vicina a quella dell’imperatore.
Proprio in questo ruolo Boezio si trovò a dover difendere Albino (console romano) accusato (forse ingiustamente) di aver complottato contro
Teodorico (*).
Boezio fu incarcerato a Pavia nel 524 con l’accusa di praticare arti magiche e condannato a morte l’anno successivo. Fu Teodorico a ratificare la condanna.
In carcere Boezio scrisse la sua opera più famosa De consolatione
philosophiae. Si tratta di un dialogo con la Filosofia, andata a trovare in cacere l'autore per consolarlo della sua condizione: l'opera ebbe grande diffusione, soprattutto per le citazioni di Aristotele i cui testi non erano direttamente noti.
(*) Sotto questa storia si cela una vicenda ancor più complicata, Teodorico era di fede ariana e tollerante verso I cattolici, l'imperatore di Bisanzio Giustino I nel 523 aveva emesso un editto contro gli ariani d'oriente obbligandoli all'abiura. Albino era accusato di aver tramato contro Teodorico inviando delle lettere a Giustino I. Nel 526 Teodorico invierà addirittura il papa (Giovanni I) ad incontrare Giustino I.
Deluso per il risultato di questa spedizione rinchiuderà il papa in carcere che morirà
qualche mese dopo.
Il Battistero degli Ariani fatto edificare da
Teodorico a Ravenna
Il Mausoleo di
Teodorico a Ravenna .
I resti mortali di Teodorico furono dispersi dai bizantini quando presero
possesso di Ravenna.
Nel 561 Giustiniano con un editto fece trasformare il
Mausoleo in una chiesa.
Quella che fu
presumibilmente la
tomba di Teodorico
Lo stesso anno 526 morirà anche Teodorico, ma per qualche strano motivo la sua morte sarà considerata misteriosa e oggetto di numerose leggende.
La Thidrekssaga (*) racconta che, visto un bellissimo cervo nelle vicinanze della reggia, il re ordinò di condurgli cavallo e cani. Ma ecco che scorse a poca distanza un cavallo nero mai vista prima, già sellato. Teodorico gli saltò in
groppa e iniziò a cavalcare freneticamente verso l’ignoto, tentando invano di smontare. Il cavallo era il diavolo in persona, che lo aveva rapito.
Nei suoi Dialoghi papa Gregorio Magno (540-604 ca.) riferisce che Teodorico precipitò nel cratere delI’ Etna, spinto dalle sue vittime Boezio, Simmaco (il suocero di Boezio che Teodorico aveva messo a morte) e papa Giovanni I.
A queste due leggende si è ispirato Carducci con la sua poesia La leggenda di Teodorico (Libro VI Rime Nuove 1906)
(*) è una saga cavalleresca che tratta delle vicende di Teodorico ed è stata scritta in Norvegia
nel XIII secolo
Sul castello di Verona
batte il sole a mezzogiorno, da la Chiusa al pian rintrona solitario un suon di corno, mormorando per l’aprico verde il grande Adige va;
ed il re Teodorico
vecchio e triste al bagno sta.
[…]
Il gridar d’un damigello risonò fuor della chiostra:
“Sire, un cervo mai sí bello Non si vide all’età nostra.
Egli ha i pié d’acciaro a smalto, Ha le corna tutte d’òr”.
Fuor de l’acque diede un salto il vegliardo cacciator.
“I miei cani, il mio morello, il mio spiedo” egli chiedea;
e il lenzuol quasi un mantello alle membra si avvolgea.
I donzelli ivano. In tanto il bel cervo disparí,
e d’un tratto al re da canto un corsier nero nitrí.
Nero come un corbo vecchio, e ne gli occhi avea carboni.
era pronto l’apparecchio, ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore e si misero a guair,
e guardarono il signore e nol vollero seguir.
[...]
[...]
Via e via su balzi e grotte va il cavallo al fren ribelle:
ei s’immerge nella notte, ei s’aderge in vèr’ le stelle.
Ecco, il dorso d’Appennino fra le tenebre scompar, e nel pallido mattino
mugghia a basso il tosco mar.
Ecco Lipari, la reggia
di Vulcano ardua che fuma e tra i bòmbiti lampeggia dell’ardor che la consuma:
Quivi giunto il caval nero contro il ciel forte springò annitrendo; e il cavaliero nel cratere inabissò.
ma dal calabro confine
che mai sorge in vetta al monte?
Non è il sole, è un bianco crine;
non è il sole, è un’ampia fronte sanguinosa, in un sorriso
di martirio e di splendor:
di Boezio è il santo viso,
del romano senator.
Dante colloca Boezio nel IV cielo del Paradiso (a partire dalla Terra),
governato dal Sole, fra gli spiriti sapienti ossia coloro che in vita subirono l'influsso del Sole che già nel mito classico era interpretato come simbolo di sapienza e saggezza, mentre nella tradizione cristiana si aggiungeva
l'accostamento con Cristo o con Dio.
Questi beati sono 12 e sono descritti nel Canto X (fra loro Tommaso d'
Aquino che li introduce, il suo maestro Alberto Magno, re Salomone, Isidoro di Siviglia, Beda il venerabile ecc.).
Le anime di questi spiriti sapienti splendono di una luce che supera quella del Sole che però è la luce più forte che conosciamo e quindi non ci sono paragoni possibili per descriverla (versi 28-63)
Le anime si dispongono a cerchio attorno a Dante e a Beatrice, poi, dopo aver compiuto tre giri cantando, si fermano e restano in silenzio. Uno di essi dichiara che tutti sono pronti a soddisfare le richieste di Dante, toccato dalla grazia divina al punto di poter salire vivo al cielo (versi 64-81).
chi ha parlato è il domenicano san Tommaso d’Aquino; con lui sono il suo maestro Alberto Magno e altri dieci spiriti: (versi 82-138)
l
Al termine della loro presentazione, gli spiriti riprendono le loro danze e i canti
con una dolcezza che si può provare soltanto in Paradiso (versi 139-148)
Alcuni estratti dal X Canto del Paradiso (in grassetto riferimenti astronomici)
vedi come da indi si dirama
l’oblico cerchio che i pianeti porta, 15 per sodisfare al mondo che li chiama.
Che se la strada lor non fosse torta, molta virtù nel ciel sarebbe in vano, 18 e quasi ogne potenza qua giù morta;
e se dal dritto (*) più o men lontano fosse ’l partire, assai sarebbe manco 21 e giù e sù de l’ordine mondan o
[...]
Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta 30 e col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte (**) che sù si rammenta congiunto, si girava per le spire
33 in che più tosto ognora s’appresenta;
e io era con lui; ma del salire
non m’accors’io, se non com’uom s’accorge, 36 anzi ’l primo pensier, del suo venire
(*) ne abbiamo discusso in aula vi ricordate? Marco (“colonne d’Ercole”) pensava potesse
essere un riferimento agli epicicli e ai deferenti, invece il “dritto” è l’equatore celeste e con “più o men lontano” si intende un angolo maggiore o minore di quello che l’eclittica fa con l’equatore celeste (23° 30’ ca)
(**) è ancora l’eclittica e il Sole girando attorno alla Terra ogni giorno (da est a ovest) ma
muovendosi anche lungo l’eclittica (da ovest verso est) pare muoversi lungo una spira (grazie
Domizia che mi hai fatto riflettere su questo punto!)
Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, 78 come stelle vicine a’ fermi poli,
i o fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino
96 u’ ben s’impingua se non si vaneggia(*).
Questi che m’è a destra più vicino,
frate e maestro fummi, ed esso Alberto 99 è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
La quinta luce, ch’è tra noi più bella, spira di tal amor, che tutto ’l mondo 111 là giù ne gola di saper novella:
entro v’è l’alta mente u’ sì profondo aver fu messo, che, se ’l vero è vero 114 a veder tanto non surse il secondo.
[vv 76:78] Gli spiriti sapienti fanno 3 giri attorno a Dante e Beatrice .
[vv 94:99] Tommaso d’ Aquino presenta se stesso e il suo maestro Alberto Magno (*) non si inseguono le cose vane
[vv. 109:114] Tommaso d’ Aquino presenta
il quinto spirito saggio: Re Salomone
Or se tu l’occhio de la mente trani di luce in luce dietro a le mie lode, 123 già de l’ottava con sete rimani.
Per vedere ogni ben dentro vi gode l’anima santa che ’l mondo fallace 126 fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ond’ella fu cacciata giace giuso in Cieldauro; ed essa da martiro 129 e da essilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
132 che a considerar fu più che viro
[vv 121:132] L’ottavo spirito sapiente è quello di Severino Boezio il cui corpo
martirizzato giace nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia (Cieldauro).
Sono citati inoltre Isidoro (Vescovo di
Siviglia), Beda (il Venerabile) e Riccardo di San Vittore (teologo e filosofo francese del XII secolo. Nato in Scozia fu priore
dell’abbazia benedettina di San Vittore a
Parigi),
La basilica di san Pietro in Ciel d’ Oro merita un piccolo approfondimento, cominciando dal nome che le fu attribuito per il soffitto d’oro.
Costruita nell’ VIII secolo per decisione di Liutprando (re Longobardo e d’Italia fra il 712 e il 744) che voleva vi fossero custodite le spoglie di Sant’ Agostino che si trovavano a Cagliari ove le aveva portate nel 504 (da Ippona nell’ attuale Algeria) Fulgenzio, Vescovo di Ruspe, che era stato esiliato assieme ad altri vescovi del Nord Africa da Trasimondo re dei Vandali.
Liutprando voleva mettere questa reliquia al sicuro da possibili incursioni degli arabi.
La Basilica fu edificata nel luogo in cui era stato sepolto Severino Boezio.
Accanto ad essa sorse anche un monastero di monaci colombaniani (ordine fondato da San Colombano monaco nato in Irlanda nel 542 e morto a Bobbio (provincia di Piacenza) nel 615.
L’abbazia di San Colombano (fondata dal santo nel 614 a Bobbio) fu un importante centro
monastico fra il VII e il XII secolo (una sorta di Montecassino dell’ Italia settentrionale). L’ordine colombaniano fu sciolto nel 1448 da papa Niccolò V (che ci ha privato, da più di 600 anni, della gioia di vedere monaci con una tunica
bianca con effigiato il Sole).
Nel monastero colombaniano adiacente la Basilica di san Pietro in Ciel d’
Oro studiò anche Paolo Diacono (longobardo nato a Cividale del Friuli nel 729 e morto a Montecassino nel 799) noto per aver scritto la Historia
Longobardorum.
La Basilica di San Pietro in Ciel d’ Oro venne ricostruita intorno al 1000 in stile romanico. Poco resta della chiesa originale longobarda.
Nel 1796 Napoleone fece trasformare in stalla la basilica e destinò ad
alloggio per i suoi soldati i conventi ad essa adiacenti. A seguito di questa
devastazione la cripta venne totalmente ricostruita a fine ottocento. Al suo
interno si trovano le spoglie di Severino Boezio.
Le spoglie di Sant’ Agostino si trovano
dietro l’altare maggiore all’
interno di un’
arca risalente al 1300.
Il soffitto
recente (1900) è dipinto ad imitazione dell’originale.
Durante i lavori (nel 1895) sono
state identificate (nel basamento
di una colonna) anche le spoglie
di Liutprando.
Isidoro di Siviglia (Cartagine 560, Siviglia 636 ca) vescovo a Sivilglia teologo e scrittore nella sua opera Etimologiae (un trattato enciclopedico) afferma che la Terra è rotonda
Copia in arabo (IX secolo) della rappresentazione grafica del mondo conosciuto tratta dalle Etimologiae di Isidoro (nota come diagramma T-O). Sopra la T si trova l' Asia a sinistra della linea verticale della T l' Europa japetica (da Jafet figlio di Noe) a destra della verticale l' Africa camitica (da Cam figlio di Noe).
Statua di San Isidoro (di
Siviglia) a Madrid
La prima versione a stampa (1472) dell' Etimologiae
La mappa potrebbe lasciare qualche dubbio sul fatto che
Isidoro considerasse la terra una sfera (rotondo può essere anche un disco) se non fosse che in un altra sua opera De natura rerum egli afferma chiaramente che la Terra è sferica.
Le carte T-O sono generalmente
orientate con l' Est in alto e centrate in Gerusalemme. Il Paradiso si trova in alto sopra Gerusalemme e le
colonne d' Ercole si trovano a Ovest
opposte al Paradiso.
Beda (*) il Venerabile monaco benedettino inglese ( 672-735 c.a.) noto per aver diviso gli anni in due evi (prima e dopo Cristo).
Nel suo trattato, De temporum ratione, scrisse che la Terra era rotonda e del resto non senza ragione era chiamata 'il globo del mondo' nelle pagine della Sacra Scrittura e della letteratura ordinaria.
La Terra era dunque una sfera collocata al centro di tutto l'universo.
Il De temporum ratione venne copiato diffusamente e pertanto la maggior parte dei sacerdoti era istruita alla “rotondità della Terra”
Beda scrisse "Chiamiamo la terra un globo, non come se la forma di una sfera possa esprimere diversità da pianure e montagne, ma perché se tutte le cose sono racchiuse in un contorno, allora la circonferenza della terra raffigurerà un globo perfetto... In verità si tratta di una sfera posta al centro dell'universo; nella sua ampiezza è come un cerchio, e non circolare come uno scudo, ma piuttosto come una palla, e si estende dal suo centro con perfetta rotondità su tutti i lati "
(*) nella lingua sassone significa uomo che prega.
Come si vede dalla carta (a destra) il termine Andalusia era utilizzato per indicare la
totalità dei territori della penisola iberica sotto il dominio arabo. (Ora Andalusia è la regione più meridionale della Spagna ). Il termine deriverebbe dall'arabo al-Andalus con cui gli arabi indicavano i loro territori in Spagna.
Gerberto di Aurillac che diverrà papa Silvestro II (il primo papa francese della storia) nacque ad Aurillac (nella Francia meridionale) fra il 940 e il 950 e morì a Roma nel 1003. Monaco benedettino fu mandato a studiare a
Barcellona ove entrò in contatto con la cultura islamica e ne acquisì le vaste
conoscenze matematiche e astronomiche.
Gerberto costruì anche una serie di strumenti ingegnosi fra cui una sirena funzionante a vapore d'acqua e diversi strumenti musicali e astronomici che utilizzò a scopo didattico quando insegnava nella scuola cattedrale di Reims (ove peraltro impartiva anche lezioni aventi come oggetto autori che di solito erano ignorati Virgilio, Orazio, Giovenale... )
Costruì anche un complesso sistema di sfere celesti che utilizzava per far calcolare ai suoi allievi le distanze fra I pianeti.
Molte sue lettere inviate ai monasteri benedettini d'Europa manifestano il suo interesse per le opere arabe di Astronomia (ne richiedeva la traduzione)
Sempre a Reims fece costruire un organo idraulico (in questa tecnica
eccellevano gli arabi che avevano ereditato questo tipo di conoscenza dai greci).
Gerberto contribuì agli studi sull astrolabio e reintrodusse in Europa l'abaco che aveva imparato ad usare dagli arabi. Su questo strumento scrisse 2
opere: Regula de abaco computi e liber abaci.
L’abaco (o abbaco) è un antico strumento utilizzato per fare delle operazioni.
Fu usato in Cina, Mesopotamia, Egitto e successivamente dai Greci e dai Romani. La parola deriva dal latino, che deriva dal greco che deriva da una parola ebraica che significa “polvere”.
Gli abachi più antichi erano costituiti da una tavoletta d’argilla su cui veniva stesa della polvere che serviva per tracciare forme (geometria) o simboli (operazioni matematiche).
Gli abachi più evoluti erano costituiti da colonne o fessure in cui i numeri
erano rappresentati sotto forma di palline, sassolini, bottoni ecc e
collocati in posizioni che consentissero di rappresentarli in forma corretta
(posizionale) e di fare delle operazioni.
Nella figura, ad esempio, è
rappresentato il numero 456789.
Se le palline sono 10 per colonna l’abaco rappresenta la numerazione araba/indiana (lo zero si può
rappresentare come assenza di palline).
Santa Ildegarda di Bindgen benedettina tedesca (1098 - 1172)
Nel liber divinorum operum descrive la terra come una sfera e l'uomo come parte di un microcosmo associato al macrocosmo di Dio (come si vede dall'illustrazione riportata accanto
appartenente ad una copia dell'opera del
XIII secolo conservata nella biblioteca
statale di Lucca). Ma Ildegarda si spinge
oltre: nella sua visione della creazione
l'uomo rappresenta idealmente Dio e la
donna quella di Gesù condividendo con
egli le caratteristiche di (misericordia,
carità ecc).
Giovanni Sacrobosco (detto anche Joannes de Sacrobosco o John of Holywood) matematico, astronomo e astrologo nato nel 1195 (in Inghilterra probabilmente) e morto a Parigi, dove insegnava all’ Università, nel 1256.
Edizione a
stampa (1550)
del Liber de
sphaera
Il Liber de sphaera era Il manuale di astronomia più diffuso nelle università medievali.
In esso Sacrobosco, rifacendosi a Tolomeo e a al-Farghani, introdusse a teoria degli epicicli e dei deferenti per giustificare i moti planetari ed impartì gli
insegnamenti di base di geometria ed astronomia.
Illustrò anche diverse prove a sostegno della sfericità della Terra e degli altri corpi celesti. Oltre all'ombra sempre tonda proiettata dai corpi celesti (come si può
facilmente osservare nelle eclissi di Luna o di Sole), è la forma curva della superficie dei mari e delle terre emerse a fornire una prova convincente e verificabile.
A tale proposito Sacrobosco riprese una dimostrazione conosciuta fin dai tempi di Plinio il Vecchio, in cui si mostrava come un osservatore in piedi sul ponte di una nave perda di vista la terraferma prima di un altro osservatore posto in cima all'albero maestro e come viceversa, una nave che si allontana dalla riva sia persa di vista prima da un osservatore sulla spiaggia che non da uno in cima alla torre di un castello.
Un' illustrazione del Liber
de Sphaera che mostra
una delle prove della
sfericità della Terra.
la Terra per Dante non è piatta ed egli assieme Virgilio ne attraversa il centro ove si trova conficcato
Lucifero.
I due “risalgono” verso gli antipodi dove si trova il Purgatorio, luogo in cui dice Virgilio è giorno quando nell’altro emisfero è notte.
In questo viaggio Dante risolve
anche il dilemma degli antipodi. La Terra per non toccare Lucifero
quando cadde dal cielo si nascose sotto il mare e finì per sporgere nell’altro emisfero.
La terra e l' universo di Dante
La terra di Dante è una sfera ma chi si azzarda ad andare verso gli antipodi precipita come accadde ad Ulisse (Inferno, XXVI Canto)
112 O frati," dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia
115 d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
118 Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”
121 Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
124 e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
127 Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
130 Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, 133 quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
136 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
139 Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
142 infin che ’l mar fu sovra noi richiuso..
Tantissimi sono I riferimenti astronomici della Divina Commedia particolarmente nel Paradiso. Ne citerò solo alcuni.
Nel II Canto del Paradiso ai versi 49-51 Dante rivolge a Beatrice questa domanda relativa alla presenza di macchie sulla Luna
Ma ditemi: che son li segni bui
di questo corpo, che là giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?
Molto interessante dal punto di vista astronomico il dialogo che si instaura a
questo proposito fra Dante e Beatrice.
la sfera più tarda (lenta) è quella della Luna che resta indietro di circa 13° ogni giorno rispetto alle stelle, e per questo sorge con circa un’ora di ritardo ogni giorno.
Nel III Canto del Paradiso Dante sale al primo cielo (quello della Luna) ove si trovano coloro che hanno il grado più basso di
beatitudine, perché indotti o forzati in vita a non rispettare il
proprio voto, come nel caso di Piccarda Donati, giovane che fu rapita dal convento dal fratello Corso che la fece sposare con un guelfo nero.
49 ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda.
Nel Canto V del Paradiso ai versi 127-129 troviamo il riferimento alla sfera di Mercurio
ma non so chi tu se', né perché aggi, anima degna (*), il grado della spera che si vela ai mortal con altrui raggi...
(*) l’anima degna è quella dell’ imperatore Giustiniano….