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RIFLESSIONI GIURIDICHE IN TERRA TOSCANA RISORSE DELLA COLLETTIVITÀ I L SISTEMA RISARCITORIO TRA TUTELA DEL BENE PERSONALE E

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I

L SISTEMA RISARCITORIO TRA TUTELA DEL BENE PERSONALE E RISORSE DELLA COLLETTIVITÀ

RIFLESSIONI GIURIDICHE IN TERRA TOSCANA

Dr. Vittorio Verdone

Innanzi tutto ringrazio gli organizzatori del Convegno per la formula adottata per queste “Riflessioni giuridiche”.

Ognuno, infatti, ha potuto esprimere liberamente il proprio pensiero al di là degli schemi derivanti dall’appartenenza a scuole di pensiero diverse e comunque sempre nel tentativo – questo occorre darlo per scontato – di giungere a maggiori certezze in una materia così tribolata, come quella del danno alla persona.

Personalmente, trattandosi di un incontro a “tema libero”, avrei voluto, come rappresentante dell’ANIA, riferire il punto di vista degli assicuratori non solo con riferimento agli aspetti giuridico-legislativi, ma anche rispetto all’altra faccia della medaglia, vale a dire ai profili economici della materia.

Poiché per l’assicuratore, ma non solo per l’assicuratore, tutto alla fine si traduce necessariamente in aspetto economico.

Visto, peraltro, che le “riflessioni” mi sembrano prevalentemente concentrate su di un tema in particolare, anche io vorrei esprimere qualche considerazione sul ricorrente problema dell’inquadramento delle voci di danno all’interno della macro-figura del danno alla persona.

Dato il brevissimo tempo a disposizione, rinvio alla parte finale alcuni riferimenti di quadro economico ed in via sintetica esprimo la mia riflessione sui temi in discussione.

Non v’è dubbio che - al di là delle possibili diverse terminologie e oltre le

“vexata questio” circa la patrimonialità o meno del danno alla salute - il danno alla persona può essere scomposto nel: a) danno biologico o alla salute (sempre presente); b) danno patrimoniale in senso stretto (danno emergente e lucro cessante, eventuali); c) danno non patrimoniale (danno morale, anch’esso eventuale e malauguratamente subordinato alla sussistenza di contenuti o riferimenti penalistici nella fattispecie dell’illecito civile consumato).

Dirigente Ania, Roma

1 Tagete n. 1-2002

Ed. Acomep

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Ferma restando le centralità del danno alla salute (per l’indiscusso e sicuro riferimento alla garanzia costituzionale che la tutela) e considerate del tutto opinabili le tesi “probabilistiche” che condurrebbero a stravolgere la certezza cui è improntato il risarcimento del danno patrimoniale futuro, mi sembra che il problema dei problemi sia attualmente quello di ridisegnare la figura del danno non patrimoniale.

A questo fine, non credo che sia necessario scomodare l’etica o la sociologia per convenire sulla necessità di superare il “catafalco” dell’art.

2059 c.c. e “liberare” il danno non patrimoniale dalla sua prigione, vale a dire dalla sua riferibilità (e quindi risarcibilità) ai casi determinati dalla legge.

A dir la verità, una soluzione si era in qualche modo annunciata attraverso il disegno di legge governativo, presentato nella precedente legislatura (n.

4093) e oramai decaduto, con il quale si intendeva procedere ad una riforma organica della materia del danno alla persona.

La soluzione consisteva, innanzi tutto, nel disancoramento della risarcibilità del danno morale dalle ipotesi di illecito civile penalisticamente rilevante, ed in secondo luogo, nella sua configurabilità di danno risarcibile in funzione della gravità della lesione, vale a dire, dell’”offesa” subita.

Ritengo che attraverso un intervento di questo tipo – assieme alla specifica previsione della risarcibilità del danno morale dei congiunti della vittima dell’illecito – si riuscirebbe a garantire il ristoro di tutte le possibili manifestazioni di dolore, disagio psicologico e sofferenza, che non risultino allocabili nella voce del danno alla salute.

Si riuscirebbe, in sostanza, a chiudere il cerchio, fornendo al contempo un quadro giuridico di riferimento chiaro, che risulterebbe funzionale alle imprescindibili esigenze di certezza che dovrebbero sovrintendere all’attività di tutti gli operatori della materia, siano essi assicuratori, magistrati o avvocati.

Negli interventi precedenti si è parlato molto e diffusamente del danno esistenziale.

Lo scarso tempo a disposizione, ma soprattutto la circostanza che il confronto con gli accademici, cultori della materia, non si svolgerebbe ad armi pari, così come viceversa non potrebbe svolgersi ad armi pari un confronto in materia di tecnica assicurativa, mi inducono a non entrare nel merito di tutte le interessanti considerazioni ascoltate oggi.

Mi limito, pertanto, ad una sola osservazione: se il problema è quello di conferire una tutela risarcitoria a tutte le ipotesi di lesione di diritti fondamentali assistiti da garanzia costituzionale, che mi sembra il punto di forza della teoria del danno esistenziale, occorrerebbe, a mio avviso,

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verificare con attenzione quali siano effettivamente i diritti riconducibili ad una tutela di rango costituzionale, che attualmente risultassero ignorati dalla giurisprudenza prevalente.

Considerato, infatti, che nel danno alla salute sono notoriamente confluite anche le componenti “relazionali” del vivere quotidiano e che, a titolo di danno morale, ad onta dell’attuale testo dell’art. 2059 c.c., vengono già risarcite le varie tipologie di sofferenza, malessere, dolore fisico e psichico diretto e riflesso che non costituiscano “patologia”, il problema mi sembra essere più di natura “descrittiva” che non, scusate il gioco di parole,

“esistenziale”.

Il rischio, come al solito, è che, pur animati dalle migliori intenzioni di garantire l’integrale ristoro del bene-persona violato, si proceda all’ennesima moltiplicazione delle voci di danno, mascherandole in distinti riferimenti alle varie garanzie costituzionali ed operando di fatto delle duplicazioni.

Poco fa mi veniva in mente un possibile scenario.

Si pensi alla situazione di un signore anziano, che quotidianamente si ritrova con i suoi amici a chiacchierare seduto su una panchina del parco rionale. Il signore, sfortunatamente, subisce un danno fisico che, per le sue conseguenze, gli impedisce di recarsi all’appuntamento quotidiano con i suoi amici.

Ovviamente il signore, a parte il danno patrimoniale e il danno morale, ha diritto di veder ristorato il danno sia nelle componenti anatomo-funzionali sia, in quanto provato, negli aspetti relazionali.

In sostanza, il signore verrà risarcito per questi profili a titolo di danno alla salute, secondo i canoni oramai costanti individuati dalla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito prevalenti.

Allora mi domando: dobbiamo temere che, prima o poi, facendo leva sul disposto dell’art. 17 della Costituzione, che come è noto garantisce la libertà di riunione dei cittadini anche all’aperto, si possa sostenere che la menomazione che impedisca ad un cittadino di riunirsi all’aperto integri un danno autonomo che vada risarcito “ex se”, nonostante abbia già ricevuto una tutela integrale a doppio titolo di danno alla salute e di danno morale?

E che dire degli elementi probatori che devono essere considerati per accertare un danno di tipo affettivo, considerato che le stesse scienze umane che da vari punti di vista si occupano della sfera degli affetti spesso individuano, ad esempio, proprio nella famiglia il crocevia di contrasti e malesseri, magari latenti, che inducono a considerare le relazioni affettive da varie angolature, rispetto alle quali le presunzioni non possono considerarsi risolutive.

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Da ultimo, rappresento, questa volta da semplice cittadino, una preoccupazione. Mi sembra che questa ricerca spasmodica della

“massimizzazione” della tutela dei danneggiati secondo logiche di estremo rigore punitivo nei confronti del responsabile sia francamente non solo eccessiva in termini riparativo-sanzionatori, ma anche produttiva di effetti paradossali.

Poiché non sempre alle spalle del responsabile di un illecito vi sarà un assicuratore a sostenerlo con la sua forza finanziaria, mi domando dove potrà mai reperire, ad esempio, il pensionato ciclista che abbia causato un danno grave ad una persona le risorse necessarie per far fronte ad una serie infinita di voci di danno, che nel momento in cui il poverino era uscito di casa non aveva minimamente potuto prevedere con tutta la diligenza del caso. Da cui, anche per il cittadino e non solo per il suo assicuratore, il problema della certezza e prevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni od omissioni.

Signori, come anticipato, non posso non concludere il mio breve intervento con qualche accenno alle dimensioni economiche della tutela assicurativa nel campo che assorbe la stragrande maggioranza delle lesioni fisiche, vale a dire, l’assicurazione r.c.auto.

Il fenomeno è stato più volte rappresentato.

Una frequenza di sinistri con danni alla persona del tutto anomala rispetto all’Europa. Oramai la frequenza si attesta intorno al 20%, contro una media europea del 10%. Il dato si commenta da solo. Lo lascio alle riflessioni di tutti, magistrati, avvocati, professori, medici legali e, ovviamente, assicuratori.

Non entro nel merito dei 500 mila colpi di frusta all’anno, che comportano risarcimenti per quasi 5.000 miliardi di lire all’anno.

La questione è ben nota.

Ricordo che nel 2000 le compagnie hanno impegnato risorse per il risarcimento dei danni alle persone pari a oltre 14.000 miliardi di lire.

E’ troppo? E’ poco? Non è questo il punto.

La questione è essenzialmente una: il sistema risarcitorio che tutti concorrono a costruire (leggi, giurisprudenza, dottrina, prassi liquidative, ecc.) deve trovare necessariamente un punto di equilibrio tra tutela del bene persona e risorse che la collettività è in grado di esprimere per garantire detta tutela.

Nel sistema r.c.auto le risorse sono i premi.

Non aggiungo altro. Grazie a tutti.

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