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LOCARNO 71 CRONACA QUOTIDIANA DEL FESTIVAL SVIZZERO. di GAIA SERENA SIMIONATI

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Academic year: 2022

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LOCARNO 71

CRONACA QUOTIDIANA DEL FESTIVAL SVIZZERO

di

GAIA SERENA SIMIONATI

Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio.

Federico Fellini

Quando Godard disse che: “il cinema è l’unico posto in città dove si può dormire al caldo”, stava esternando tre caratteristiche geniali della sua esistenza e di ogni grande cineasta: l’autoironia, la mancanza di ego e l’intelligenza (intesa come A Not Too Serius Attitude). Per i film di ricerca, come molti di quelli presentati a Locarno, per scelta di Chatrian, direttore uscente, di “cosiddetta” avanguardia e sperimentazione, uno per tutti, le 15 ore del film La Flor di Mariano Llìnas, le sale sono utili più che mai e Godard appare chiaroveggente.

Invece Godard fallisce quando si tratta di retrospettive, come nel caso di quella meravigliosa, intagliata a perfezione sul geniale Leo Mc Carey che da sola è valsa tutto il festival. Douglas Sirk ben definì il regista quando disse:

«McCarey è uno dei cineasti americani più profondi. Ha portato il melodramma al suo apogeo». Forse non tutti sanno che oltre ai suoi meravigliosi film, ironici, profondi, eleganti, ricchi di messaggi e intelligenza come Love Affair, L’orribile verità o Good Sam, dei capolavori difficilmente replicabili consigliatissimi, egli inventò, unì e scrisse per la coppia del secolo: Laurel & Hardy, i nostri Stanlio e Ollio.

Vediamo cosa ha colpito di piu. O di meno.

01 agosto

LES BEAUX ÉSPRIT (PG) Voto ***

di Vianney Lebasquecarino Francia – 2017 - 94’

La commedia francese LES BEAUX ÉSPRIT, ha aperto il primo agosto in Piazza Grande la 71esima edizione del film festival di Locarno. Utile per far comprendere la diversità, la pellicola racconta la genesi di una squadra di basket composta da ragazzi con deficit mentali. Martin un manager fallito, pronto per i giochi paraolimpici, decide di barare assoldando giocatori senza handicap, per non perdere le sovvenzioni. Ignaro del mix esplosivo che sta per creare, il film è ricco di risate e commovente al tempo stesso; conferma che le commedie francesi sanno sempre stupire per fantasia e ingredienti di spessore, attenzione al sociale e divertimento.

A FAMILY TOUR (CI) Voto **

di YING Liang

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Taiwan, Hong Kong, Singapore, Malesia -2018 - 107'

Co-produzione di Taiwan, Hong Kong, Singapore, Malesia, ha inaugurato il concorso internazionale. La pellicola narra la storia di Yang Shu, una film maker che, dopo aver realizzato il film The Mother of One Recluse, è stata costretta all’esilio a Hong Kong. Un giorno però la madre si trova ad affrontare un’operazione chirurgica molto seria, e le due donne decidono di incontrarsi a Taiwan, dove Yang deve recarsi per un festival con il marito e il figlio, mentre la madre farà la turista. Per assicurarsi che la riunione familiare possa svolgersi senza pericoli, dormiranno tutti nello stesso albergo e parteciperanno alle visite guidate del circuito turistico. Il regista racconta che vorrebbe dimenticare e, attraverso il cinema, poter ricordare la libertà. Mi dice che durante le riprese, molte persone lo hanno aiutato, supportato e reso una persona migliore. “Perché hai reso la protagonista una donna e non un uomo come te” - gli chiedo. “Il film è semiautobiografico, ma volevo mostrare tante altre persone con un esilio emotivo, spirituale o intellettuale, ecco perché l’ho resa una donna”.

Tsao Wen-Chie, la produttrice, aggiunge: “c’è un sistema di spionaggio cinese che diventa internazionale, sviluppandosi in HK e Taiwan. Si sono verificati molti cambiamenti nella stampa e nella libertà di espressione. Io sono nata nel 1960, abbiamo avuto una democratizzazione in Taiwan. Oggi con la globalizzazione e le elezioni in internet, la surveillance è un fenomeno globale; abbiamo bisogno di libertà e supporto di artisti e film-makers”.

02 agosto

TARDE PARA MORIR JOVEN (CI) Voto **

di Dominga Sotomayor

Cile/ Brasile/ Argentina /Paesi Bassi /Qatar - 2018 – 110’

Cile, estate 1990. Con una narrazione fluida tra interni ed esterni, si presenta un film di contestazioni politiche, valido anche oggi. Un film “timeless” dove parlano i luoghi e gli animali. Da piccola - racconta la regista - ho vissuto un incendio nella comunità hippy dove vivevo. Volevo qui far vedere la realtà delle cose piccole, dei movimenti che non si notano; una catastrofe invertita. Nel film non ci sono confini tra la natura umana e gli animali, tra la proprietà di terra, gli animali e le persone. Come un gioco, nell’assenza di limiti tra maschile e femminile, passato e presente, interno ed esterno, un gruppetto di famiglie, che abita in una comunità isolata ai piedi delle Ande, vive nell’utopia di costruire un nuovo mondo, distante dagli eccessi metropolitani, sfruttando al meglio la recente libertà conquistata con la fine della dittatura. In questa epoca di trasformazioni e rese dei conti, tre adolescenti preparano una festa di Capodanno, mentre sono alle prese con i genitori, i primi amori e i loro timori. Potranno anche essere tenuti lontani dai rischi della grande città, ma non da quelli della natura.

03 agosto

SIBEL (CI) Voto ****

di Çağla Zencirci, Guillaume Giovanetti

Francia, Germania, Lussemburgo, Turchia·- 2018·- ·Colore·95'·

OVVERO HOMO HOMINI LUPUS Others and Otherness

In giapponese GO EN significa qualcosa che accade in modo inaspettato, come l’incontro tra i due protagonisti

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raramente accade. Co-produzione turca, tedesca, lussemburghese e francese il film è un piccolo gioiello di dialogo e scoperta.

Ossa e terrorismo ricorrono in tutta la pellicola, fin dall’inizio quando una radiografia delle mascelle riprende una persona mentre fischia e poi la spasmodica ricerca delle ossa di un lupo, il lavaggio di queste, la cura.

A Kuskoy, un piccolo villaggio del nord-est della Turchia, le persone parlano con un linguaggio fischiato, tanto che il nome significa appunto il villaggio degli uccelli.

Documento etnografico, curiosità folcloristica o reale interesse comunicativo? Queste sono le domande che sorgono vedendo la pellicola e molte altre si affastellano nella mente dello spettatore per capire cosa ha spinto i due giovani originali registi ad arrivare a una tale inchiesta sulle forme di linguaggio.

Sibel è un film sui boundaries etnici, linguistici, sociali, politici e sulla libertà del femminile verso il maschile, specialmente in un paese musulmano come la Turchia. Anche se la descrizione del personaggio di Sibel vale per ogni donna speciale, diversa, con sofferenze di ogni tipo e solitudine, così com’è pieno il mondo oggi, qui assume una valenza potentissima.

La protagonista, molto brava Damla Sönmez, è muta, ma non per questo meno forte, meno intelligente o coraggiosa, desiderosa d'amore e di dialogo, di espressione del sè e di accettazione, proprio come ognuna di noi.

Persino il mito del lupo feroce, non meno dell'uomo, come ricordava PLAUTO, che aleggia nella foresta, intorno al villaggio vicino al Mar Nero, assume una valenza di territorio, di confine entro cui le donne, per paura, devono rimanere confinate. In realtà il lupo feroce forse non esiste. E' solo una disarmante metafora. Mentre gli altri uomini si!

Sibel è muta, ma può comunicare grazie a un’antica lingua fischiata della regione. Il suo personaggio è forte, maschile, attivo, acuto, libero; a differenza delle altre donne del villaggio, a causa del suo handicap vocale, è cresciuta in modo autonomo e libero. Respinta dagli altri abitanti, Sibel insegue senza sosta un lupo che pare aggirarsi nella vicina foresta e che è l’oggetto delle fantasie e delle paure delle donne del villaggio. Durante una delle sue scorribande, Sibel trova un fuggitivo: ferito, minaccioso e vulnerabile, poserà su di lei, per la prima volta, uno sguardo nuovo.

Non è disposta a compromessi con niente e nessuno, nemmeno all'idea di essere sbranata da un lupo, o amata da un presunto terrorista.

L’APOLLON DE GAZA (THE APOLLO OF GAZA) Voto **** Semaine de la critique di Nicolas Wadimoff

Svizzera, Canada·2018 - 78' ·

Per una volta tutti i giornali e le tv del mondo non hanno scritto di devastanti bombardamenti o di attacchi, non hanno fotografato bambini senza braccia, madri in lacrime. Solo per una volta, non hanno filmato siluri che sterminano pareti di fragili case, dischiudendo famiglie ferite, uccise, inermi.

Per una volta ESISTE la bellezza A GAZA!!! Grazie ad Apollo.

Per una volta l'arte, con il suo magico allure, prevale risalendo la memoria umana fino al IV secolo prima di Cristo, in epoca ellenistica, con cromosomi già esperti sulla concezione, costruzione e visione del bello; con il mistero che racchiude il passato di millenni e la sua improbabile conservazione; con la potenza di un artefatto umano, intatto, con la poesia del suo ritrovamento, grazie a due poveri pescatori che sperano nella ridefinizione economica e sociale della loro vita.

Per una volta GAZA vive con il miracolo della visione, sorto dalle acque, anzi risorto, con il mito di amore, bellezza e le arti tutte, che la statua Greca racchiude in sè, proprio nella terra di Cristo, 2400 anni dopo la sua nascita.

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L'apollo di Gaza è un film meraviglioso sulla storia del Dio greco delle arti, di bellezza e AMORE; una perfetta statua ritrovata al largo della costa di Gaza, in ottime condizioni, appare e poco dopo scompare; da e toglie speranza alla cultura del paese, culla dell'umanità, una volta fiorente centro di bellezza.

Apollo, seppur un mito, diviene realtà. Dio delle arti, della bellezza e della divinazione, l’Apollo suscita ogni sorta di dicerie, anche le più folli, a causa del ritrovamento di una sua meravigliosa statua perfettamente conservata in mare di fronte a Gaza. Infatti, nel 2013, la statua di Apollo risalente a più di 2’000 anni fa viene ritrovata per poi subito dopo scomparire all’improvviso, creando un mistero, quasi da thriller.

Film-inchiesta e riflessione sulla Storia, L’Apollon de Gaza ci immerge nella realtà sconosciuta di un territorio che paga ancora il prezzo delle guerre e di un blocco spietato, dove però la vita resiste, ribelle. Portando un po’ di luce nel cielo di Gaza, la statua e la sua storia stupefacente potrebbero restituire dignità e speranza a un intero popolo, ma così non è.

THE EQUALIZER 2 (PG) Voto ****

di Antoine Fuqua USA – 2018 – 121’

Il LIVELLATORE, Denzel come l’arcangelo Gabriele, fantastico il giustiziere chiaroveggente.

Colpi di scena. E di pancia. Botte da orbi, nonostante la vista e l'età. Presenza scenica e fisica di Denzel che non perde un colpo, ma lo da.

Questa in sostanza la trama: un anziano incattivito, tipo quelli negli autobus sovraccarichi o di fronte ai buchi nei cantieri interminabili delle metropoli italiane, dove commentano acidi, anziché lamentarsi coi muratori, mena tutti i cattivi che gli capitano a tiro.

Guai a toccargli gli amici, tipo uccidergli Susan, ex CIA come lui. O i vicini di casa con cui intrattiene ottimi rapporti di giardinaggio.

Eh no, Denzel, Robert McCall, (ex-agente della CIA ora in pensione, dopo aver finto la sua morte, decide di trascorrere una vita tranquilla a Boston) non transige se gli si strappano i fiori delle aiuole, né se gli si imbratta il muro del palazzo. Da piccole a grandi vendette, egli non ne fa passare una.

A dirigere The Equalizer 2 - Senza perdono è Antoine Fuqua, simpatico regista, produttore e attore statunitense. Nato a Pittsburgh nel 1965, Fuqua ha frequentato la West Virginia University studiando Ingegneria elettronica e praticando basket prima di decidere di trasferirsi a New York e tentare la carriera nell'industria cinematografica.

Grande amico di Denzel Washington mi racconta che si sono conosciuti in chiesa. “E’ è un piacere - dice - lavorare con un così grande attore che improvvisa sempre, anche da solo in una stanza regala mille diverse espressioni e lascia una sorta d’imprevedibilità a ogni scena. Il rapporto con tutti gli attori è stato ottimo, continua - specialmente il legame che si è creato con Aston - il giovane che si salva dalle periferie, dalla vita di droga e spaccio, grazie all'equalizzatore e al suo buon cuore. Questo tiene alto l’interesse per l’impegno morale che deve avere il cinema” - secondo l’idea di Fuqua, di Denzel e di tutti coloro che fanno film intelligenti.

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04 Agosto

BlacKkKlansman (PG) Voto ****

di Spike Lee

Stati Uniti·2018·DCP·Colore·135'·v.o. inglese

Il razzismo è tutta questione di Testa. Di capigliatura. O di C..o! Che a volte coincidono. Sembra che la storia si ripeta sempre. Ed è questa cronologica ripetizione di cazzate che interessa a Spike Lee, oltre che a Vico.

Geniale e tragicomica visione del regista afro-amerIcano sulla pochezza dell'uomo (bianco), Trump incluso, in rapporto alle sue debolezze, paure e inferiorità.

Sembra che la storia si ripeta sempre. Ed è questa cronologica ripetizione di cazzate che interessa al magico Spike Lee, oltre che a Vico. All’inizio degli anni Settanta, al culmine della lotta per i diritti civili, Ron Stallworth, (bravo John David Washington, figlio di Denzel) sicuro di sé, nonostante la sua capigliatura da far indivia ai Jackson Five, diventa il primo poliziotto afroamericano della polizia di Colorado Springs. Il suo arrivo, ovviamente accolto con scetticismo e da alcuni colleghi del commissariato con aperta ostilità, gli dà la forza di farsi un nome e tentare di lasciare una traccia nella storia. E così fa.

Stallworth viene subito assegnato come detective in una missione molto rischiosa: infiltrarsi nel Ku Klux Klan e denunciarne le efferatezze e cercare di compiere una “sanitarizzazione” della loro retorica, fatta non solo di parole, ma anche di azioni violente. Con la complicità dell’alter ego bianco, il collega ebreo Flip Zimmerman, (asciutto Adam Driver), che ne consente l’inganno, i due riusciranno nella missione.

Gli attori sono tutti magistralmente diretti. Uno script originale, spunto di riflessione per analizzare le tragedie dell’essere umano, una comicità diffusa nonostante la forza del tema trattato, attori sublimi e credibili rendono sempre magica la formula di Spike Lee: lavorare con intelligenza e carisma, risvegliando le coscienze dal loro torpore assuefatto, presentando temi attuali, politici e sociali da rielaborare e su cui riflettere, non ultima l’elezione contemporanea di Trump, che risveglia un razzismo sopito, un odio tra etnie diverse che dormiva da più di 45 anni.

Oggi ahimè tali corporazioni “indemoniate”, si sono riattivate sia con gruppi di estrema destra, che con cellule di estremisti antislamici, antiebrei, anti tutto e, la sottigliezza psicologica di Lee, è proprio quella di prendere spunto da un passato ricorrente per fotografare la contemporaneità pericolosa che affligge gli Stati Uniti e non solo.

05 Agosto

Laila at the Bridge Voto ***

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di Gulistan Mirzaei, Elizabeth Mirzaei

Canada, Afghanistan - 2018 - 97' - Open Doors: Programma speciale

Laila Haidari è sopravvissuta a un matrimonio in età infantile e ai traumi del proprio passato combattendo uno dei problemi più letali diffusi in Afghanistan, la dipendenza dall’eroina. Conosciuta come «la madre dei tossici», deve lottare non solo contro la tossicodipendenza di numerosissimi ultimi, ma anche contro un governo corrotto, in un paese sull’orlo del baratro. Il film è stato seguito da una tavola rotonda sull’impegno della società civile, la libertà di parola e l’industria cinematografica oggi in Afghanistan, interessante evento organizzato in collaborazione con la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), organo del Dipartimento federale degli affari esteri.

06 Agosto

M Voto ****

di Yolande Zauberman Francia – 2018 – 105’

Iniziamo dalla fine. Kafka ha detto: “giro con un coltello per difendermi dagli amici. Giro con un coltello per difendere gli amici”. Questo film è il mio coltello, - aggiunge la regista Yolande Zauberman.

Si chiude così un racconto, eccezionale documento di denuncia e purificazione di una comunità chiusa e obsoleta, medioevale e malata, ma ahimè, non unica. Ciò avviene anche in tutto il resto del mondo, tra la chiesa, a scuola, in Europa, in America: si svela un segreto di questa malattia mondiale che viola i bambini; un problema che esiste da secoli, qui un viaggio attraverso la ferita di qualcuno, di M appunto, Menahem Lang, nel cuore di Bnei Brak, la capitale mondiale degli haredi, gli ebrei ultra-ortodossi, i «timorati di Dio» in ebraico.

E’ un mondo dove o si parla o non si parla, ma quando si parla lo si fa fino in fondo. M si inserisce nel filone di La sposa promessa di Rama Burshtein, unica regista donna della comunità chassidica o di Tikkun, capolavoro di Avishai Sivan, presentato già a Locarno 68.

M è stato amato nella comunità in tutti i sensi. Non solo per il suo sorriso perenne e avvolgente come un abbraccio, per la sua gentilezza, per la dedizione del suo studio talmudico, per la sua voce d'oro che lo ha reso un ottimo interprete di canti liturgici. Ma anche per la sua bellezza e fisicità, che è stata violata fin dall'età di 4 anni.

Menahem riesce nell'impresa straordinaria di aprire la porta di quel mondo proibito. Un ritorno sul luogo del delitto, ma anche un ritorno ai luoghi che ha amato, un cammino iniziatico costellato di incontri incredibili, di rituali ritrovati, una riconciliazione, oltre al racconto delle sue difficoltà psicologiche.

Con l’aspetto taumaturgico e magico del film, coloro che hanno vissuto lo stesso dramma, e sono molti, escono allo scoperto, come calamitati, trovano il coraggio di parlare, di sconfiggere lo spettro del «gal-gal», quel circolo vizioso che fin dalla notte dei tempi trasforma gli stuprati in stupratori.

Il film racconta anche, come documento sociale, l’interessante comunità, quasi hippy, non borghese, anticonvenzionale fatta di famiglie senza giorno, senza orari che escono e vivono di notte. Alle 4 di mattina vanno a passeggio famiglie intere, motivo per cui M è girato quasi tutto al buio, non solo perché di notte si è più liberi, perché non ci si vede, ma anche perché l’oscurità avvolge tutto. Anche i peccati, che questo intelligente, commovente film denuncia con sorprendente poesia e singolarità.

GLAUBENBERG (CI) Voto INDEFINIBILE di Thomas Imbach

Svizzera – 2018 – 115’

“Nato da una vicenda personale, intrecciata con una leggenda di duemila anni fa, ho elaborato questo racconto, - tratto da Ovidio - che è base di partenza nella sceneggiatura - racconta il regista. E’ un film molto personale dove sono cameraman, sceneggiatore molto coinvolto in tutti i dettagli”, spiega.

E’ la storia di un’adolescente, una giovane donna che ha questo comportamento contro ogni ragione, contro tutto e tutti, si innamora del fratello e ne scaturisce una patologia.

Il film è particolare, ci si allontana dalla normalità e si entra nella follia. L’attore principale racconta: “per me, essere sedotto dalla sorella, è stata una cosa strana: abbiamo tutti limiti sull’amore tra fratelli, non è solo incestuoso, ma è una vera e propria analisi di un rapporto particolare e una relazione che può sfociare in una tragedia, dove genitori aperti, permissivi si lasciano totalmente condizionare dalla forte personalità di una figlia, senza coglierne i disturbi profondi”.

07 Agosto

A LAND IMAGINED Voto ****

di YEO Siew Hua

Singapore, France, The Netherlands – 2018 – 95’

Vince il Pardo d’oro, il film che giustamente ripercorre lo sfruttamento di lavoratori stranieri che si avventurano per una vita migliore nella terra promessa immaginata. Forse. Il film, un intelligente e misterioso caleidoscopio distopico come le Città Invisibili di Calvino, si sviluppa su più piani a diversi livelli d’indagine, e narra di un lavoratore cinese che sparisce misteriosamente; al contempo un detective indagando sulla sua morte svela al mondo le condizioni (terribili) di vita, lavoro e sonno (inesistente) di questi lavoratori migranti, dal far east, sottopagati, sfruttati e spesso misteriosamente scomparsi.

09 Agosto

(7)

by HONG Sangsoo Korea – 2018 – 96’

“L’uomo è incapace di comprendere l’amore, noi non possiamo capirlo. Capirlo è intellettuale, l’amore invece è esperienza”

Hotel by the River, parla di cose metafisiche, morte e eternità, amore, poesia. Girato in bianco e nero, con molta neve e ombre, tenta di definire idee, scenari partendo solo da poche note iniziali, l’atmosfera, che poi evolve in modo quasi autonomo.

“Non si può mai capire niente del tutto, si può solo fare un’esperienza – racconta Sangsoo –motivo per cui si deve vivere bene la vita”. Racconta di persone ingenue, ma molto profonde; così sono i suoi personaggi; questa è una sua visione dell’umanità. “Alla fine, io sono molto più poetico che politico”.

L'OSPITE Voto ***

by Duccio Chiarini

Italia, Svizzera, Francia – 2018 – 94’

Il film, scritto da quattro uomini, racconta le vicende di un maschio delta, anziché del tipico alfa. C’è un ritratto dell’uomo giovane italiano che esce insalubre, bloccato, fragile, mammone. Il regista racconta che nel primo approccio al film, scritto dieci anni fa, era in un momento in cui viveva un senso di spaesamento, una deriva del quotidiano. Si racconta una società maschile che non riesce a fare i conti con un mondo femminile, più deciso, forte e più disinibito; gli uomini infatti, privati del lato virile faticano a sentirsi adatti. C’è una tematica ricorrente tra le varie coppie: la scissione, la dualità tra il senso di appartenenza, il non saper stare da soli e il desiderio di libertà, il senso di indipendenza anche lavorativa, che coglie tutti oggi. Si vive in un conflitto schizofrenico tra la paura di restare soli e la libertà dalle responsabilità.

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WINTERMÄRCHEN (A WINTER'S TALE) Voto ***

di Jan Bonny

Germania · 2018 · 125' ·

Un film sporco, forte e violento con molti punti di rottura. Non chiaro, eppure con una funzione di sollevare la riflessione sull’estrema destra che ha preso piede in Germania e, con essa, la conseguente violenza. Oggigiorno, cosa impensabile fino a 10 anni fa, ci sono bandiere tedesche e atti di violenza contro turchi e migranti ovunque - racconta il regista. “Appiccano fuoco e spargono odio; racconta - non si pensava che in pubblico si potessero dire cose così; oggi invece è credibile. Il film nasce dall’aver assistito a un processo a Monaco, verso tre membri accusati di 10 omicidi, di una neonata formazione nazista.

Becky, Tommi e Maik costituiscono una cellula terroristica di estrema destra che vive in clandestinità sognando di salire alla ribalta della cronaca nazionale. Invischiati in un complesso rapporto di amore, odio e amicizia, il loro cammino di distruzione li porta a compiere una serie di crimini. I valori ai quali inizialmente si aggrappavano – onore, orgoglio e lealtà – vengono a cadere di fronte alla loro crescente perdita di orientamento… Si narra non solo l’aspetto politico, ma anche il privato; come il narcisismo senza limiti di questi giovani neonazisti, dal punto di vista personale sono e si sentono onnipotenti, anche in scene assurde come quella in cui delle galline sono rincorse da due terroristi nudi.

Preoccupante e ben narrata la capacità di controllo delle persone che avviene sia in una birreria che in una festa mascherata dove il ruolo delle parti, in modo shakesperiano si inverte, capovolgendo il bene in male, la finzione in realtà. Nel finale, una canzone degli anni ‘80 “You are very stupid”, diventa ambivalente, ambigua perché sembra rivolta sia ai personaggi che all’audience. Forse non a torto.

PÁJAROS DE VERANO (BIRDS OF PASSAGE) Voto ***

Colombia · 2018 · DCP · Colore · 125' ·

Negli anni 1970, in Colombia, una famiglia di etnia wayuu entra nel fiorente traffico di droga che sta generando nuovi bisogni nella gioventù nordamericana. Semplici contadini diventano uomini d’affari e vengono presto sopraffatti dall’audacia del sistema. Nel deserto di Guajira, la famiglia indigena assume un ruolo centrale nel progetto di commercializzare illegalmente sostanze stupefacenti e inizia a godere della ricchezza e del potere che ne derivano. In un calderone di avidità, passione e onore, si scatena una guerra fratricida che mette a repentaglio famiglia, vita e tradizioni. Ottima fotografia e tratto da una storia vera.

10 agosto

I FEEL GOOD (PG) Voto ***

di Benoît Delépine, Gustave Kervern France – 2018 – 103’

Prodotto dalla No money production, I feel good è un tragicomico ritratto sulla caduta delle utopie (il comunismo) e la vita condivisa in comunità, come quella di Emmaus dove, nel sud ovest della Francia, è ambientato il film.

Jean Dujardin (Jacques) è un bipolare con manie di grandezza, legge la biografia di Bill Gates, vuole diventare billionaire, ma scappa da una spa in accappatoio perché non ha una lira e gira a piedi in tangenziale. Con una serie di intuizioni comiche preparate da anni, un’infilata di gag ironiche che lasciano anche tanto amaro in bocca, il film è un’interessante valutazione delle assurdità dell’epoca contemporanea con le sue atroci scelte di vita, come la dipendenza dalla chirurgia plastica, la velleità della politica e la dipendenza ergonomica dal vile denaro.

La sorella Monique, che gestisce lo spazio, ritroverà dopo diversi anni d’assenza, suo fratello Jacques, buono a nulla con un’unica ossessione: trovare l’idea che lo renderà ricco. Più che una rimpatriata di famiglia, sarà lo scontro tra due visioni del mondo, condite da sane risate.

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