Cenni storici
In sostituzione dell’antica spezieria cinquecentesca dell’
ospedale degli Incurabili, nel 1744 si diede inizio ai lavori per la costruzione della meravigliosa Farmacia storica, miracolosamente salvatasi dalle distruzioni seguite alle vicende politiche, militari e sociali che nei secoli hanno afflitto la città di Napoli.
La costruzione , ultimata nel 1750, fu realizzata con il legato del reggente della Santa Casa degli Incurabili Antonio Maggiocca, il cui busto marmoreo, notevole esempio della scultura napoletana del XVIII secolo, è posto sulla porta che dal salone della farmacia conduce alle sale interne.
All’epoca Napoli possedeva un cospicuo patrimonio di farmacie conventuali e private, di cui molte avevano carattere monumentale, come quella della Modana dell’Arco, del convento di S. Domenico Maggiore, della Certosa di S. Martino e del monastero dei SS. Severino e Sossio, ma l’unica che si è mantenuta pressoché intatta è quella degli Incurabili.
La farmacia prospetta sul cortile interno dell’ospedale con un porticato tipicamente settecentesco, al di sopra del quale è visibile la balaustra cinquecentesca appartenente all’antico complesso ospedaliero, con una scala a doppia
rampa di cultura sicuramente vaccariana, anche se non ci sono disegni dell’architetto che lo confermino.
Dai documenti recuperati dall’archivio storico dell’ospedale, risulta infatti che il Vaccaro è l’autore del progetto di ampliamento del complesso, di cui si è già detto, ma non si è occupato della direzione dei lavori e morì nel 1745; per cui gli si può attribuire il progetto per l’esterno del cortile e della farmacia, ma gli interni della stessa sono opera dell’architetto Bartolomeo Vecchione.
Sull’ampio porticato si aprono i quattro ingressi con antichi cancelli, uno in legno e gli altri in ferro battuto ed ottone, che immettono nella Farmacia. A questo livello si accede ai due ambienti principali, ovvero la Sala grande e la Sala laboratorio, o Controspezieria, come viene chiamata nei documenti, caratterizzati da una straordinaria unità stilistica. Entrambi gli ambienti presentano infatti lungo le pareti di uno stiglio in noce, interamente impiallacciato in radica, opera dell’ebanista Agostino Fucito.
All’interno di questo rivestimento sono collocate una serie di scaffali e sei grandi teche, tre per ogni sala, contenenti pregiate mensole intagliate e dorate. Due delle sei teche, una nella Sala grande e l’altra nella Contropsezieria, contengono due scudi raffiguranti rispettivamente una ferita suturata,
allegoria del parto cesareo, e una testa femminile alata, allegoria della pudicizia.
Altro elemento di particolare effetto decorativo è rappresentato dai fondali a mensola con intagli dorati delle tre teche contenenti coppe e boccette di vetro, non tutte originali, adagiate su volute intagliate; “si tratta di fastosi esempi dell’intaglio artistico barocco napoletano, uno dei settori in cui l’artigianato partenopeo raggiunse livelli di alta qualificazione”.
L’autore di questi sontuosi intagli è Gennaro Di Fiore, un artefice che sul finire della sua carriera ha lavorato con Carlo Vanvitelli alle decorazioni della Reggia di Caserta.
I vetri esposti nelle sontuose mensole dorate sono sempre stati attribuiti alle fabbriche di Murano, ma è possibile che siano opera di maestri vetrai napoletani, specializzati nella esecuzione di vetri artistici.
Gli stigli lignei conservano circa 480 vasi originari, albarelli ed idrie farmaceutiche decorati con scene a carattere biblico o allegorico e paesaggi, opera di Donato Massa e dei suoi aiutanti, tra cui spicca Lorenzo Salandra. Tra l’altro documenti d’archivio hanno testimoniato che il Massa fu autore dei vasi della Controspezieria, sia per il modello che per la decorazione pittorica, mentre i vasi della Sala grande furono creati dal Massa ma dipinti dal Salandra; questi
ultimi infatti sono stati ultimati nel 1750, ben tre anni dopo la morte del Massa avvenuta nel 1747.
Nella Controspezieria, oltre agli stigli in noce lungo le pareti, sono presenti anche un grande tavolo rettangolare in noce massiccio dove anticamente si consegnavano pozioni e preparati farmaceutici, e un ovale con l’immagine della Madonna dipinto a olio e inserito nell’alta cimasa intagliata che corona la porta di accesso alle sale interne, dove attualmente si trovano depositati dipinti, suppellettili ed altri oggetti d’arte provenienti dal complesso ospedaliero e dalla chiesa di Santa Maria del Popolo. Tra questi vi è un enorme vaso in marmi policromi scolpiti e commessi, in origine destinato a contenere la theriarca, un miscuglio di erbe medicinali considerato una sorta di panacea, e un piede di bilancia, anch’esso in marmi policromi scolpiti e commessi.
Tra le tante opere merita essere menzionata la tela del soffitto raffigurante Macaone che cura Menelao ferito, di Pietro Bardellino, datata 1750, che attualmente si trova riposta lateralmente sul pavimento della Sala grande, rimossa dalla sua collocazione originaria a causa di dissesti statici del supporto, dovuti ad infiltrazioni di acqua.
Ad un restauro ottocentesco si devono le effigi poste negli angoli della Sala grande, raffiguranti quattro celebri naturalisti: Volta, Dauj, Barzelius e Lavoisier.
Il pavimento della Sala grande è uno splendido tappeto in cotto e maioliche, eseguito da Giuseppe e Gennaro Massa, figli di Donato Massa. Il disegno dei decori maiolicati fu ideato in modo che le linee curve del disegno, che si dipartono dallo stiglio verso il centro, costituissero una sorta di continuazione delle paraste che scandiscono le composizione lignea. Sul pavimento si distende quindi “un elegante ordito di volute maiolicate che si stagliano sul cotto risparmiato arricchendo la sobria partitura decorativa con sapidi trofei di nature morte contenute in sinuose conchiglie:
l’effetto è quello di un elegante ricamo di vividi timbri cromatici sul sommesso e pacato sottofondo mattonato”.
Anche in questo caso fu rispettata l’unitarietà stilistica della sala, in quanto furono utilizzati nell’impiantito gli stessi colori dominanti nella decorazione del corredo maiolicato, ovvero il giallo, il verde e l’azzurro.
Al piano superiore, cui si accede attraversando gli ambienti attigui alla farmacia che ospitano l’Amministrazione dell’ospedale, si trova quella che un tempo era la Sala del Consiglio dell’ospedale, la cui volta, scandita da modanature in stucco decorate con amorini e grottesche dipinte, fu
dipinta nel XVI secolo dal pittore siciliano Luigi Rodriguez.
Al centro di questa è rappresentata la Monacazione di Maria Longo, mentre negli spicchi sono rappresentate Allegorie di Virtù. Le lunette nella parte alta raffigurano Storie di Maria e sono state recentemente attribuite al pittore fiammingo Paul Bril
Conservazione e valorizzazione
Nel nostro paese, in particolare in Emilia Romagna ed in Toscana, sono ormai molte le Aziende Sanitarie Locali che hanno posto l’attenzione sulla tutela e sulla valorizzazione del proprio patrimonio storico artistico, che nel corso degli ultimi decenni ha sicuramente risentito delle vicende politiche e religiose che hanno segnato lo sviluppo degli enti assistenziali e sanitari. Basti pensare agli sconvolgimenti creati nella titolarità e nella gestione di questo patrimonio da eventi come l’istituzione del Servizio sanitario nazionale e delle Unità Sanitarie Locali (legge 833/78), gli scorpori ospedalieri seguiti alla nascita delle Aziende ospedaliere, i diversi confini territoriali delle Aziende Sanitarie. Questi cambiamenti e le esigenze legate alle nuove tecnologie delle strutture sanitarie hanno inferto duri colpi alla tutela del
patrimonio storico e artistico della sanità pubblica, sconvolgendo il rapporto tra Servizio sanitario, opinione pubblica, mondo politico e mondo istituzionale.
La necessità di consolidare i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, di tutelare il patrimonio storico artistico e di migliorare il rapporto complessivo con la società civile, ha determinato una tendenza da parte delle Aziende sanitarie locali a musealizzare quelle strutture storiche inadeguabili alle moderne esigenze sanitarie.
Questo atteggiamento trova conforto nel principio della
“conservazione integrata”, in base al quale gli edifici antichi possono essere adibiti a nuovi usi, sempreché consoni ai bisogni della vita contemporanea e rispettosi delle peculiarità architettoniche del manufatto.
In base ai detti principi generali e alle esperienze di riconversione di strutture ospedaliere storiche già effettuate in Italia, come ad esempio il complesso di Santa Maria della Scala a Siena, che è stato trasformato in struttura museale riscotendo notevole successo, e ancora tutti gli interventi eseguiti in Emilia Romagna per la valorizzazione del patrimonio culturale delle Aziende sanitarie, si ritiene possibile un intervento di tutela, conservazione e valorizzazione del complesso degli Incurabili, che presenta
strutture di notevole interesse storico negate alla collettività o utilizzate impropriamente.
In questo caso è anche vero che questi beni hanno sempre fatto parte di un complesso a destinazione ospedaliera, quindi eliminare del tutto questa funzione, significherebbe privare la collettività di una realtà storicamente radicata sul territorio.
La proposta di conservazione e valorizzazione prevede quindi, in questa prima fase, la musealizzazione della Farmacia Storica .
In questo modo le due funzioni ospedaliere e museale possono convivere senza interferire l’una con l’altra, raggiungendo così il duplice obiettivo di conservare la vocazione assistenziale del sito e di introdurre una nuova funzione trainante, compatibile con il bene ed economicamente sostenibile.
E’ chiaro che in un futuro quanto più possibile prossimo è auspicabile che anche la parte che l’intervento proposto lascia a destinazione ospedaliera sia convertita in una struttura sanitaria di tipo leggero, come potrebbe essere ad esempio “La casa del parto”, oppure come soluzione definitiva in una sorta di città della Medicina sul modello di città della Scienza di Bagnoli.
Nel programmare l’intervento di conservazione e valorizzazione ci si è prefissati i seguenti obiettivi:
- recupero fisico dell’immobile, da raggiungere attraverso adeguati interventi sulla struttura volti ad eliminare le cause di degrado;
- recupero funzionale, per garantire l’uso e la conservazione del bene;
- contestualizzazione dell’intervento, da perseguire in un’ottica allargata alla realtà del complesso ospedaliero e del quartiere in cui ricade;
- restauro delle pertinenze decoratire.