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Consiglio della Regione Emilia-Romagna

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Academic year: 2022

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Consiglio della Regione Emilia-Romagna

172^ seduta della VII Legislatura

Estratto dal resoconto integrale della seduta notturna del 6 marzo 2003.

Presiede il vicepresidente del Consiglio regionale Daniele Alni, indi il presidente Antonio La Forgia.

Segretari: Rosalia Amato e Marcello Bignami.

* * * * * Hanno partecipato alla seduta i consiglieri:

1) AIMI Enrico 21) LA FORGIA Antonio

2) ALNI Daniele 22) LODI Vittorio

3) AMATO Rosalia 23) LOMBARDI Marco

4) BABINI Luisa 24) LORENZI Franco

5) BALLARINI Giovanni 25) MAJANI Anna 6) BARTOLINI Silvia 26) MARRI Maria Cristina

7) BERETTA Nino 27) MASELLA Leonardo

8) BERTELLI Alfredo 28) MATTEUCCI Fabrizio

9) BIGNAMI Marcello 29) MAZZA Ugo

10) BORGHI Gianluca 30) MEZZETTI Massimo

11) BOSI Mauro 31) MUZZARELLI Gian Carlo

12) CAMPAGNOLI Armando 32) NERVEGNA Antonio 13) COTTI Lamberto 33) PARMA Maurizio 14) DELCHIAPPO Renato 34) PINI Graziano 15) DELRIO Graziano 35) RIDOLFI Rodolfo 16) FILIPPI Fabio 36) RIVI Gian Luca 17) FRANCESCONI Luigi 37) SABBI Bruno Carlo 18) GIACOMINO Rocco Gerardo 38) VARANI Gianni

19) GILLI Luigi 39) ZANCA Paolo

20) GNASSI Andrea 40) ZANICHELLI Lino

Hanno comunicato di non poter partecipare alla seduta il consigliere Canè, gli assessori Bastico e Tampieri.

Sono, inoltre, assenti i consiglieri Guerra; Leoni, Salomoni, Tassi, Villani, il vicepresidente Dragotto, il presidente della Giunta Errani.

Oggetto n. 3704: Legge regionale 15 luglio 2002, n. 16 "Norme per il recupero degli edifici storico- artistici e la promozione della qualità architettonica e paesaggistica del territorio".

Programma pluriennale 2003-2005. Criteri generali per la individuazione delle opere incongrue. (Proposta della Giunta regionale in data 16 dicembre 2002, n. 2564)

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per il recupero degli edifici storico-artistici e la promozione della qualità architettonica e paesaggistica del territorio". Programma pluriennale 2003-2005. Criteri generali per la individuazione delle opere incongrue.

(Proposta della Giunta regionale in data 16 dicembre 2002, n. 2564)

_____________________________________

Prot. n. 3122

Il Consiglio

Richiamata la deliberazione della Giunta regionale progr. n. 2564 del 16 dicembre 2002, recante in oggetto "Legge regionale 15 luglio 2002, n. 16.

Programma regionale pluriennale 2003-2005 per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico-ambientale. Proposta al Consiglio regionale";

Preso atto delle modificazioni apportate sulla predetta proposta dalla commissione consiliare "Territorio Ambiente Infrastrutture", in sede preparatoria e referente al Consiglio regionale, giusta nota prot. n. 1609 in data 11 febbraio 2003;

Visti:

- la legge regionale 15 luglio 2002, n. 16, “Norme per il recupero degli edifici storico-artistici e la promozione della qualità architettonica e paesaggistica del territorio”, ed in particolare l’art. 3, che definisce i contenuti del programma regionale per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico- ambientale;

- l’art. 45 della legge regionale 25 novembre 2002, n. 31, “Disciplina generale dell’edilizia”, che apporta modifiche alla L.R. 16/02;

- la legge regionale 23 dicembre 2002, n. 39 “Bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l’esercizio finanziario 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005”;

Rilevato che le risorse attualmente disponibili ai fini della redazione di un programma regionale pluriennale 2003-2005 per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico-ambientale sono le seguenti:

- € 1.500.000,00 per l'anno 2003 ed € 1.500.000,00 per l'anno 2004 sul capitolo 30640 "Contributi a EE.LL. e IPAB per progettazione e realizzazione di opere

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di manutenzione, restauro e risanamento conservativo di edifici e luoghi di interesse storico (art. 2 lett. a), b), c), d), f), g), l), l.r. 15/7/2002 n. 16)";

- € 1.000.000,00 per l'anno 2003 ed € 1.000.000,00 per l'anno 2004 sul capitolo 30642 "Contributi a privati per progettazione e realizzazione di opere di manutenzione, restauro e risanamento conservativo di edifici e luoghi di interesse storico (art. 2 lett. a), b), c), d), f), g), l), l.r. 15/7/2002 n. 16)";

- € 198.000,00 per l'anno 2003 sul capitolo 30644 "Contributi a Comuni per acquisizione di aree ed edifici di interesse storico-artistico (art. 2 lett. h), l.r.

15/7/2002 n. 16)";

- € 1.000.000,00 per l'anno 2003 sul capitolo 30646 "Contributi a Comuni per l'acquisizione di opere incongrue e realizzazione di interventi di ripristino (art.

11, comma 3, lett. a) e b), l.r. 15/7/2002 n. 16)";

- € 50.000,00 per l'anno 2003 sul capitolo 30630 "Contributi per iniziative di promozione, progettazione e realizzazione di opere di rilevante interesse architettonico (art. 2 lett. e) e art. 8, comma 2, l.r. 15/7/2002 n. 16)";

- € 50.000,00 per l'anno 2003 sul capitolo 30632 "Contributi per studi e ricerche, iniziative di promozione, progettazione e realizzazione di opere di rilevante interesse architettonico (art. 2 lett. i), l.r. 15/7/2002 n. 16)";

Considerato che, a causa della limitata entità degli stanziamenti di bilancio esistenti sui capitoli della previgente legge regionale 6/89, nell’anno 2002 la programmazione regionale nel settore del recupero degli insediamenti storici e della conservazione dei beni architettonici è stata effettuata unicamente per far fronte agli obblighi derivanti alla Regione dalle convenzioni sottoscritte con i Comuni di Imola e Colorno, e che dunque occorre ora dare risposta alle necessità finanziarie espresse dalla generalità dei soggetti proprietari o detentori dei beni oggetto degli interventi di cui all’art. 2 della L.R. 16/2002;

Stabilito pertanto di destinare le suddette somme al "Programma regionale pluriennale 2003-2005 per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico-ambientale", descritto nell’Allegato "A", parte integrante della presente deliberazione;

Visto il comma 3 dell'articolo 10 della citata L.R. 16/2002, che prevede che la Regione definisca con atto d'indirizzo e coordinamento "ulteriori elementi che connotano le opere incongrue e i criteri generali per la loro individuazione";

Ritenuto a tal fine di approvare l'Allegato "B", "Criteri generali per la individuazione delle opere incongrue (L.R. 16/2002, art. 10, c.3)", parte integrante della presente deliberazione;

Considerato che sulla complessiva somma di € 6.198.000,00, come sopra dettagliata escludendo la somma destinata a studi e ricerche, è necessario prevedere l'accantonamento di € 1.731.268,12, di cui € 750.000,00 sul capitolo

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30642 (privati) ed € 981.268,12 sul capitolo 30640 (enti locali), per far fronte agli obblighi derivanti alla Regione dalla sottoscrizione delle convenzioni ai sensi dell'art. 7 della LR 6/89 con i Comuni di Dozza Imolese e Guastalla e con la Fondazione Montecatone ONLUS di Imola;

Acquisito il parere favorevole da parte della Conferenza Regione- Autonomie Locali di cui all’art. 30 della L.R. 21 aprile 1999, n. 3, nella seduta del 16 dicembre 2002;

Previa votazione palese, a maggioranza dei presenti,

d e l i b e r a

1) di destinare al programma regionale pluriennale 2003-2005 per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico-ambientale la somma di € 6.298.000,00, come descritto in premessa;

2) di approvare l'Allegato "A", "Programma regionale pluriennale 2003-2005 per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico-ambientale", parte integrante della presente deliberazione;

3) di demandare a un successivo provvedimento della Giunta regionale, ai sensi dell'art. 4 della L.R. 16/2002, la predisposizione del bando per la selezione degli interventi da ammettere a finanziamento;

4) di approvare l'Allegato "B", "Criteri generali per la individuazione delle opere incongrue (L.R. 16/2002, art. 10, c.3)", parte integrante della presente deliberazione;

5) di pubblicare la presente deliberazione nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna.

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Allegato "A"

PROGRAMMA REGIONALE PLURIENNALE 2003-2005 PER LA PROMOZIONE DELLA QUALITA’ ARCHITETTONICA E PAESAGGISTICO-AMBIENTALE.

1. Obiettivi generali

1. Con i dieci programmi di intervento elaborati in riferimento alla precedente legge regionale 6 del 1989 sono stati erogati circa 50 milioni di euro per finanziare 110 studi di fattibilità, 35 piani di recupero ed interventi di restauro di edifici di interesse storico-artistico in 193 Comuni. Una delle motivazioni principali che ha condotto alla approvazione della nuova legge 16 sta nella ricerca di un efficace equilibrio tra la necessità di diffondere l’intervento regionale sul territorio, al fine di dare risposta alle urgenze di conservazione di un vastissimo patrimonio culturale, e l’opportunità di concentrare le risorse su alcuni casi in cui la qualità delle preesistenze si accompagna con la risposta che l’intervento di conservazione può dare in termini di utilità sociale, culturale, urbanistica. Questo obiettivo può essere raggiunto con l’utilizzo dei diversi strumenti previsti dal comma 1 dell’articolo 2, che riguardano fenomeni di dimensione diversa, in aree territoriali diverse, su oggetti di diversa natura, accomunati dal fatto di costituire occasioni di importanza strategica per la qualificazione del paesaggio urbano ed extraurbano.

2. Le finalità generali della legge rispondono all’intento primario di superare divisioni concettuali tra materie - conservazione architettonica ed urbanistica, riqualificazione urbana ed ambientale, promozione dell’arte e dell’architettura contemporanea, tutela attiva del paesaggio anche con interventi di eliminazione delle opere incongrue - rese ormai superate dalla evidenza della realtà percepibile nelle città e nel territorio. La grande attenzione portata dai primi anni Settanta ad oggi alla conservazione del patrimonio esistente di valore storico e architettonico ha prodotto esiti di successo, prima sul monumento e poi sul tessuto edilizio, applicando concezioni che hanno visto una evoluzione progressiva dalla tutela alla valorizzazione, prima attraverso piani di recupero e poi con i programmi di riqualificazione. L'impegno culturale e operativo per la tutela e la conservazione degli edifici e dei centri storici non è stato accompagnato da un impegno altrettanto significativo per la qualità e il complessivo controllo delle trasformazioni urbane, non ha potuto evitare fenomeni come lo “sprawl”, il consumo di territorio agricolo, frutto di processi espansivi insostenibili in termini sociali, economici, ambientali - basti citare l’esempio del centro urbano bolognese, dove nel 1955 il rapporto tra suolo urbanizzato e superficie territoriale comunale era pari al 10%, mentre nel 2000 ha raggiunto il 42%. Oggi la maggior parte della popolazione residente nelle città si trova ad abitare in zone caratterizzate da un tessuto formatosi negli ultimi trenta-quarant’anni, un’edilizia dagli standard qualitativi spesso mediocri inserita in ambiti non di rado poveri di servizi e di dotazioni urbanistiche. E dunque, uno degli obiettivi della programmazione regionale deve essere il sostegno a progetti di miglioramento degli spazi pubblici e di manutenzione del patrimonio edilizio anche nelle aree periferiche, con un approccio orientato a una maggiore

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consapevolezza del valore del moderno e del contemporaneo. Un approccio globale al territorio che, nel rispetto dei luoghi e delle zone omogenee urbane soggette a tutela e/o a interventi di conservazione, deve consentire un arricchimento dei linguaggi architettonici, anziché una loro riduzione, e permettere la presenza e l’affermazione dell’architettura contemporanea e la diffusione presso la popolazione del riconoscimento del suo valore sociale oltre che culturale. Ciò in conformità con la legislazione comunitaria in vigore, ed in particolare con la Risoluzione del Consiglio Europeo del 12 febbraio 2001 sulla qualità architettonica dell’ambiente urbano e rurale, dove tra l’altro si afferma che

“un’architettura di qualità, migliorando il quadro di vita ed il rapporto dei cittadini con il loro ambiente, sia esso rurale o urbano, può contribuire efficacemente alla coesione sociale, nonché alla creazione di posti di lavoro, alla promozione del turismo culturale e allo sviluppo economico regionale”.

3. La legge si occupa del restauro di edifici di interesse storico, di salvaguardia del paesaggio e di architettura e arte contemporanea: tutela e qualificazione viste in modo integrato e complementare, a costituire un unicum inscindibile. Perché la conservazione dell’esistente - monumenti, centri storici, patrimonio naturale, che non sono lo sfondo scenografico, ma il connettivo stesso della vita sociale - va portata avanti con energia e senza dubbi di sorta. Ma va anche, contemporaneamente, aiutata in ogni modo la qualificazione dell’architettura contemporanea. Nonostante gli interventi di qualità presenti nella Regione Emilia-Romagna, sia per singole opere che per gli insediamenti complessi come i PEEP, l'architettura dei giorni nostri è spesso circondata da uno scetticismo che in larga misura deriva da una mancata educazione alla comprensione del linguaggio architettonico, confuso indebitamente con l’edilizia dell’espansione urbana più scadente. Bisogna invece comprendere che la crisi dell’architettura è crisi della società che la produce - o meglio: che non la sa produrre; e che è invece indispensabile che la nostra epoca, come quelle del passato, possa esprimere compiutamente la propria visione dell’architettura. E’ un compito assegnato ai progettisti, ma anche alle imprese di costruzione, che vanno stimolate a investire più risorse sulla qualità degli spazi, delle tipologie, dei materiali. In questo senso è opportuno che la Giunta regionale individui con successivi atti i contenuti e le modalità di assegnazione di riconoscimenti periodici, di valore prevalentemente simbolico, alle imprese che testimoniano attraverso le loro realizzazioni costruttive gli investimenti fatti per la ricerca e l’innovazione nell’architettura.

Il tratto distintivo della nuova legge è dunque costituito dal metodo di unitarietà sopra descritto. Tutto è preordinato a formulare programmi mirati a dare risposte incisive e di forte impatto culturale. In tal senso i rispettivi ruoli della Regione e quello delle Soprintendenze statali, e con esse quello dei Comuni e delle Province, dovranno essere improntati alla collaborazione per un impegno unitario e sinergico volto a coinvolgere le capacità professionali, amministrative-gestionali ed economiche.

4. In questo quadro di insieme si colloca anche la previsione di porre al centro del progetto di riqualificazione del paesaggio la riflessione su ciò che è congruo con l’assetto dei luoghi e ciò che invece non lo è. Una analisi dei processi di

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sviluppo urbano e degli esiti della pianificazione potranno permettere di individuare, come per i centri storici, le peculiarità che caratterizzano e distinguono le varie "zone omogenee" urbane e gli obiettivi per interventi capaci di valorizzare le identità dei luoghi. Occorre in proposito sottolineare che lo strumento che la legge fornisce (titolo III, articoli 10 e 11) va visto non come una finalità di per sé, diretta all’eliminazione di quello specifico edificio senza porre questioni di relazione con l’intorno; ma come una possibilità di miglioramento dell’immagine e della fruizione dei luoghi, per risolvere positivamente situazioni urbanistiche degradate e raggiungere standard più elevati di qualità urbana anche in coerenza con gli obiettivi ed i programmi riferiti alla legge regionale 19/1998 “Norme in materia di riqualificazione urbana”. Non pare né utile né corretto operare secondo un revisionismo aprioristico della produzione edilizia basato su criteri esclusivamente estetico-formali, ma neppure su criteri storico- urbanistici. E’ invece più utile dare risposte meditate a un quesito: che cosa è il non autentico in un insieme territoriale in cui la storia ha iscritto elementi di varia natura, relativi a codici e a prospettive culturali differenti? Una risposta che in tutta evidenza non può venire in astratto - basandosi su criteri soggettivi e mutevoli - ma concretamente, misurandola sullo specifico della situazione territoriale, e dunque traendola da un progetto correttamente inserito nel contesto urbano. E’ il progetto ad identificare che cosa è incongruo, perché serve per verificare ciò che contrasta con gli obiettivi stessi del progetto, in termini formali, d’uso, economici, sociali. In questa accezione, il progetto di eliminazione dell’incongruo può avere come obiettivo il ripristino, e cioè cercare di ricondurre i luoghi a una situazione “precedente”; ma può anche tendere a una riqualificazione, ovvero eliminare per lasciare un vuoto o per ricostruire qualcosa di diverso. O ancora migliorare i luoghi con interventi di mitigazione, che agiscano sull’immagine senza ricorrere alla costruzione in senso edilizio.

2. Linee di azione

1. In coerenza con quanto esposto in precedenza, l’obiettivo qualificante della programmazione regionale consiste nell’avviare un processo che consenta di riprodurre alla scala locale la concezione unitaria che è espressa nella legge regionale, attraverso le fasi di formazione dello studio di fattibilità (articolo 5, comma 1) e di valutazione dello stesso da parte di Province e Comuni (articolo 5, comma 2). I Comuni in particolare potranno esprimere la conformità sullo studio in un modo tanto più consapevole e documentato, quanto maggiore sarà la strumentazione programmatica di cui si saranno dotati. In sostanza, la enunciazione delle “politiche comunali volte alla salvaguardia e valorizzazione del paesaggio, dei beni naturali e ambientali nonché del patrimonio storico- artistico e architettonico presente sul territorio” dovrà tendere a configurarsi come un programma comunale per la promozione della qualità architettonica e paesaggistico-ambientale, e cioè come la applicazione della legge regionale 16/02 sul territorio comunale. Pertanto le sue caratteristiche dovranno essere: la progressiva estensione a parti significative del territorio comunale, la previsione di una durata pluriennale, la definizione dei bacini di utenza e la rappresentazione dell’efficacia dei diversi interventi proposti, alcuni dei quali potranno essere anche già eseguiti o in corso, ma che richiamano la necessità di

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avviarne e compierne altri per ottenere l’effetto complessivo. E’ evidente che solo l’esistenza di orientamenti programmatici di questa natura può consentire ai Comuni di valutare gli studi di fattibilità, dopo averne stimolato la produzione sul territorio, anche attraverso i necessari processi di concertazione con i proprietari e i proponenti, nell'ambito delle previsioni di piano.

Se si opera in questa direzione, assume rilevanza la individuazione da parte dei Comuni di tematiche o filiere di oggetti o di casi accomunati da analogie tipologiche, da ricorrenze localizzative tipiche di un determinato territorio, riconducibili alle sue peculiarità storiche, economiche, geografiche. Le tematiche possono essere scelte anche come occasione di valorizzazione dei “paesaggi culturali”, ovvero di quei luoghi che al di là degli intrinseci valori architettonici, ambientali o urbanistici vanno tutelati e valorizzati. Ad esempio quei luoghi che costituiscono testimonianza di opere delle arti figurative, cinematografiche, letterarie della Regione e la cui conoscenza è indispensabile per dare consapevolezza ai cittadini della loro storia e delle loro tradizioni culturali “colte”.

2. Per quanto riguarda gli strumenti principalmente volti alla conservazione del tessuto esistente, descritti nelle lettere da a) a d) del primo comma dell’articolo 2, l’obiettivo degli studi di fattibilità è quello di utilizzarli nel modo appropriato ai diversi contesti, anche accostandoli l’uno all’altro per moltiplicarne gli effetti. In quest’ultima attività sta principalmente il ruolo specifico del Comune, che ricevendo proposte diverse può proporsi di armonizzarle: ad esempio, la manutenzione potrà essere orientata a integrare l’immagine del costruito con lo spazio pubblico, con priorità a quegli elementi architettonici che connotano l’immagine urbana in modo preminente, come le cortine edilizie prospicienti strade e piazze, e gli isolati urbani in prossimità degli accessi, dei varchi, delle porte delle città.

I progetti di riqualificazione di cui alla lettera c), oltre a riguardare spazi già destinati alla fruizione pubblica, possono derivare dal riutilizzo di aree dismesse - evitando interventi incongrui in particolare nei centri storici - per le quali il progetto di riconversione non sia orientato alla densificazione della città, ma alla creazione di spazi verdi, di servizi culturali e sociali, secondo un’idea del “luogo”

come occasione di arricchimento, solidarietà e coesione, partecipazione, scambio di esperienze. L’inserimento delle opere d’arte in questi spazi è tra l’altro occasione per redigere programmi di intervento comunali che derivino da, e al tempo stesso producano una integrazione attualmente non consueta tra i settori delle opere pubbliche, del verde, della pubblica illuminazione, della viabilità, della sicurezza urbana, della cultura, dell’urbanistica. Ne consegue una chiara indicazione di priorità per il finanziamento regionale di interventi che rispondano a questi requisiti.

3. La legge dà ampio risalto alla qualità architettonica, riferendosi alla produzione di nuova architettura: è un fatto inedito in una legge regionale, ed è una innovazione anche alla scala nazionale, come è stato ricordato al convegno di presentazione pubblica della legge regionale (Bazzano, Rocca dei Bentivoglio, 20 settembre 2002) dal responsabile della Direzione per l’architettura e l’arte contemporanee del Ministero per i beni e le attività culturali. L’idea-guida del provvedimento è che con il restauro della architettura esistente e con la

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realizzazione di nuova architettura qualificata si ottengano rilevanti miglioramenti del contesto paesaggistico e una riqualificazione del paesaggio urbano; e che l’architettura consenta di dare forza a progetti urbani, ovvero sia sostegno e complemento della progettazione urbanistica.

Per promuovere la realizzazione di opere di rilevante interesse architettonico con i requisiti di cui alla lettera f) dell’articolo 2 e al comma 4 dell’articolo 8 si pone la necessità di individuare criteri utili per apprezzare gli elementi di elevata qualità e particolare rilevanza ivi previsti. La legge consente di effettuare questa valutazione ricorrendo a procedure concorsuali, e riconosce infatti al concorso di progettazione un ruolo primario per promuovere una nuova qualità architettonica;

pertanto ne promuove la diffusione, in riferimento alla progettazione di nuove opere e al recupero di edifici esistenti. Considerando che con questo programma si tratta di dare prima applicazione ad una legge entrata in vigore recentemente, occorre stabilire che le opere architettoniche di nuova costruzione candidabili al finanziamento regionale devono risultare vincitrici di concorsi anche già giudicati, che rispondano a criteri analoghi a quelli che il presente programma e il successivo bando attuativo considerano necessari per il finanziamento delle procedure concorsuali di cui alla lettera e) dell’articolo 2.

Il bando regionale che la Giunta predisporrà per dare attuazione alle previsioni di questo programma dovrà precisare che il concorso di architettura va possibilmente promosso ogni volta che si interviene in contesti urbani con rilevanti valori architettonici, storici o ambientali; quando si tratti di edifici sia pubblici che privati ad uso collettivo come scuole, musei, università, ospedali, ecc.; quando l’aspettativa del committente sia di avere un progetto con contenuti sperimentali o tecnologicamente innovativi; o infine quando si voglia ottenere la massima integrazione tra architettura, urbanistica, arte, paesaggio, obiettivo primario della legge regionale 16/2002. Il concorso consente il confronto tra progetti, favorisce la trasparenza delle scelte e la competitività fra i partecipanti, offre maggiori garanzie di visibilità ai giovani, costituisce un passo decisivo per la pubblica discussione delle proposte. A tal fine i Comuni dovranno attivare modalità di coinvolgimento dei cittadini delle zone interessate.

Poiché il concorso costituisce un aggravio economico per le amministrazioni o per i privati che intendono bandirlo, con questo programma si prevede di erogare contributi per sostenere parzialmente le spese relative all’organizzazione e pubblicizzazione del bando - con priorità per i soggetti che non vi sono tenuti da previsioni di legge - in particolar modo nei casi in cui si prevede il ricorso alla trasmissione telematica della documentazione, come procedura utile per limitare i costi di riproduzione cartacea e di spedizione dei materiali illustrativi, e per ridurre i tempi di effettuazione del concorso. Può essere prevista la procedura concorsuale in due fasi, di cui la prima - fase preventiva - aperta e svolta con la presentazione di curriculum e di idee-guida progettuali, che rendono esplicite le intenzioni dei progettisti, e la seconda - fase finale - ristretta tramite invito da parte del soggetto o dell’amministrazione che bandiscono il concorso; questa procedura consente infatti di contemperare la necessità di massima apertura e partecipazione, con il contenimento dei costi e dei tempi che si ottiene invitando un numero limitato di progettisti. Le commissioni giudicatrici devono prevedere la presenza di esperti qualificati, anche in rappresentanza degli ordini professionali degli architetti e degli ingegneri, delle università e del territorio interessato. Se la

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procedura concorsuale è assistita dal finanziamento regionale ai sensi del presente programma, della commissione giudicatrice fa parte un rappresentante della Regione.

Il bando concorsuale dovrà indicare le dimensioni plano-volumetriche, la qualità tecnologica e i criteri di valutazione e di inserimento dell'opera nel contesto urbano, oltre alle finalità pubbliche e sociali dell'intervento. Al fine di garantire l’applicazione di criteri omogenei nell’espletamento delle procedure concorsuali ai sensi di questo programma, pare necessario stabilire che i parametri da utilizzare da parte delle commissioni giudicatrici devono comprendere il valore tecnico-estetico del progetto (in una misura che non deve essere inferiore al 30%

del punteggio globalmente assegnabile), il prezzo dell’opera, il tempo di esecuzione dei lavori, il valore sociale del progetto, i costi di utilizzazione e manutenzione. Inoltre può essere prevista l’attribuzione di uno specifico punteggio per facilitare la partecipazione dei giovani progettisti di età inferiore ai 40 anni.

Ai concorsi di architettura possono partecipare, in collaborazione con gli architetti, anche artisti, con lo scopo di elaborare progetti in cui l’ideazione artistica e quella architettonica siano compenetrate e complementari, e non l’una sia successiva all’altra, come pura decorazione ed intervento a posteriori.

Quanto sopra stabilito per i concorsi d’architettura va considerato applicabile anche per la scelta di progetti di inserimento di opere d’arte ai sensi della lettera g) dell’articolo 2.

4. Per quanto riguarda le procedure per la definizione e l’eliminazione delle opere incongrue di cui all’articolo 10 della legge, il bando regionale prevederà tempi e modalità di presentazione delle proposte. Esse assumono il carattere di progetti- pilota in grado di verificare, con una sperimentazione sul campo condotta in modo concertato tra Regione ed Enti Locali, le potenzialità della nuova norma.

Con l'approvazione dell'Allegato "B" alla presente deliberazione si dà peraltro attuazione alla previsione di cui al comma 3 dell'articolo 10 della legge, emanando l'atto di indirizzo e coordinamento che ha la funzione di definire i criteri generali per la individuazione delle opere incongrue.

Il bando regionale dovrà indicare, quali criteri di priorità per la scelta delle proposte riferite alla eliminazione di opere incongrue, la immediata cantierabilità dei progetti, selezionando quelli che si trovano nella condizione di completare, con la acquisizione delle aree e/o delle opere e l’esecuzione degli interventi di ripristino e/o riqualificazione, progetti complessi di restauro e rifunzionalizzazione di edifici di valore storico-artistico alla cui realizzazione abbiano contribuito finanziamenti statali o comunitari.

5. Per la piena attuazione della legge e il futuro sviluppo delle attività da essa previste assumono un evidente rilievo le iniziative di studio e di ricerca di cui alla lettera i) dell’articolo 2, in particolare volte alla conoscenza di aspetti o periodi ai quali l’indagine storiografica ha dedicato attenzione in modo meno approfondito.

E’ possibile sin d’ora indicare alcuni dei principali settori verso cui indirizzare le ricerche da eseguire. In primo luogo, il censimento su scala regionale delle opere di architettura moderna e contemporanea; la conoscenza dello stato di attuazione nella nostra regione della legge 29 luglio 1949, n. 717, relativa alla

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esecuzione di opere d’arte negli edifici pubblici; la raccolta, conservazione e pubblicazione degli archivi degli architetti che hanno operato nella nostra regione durante il secolo scorso. Si tratta di iniziative che possono attivarsi anche grazie alla individuazione di modelli innovativi di collaborazione tra organi statali e regionali, per i quali dovranno prevedersi ulteriori risorse in sede di predisposizione degli atti di bilancio. Si ritiene inoltre che con il sostegno regionale debba promuoversi la formazione di esperti in cultura del restauro, del paesaggio e della riqualificazione, anche in relazione alla istituzione delle Commissioni per la qualità architettonica e il paesaggio previste dall’articolo 3 della legge regionale 31/2002.

Gli obiettivi di qualità edilizia ed architettonica propri della legge regionale 16/2002 hanno elementi di coincidenza non trascurabili con le finalità della programmazione regionale dell’edilizia abitativa, settore in cui peraltro l’intervento regionale può orientare in modo sostanziale l’attività degli operatori pubblici e privati e fornire risposte dirette ai bisogni dell’utenza. In considerazione di ciò si ritiene necessario che le risorse disponibili ai sensi della legge regionale 24/2001, “Disciplina generale dell’intervento pubblico nel settore abitativo” per la qualificazione del processo edilizio (articolo 4, comma 2, lettera e) e per la qualificazione dei programmi, dei progetti e degli operatori, nonché per lo sviluppo di tecniche bioclimatiche, ecologiche e di bioarchitettura, debbano essere indirizzate a iniziative, anche di carattere culturale e divulgativo (studi, ricerche, mostre e convegni, pubblicazioni, concorsi e premi) secondo principi di integrazione delle disposizione delle leggi del settore edilizio (leggi regionali 19/1998, 24/2001, 16/2002, 31/2202).

6. Le risorse che affluiranno nel triennio 2003-2005 sui capitoli di spesa della L.R.

16/2002 saranno destinate allo scorrimento delle graduatorie formulate a seguito del bando regionale attuativo del presente programma, che restano in vigore fino al 31.12.2005, al fine di consentire ai Comuni di integrare le proprie previsioni programmatiche di settore con le disponibilità finanziarie che possono rendersi disponibili nello stesso periodo per effetto delle attività di programmazione nel settore dell'edilizia abitativa o in riferimento alla operatività delle fondazioni bancarie. Il bando dovrà stabilire le modalità di aggiornamento periodico delle informazioni pervenute alla Regione in funzione della revisione dei programmi attuativi prevista dal comma 4 dell’articolo 6. In riferimento agli interventi valutati positivamente dalla Regione e compresi nella graduatoria suddetta, i Comuni possono stabilire la riduzione degli oneri di urbanizzazione, come previsto dal comma 7 dell’articolo 3.

7. L’Istituto per i Beni Culturali deve assicurare l’assistenza tecnica necessaria per il monitoraggio della attuazione del programma e del bando regionale, anche al fine di acquisire le conoscenze utili per individuare temi e linee di azione per la formulazione dei programmi pluriennali successivi a questo. A questo fine la Giunta regionale stabilisce la composizione di un gruppo di lavoro formato da rappresentanti tecnici dell’IBC e degli assessorati al turismo, alla cultura e alla programmazione territoriale, che può essere integrato da competenze esterne all’amministrazione regionale.

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8. Per quanto attiene al nucleo di valutazione previsto all'art. 6 comma 2, esso viene nominato dalla Giunta regionale in occasione del bando di cui all'art. 4, ed è così composto: 1 rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali; 3 rappresentanti del Servizio regionale programmazione e sviluppo dell'attività edilizia; 1 rappresentante del Servizio riqualificazione urbana; 1 rappresentante del Servizio Tutela e valorizzazione del paesaggio; 1 rappresentante dell'IBC.

3. Risorse finanziarie e tipologie di contributo

1. E’ destinata al presente programma la somma globale di € 6.298.000,00, di cui:

- € 1.731.268,12 per far fronte agli obblighi derivanti alla Regione dalla sottoscrizione delle convenzioni ai sensi dell'art. 7 della L.R. 6/89 con i Comuni di Dozza Imolese e Guastalla e con la Fondazione Montecatone ONLUS di Imola;

- € 2.018.731,88 destinati ad iniziative di enti locali ed IPAB e € 1.250.000,00 destinati ad iniziative di privati, finalizzati agli interventi di cui alle lettere da a) a d), f), g) ed l) del comma 1 dell’articolo 2 della legge (nell’ordine: piani di recupero; programmi unitari di manutenzione; opere di ridisegno degli spazi liberi; opere di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo di edifici di interesse storico-architettonico e delle loro aree di pertinenza; progettazione e realizzazione di opere di rilevante interesse architettonico; inserimento di opere d’arte in infrastrutture ed edifici pubblici e nelle loro aree di pertinenza;

interventi urgenti su edifici di valore storico-architettonico). Tali risorse devono essere per almeno il 25% destinate alle lettere f) e g), per garantire l’effettiva promozione dell’arte e dell’architettura contemporanee. La Giunta regionale può accantonare una somma non superiore a € 200.000,00 per far fronte alle necessità finanziarie derivanti dagli interventi urgenti di cui alla lettera l) dell'articolo 2. In questo caso la domanda di contributo può prescindere dallo studio di fattibilità, come previsto dal comma 4 dell'articolo 5, e deve essere corredata da perizia giurata di tecnico abilitato da cui emergano i caratteri e le motivazioni dell'urgenza;

- € 1.000.000,00 per la concessione ai Comuni di contributi finalizzati alla eliminazione delle opere incongrue (lettera m) del comma 1 dell’articolo 2);

- € 198.000,00 finalizzati all’acquisto da parte dei Comuni di aree ed edifici d’interesse storico-artistico (lettera h) del comma 1 dell’articolo 2), secondo modalità stabilite dal bando regionale;

- € 100.000,00 destinati quanto a € 50.000,00 (Cap. 30632) alla realizzazione di studi e ricerche, come previsto dalla lett. i) del comma 1 dell’articolo 2), e quanto a € 50.000,00 (Cap. 30630) all’espletamento di procedure concorsuali per la progettazione di nuove edificazioni e di interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente (lett. e), comma 1, art. 2), sulla base delle

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proposte trasmesse dai Comuni a seguito dell’emanazione del bando regionale.

2. Il contributo regionale non può superare il 50% della spesa complessiva (oneri fiscali e spese tecniche comprese) nel caso di enti pubblici e IPAB, e il 35% nel caso di privati. I Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti al censimento 2001 possono presentare proposte che non prevedano quale cofinanziamento fondi a bilancio comunale.

4. Requisiti di ammissibilità e criteri di valutazione delle richieste di contributo Per dare attuazione alla disposizione (articolo 3, comma 3, lettera b) secondo cui occorre dedicare particolare attenzione alla tutela e valorizzazione del patrimonio situato nei Comuni con un minor numero di abitanti, il bando regionale stabilisce le modalità di valutazione delle proposte assegnando un peso maggiore a quelle che provengono dai Comuni con popolazione minore di 5.000 abitanti al censimento 2001, con particolare attenzione ai Comuni montani.

Il bando regionale può altresì prevedere di assegnare pesi maggiori nella valutazione di eventuali proposte formulate in modo unitario da Comuni contermini su ambiti o oggetti di scala sovralocale.

Al fine di promuovere l’elaborazione di studi di fattibilità finalizzati a una concezione integrata della qualità paesaggistica e architettonica, il bando può altresì prevedere di assegnare priorità alle proposte che comprendono più di due delle finalità di cui al comma 1 art. 2.

Analogamente il bando prevede modalità di incentivazione per le proposte che prevedono il coinvolgimento di altri settori della Regione, in applicazione di quanto previsto dal comma 2 dell’art. 3, ovvero l’apporto finanziario di fondazioni bancarie.

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Allegato “B”

CRITERI GENERALI PER LA INDIVIDUAZIONE DELLE OPERE INCONGRUE (L.R. 16/2002, ART. 10, C.3)

1. INTRODUZIONE

1.1. Questo testo è il frutto di contributi diversi, tra cui le relazioni tenute al convegno di presentazione pubblica della legge nel mese di settembre 2002; le discussioni svolte nei gruppi di lavoro interassessorili e durante i seminari organizzati per la stesura del progetto di legge; le discussioni svolte per la messa a punto dei criteri di esecuzione di una campagna fotografica che è stata avviata - in collaborazione con alcuni comuni - proprio al fine di discutere il concetto di

“incongruo” e di verificarne l’applicazione sul territorio in contesti morfologici, economici, storici diversificati.

L’insieme di queste occasioni ha consentito una vasta partecipazione di esperti: docenti universitari, amministratori e tecnici di comuni e province, rappresentanti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, sia a livello centrale (D.A.R.C., Direzione per l’arte e l’architettura contemporanee) che periferico (Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali, Soprintendenze per i beni ambientali e architettonici), dell’Istituto regionale per i Beni Culturali, di direzioni e servizi regionali competenti in materia di paesaggio, edilizia, urbanistica, riqualificazione urbana, turismo, cultura.

1.2. Il carattere di innovazione portato dalla legge 16/2002 soprattutto sul tema dell’incongruità con il paesaggio porta a ritenere che la prima attuazione della norma debba avere un carattere di sperimentalità che consente a tutti i soggetti istituzionali di svolgere il proprio ruolo, avendo cura di darsi delle regole operative, ma al tempo stesso lasciando il necessario spazio alla verifica dei risultati e alla ridefinizione dei processi e dei criteri. In quest’ottica va intesa anche la emanazione dei presenti criteri: un atto di indirizzo e coordinamento tecnico che risponde alle previsioni dell’art. 16 della legge urbanistica regionale, in quanto si propone di stabilire l’insieme delle nozioni e delle definizioni di “opera incongrua”, per avere un lessico comune a tutto il territorio regionale, ma soprattutto per applicare concetti omogenei in modo differenziato e conforme alle diverse situazioni.

La fase di applicazione sperimentale degli articoli 10 e 11 della legge è dunque costituita da questo atto di indirizzo, dalla attività che sulle stesse tematiche in modo autonomo possono avere svolto i comuni, dai contenuti del programma pluriennale (allegato “A”) e del bando che la Giunta regionale emanerà successivamente, e dai progetti-pilota che i comuni presenteranno in riferimento all’art. 11 della legge per concorrere alla attribuzione dei finanziamenti regionali. La stessa attività di valutazione che sarà svolta dagli uffici regionali e il recepimento che ne verrà fatto tramite l’atto di Giunta di assegnazione dei contributi saranno occasione di approfondimento e verifica dei contenuti di questa direttiva. Il percorso potrà dirsi compiuto attraverso la presentazione pubblica degli esiti del complessivo processo, presumibilmente entro la fine del

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2003, quando sarà possibile trarre indicazioni conclusive dai progetti pilota, dalla attività dei gruppi di lavoro previsti dal programma pluriennale, e dalla conclusione della campagna fotografica.

Sembra corretto che le prime iniziative di riqualificazione architettonica e paesaggistica del territorio debbano prendere corpo in tempi brevi, anche assegnando il contributo regionale a quelle amministrazioni che già hanno maturato scelte meditate in questa direzione, e che necessitano di un sostegno nella attuazione dei progetti. Si tratta peraltro di scelte di pianificazione che producono effetti non trascurabili anche sulla applicazione della legge regionale 19/98, contribuendo ad arricchire di significati la concezione dei diversi modi con cui può intendersi la parola “riqualificazione urbana” anche alla luce dei diversi modi in cui può intendersi la “riqualificazione paesaggistica”. E’ infatti convinzione che la trasformazione delle città, anche dei centri minori a cui prioritariamente tende l’applicazione della legge 16, richiede un pensiero progettuale non affrettato, ma che al tempo stesso vadano attivati quei progetti, se esistenti sul territorio, che sono già giunti a maturazione attraverso un confronto su scelte ed obiettivi condivisi con le comunità locali.

2. DEMOLIZIONE, INCONGRUO, PAESAGGIO

Il tema della demolizione di costruzioni in contrasto con il paesaggio non è nuovo ed ha già trovato alcune applicazioni in Italia, soprattutto nel caso di edifici di grande dimensione destinati a funzioni ricettive e di edilizia residenziale pubblica. La nascita dell’idea e della prassi della “sottrazione” si fa risalire alla demolizione di una torre in un quartiere a Lione nel 1994. Ma gli esempi di questo “filone” sono sporadici, asistematici, legati alla volontà di togliere di mezzo

“mostri” di cemento ferro e mattoni responsabili di guasti paesaggistico- ambientali, sociali, e di problemi di sicurezza pubblica che non pare abbiano riscontri frequenti sul territorio emiliano-romagnolo. I costi rilevantissimi delle opere di demolizione dimostrano peraltro che si tratta di soluzioni non replicabili su vasta scala.

Tuttavia non pare essere questo l'elemento prevalente della realtà regionale. Sembra infatti prevalere la necessità di interventi, anche con parziale demolizione, finalizzati a moderare o mitigare gli effetti di "disturbo" portati da edifici e infrastrutture e da qualsiasi "esito di trasformazione del territorio" (art. 10 comma 1) sulla identità storica, culturale e paesaggistica dei luoghi. La parola identità è dunque una parola centrale, come si vede dalla enunciazione della legge, ed a questa parola si vuole dare una definizione accurata con questo atto di indirizzo.

Sul concetto di identità dei luoghi come elemento a cui riferirsi per stabilire cos’è incongruo e cosa no, è necessario chiarire che non deve trattarsi di una identità astratta immutabile e omologante. L’identità di un luogo, città o territorio, è frutto di molteplici stratificazioni, prodotto di contaminazioni, apporto di culture, stili e saperi tra i quali sembra arbitrario scegliere quale o quali devono essere vincenti o prioritari per la tutela o viceversa per la eliminazione. In pari tempo non si possono negare e vanno valorizzate per la loro "peculiarità" quelle zone omogenee urbane che per ragioni molteplici sono riuscite, come i centri storici, ad esprimere una propria "identità" che va tutelata. E’ proprio questa “identità

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molteplice” che rende così ricchi ed affascinanti i nostri paesaggi, ed è in questo contesto che ogni singolo elemento acquista senso e significato. Se si opera in questa accezione, allora si tratta non di cercare un filo che lega tra loro tutti i disparati elementi del paesaggio, ma di interpretare per quanto è ragionevolmente possibile anche le contraddizioni come “arricchimento”, e non come una “riduzione” del processo di attribuzione di senso e significato che deve guidare qualsiasi intervento progettuale. Questo è il concetto di identità non omologante e molteplice che deve guidare il riconoscimento di ciò che è incongruo.

Bisogna anche stabilire cosa intendere con il termine incongruo, che i dizionari definiscono come privo di coerenza logica, non proporzionato. Non congruo significherebbe non corrispondente (alle necessità, alle aspettative), non conveniente (per estensione sconveniente, secondo la sensibilità comune del luogo). I richiami fatti dal comma 1 dell’articolo 10 all’impatto visivo, alle dimensioni, alle caratteristiche tipologiche e funzionali sono tutte corrette, anche prese una per una. Alcune aggettivazioni del sostantivo possono far capire le possibili declinazioni diverse del concetto: incongruo estetico (dimensioni, disegno, colori, stile); ma c’è anche l’incongruo funzionale (ancora per dimensione, per incompatibilità con il contesto/il tessuto, per usi impropri);

l’incongruo economico (per l’eccesso di costi di gestione o di conservazione).

Ma la parola incongruo va dotata di senso anche in relazione al contesto a cui ci riferiamo. Incongruo riguardo a cosa. Al paesaggio, certo. Ma quale? Quale paesaggio vogliamo salvare o redimere dall’incongruità? Quello storico, quello di un tempo - oggi in gran parte inesistente - o quello del nostro tempo? Non è una domanda retorica, ed è possibile cercare di dare risposte precise.

E’ innegabile che la sensibilità verso il paesaggio che si è sviluppata negli ultimi anni ha fortemente arricchito, anche per le diversità, quella in cui operavano le norme regionali precedenti alla generazione normativa della fine degli anni ’90, dalla legge regionale 19/98 sulla riqualificazione urbana alla legge urbanistica 20/2000 alla stessa legge 16/2002. Lo spostamento di attenzione dal centro storico alla periferia è evidente in tutti i campi, dal cinema alla moda alla fotografia al romanzo. Anche l’urbanistica da qualche anno con i programmi di recupero urbano, i contratti di quartiere, i programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio (P.R.U.S.S.T.) ha preso come temi di riflessione la scarsa qualità architettonica della città moderna consolidata, con la sua mancanza di caratteri urbani, carenza di servizi, necessità di collegamenti infrastrutturali, e in quanto luogo di maggior ricchezza sociale rispetto ai centri storici, ormai troppo privi di persone e riempiti di uffici del terziario, di attività commerciali, una città per il turista e il “fiera people” e sempre meno per il cittadino. Conclusi gli anni ’80, durante i quali ancora il centro storico fungeva da paradigma di ogni identità urbana, nel corso degli anni successivi si è presa coscienza di un paesaggio urbano assai frammentato al suo interno, fatto di parti anche non relazionate tra di loro, spesso in competizione reciproca. Ognuna di queste parti si rivela frutto di strategie, principi e regole di organizzazione non casuali: i diversi modelli urbanistico-residenziali a cui si riferiscono sono il prodotto di stagioni che hanno lasciato segni distintivi che vanno riconosciuti, prima di procedere alla eventuale rimozione di alcuni elementi.

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Va anche superata l’idea che è stata alla base di molta pianificazione

“tradizionale”, per cui l’abitante di uno qualsiasi dei tanti punti della città-regione padana che dalla nostra regione si estende al Veneto, alla Lombardia, alla zona costiera delle Marche sia meno civilizzato e più infelice di chi abita nei tanti centri storici. L’idea di paesaggio italiano - in questo caso, emiliano e romagnolo - che deve stare dietro questo processo di pianificazione, come testo da cui dedurre elementi di interpretazione e su cui costruire conoscenza, non deve essere ispirata unicamente dalle panoramiche narrazioni ottocentesche, ma avere un carattere più decisamente metropolitano, un respiro di dimensione tale per cui la semplice eliminazione di un frammento, per quanto ragionevolmente “brutto” non ha né senso né utilità per “restaurare” l’immagine complessiva, che resta identica. Il valore della demolizione deve essere nella sua potenzialità di progetto, non nel tendere a un “risarcimento” di qualcosa di precedente. Uno dei sentimenti più diffusi del moderno è la perdita della “lingua perfetta”: in qualsiasi campo, anche nelle “scienze” del territorio, essa non esiste più, la complessità - dei problemi, delle soluzioni, dei soggetti - è ciò che l’ha sconfitta.

3. RIPRISTINO E RIQUALIFICAZIONE

Ripristinare o riqualificare? I concetti di ripristino e tutela, che restano fondamentali per gli interventi nei centri storici e nelle zone omogenee, non sono gli unici che la legge usa. Si parla anche di riqualificazione, un concetto che non implica necessariamente ritornare a un “prima” di qualcos’altro. Si parla soprattutto di demolizione totale e parziale, ed è molto importante anche la seconda, che potrebbe essere non solo più facile da realizzare, ma sufficiente se non a ripristinare improbabili situazioni ante-quem, almeno a portare qualità aggiuntiva, insediando servizi, migliorando standard.

Uno dei criteri che la cultura della conservazione ha spinto a utilizzare per poter definire accettabile l’inserimento di un edificio nel contesto ambientale preesistente è l’uso di materiali tradizionali, per assicurare il sentimento di continuità con la cultura materiale del luogo. Diversamente, secondo alcune tesi e secondo alcune realizzazioni, il contrasto, il disordine, la ambiguità contribuiscono ad accrescere il valore di immagine dei luoghi. Vi sono concetti- cardine della venustas in architettura che attraversano un momento di crisi. Ad esempio, l’equilibrio, che discende dalla giusta misurazione dei pesi, dalla applicazione delle corrette distanze limite, da una buona economia nella disposizione, tutte questioni che diedero luogo a discipline come i caratteri distributivi degli edifici, oggetto di insegnamento universitario di ascendenza ottocentesca. E forse anche il concetto di tipologia perde molto del suo senso di fronte alle rivoluzioni d’immagine e di tecnologie costruttive, con la quasi scomparsa di concetti come riconoscibilità, appartenenza, ecc.

L’antropizzazione del territorio e lo sprawl urbano sono i segni distintivi della fine del XX secolo, direttamente imparentati con le sue tendenze più marcate, l’emergere del soggetto e la ricerca di autonomia fino all’individualismo, evidente in tutte le forme d’arte e di espressione, musicale, figurativa, letteraria, e ancor più nell’organizzazione sociale ed economica. Non per questo occorre sacralizzarne le tracce sul territorio: ma sarebbe almeno antistorico avere come fine più o meno inespresso l’idea ciclopica e un po’ maniacale di cancellare i

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segni del sentimento di un secolo intero. Meglio interpretare la demolizione come diradamento, creazione di vuoto, esercitazione legata a un obiettivo progettuale specifico: allora, in quel preciso luogo, l’eliminazione di un volume non risponde tanto a un miglioramento estetico, ma diventa l’occasione per ridisegnare uno spazio pubblico utile a dare un senso e una centralità a un quartiere, a un ambito urbano o territoriale. In questo senso, il cosiddetto “progetto di suolo” volto a creare uno spazio pubblico può aspirare a un ruolo urbanistico e sociale tanto vitale quanto il giardino nel Rinascimento e la rete stradale per la città moderna.

Si può arrivare a dire che sono incongrui certi progetti, anche di restauro, che perdono una misura espressiva necessaria, un limite, una frontiera del gusto, oltre la quale la realizzazione è stonata. Quasi sempre si può notare che la caratteristica più positiva del progetto è di essere appena sottotono. Un progetto invisibile. Non significa che esso non possa avere esiti formali, statici, funzionali.

Semplicemente, non deve notarsi lo sforzo del progetto. Quando se ne sente lo sforzo, il progetto non è riuscito, cade nella retorica, si abbandona al gusto dell’eccentrico, del diverso, dell’unico. Accade nel nostro tempo, ma è accaduto anche in epoca storica. L’eliminazione dell’incongruo dovrebbe tendere in questo senso non necessariamente a ripristinare, ma a riqualificare gli esiti di progetti sbagliati.

4. PIANIFICAZIONE E PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI

La pianificazione comunale potrà esprimere l’incongruità fondandola su una percezione comune della stessa, verificata mediante la discussione pubblica di questo tema. E’ decisivo mettere a punto processi per sviluppare la partecipazione, soprattutto su una materia così delicata, che tocca sentimenti profondi, avendo a che fare con la proprietà degli immobili, spesso tramandati da padre in figlio e connotati da forti valori familiari e simbolici; e dunque per evitare l’odiosa sensazione che il decisore agisca violentemente in un contesto di affetti e memorie, oltre che di interessi economici. Sia le procedure di ascolto che la costruzione del consenso sono esplicitamente richiamate dalla legge, là dove si esprime il concetto che l’incongruo deve essere radicato nel sentire locale; e quando si ribadisce che la ricerca del partner privato è un momento fondamentale, come in ogni intervento di trasformazione urbana. Non potrebbe darsi una risposta efficace al tema dell’eliminazione delle opere incongrue solo ricorrendo alle risorse pubbliche o alle procedure di esproprio.

Quale sia il livello di pianificazione che più propriamente può compiere la individuazione delle opere incongrue è argomento già in parte svolto e che si può riassumere in riferimento a quanto indicato dalla legge 20 del 2000. Il piano strutturale (art. 28) potrà occuparsene in riferimento agli obiettivi morfologici del territorio comunale (lett. e) del comma 2); nel senso di riconoscere gli elementi in contrasto con le caratteristiche storiche, urbanistiche, funzionali dei luoghi. Ma lo sviluppo e l’arricchimento progettuale si avrà certamente con il Piano operativo (art. 30), che per le aree e gli elementi “incongrui” individuati dovrà indicare:

modalità di attuazione degli interventi di trasformazione e conservazione (lett. b);

contenuti fisico-morfologici, sociali ed economici e le modalità di intervento (lett.

c); trasformazioni da assoggettare a specifiche valutazioni di sostenibilità e fattibilità e ad interventi di mitigazione degli effetti (lett. d); nonché definire gli

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interventi di integrazione paesaggistica (lett. e). Per quanto riguarda in particolare le modalità di attuazione, gli strumenti urbanistici di dettaglio, i P.U.A., saranno in questo caso principalmente piani di recupero, programmi integrati con valore di riqualificazione urbana, programmi di recupero urbano. Qualunque sia lo strumento, il progetto dell’intervento deve assicurare la necessaria continuità operativa tra la demolizione e le altre eventuali previsioni progettuali (per esempio: costruzione di nuovi volumi, manutenzione, consolidamento, restauro, opere di arredo, urbanizzazione, bonifica dei suoli, sistemazione paesaggistica, interventi ambientali e di messa in sicurezza, ecc.). Non deve ritenersi valido un progetto che definisca solo uno stralcio delle diverse attività, e rimandi la definizione dell’assetto complessivo dei luoghi a momenti o a fasi successive.

La legge 20 viene in aiuto anche per una classificazione delle opere incongrue in riferimento alle diverse parti del territorio comunale, un esercizio non inutile, poiché la qualità e la tipologia del contesto influiscono in modo evidente sulla stessa individuazione degli oggetti incongrui. E così è possibile analizzare il sistema insediativo storico (capo A-II): centri storici, insediamenti e infrastrutture storici del territorio rurale, edifici di valore storico-architettonico, culturale e testimoniale; il territorio urbano (capo A-III): ambiti urbani consolidati, ambiti da riqualificare; il territorio rurale (capo A-IV): aree di valore naturale ed ambientale, ambiti agricoli di rilievo paesaggistico, ambiti ad alta vocazione produttiva agricola, ambiti agricoli periurbani.

L’individuazione delle incongruità nei centri storici si pone nel solco della trentennale attività di formazione della disciplina particolareggiata, e al tempo stesso deve spingersi oltre. Infatti non si tratterà soltanto di riflettere sulla necessità di sostituire i peggiori esempi dell’edilizia realizzata negli anni precedenti al periodo - che di norma si fa partire dall’inizio degli anni Settanta ad oggi - della conservazione dei centri storici, ma viceversa porsi interrogativi sulla possibilità di riempire i vuoti urbani, quando essi non siano conseguenti a scelte urbanistiche, progettuali, per partecipazione della cittadinanza, ma il cui mantenimento derivi solo da un atteggiamento attendista e dalla incapacità di trovare le soluzioni. Occorre rendersi conto che possono esistere casi - se ne è ampiamente discusso nel convegno di presentazione pubblica della legge 16 - in cui il mantenimento dei vuoti non discende da una corretta analisi morfologica della città, dallo studio dei suoi “statuti fondativi”, ma all’esatto contrario, dall’ignorarli. Se la legge 16 contiene nel titolo il richiamo alla qualità architettonica, è del tutto evidente che la conservazione dell’architettura di qualità, antica e moderna, ha la identica dignità che ha la costruzione della nuova. Purché sempre di architettura si tratti, ovvero di un progetto compositivo, di una esecuzione tecnica e di un progetto gestionale e manutentivo del cui alto livello possano dare garanzia le procedure concorsuali attivate.

Le principali obiezioni che furono rivolte anni addietro ai progetti di legge nazionale sulla architettura e che analogamente ora vengono mosse alla legge regionale 16 consistono proprio nella perplessità che sia possibile far convivere nella città e nel contesto urbano più vasto l’architettura nuova e la tutela dell’antico, perché quasi sempre la urgente, morale, generalmente accettata necessità di proteggere e restaurare l’antico prevale e vince sulla necessità di promuovere e costruire il contemporaneo. Ma tuttavia questa è una sfida che la legge regionale deve cercare di portare, nel senso di incentivare una soluzione di

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questo presunto conflitto alla scala comunale e progettuale. E’ necessario trovare una terza via che anche nella architettura contemporanea riempia lo spazio lasciato libero tra una concezione della architettura come evento mediatico - l’edificio-simbolo da rivista - e l’anonimato edilizio della città “diffusa”.

Ancora in riferimento alle parti storiche del territorio, va contrastata l’idea della demolizione come strumento per “restaurare” l’identità di un luogo. Prima di tutto perché non è possibile demolire tutto il demolibile. Si tratta invece di cercare

“punti molli” del paesaggio, luoghi dove la progettualità contemporanea può contribuire - anche, ma non solo con la demolizione - ad aumentare la qualità dello spazio abitato.

* * * * MCC/am

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