La politica del Governo Renzi per il settore pubblico tra conservazione e innovazione: il
cielo illuminato diverrà luce perpetua?
WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 228/2014
La politica del Governo Renzi per il settore pubblico tra conservazione e innovazione: il cielo illuminato diverrà
luce perpetua?
Alessandro Boscati
Università degli Studi di Milano
1. Premessa ... 3
1.1. Dal Rapporto Giannini alla contrattualizzazione del 1992 .... 3
1.2. (Segue) La c.d. prima fase della riforma ... 5
1.3. La c.d. seconda fase della riforma ... 8
1.4. (Segue) La c.d. terza fase della riforma: dalla Riforma Frattini alla Riforma Brunetta passando per le stabilizzazioni del Governo Prodi ... 12
1.5. (Segue) La quarta fase: da Brunetta a Renzi, passando per Monti e Letta ... 14
2. Gli interventi del Governo Renzi ... 20
3. I contenuti dell‟intervento normativo nell‟ambito di un più ampio progetto di revisione istituzionale ... 25
4. (Segue) Il riparto tra fonti ... 27
4.1. Il riparto tra legge e contrattazione collettiva ... 27
4.2. Il riparto tra legge statale e legge regionale ... 34
4.3. Definizioni di pubbliche amministrazioni e possibili ricadute sul sistema delle fonti ... 36
Di prossima pubblicazione in Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, 2014, n. 2.
5. (Segue) Disposizioni riferibili all‟assunzione di personale ... 38 6. (Segue) Disposizioni in materia di gestione del rapporto di lavoro ... 45 7. (Segue) Disposizioni in tema di valutazione del personale ed estinzione del rapporto di lavoro ... 51 8. (Segue) L‟ampia delega in materia di riforma della dirigenza . 54 8.1. (Segue) Le peculiari disposizioni relative ai segretari comunali ... 70 9. Conclusioni ... 72
1. Premessa
Anche il governo Renzi, al pari di tutti i governi che si sono succeduti nel secondo dopoguerra, ha inserito tra le questioni centrali della propria agenda il tema della riforma della pubblica amministrazione. Il settore pubblico rappresenta un ambito privilegiato delle politiche di contenimento della spesa pubblica; una politica che con sintonica uniformità è stata scandita da successivi interventi legislativi interessati prioritariamente alla riforma della disciplina del rapporto di lavoro pubblico piuttosto che alla realizzazione di un nuovo assetto organizzativo.
Se quanto detto è noto, del pari nota è l‟evoluzione normativa che ha portato alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego, ma che verrà qui ripercorsa nei suoi passaggi essenziali cercando di cogliere quelli che sono gli elementi qualificanti di ogni fase per porli a confronto con le più recenti proposte1. Un‟analisi che dovrà considerare e comparare tra loro anche la successione interna degli interventi normativi e delle proposte di legge del presente esecutivo, dal suo insediamento, a fine febbraio 2014, fino ad oggi. Solo alla luce di tale ricostruzione, e dopo aver analizzato per macro-aree gli interventi recenti in materia di lavoro pubblico, si trarranno le fila per far emergere i profili di continuità e quelli di discontinuità della “politica del governo Renzi per il settore pubblico”. In particolare si focalizzerà l‟attenzione sul rapporto tra riforma organizzativa e riforma del rapporto di lavoro per verificare la sussistenza o meno dell‟enunciato cambio di passo, non tralasciando l‟analisi del nuovo rapporto che sembra profilarsi tra potere politico e vertice burocratico, segnatamente la tenuta o meno del tanto acclarato metodo manageriale.
1.1. Dal Rapporto Giannini alla contrattualizzazione del 1992 La premessa più lontana è costituita dal “Rapporto sui principali problemi dell‟amministrazione”2, meglio noto come “Rapporto Giannini” 3,
1 In merito cfr. per una dettagliata ricostruzione critica F. CARINCI, Una riforma “conclusa”.
Fra norma scritta e prassi applicativa, in F. CARINCI e L. ZOPPOLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, vol.
V., Torino, 2004, XLIII ss.
2 Ministero per la Funzione Pubblica, Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato (trasmesso alle Camere il 16 novembre 1979), in Riv.trim.dir.pubb. 1982, 722 ss. su cui cfr. M. D‟ALBERTI, Alcune riflessioni generali sul rapporto Giannini, in Riv.giur.lav., 1980, I, 63.
3 S. CASSESE, Lo stato dell’amministrazione pubblica a vent’anni dal rapporto Giannini, in Giorn.dir.amm., 2000, 99 lo definisce quale “punto di svolta nella lunga serie di tentativi di riforma che si sono susseguiti dalla prima guerra mondiale in poi”.
con cui si apriva la breccia per il superamento del principio dell‟ontologica incompatibilità tra lavoro pubblico e regolamentazione privatistica (ancorché limitato a coloro che svolgevano prestazioni lavorative non implicanti l‟esercizio di una pubblica funzione)4; un rapporto seguito a breve distanza dall‟emanazione della legge quadro del 1983, con cui si dava accesso al “metodo della contrattazione collettiva”5 in un contesto in cui, pur introducendosi significativi spazi di intervento a favore della fonte negoziale, si prevedeva che la stessa potesse acquisire efficacia solo a seguito del recepimento in un Decreto del Presidente della Repubblica. Un mutamento che si realizzava in un ambito di riferimento che permaneva rigidamente ancorato al diritto pubblico. Il processo subisce una forte accelerazione a partire dall‟ultima decade del secolo scorso: ad esigenze di modernizzazione della pubblica amministrazione si uniscono stringenti necessità di contenimento della spesa pubblica e di recupero di produttività e di efficienza nell‟ambito di una ravvisata urgenza di trasformazione delle modalità d‟azione6. Non meno rilevante è la volontà di perseguire riforme in grado di dare una spinta moralizzatrice al sistema all‟indomani della manifestazione della c.d. “prima” Tangentopoli. Ma soprattutto vi è il ruolo assunto da un nuovo protagonista, il sindacalismo confederale, portatore di “una proposta radicale che salta a piè pari una mera rivisitazione della legge quadro” 7 nell‟ambito di un “scambio”
4 Come rileva M. RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 313 fino a quel momento il rapporto di impiego era considerato come un elemento strutturale dell‟organizzazione in virtù della “immedesimazione organica” “tra disciplina dell‟organizzazione amministrativa - alla quale si riconduce tout court l‟organizzazione del lavoro - e disciplina del rapporto di lavoro (stato giuridico)” con la conseguente totale attrazione del secondo “nell‟orbita della prima”.
5 Per l‟introduzione di tale formula cfr. G. PERA, Libertà sindacale, in Enc.dir., vol. XXIV, Milano, 1974, 527; E. GHERA, Il pubblico impiego, Bari, 1975, 69; RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 200. Come rileva M. BARBIERI, Problemi costituzionali della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, Bari, 1997, 73, nt. 48 l‟utilizzazione di tale locuzione in luogo di quella di “contrattazione collettiva” “è stato con ogni probabilità un escamotage con il quale ci si è liberati dal dubbio – più che fondato – che quella del pubblico impiego non fosse che una pseudo-contrattazione”. Sul significato politico e giuridico del riconoscimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego cfr. F. CARINCI, Alle origini di una storica divisione: impiego pubblico-impiego privato, in Riv.trim.dir.proc.civ., 1974, 1098 ss., sp. 1103 ss.; U. ROMAGNOLI, Intervento alla tavola rotonda su
“Contrattazione collettiva e diritti sindacali nel pubblico impiego”, in Riv.giur.lav., 1976, I, 142 ss.
6 In merito L.MONTUSCHI, A proposito di mitologie nel riformismo del lavoro pubblico, in AA.VV., Il contributo di Mario Rusciano all’evoluzione teorica del diritto del lavoro, Torino, 2013, 50 afferma che l‟ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è “attraversato da un riformismo inquieto”.
7 F. CARINCI, All’indomani di una riforma promessa: la «privatizzazione» del pubblico impiego, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Commentario diretto da F. Carinci, Milano, 1995, XXXV.
implicito (per la verità non più di tanto) tra consenso sindacale al progetto governativo di risanamento dei conti pubblici e tendenziale assimilazione delle leggi del lavoro pubblico a quelle del privato8.
È questo il substrato fattuale e culturale in cui si inserisce la contrattualizzazione9, stimolata e sospinta da un continuo processo interpretativo della dottrina, non solo gius-lavoristica10 e che conduce ad affermare il principio secondo cui la natura giuridica dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni è frutto di una scelta di diritto positivo, non condizionata né dalla riserva di legge in materia di organizzazione degli uffici pubblici, né dal regime pubblicistico che presiede l‟azione amministrativa, né dall‟origine pubblicistica delle norme applicabili ai rapporti di lavoro. Tutto ciò, peraltro, non senza la ferma opposizione della maggioranza della dottrina gius-pubblicistica e della magistratura amministrativa11.
1.2. (Segue) La c.d. prima fase della riforma
Nasce cosi la legge delega n. 421/1992 che si occupa di tre fondamentali materie, sanità, pensioni e lavoro pubblico e che segue di poco tempo tre leggi fondamentali del 1990: la n. 142, con cui nel dettare i principi dell‟ordinamento dei comuni e delle province e nel determinarne le funzioni, si riafferma, tra l‟altro, il principio di distinzione
8 Cfr. A. MARESCA, Le trasformazioni dei rapporti di lavoro pubblico ed il sistema delle fonti, in Le trasformazioni dei rapporti di lavoro pubblico ed il sistema delle fonti, Atti delle Giornate di studio di diritto del lavoro, l‟Aquila, 31 maggio – 1 giugno 1996, Milano, 1997, 7 il quale si chiede se accanto ai motivi espressamente enunciati ne esistessero altri, non esplicitati, “ma che, al pari di quelli palesi, servano a dare un quadro completo delle convenienze che hanno guidato il legislatore”.
9 Come rileva V. FERRANTE, Note in margine al progetto di riforma dei rapporti individuali e collettivi nel settore pubblico, in Lav.dir., 1992, 686 la modifica della natura del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti «è solo la tessera di un mosaico ben più ampio».
10 In particolare v. gli scritti di A. ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime giuridico del rapporto d’impiego con enti pubblici, in Giorn,dir.lav.rel.ind., 1993, sp. 461; ma prima v.
anche dello stesso A., Autonomia collettiva, principio di legalità e struttura delle fonti, in Giorn,dir.lav.rel.ind., 1982, 287 e Impiego pubblico e lavoro privato: per un nuovo statuto comune, in Lav.dir., 1989, 578. Peraltro anche nell‟ambito della dottrina gius-lavoristica non mancavano alcune voci critiche, v. G. GHEZZI, La legge delega per la riforma del pubblico impiego: prime osservazioni, in Riv.giur.lav., 1992, I, 538; S. SCIARRA, Intervento, in Impiego pubblico e lavoro privato: per un nuovo statuto comune, in Lav.dir., 1990, 8; E.
GRAGNOLI, Rapporto di lavoro pubblico e inquadramento professionale, Padova, 1992, 39 ss.; L. FIORILLO, Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro pubblico, Padova, 1990, 22 ss., sp. 46 ss.
11 V. il celebre parere del Consiglio di Stato, Ad.generale del 31 agosto 1992, n. 146, in Riv.it.dir.lav., 1993, III, 24 ss., su cui in termini critici M. D‟ANTONA, La neolingua del pubblico impiego riformato, in Lav.dir. 1996, 238; in termini analoghi cfr. anche M.
BARBIERI, Problemi costituzionali della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, Bari, 1997, 58
funzionale tra politica ed amministrazione già definito dal D.p.r. n.
748/1972; la n. 146, con cui, in attuazione dell‟art. 40 della Costituzione, si introducono le prime regole sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali; la n. 241 che per la prima volta con l‟introduzione della figura del responsabile del procedimento impersonifica la pubblica amministrazione in un soggetto fisico cui il cittadino/utente può rivolgersi.
In materia di lavoro pubblico la logica di decisa rottura con l‟impianto precedente viene sviluppata nelle intenzioni del legislatore lungo due linee convergenti. Da un lato, sul versante della disciplina del rapporto di lavoro, ciò avviene tramite la creazione di un “diritto „comune‟ del lavoro”12, sia al settore privato che a quello pubblico, in cui il contratto individuale di lavoro assume il ruolo di “pietra angolare” del sistema, tale da comportare il mutamento della natura giuridica del rapporto di lavoro, cui si affianca la consacrazione del ruolo della contrattazione collettiva quale fonte di regolazione del rapporto di lavoro, senza che vi sia analoga attribuzione di effettiva efficacia regolativa anche al contratto individuale13. Una contrattualizzazione che non era pensata per l‟intero personale, data la prevista conservazione dello “statuto pubblicistico” in capo ai dirigenti generali ed equiparati. Dall‟altro lato, sul piano dei rapporti tra amministrazione e potere politico, si procede al potenziamento del ruolo attribuito alla dirigenza, che si vuole rendere effettivamente autonoma rispetto ai politici e responsabile dell‟attività organizzativo-gestoria, sì da recidere anche quella “contiguità tra dirigenti e dipendenti, che era stata spesso causa di tolleranza ed inerzia”14. Quale effetto della contrattualizzazione vi è la previsione dell‟affidamento delle controversie di lavoro riguardanti i pubblici dipendenti contrattualizzati alla giurisdizione del giudice del lavoro (a decorrere dal terzo anno successivo all‟emanazione del decreto legislativo e, comunque non prima dell‟esaurimento della fase transitoria).
In conformità a quanto previsto dalla legge delega, il D.Lgs. n.
29/1993 ne ha attuato i principi sulla base dei due pilastri appena
12 Così M. RUSCIANO, Rapporto di lavoro «pubblico» e «privato»: verso regole comuni?, in Lav.dir., 1989, 372. In merito cfr. anche F. CARINCI, Alle origini di una storica divisione:
impiego pubblico-impiego privato, in Riv.trim.dir.proc.civ., 1974, 1098 ss., sul punto spec.
1103-1105; M. D‟ALBERTI, Impiego pubblico, norme privatistiche, processo del lavoro, in Giur Cost., 1977, 509 ss. In particolare per le implicazioni connesse, e desumibili, dalla locuzione “diritto comune” cfr. F. CARINCI, La c.d. privatizzazione del pubblico impiego, in Riv.it.dir.lav., 1993, I, 16 ss.
13 In merito cfr. M. PERSIANI, Brevi riflessioni sulla privatizzazione dell’impiego pubblico, in Arg.dir.lav., 2000, 621; S. BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Padova, 2000, 327.
14 M. RUSCIANO, L’unificazione normativa del lavoro pubblico e del lavoro privato, in Gior.dir.lav.rel.ind., 1989, 379.
enunciati: la contrattualizzazione del rapporto di lavoro di tutti i dipendenti, ferme alcune esclusioni soggettive (tra cui, come visto, la dirigenza di vertice), e l‟affermazione del principio di portata generale di distinzione funzionale tra politica ed amministrazione, con attribuzione alla prima dei compiti di indirizzo e di controllo, ed alla seconda dei compiti di attuazione, in maniera autonoma e responsabile, delle direttive ricevute. Un ruolo specifico della dirigenza di cui è dimostrazione la corposa disciplina dedicata alla figura, speciale sia rispetto alla disciplina della dirigenza privata, sia rispetto a quella del restante personale.
Se tramontava così la concezione tradizionale del pubblico impiego che si era fondata fino a quel momento sull‟incorporazione della disciplina del lavoro all‟interno delle norme sull‟organizzazione15, evidenti ed immediatamente percepite erano le difficoltà applicative che ruotavano intorno alla complicazione di far convivere diritto pubblico e diritto privato nella attività di organizzazione e di gestione del rapporto di lavoro. Ciò in ragione di quella che era stata definita essere la c.d. “doppia inclusione”, per cui organizzazione degli uffici e gestione del rapporto di lavoro risultavano soggetti ad un diverso regime giuridico, cui si affiancava la riserva di regime pubblicistico anche per alcune materie attinenti al rapporto di lavoro in base al disposto della legge delega.
I primi decreti correttivi dell‟originaria formulazione del decreto 29 (ci si riferisce in particolare ai decreti 470 e 546 del 1993) cercarono di porre rimedio alle questioni più urgenti, prime fra tutte quelle derivanti dall‟applicazione della clausola di specialità16. Restavano però innumerevoli “zone grigie” derivanti dalla necessaria adozione concorrente e coordinata di misure organizzative e gestionali soggette ad un diverso regime giuridico, pubblicistico le prime, privatistico le seconde;
ambiti certamente distinguibili sul piano concettuale, ma non sul piano concreto, attesa la stretta connessione e l‟influenza reciproca. Il che
15 Si modifica anche il ruolo del sindacato consolidatosi a seguito dell‟emanazione della legge quadro, da cogestore interno” a “interlocutore dialettico”; sul punto specifico v. L.
FIORILLO, Le relazioni sindacali nel lavoro pubblico (informazione, consultazione, partecipazione): esame della attuale normativa e ipotesi di rivisitazione, in M. D‟ANTONA, P.
MATTEINI e V. TALAMO (a cura di), Riforma del lavoro pubblico e riforma della pubblica amministrazione (1997-1998). I lavori preparatori ai Decreti legislativi n. 396 del 1997, n.
80 del 1998, Milano, 2001, 47; M. D‟ANTONA, L’autonomia contrattuale delle pubbliche amministrazioni in materia di rapporti di lavoro, in Foro it., 1995, V, 40, pur prospettando una distinzione di ruoli auspica comunque il consolidamento di un metodo partecipativo al fine di prevenire conflitti e sviluppare la collaborazione tra le parti.
16Secondo tale clausola di specialità l‟applicazione delle norme del lavoro privato poteva avvenire, “in quanto (esse fossero) compatibili con la specialità del rapporto e con il perseguimento degli interessi generali nei termini definiti dal presente decreto”; in merito cfr. M.T. CARINCI, Specialità del rapporto, in F. CARINCI (a cura di), Contratto e rapporto individuale di lavoro, in Giorn.dir.lav.rel.ind., 1993, 665 ss.
incideva sulla rapidità d‟azione dell‟amministrazione in contrasto con quella che ne doveva essere la logica ispiratrice.
1.3. La c.d. seconda fase della riforma
È sulla scorta di tale situazione che sotto l‟abile regia del binomio Bassanini-D‟Antona prende avvio, a costituzione invariata e nell‟ambito del più ampio progetto di federalismo amministrativo, la c.d. seconda fase della riforma del lavoro pubblico. Una fase che inizia con la riapertura da parte della legge n. 59/1997 (c.d. Legge Bassanini, seguita dalle leggi n. 127/1997 e 191/1997, significativamente denominate Bassanini bis e Bassanini ter) della prima delega di cui alla legge n.
421/1992, integrata da nuovi principi direttivi e che, nelle intenzioni, si sarebbe dovuta concludere con l‟emanazione di un Testo Unico, ai sensi di quanto previsto dalla legge n. 50/1999 (nota come legge di semplificazione 1998, i cui termini furono poi prorogati dalla legge n.
340/2000). Una riforma che, come evidenziato esplicitamente dagli stessi protagonisti, voleva accantonare “la nota dominante dell‟emergenza finanziaria”17 che aveva caratterizzato la prima fase per cedere il passo ad una nuova fase in cui venissero privilegiate regole flessibili nell‟organizzazione della struttura e nella gestione del personale. Ciò avviene con l‟emanazione di tre decreti delegati, i nn. 396/1997, 80/1998 e 387/1998, tutti all‟insegna di una contrattualizzazione spinta, con la ridefinizione della linea di confine tra diritto pubblico e diritto privato, non più tagliata sull‟asse organizzazione / rapporto, bensì interna alla stessa organizzazione, con una c.d. macro-organizzazione (ovvero l‟organizzazione nelle sue linee essenziali) lasciata al diritto pubblico ed una micro-organizzazione. comprendente tutte le decisioni di organizzazione e di gestione dell‟apparato di competenza dei dirigenti preposti agli uffici di livello dirigenziale generale e dei dirigenti subordinati, ricondotta al diritto privato18. Una nuova linea di confine che aveva previamente trovato l‟esplicita legittimazione della Corte Costituzionale19, ma che apriva una lunga e dibattuta querelle dottrinale
17 M. D‟ANTONA, La disciplina del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni dalla legge al contratto, in S. BATTINI e S. CASSESE (a cura di), Dall’impiego pubblico al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, Milano, 1997, 1, 8.
18 Per la distinzione tra micro e macro-organizzazione si vedano C. D‟ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal D.Lgs. n. 29/1993 ai D.Lgs. nn.
396/1997, 80/1998 e 387/1998. Commentario diretto da F.CARINCI e M. D‟ANTONA, 2a ed., Milano, 2000, 99 e A. ORSI BATTAGLINI – A. CORPACI, Sub art. 2, I, in Nuove leggi civ.comm., 1999, 1067 ss.
19 Corte Cost. 16 ottobre 1997, n. 309, in Lav.pubb.amm., 1998, 131, con nota di M.
BARBIERI, Corte Costituzionale e lavoro pubblico: un passo avanti e uno a lato; in merito v.
relativa all‟individuazione degli ambiti di libera esplicazione della contrattazione collettiva che troverà soluzione unicamente con la c.d.
Riforma Brunetta. La questione, nota come c.d. negoziabilità dei poteri dirigenziale, risiedeva nel poter considerare o meno materie contrattabili tutte quelle assoggettate all‟egida del diritto privato.
Dal punto di vista “soggettivo” l‟estensione del diritto privato si traduceva nella contrattualizzazione del rapporto di lavoro anche dei dirigenti apicali. Tale mutamento costringeva la Corte Costituzionale nel breve volgere di alcuni anni a giustificarne dapprima il permanente assoggettamento al diritto pubblico e successivamente la riconduzione al diritto privato20. Alla generalizzazione della contrattualizzazione dell‟intera dirigenza si affiancava l‟introduzione della scissione tra contratto di assunzione a tempo indeterminato ed incarico a termine, evidente profilo di specialità del rapporto di lavoro della categoria, visto e vissuto come misura atta a “compensare” il rafforzamento del principio di distinzione funzionale tra politica ed amministrazione21. Intrinsecamente connessa con la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dell‟intera dirigenza e con l‟introduzione del principio di temporaneità degli incarichi era, poi, la previsione dell‟istituzione di un ruolo unico interministeriale, articolato in due fasce, in cui confluivano tutti i dirigenti dei Ministeri e delle amministrazioni autonome dello Stato. L‟appartenenza ad una delle due fasce rilevava ai fini del conferimento di particolari incarichi ed agli effetti del trattamento economico.
anche le osservazioni di F. CARINCI, «Costituzionalizzazione» ed «autocorrezione» di una riforma (la c.d. privatizzazione del rapporto di impiego pubblico), in Arg.dir.lav., 1998, 38.
20 Con la sentenza n. 313 del 1996 (Corte cost., 25 luglio 1996, n. 313, in Riv. it. dir. lav., 1997, II, 36, con nota di E. GRAGNOLI, Imparzialità del dipendente pubblico e privatizzazione del rapporto) la Corte avallò la scelta del legislatore della duplicazione delle fonti regolatrici del rapporto, non ritenendola in contrasto con le regole di imparzialità e di buon andamento dell‟azione amministrativa; con la successiva ordinanza n. 11 del 2002 (Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 11, in Lav. pubb. amm., 2002, 293) affermò che “la privatizzazione del rapporto di impiego pubblico (intesa quale applicazione della disciplina giuslavoristica di diritto privato) non rappresenta di per sé un pregiudizio per l‟imparzialità del dipendente pubblico, posto che per questi (dirigente o no) non vi è – come accade per i magistrati - una garanzia costituzionale di autonomia da attuarsi necessariamente con legge attraverso uno stato giuridico particolare che assicuri, ad es., stabilità ed inamovibilità”, per cui rientra nella discrezionalità del legislatore disegnare l'ambito di estensione di tale privatizzazione, con il limite del rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e della non irragionevolezza della disciplina differenziata.
21 Per le motivazioni sottese a tale soluzione legislativa, per tutti, F. CARINCI, La privatizzazione della dirigenza generale alla prova della Consulta, in Lav. pubbl. amm., 2000, 710. V. anche A. ZOPPOLI, Dirigenza, contratto di lavoro e organizzazione, Napoli, 2000, 230 il quale sottolinea come tale scelta conduce a configurare tra politica e dirigenza un modello di distinzione funzionale e di contiguità strutturale.
È in questo periodo che si realizza, altresì, il definitivo passaggio di giurisdizione, dal giudice amministrativo al giudice del lavoro, con la dead line del 30 giugno 1998; un definitivo passaggio accelerato dall‟introduzione di un termine decadenziale (15 settembre 2000) per la proposizione davanti al giudice amministrativo delle controversie riguardanti questioni inerenti il rapporto di lavoro contrattualizzato anteriori al 30 giugno 1998 (art. 45, comma 17 del D.Lgs. n. 80/1998).
Nell‟ambito del progetto complessivo di modifica del sistema amministrativo delineato dalle c.d. leggi Bassanini vengono altresì emanati il D.Lgs. n. 286/1999 con cui si riforma il sistema dei controlli e di valutazione delle responsabilità, nonché i decreti delegati nn. 300 e 303 del 1999 di riforma dell‟assetto organizzativo del Governo (Presidenza del Consiglio dei ministri e plesso governativo ministeriale, oltre le correlative agenzie, ad ordinamento generale ovvero speciale).
Quello che era stato pensato come il nuovo Testo Unico del Pubblico impiego, finalizzato a razionalizzare la copiosa e corposa normativa stratificatasi nel corso degli anni, si traduceva in una mera riscrittura del D.Lgs. n. 29/1993, sì da risultare ri-immatricolato come D.Lgs. n.
165/2001 (“Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), perdendo così le caratteristiche di un Testo Unico ed assumendo quelle di legge generale sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni22.
Di lì a poco, a fine legislatura, era approvata la legge costituzionale n.
3 del 2001 con cui si “ribaltava” il precedente criterio di riparto di competenze legislative dello Stato e delle Regioni, con un nuovo articolo 117 che nel prevedere una generale potestà legislativa in capo alle Regioni, definiva un primo elenco di materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato ed un secondo elenco di materie a “legislazione concorrente” Stato-Regioni. Se per il lavoro privato ben presto è prevalso in dottrina ed in giurisprudenza l‟orientamento che attribuiva alla competenza esclusiva dello Stato la disciplina del rapporto di lavoro, in quanto riconducibile alla materia ordinamento civile23, più complessa e
22 Come rileva CARINCI F., Spes ultima dea, in Lav.pubb.amm., 2001, supplemento al fascicolo 2, 6 allorquando la bozza del testo unico venne sottoposta ad una verifica Governo–sindacati “si scontrò con un veto assoluto ed incondizionato degli stessi sindacati”
le cui riserve erano rivolte sia al metodo, ed in particolare al non essere il testo il frutto di un confronto regolare e continuo tra le parti sociali, sia al contenuto, lamentandosi uno spostamento della linea di confine tra legge e contratto a favore della prima, cui conseguiva una qual sorta di rilegificazione della materia.
23 Ordinamento civile che rappresenta la riproduzione del “vecchio” limite del diritto privato fondato sull‟esigenza, connessa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire l‟uniformità nel territorio nazionale delle regole che disciplinano i rapporti tra i privati. Così in dottrina F.CARINCI, Riforma costituzionale e diritto del lavoro, in questa rivista, 2003, 59;
stratificata è stata l‟interpretazione del testo costituzionale con riguardo al personale delle amministrazioni regionali e locali, in ragione dell‟intreccio tra disciplina del rapporto di lavoro e profili organizzativi. La giurisprudenza costituzionale, pur con alcune oscillazioni, ha ricondotto i profili relativi alle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale alla materia dell‟organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali; e, dunque, nella competenza residuale regionale ex art. 117, comma 4, Cost.24, mentre ha riportato nella materia
M.NAPOLI, Tutela e sicurezza del lavoro nella riforma del Titolo V della Costituzione, in Quale futuro per il diritto del lavoro, Milano, 2002, 13; R.PESSI, Il diritto del lavoro tra Stato e Regioni, in questa rivista, 2002, 75; M.G.GAROFALO, Pluralismo, federalismo e diritto del lavoro, in Riv.giur.lav., 2002, I, 410; M.MAGNANI, Il lavoro nel titolo V della costituzione, in questa rivista, 2002, 645; P. TOSI, I nuovi rapporti tra Stato e Regioni: la disciplina del contratto di lavoro, in questa rivista, 2002, 599 ss.; M. DE LUCA, Il lavoro nel diritto regionale: tra statuto della regione siciliana e recenti modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione (note minime), in Foro it., 2002, V, 272; M.PALLINI, La modifica del Titolo V della Costituzione: quale federalismo per il diritto del lavoro?, in Riv.giur.lav., 2002, I, 21. Altri autori addivenivano al riconoscimento della competenza esclusiva dello Stato attraverso diverse argomentazioni e cioè attraverso il richiamo al fondamentale principio di uguaglianza di cui all‟art. 3 della Costituzione (M.PERSIANI, Devolution e diritto del lavoro, in Arg.dir.lav., 2002, 19 ss.), o invocando la diversa materia di competenza statale esclusiva «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (M.RUSCIANO, Il diritto del lavoro italiano nel federalismo, in Lav.dir., 2001, 491 ss.; cfr. anche L.ZOPPOLI, La riforma del Titolo V della Costituzione e la regolazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni: come ricomporre i «pezzi» di un difficile puzzle?, in Lav.pubb.amm., 2002, 149 ss. che muovendo dai livelli essenziali delle prestazioni afferma l‟esistenza di uno spazio per la legislazione regionale che può operare innalzando i livelli di tutela e sicurezza del lavoro). In via di ipotesi M.V.BALLESTRERO, Differenze e principio di uguaglianza, in Lav.dir., 2001, 424 e R. DEL PUNTA, Tutela e sicurezza del lavoro, ivi, 434 affermano che la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile non sembra assorbire interamente la disciplina del rapporto di lavoro e optano per l‟individuazione di un nucleo regolativo essenziale ed intengibile della legislazione nazionale. In giurisprudenza cfr. Corte Cost. 6 novembre 2001, n. 352, antecedente di due giorni rispetto all‟entrata in vigore della revisione del Titolo V e, pertanto, assai significativa conoscendo già la Corte il testo del nuovo art. 117 Cost.; in seguito v. Corte Cost. 28 luglio 2004, n. 282 che parla di un limite
“rimasto fondamentalmente invariato nel passaggio dal vecchio al nuovo testo”. In merito v.
anche Corte Cost. 26 giugno 2002, n. 282 che ha affermato che la determinazione dei livelli essenziali non configura una materia a sé stante, ma al più una competenza di carattere trasversale idonea ad incidere su tutte le altre e volta a preservare l‟unità giuridica ed economica della Repubblica; ancora cfr. Corte Cost. 28 gennaio 2005, n. 50.
24 Cfr. Corte Cost. 16 giugno 2006, n. 233 che riconduce le nomine e l‟attribuzione di incarichi dirigenziali da parte degli organi di indirizzo politico nell‟ambito dell‟organizzazione amministrativa regionale, ponendosi semmai un problema circa la lesione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Più in generale Corte Cost. 7 luglio 2010, n. 235 che riconduce nell‟ambito dell‟organizzazione degli uffici la regolamentazione delle modalità di instaurazione di contratti di lavoro con le Regioni. Per la prima giurisprudenza che aveva affermato che la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di ordinamento dei propri uffici poteva estendersi anche a disciplinare il rapporto di impiego dei propri
“ordinamento civile” anche la disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato25.
1.4. (Segue) La c.d. terza fase della riforma: dalla Riforma Frattini alla Riforma Brunetta passando per le stabilizzazioni del Governo Prodi
La “codificazione” del 2001 è stata in seguito novellata dalla legge n.
145/2002, con una significativa riscrittura delle disposizioni in tema di dirigenza; un disegno di legge pensato dalla nuova maggioranza di centro-destra con un obiettivo iniziale limitato, volto ad una generalizzazione retroattiva dello spoil system, e poi via via incrementatosi di contenuti e di ratio, assumendo nelle mature intenzioni del legislatore una matrice contro-riformatrice tesa ad una ripubblicizzazione/decontrattualizzazione della dirigenza. Una riconduzione della dirigenza sotto l‟egida pubblicistica che non ha, però, trovato conforto nell‟interpretazione delle norme e soprattutto dalla non superata matrice contrattuale del rapporto di lavoro. Una novella che nel comportare una rilegificazione della disciplina del conferimento degli incarichi, precludendo expressis verbis un possibile intervento regolativo della contrattazione collettiva, incrementava il peso delle scelte politiche in ordine alla preposizione dei dirigenti negli uffici, sì da rafforzare il legame fiduciario fra nominante e nominato.
Da li a qualche mese la legge delega n. 30/2003 ed il successivo decreto delegato n. 276/2003 di riforma del mercato del lavoro sancivano la loro espressa non applicabilità alle “pubbliche amministrazioni” e al
“loro personale” (art. 6, l. n. 30/2003 e art. 1, co. 2, D.Lgs. n.
276/2003), sì da aprire la via al progressivo allontanamento della disciplina del lavoro pubblico dai modelli normativi che ispirarono la contrattualizzazione26.
dipendenti, v. Corte Cost. 15 novembre 2004, n. 345, nonché Corte Cost. 24 luglio 2003, n.
274.
25 Con specifico riferimento al rapporto di lavoro pubblico v. Corte Cost. 21 marzo 2007, n.
95; Corte Cost. 14 giugno 2007, n. 189, nonché più recentemente Corte Cost. 29 aprile 2010, n. 151. Per la legittima differenziazione della disciplina del rapporto di lavoro pubblico rispetto a quello privato in quanto il processo di omogeneizzazione è soggetto al limite della specialità del lavoro pubblico v. Corte Cost. 16 maggio 2008, n. 146; Corte Cost. 9 novembre 2006, n. 367; Corte Cost. 5 giugno 2003, n. 199; Corte Cost. 27 marzo 2003, n.
82; Corte Cost. 23 luglio 2001, n. 275.
26 Così espressamente S. MAINARDI, Il pubblico impiego nel “Collegato lavoro”, in Giur.it., 2011, 11. Un allontanamento che più volte la Corte Costituzionale ha legittimato, si veda in questo, da ultimo, Corte Cost. 10 maggio 2012, n. 120, su cui v. in particolare L.ZOPPOLI, Bentornata realtà: il pubblico impiego dopo la fase onirica, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 168/2013, 14 s.
Nella successiva legislatura, l‟attenzione della maggioranza di centro sinistra in materia di lavoro pubblico è stata rivolta in via principale alla riduzione della spesa degli enti (e, dunque, anche alla spesa in materia di personale) e alla soluzione dell‟annosa questione del precariato, effetto del blocco delle assunzioni degli anni precedenti e che aveva condotto all‟assunzione di personale con contratto a termine o addirittura con contratti di collaborazione. Così ad un primo decreto-legge dai poliedrici contenuti (d.l. n. 223/1996, convertito con l. 248/2006), desumibili dal suo stesso titolo (“Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale”), le leggi finanziare per il 2007 (l. n. 296/2006) e per il 2008 (l. n. 244/2007) introducevano specifiche regole volte alla c.d. stabilizzazione del personale assunto con contratto flessibile e che avesse lavorato con tale tipologia contrattuale per almeno un triennio. Un impegno che vide coinvolte direttamente anche le parti sociali con le quali a fine gennaio del 2007 veniva sottoscritto il “Memorandum d‟intesa sul lavoro pubblico e riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche”. Un memorandum che si apre con l‟incipit secondo cui “una profonda riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche è un passaggio obbligato affinché l'economia italiana torni su un sentiero di crescita duratura” e che prosegue affermando che “le iniziative di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche vengano attuate attraverso indirizzi e criteri generali concordati in connessione con il rinnovo dei contratti”. Dunque, un‟affermata esplicita volontà di ritorno al contratto di cui si prospetta una vis espansiva anche con riguardo ai profili organizzativi27. È altresì da ricordare come in questa fase sono stati anticipati, ancorché con Direttiva del Ministro della Funzione Pubblica, alcuni principi che saranno ripresi in seguito dal legislatore con riferimento alla procedimentalizzazione delle modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali. La Direttiva Nicolais (n. 10 del 19 dicembre 2007), in parte rifacendosi ad alcuni contenuti dell‟appena citato memorandum, poneva in luce l‟esigenza di individuare strumenti per realizzare un'adeguata pubblicità dei posti dirigenziali vacanti e per consentire ai dirigenti che ritenevano di possedere la professionalità idonea allo svolgimento del relativo incarico di potersi candidare per lo svolgimento dell‟incarico vacante. Una scelta che sarebbe poi spettata all‟amministrazione all‟esito di un‟adeguata ponderazione delle candidature avanzate.
27 In merito v. criticamente A.GARILLI, Dove va il pubblico impiego?, in Jus ,2010, 456 il quale sottolinea come il memorandum “sembra ricadere nell‟errore di spingere eccessivamente verso una co-gestione dell‟efficienza”.,
1.5. (Segue) La quarta fase: da Brunetta a Renzi, passando per Monti e Letta
Di lì a poco, nel nuovo esecutivo di centro-destra, la scena era occupata dal vulcanico Ministro Brunetta propulsore di una visione riformatrice della pubblica amministrazione che, come è stata unanimemente commentato dalla dottrina, è stata pensata e scritta all‟insegna di una spiccata visione aziendale della pubblica amministrazione. L‟obiettivo era di introdurre nel settore pubblico una
“reale” cultura dell‟efficienza, del merito e dell‟integrità anche per riaffermare la fiducia della collettività nei confronti dell‟operato della pubblica amministrazione. Ciò anche tramite una maggiore partecipazione del cittadino nella gestione dei servizi pubblici, rendendo possibile il controllo sull‟utilizzo delle risorse pubbliche, attraverso la massima trasparenza delle informazioni concernenti l‟organizzazione, i costi dei servizi ed i trattamenti economici erogati.
Si tratta di una riforma di cui si è detto molto, al limite dell‟abuso del dire, originariamente fondata su di un doppio binario, avendo a riferimento la riforma dell‟organizzazione e del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, divenuto ben presto una monorotaia in cui una delle due rotaie, quella relativa alla riforma del lavoro, ha “assorbito” l‟altra.
Nascono in diretta consequenzialità, a fine maggio 2008 ed inizio giugno dello stesso anno, due progetti di riforma, l‟uno denominato “Piano Industriale per la riforma della Pubblica amministrazione”, l‟altro “Riforma del lavoro pubblico e della contrattazione collettiva”, sulla base dei quali vengono in breve tempo redatti due disegni di legge. Il primo, progetto di legge n. 1441 (“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”) viene stralciato in autonomi disegni di legge, perdendo nell‟approvazione definitiva dei vari testi l‟iniziale organicità28; il secondo disegno di legge 847 (“Delega al Governo finalizzata all‟ottimizzazione della produttività”) viaggia rapidamente e conduce all‟approvazione della legge delega n. 15/2009 ed alla successiva emanazione del Decreto delegato n. 150/2009. Se l‟iter che ha condotto
28 Segnatamente dal progetto n. 1441-bis, deriva l‟approvazione della legge 18 giugno 2009, n. 69, “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”; dal n. 1441-ter la legge 23 luglio 2009, n. 99,
“Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”; dal 1441-quater la legge 4 novembre 2010, n. 183 “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro”.
all‟approvazione della legge delega non aveva presentato particolari ritardi, ben più stratificato e complesso è stato il percorso che ha condotto all‟approvazione del decreto delegato, licenziato in via definitiva dopo oltre quaranta revisioni. Nelle more era stato emanato a fine giugno del 2008 il d.l. 112, poi convertito con modificazioni in legge n. 133/2008 con cui si intendevano risolvere i problemi contingenti e più urgenti29. Una scansione temporale/normativa importante in sé e per alcune analogie con quanto sta avvenendo durante il presente esecutivo30.
Una riforma, quella del 2009, che nell‟ambito del D.Lgs. n. 150/2009 vede ben separate due parti, una prima del tutto nuova, comprendente i titoli II e III, rispettivamente dedicati a “Misurazione, Valutazione e Trasparenza della Performance” e “Merito e Premi” e l‟altra contenuta nel successivo titolo IV comprendente “Nuove norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” con cui si agisce con la tecnica della novellazione sul D.Lgs. n.
165/2001. La prima parte, nell‟introdurre principi in parte nuovi e nel cercare di rivitalizzare sistemi premiali mai decollati, pone al centro del sistema i c.d. stakeholders, in funzione di garanzia di una valutazione oggettiva ritenuta del tutto funzionale all‟incremento dell‟efficienza dell‟azione della pubblica amministrazione. Viene così introdotto il principio dell‟accessibilità totale delle informazioni, punto di partenza per la successiva normativa in materia di trasparenza ed incompatibilità.
Nella seconda parte viene ampliata la specialità di disciplina del lavoro pubblico, qualificando, altresì, come imperative tutte le speciali disposizioni del decreto 165 (cfr. art. 2, co. 2, primo periodo D.Lgs. n.
165/2001 ed art. 40, co. 1, sempre D.Lgs. n. 165/2001)31, con una
29 In merito v. M. MISCIONE, D. GAROFALO (a cura di), Commentario alle legge n. 133/2008, Milano, 2009.
30 Sulla riforma Brunetta, senza pretesa di esaustività, con riferimento alla legge delega e al decreto delegato v. AA.VV., La terza riforma del lavoro nelle Pubbliche amministrazioni, Parti I-II-III, in Lav. pubbl. amm., rispettivamente: 2008, 949 ss.; 2009, 1 ss. e 2009, 469 ss.; a seguito dell‟emanazione del D.Lgs. n. 150/2009, L. ZOPPOLI (a cura di), Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009; M. TIRABOSCHI-F. VERBARO (a cura di), La nuova riforma del lavoro pubblico, Milano, 2010; AA.VV., La riforma “Brunetta” del lavoro pubblico, in Giorn.. dir. amm., 2010, 1 ss.; P. MASTROGIUSEPPE, R. RUFFINI (a cura di), La riforma del lavoro pubblico tra continuità ed innovazione, Milano, 2010; M. PERSIANI (a cura di), La nuova disciplina della dirigenza pubblica, in Giur. it., 2010, 2697 ss.; AA.VV., Il pubblico impiego dopo la riforma del 2009, in Riv. giur. lav., 2010, I, 447 ss.; F.CARINCI,S.
MAINARDI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico, Milano, 2011; M.NAPOLI-A.GARILLI (a cura di), Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni tra innovazioni e nostalgie del passato, Commentario sistematico, in Nuove leggi civili comm., 2011, 1073 ss. e sempre M.NAPOLI- A.GARILLI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico tra aziendalismo e autoritarismo, Padova, 2013.
31 Già la legge delega n. 15/2009 aveva significativamente modificato il secondo periodo del secondo comma dell‟art. 2 del D.Lgs. n. 165/2001 rafforzando il ruolo della legge rispetto
significativa contrazione dell‟ambito di libera esplicabilità della contrattazione collettiva a favore di un‟unilateralità delle decisioni datoriali32. Un‟azione del legislatore che risulta però caratterizzata da una evidente contraddizione di fondo. Da un lato l‟indicazione del sindacato quale “controparte” da limitare, con l‟introduzione di norme volte a rafforzare l‟unilateralità delle scelte a scapito del ruolo regolativo della contrattazione collettiva e a rendere obbligatoria l‟azione della dirigenza, ossia del datore di lavoro pubblico, incanalata dentro ben definiti argini tramite un pervasivo intervento regolatore; dall‟altro lato la strutturale esigenza della sottoscrizione di nuovi contratti collettivi, a livello nazionale ed integrativo, per l‟effettiva attuazione di quanto previsto soprattutto in materia di merito e di politiche incentivanti. Una riforma che nel riprendere principi espressi dalla legislazione precedente, in larga parte “rimasti sulla carta”, segnava una precisa discontinuità quanto alle previste modalità di attuazione: non si limitava a ribadire il principio, ma ne definiva anche le modalità attuative, assegnando tuttavia alla fonte negoziale alcuni importanti ambiti di intervento derogatorio. Il blocco della contrattazione collettiva disposto dal d.l. 78/2010 ha inevitabilmente fermato ed irrigidito il percorso, congelando nei fatti il sistema di relazioni sindacali33. Ma il blocco della contrattazione, unito all‟interpretazione sindacale dell‟obbligo di adeguamento delle previsioni dei contratti integrativi previsto dall‟art. 65 del D.Lgs. n. 150/2009, nel senso di ricavare dalla norma la transitoria vigenza (fino ai successivi rinnovi contrattuali nazionali) delle previgenti disposizioni negoziali anche per le parti in contrasto con i nuovi principi, portava prima ad un contenzioso giudiziale dagli esiti compositi e, infine, all‟emanazione del D.Lgs. n. 141/201134. Un decreto con cui si ribadiva per legge
alla contrattazione collettiva. Si era, infatti, previsto che eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto contenenti discipline dei rapporti di lavoro con applicabilità limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, potevano essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non erano ulteriormente applicabili, “solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge” e non più “salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario”, sì da rimettere ad un‟espressa indicazione del legislatore la derogabilità del disposto normativo. In merito v. M.NAPOLI, La riforma del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni tra mortificazione della contrattazione collettiva e valutazione della perfomance, in M. NAPOLI e A. GARILLI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico tra aziendalismo e autoritarismo, Padova, 2013, 4.
32 Cfr. M. RICCI, Il contratto collettivo verso il suo ridimensionamento, in F. CARINCI-S.
MAINARDI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico, Milano, 2011, 313 ss. sp. 322 ss.
33 Così anche A. VISCOMI, Il pubblico impiego: evoluzione normativa e orientamenti giurisprudenziali, in Giorn.dir.lav.rel.ind., 2013, 73 il quale sottolinea gli effetti negativi del blocco delle dinamiche retributive per l‟effettivo avvio delle riforme.
34 In merito a tale decreto legislativo v. A. BELLAVISTA, Il decreto correttivo della riforma Brunetta e il «cantiere aperto» del lavoro pubblico, in Lav.giur., 2011, 1185 ss.; con
l‟immediata applicabilità del nuovo assetto delle fonti e sostanzialmente si congelavano le tre fasce di merito introdotte dal decreto 150, uno dei temi oggetto di maggiore critiche e su cui era già intervenuta un‟intesa Governo – sindacati all‟inizio di febbraio del 2011.
Una riforma quella del 2009 che non affronta compiutamente il tema sempre centrale del rapporto tra politica ed amministrazione o, meglio, lo affronta senza introdurre misure effettivamente in grado di limitare l‟ingerenza della prima sui vertici burocratici. Dal punto di vista generale la previsione di un ciclo di gestione della performance rappresenta una precisazione del processo circolare indirizzo – gestione – verifica già delineato dal D.Lgs. n. 165/2001; l‟indicazione delle caratteristiche degli obiettivi e la precisazione delle modalità di valutazione, certamente pregevole, non è però di per sé in grado di arginare comportamenti dilatori e poco puntuali degli organi di vertice. Sul piano del singolo rapporto di lavoro dirigenziale ad una maggiore attenzione alla fase di conferimento dell‟incarico, non si accompagna un‟uguale attenzione per la fase di svolgimento e di cessazione dello stesso. Anzi, dopo pochi mesi dall‟entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2009 con il già citato d.l. 78/2010 viene eliminato l‟unico effettivo baluardo eretto a tutela delle dirigenza, ovvero la possibilità di modificare alla scadenza l‟incarico solo in presenza di una valutazione negativa o di pregresse ed enunciate ragioni di carattere organizzativo35. Un aspetto importante in sé, ma ancor più rilevante se comparato con quanto è alla base del ddl 1577 che, come si avrà modo di esplicitare, appare ispirato da una visione opposta, tutta a favore della ontologica precarietà dell‟incarico. Una soluzione che trova un importante anello di congiunzione nella legge anticorruzione e nel principio ivi affermato dalla generale applicazione del principio di rotazione per tutti gli incarichi. Ma più in generale appare evidente l‟assenza di misure atte ad incentivare il vertice politico a svolgere tutti i
riferimento specifico alla c.d. negoziabilità dei poteri dirigenziali cfr. A. TOPO, La contrattazione integrativa, in F.CARINCI-S.MAINARDI (a cura di), La terza riforma del lavoro pubblico, Milano, 2011, 415 ss., sp. 427.
35 V. in termini critici S. BATTINI, L’autonomia della dirigenza pubblica e la “riforma Brunetta”: verso un equilibrio fra distinzione e fiducia?, in Giorn.dir.amm., 2010, 43, secondo cui la procedimentalizzazione della decisione di mancata conferma rappresentava una garanzia sostanziale e non formale; G. GARDINI, L’autonomia della dirigenza nella (contro)riforma Brunetta, in Lav. pubbl. amm., 2010, 595, il quale rileva come in un sol colpo il Governo sia riuscito a svuotare di significato tanto il principio di autonomia funzionale, quanto il momento valutativo e A. GARILLI, Il dirigente pubblico e il sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa della P.A., in Giur. it., 2010, 2717 secondo cui «risultano così ristretti al minimo gli spazi di verifica sulla legittimità della scelta».
compiti di indirizzo assegnatigli, nei tempi e nei modi indicati dalla riforma36.
Si delinea così un sistema in cui il restringimento del ruolo negoziale, unito alla etero-determinazione dei necessari comportamenti della dirigenza, rafforza la continguità tra politica ed amministrazione, a dispetto della distinzione di ruoli e di compiti.
Gli interventi del successivo governo Monti in materia di lavoro pubblico sono tutti protesi alla riduzione della spesa pubblica (e, dunque anche del personale) a servizi invariati ed in assenza di un organico progetto di riforma37. Prova emblematica ne è la c.d. legge Fornero (l. n.
92/2012), scritta e pensata per il solo lavoro privato e che solo nell‟imminenza della definitiva approvazione inserisce due commi, il 7 e l‟8 dell‟art. 1, con i quali si prevede, con formula invero equivoca, che le disposizioni della legge “per quanto da esse non espressamente previsto, costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” (co. 7); e che “Al fine dell'applicazione del comma 7” il Ministro della Funzione Pubblica, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative “individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche” (co. 8). Commi letti ed analizzati soprattutto nella prospettiva dell‟applicabilità o meno del riformato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori al lavoro pubblico, ma che incrementano il solco tra disciplina legislativa del settore privato e di quello pubblico; un settore, quest‟ultimo, ormai costruito, anche in ragione dei molteplici interventi normativi settoriali e specifici, come un modello regolativo ampio e separato dal lavoro privato
Sul piano delle relazioni sindacali, l‟apertura ai sindacati è simbolica, tesa più ad armonizzare tra loro disposizioni normative che ad innovare.
Così nell‟ambito della legge c.d. di spending review (n. 95/2012) vi è una limitata modifica del comma 2 dell‟art. 5 e del successivo art. 6 del D.Lgs.
n. 165/2001. Previsioni con le quali si apre alla partecipazione sindacale rispettivamente nel caso di misure riguardanti i rapporti di lavoro (sempreché l‟esame congiunto sia previsto dai contratti collettivi) e nel caso di processi di riorganizzazione per l‟esame dei criteri per l‟individuazione di esuberi o per le modalità delle procedure di mobilità.
36 Cfr. A. GARILLI, Dove va il pubblico impiego?, in Jus ,2010, 455 il quale sottolinea l‟incapacità di stabilire sanzioni per l‟organo di indirizzo politico che non eserciti le sue funzioni.
37 In merito L.ZOPPOLI, Bentornata realtà: il pubblico impiego dopo la fase onirica, in WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 168/2013, 5 parla di sviluppi “disarmanti prima ancora che allarmanti”.
L‟esecutivo Monti implementa il principio di trasparenza dettato dall‟art. 11 del D.Lgs.n. 150/2009. Nel breve arco di pochi mesi vengono emanati, effetto dell‟onda lunga della c.d. riforma Brunetta, la legge n.
190/2012 in materia di anticorruzione e, da governo dimissionario, i decreti legislativi nn. 33 e 39 del 2013 in materia di trasparenza e di inconferibilità ed incompatibilità di incarichi38; a fine mandato viene approvato anche il “nuovo” Codice di comportamento dei dipendenti pubblici che sarà pero pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel periodo di governo Letta.
Quest‟ultimo esecutivo resta in carica poco più di nove mesi. Un arco temporale certamente non ampio, ma durante il quale viene emanato il d.l. n. 101/2013 (“Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni”)39 convertito in legge n. 135/2013. Il provvedimento, come ammesso dallo stesso governo che l‟ha licenziato, non aveva la pretesa di realizzare una riforma epocale, ma si è limitato ad alcuni interventi settoriali. Per quanto concerne il lavoro pubblico l‟intervento è stato espressamente volto al superamento del precariato, non senza presentare alcune incoerenze interne, prima fra tutte in materia di novellata disciplina del contratto a termine. Infatti il legislatore al fine di rafforzare la regola dell‟assunzione con contratto a tempo indeterminato ha anteposto alla necessaria temporaneità ed eccezionalità delle ragioni che legittimano l‟apposizione del termine l‟avverbio esclusivamente; senonché nel contempo ha sostituito la congiunzione “e” (temporanee e eccezionali) con la disgiuntiva “o”
(temporanee o eccezionali), sì da facilitare, almeno in teoria, il ricorso a tale tipologia contrattuale. Significative sono le disposizioni per favorire la stabilizzazione del c.d. personale precario, sia riaprendo i termini dettati dalle leggi finanziarie per il 2007 ed il 2008, sia dettando nuovi criteri, tra i quali la possibilità di prorogare oltre i limiti i contratti a tempo determinato in essere al fine della successiva conversione in contratto a tempo indeterminato. Di rilievo sono anche le disposizioni che hanno subordinato le nuove assunzioni a tempo indeterminato nelle amministrazioni centrali ad un doppio vincolo: il primo, l‟aver accertato vacanze di organico, con divieto di procedere ad assunzioni nelle
38 Con riferimento a tali interventi normativi, senza alcuna pretesa di esaustività, v. B. G.
MATTARELLA,M.PELLISSERO (a cura di), La legge anticorruzione, Torino, 2013; M.SAVINO, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn.dir. amm., 2013, 795; F.
MERLONI, Il regime delle inconferibilità e incompatibilità nella prospettiva dell’imparzialità dei funzionari pubblici, in Giorn.dir. amm., 2013, p. 806; G.SIRIANNI, La necessaria distanza tra cariche politiche e cariche amministrative, in Giorn. dir. amm., 2013, 816; B. PONTI, La vigilanza e le sanzioni, in Giorn. dir. amm., 2013, 821.
39 Su cui v. A. TAMPIERI, Prime osservazioni sulla legge 30 ottobre 2013, n. 125, in Lav.pubb.amm., 2013, 737 ss.
qualifiche e nelle aree in cui vi sia soprannumero, di per sé scontato e desumibile dai principi generali; il secondo, l‟aver immesso in servizio tutti i vincitori di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato collocati nelle graduatorie vigenti 40. Si introduce, altresì, il principio – che come vedremo sarà ripreso per la dirigenza dal ddl n. 1577 – del concorso unico per il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le pubbliche amministrazioni; procedure previste per le amministrazioni centrali cui possono aderire anche le Regioni e gli enti locali.
2. Gli interventi del Governo Renzi
Se la ricostruzione in chiave critica degli interventi antecedenti, remoti e prossimi, è di fondamentale importanza per affrontare compiutamente il tema assegnato, non meno rilevante è l‟analisi critica di ciò che è avvenuto dall‟insediamento dell‟esecutivo in carica fino ad oggi.
Anche in materia di lavoro pubblico l‟esordio del governo Renzi è mediatico e partecipativo, connotati che nel corso del tempo si andranno a declinare in una modalità sempre più mediatica e meno partecipativa.
Una “campagna” che inizia con l‟affermazione, peraltro comune a tutte le agende dei governi che si sono succeduti nel secondo dopoguerra, della centralità della riforma della pubblica amministrazione. L‟esecutivo dichiara di voler imprimere un significativo cambio di rotta a quella che considera un‟appiattita prassi ultraventennale, caratterizzata, pur con alcune differenziazioni, da restrittive manovre di carattere economico- finanziarie e prive di un organico progetto riformatore. Il Governo esprime chiaramente l‟intenzione di impegnarsi maggiormente rispetto a quanto fatto dai precedenti esecutivi.
Se questa è l‟intenzione proclamata, nei fatti il nuovo Governo si trova subito di fronte ad un primo problema, in apparenza contingente, ma di ampio respiro, facilmente addebitabile alle “gestioni” precedenti: le difficoltà finanziarie del Comune di Roma e l‟esigenza di un nuovo intervento urgente per evitare il default della Capitale. Il nuovo esecutivo, ereditando in larga parte un testo sostanzialmente confezionato da altri, emana un d.l. sugli Enti locali (d.l. 6 marzo 2014, n. 16) contenente le misure c.d. “Salva Roma-ter”. Nel corpo di un decreto legge in cui si affrontano molteplici questioni (Tasi, web tax, Comune di Roma, Imu ed altre disposizioni urgenti di carattere finanziario) un apposito articolo, il 4, è dedicato alle “Misure conseguenti al mancato rispetto di vincoli
40 A questi si aggiungeva per le amministrazioni statali l‟impossibilità di nuove assunzioni nel caso di mancato adeguamento alla riduzione degli organici ed alla riorganizzazione prevista dalla spending review.