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QUARANTEMA. E se il Covid avesse sferrato il suo attacco nel 1283? Dante ne avrebbe fatto cenno in un capitoletto della sua Vita Nova?

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Academic year: 2022

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QUARANTEMA

E se il Covid avesse sferrato il suo attacco nel 1283? Dante ne avrebbe fatto cenno in un capitoletto della sua Vita Nova?

E se il virus avesse funestato il Cinquecento, Ariosto e Tasso non vi avrebbero dedicato le loro ottave?

E Machiavelli non avrebbe forse voluto dimostrare che quegli anni non li aveva “né dormiti

né giuocati”?

E se, infine, la pandemia fosse esplosa nel bel mezzo dei viaggi in Europa dell’Alfieri, magari impedendogli di raggiungere la sua meta, non avrebbe egli scritto quanto poco gli piacesse quel “vil secol”?

Sul finire del’anno scolastico più bizzarro degli ultimi tempi, gli studenti della classe 4C del Liceo scientifico Machiavelli

si sono divertiti a immaginare

in che modo i grandi intellettuali italiani del passato avrebbero vissuto e letterariamente interpretato una situazione così particolare della storia dell’umanità…

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Dante Alighieri, Vita Nova, capitolo XXVII

Durante il corso del diciassettesimo giro della Terra attorno al Sole da quando io vi imprimevo le vestigia mie, in tutto il mondo scoppiò una pandemia, arrivata a noi dal paese del Sol Levante durante gli ultimi giorni del mese che più corto è degli altri. Le vite di tutti travolse furiosa, imprigionandoci tra le domestiche mura, senza licenza alcuna di trovar sollievo fuori di quelle.

Arduo fu il colpo per me che solo le notturne ore solevo in casa albergar; e per rimediare ad esso colpo trovai conforto nella piccola finestra da cui il caro mio paese contemplavo.

E nel libro della mia memoria impressi queste parole, che formarono il sonetto che comincia

“Nell’eterna vita di Persefone”:

Nell’eterna vita di Persefone, prima del tanto atteso momento, della sua partenza dalla buia prigione, fummo costretti all’isolamento

oppressi da un invisibile invasore, sfidando nemici peggiori mi tormento:

idee, pensieri, paure a cui la mente si oppone senza compagni di combattimento

da una finestra, al vento li racconto, godendomi l’unica vista di libertà, lascio vagare il mio sguardo nel paese

con la speranza di vedere il tramonto della pandemia, prima che la divinità ritorni nelle oscure e tristi discese.

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Ludovico Ariosto, Il Filippo ozioso, Poemetto in ottave, incipit

Dirò di Filippo, giovane studente, da noia e solitudine colpito

durante la reclusione opprimente;

a lungo rimase assopito, nulla di così avvincente:

potrebbe parere un fallito.

Non volendo alimentar troppe pretese vi lascio senza indugio alle sue imprese.

Filippo, che gran tempo segregato fu all’interno della sua dimora spesso rimase turbato

non riuscendo nemmeno un’ora a tenersi in alcun modo occupato.

Nel tempo questa situazione peggiora alla fine per noia cede

e a trovarsi un’occupazione provvede.

Dal letto al divano errante

fu, interi pomeriggi rimase inerte di tutto il resto incurante:

ecco il suo animo poco solerte!

D’improvviso fu colto in flagrante dalla madre a braccia conserte, completamente ricolma di collera che a fatica l’ozio del figlio tollera.

Come alla donna egli drizzò lo sguardo riconobbe quantunque da lontano il demoniaco sembiante; il codardo prontamente in camera si rifugia invano poiché la madre intima all’infingardo di mettere ordine in quel luogo disumano.

Filippo s’appresta ad eseguire il comando e in qualche modo inizia riordinando.

Tre giorni e tre notti impiega con la compagnia dell’amata

che assiste allibita al tempo che impiega stando con lui a lungo in chiamata.

Per evitare l’ira de la madre prega l’idea di oziare è presto scartata:

studiare, leggere e allenarsi

(4)

Ludovico Ariosto, Il regno del Corona, Poema cavalleresco in ottave

La peste, i medici, i becchi, il dolore Le autocertificazioni io canto

D’Oriente venìa causando fragore lo Corona, in Italia a nocquer tanto Et chi non soccombe a Netflix con onore Li eruditi suppongon fìa santo

Smarrita lo mondo la diretta via colpevole esta funesta pandemia.

Dapprima per la chiusura gaudenti domi gli italiani intenti a bighellonar;

Dopo, uscenti in drappelli ridenti

Sanza capir che ‘l morbo cosi sparpagliar Pena divina par lo duemila venti

Che l’humanitate sembra soggiogar E tanto tempo addietro lo morbo sorse Ch’è duro rimembrar le giornate trascorse.

‘l Conte ordinando ch’il popol non esca Vuol fermar la pena provvidenziale

Sed me par d’esser con Paolo e Francesca Travolto dal caos come un temporale;

A fermar lo morbo par non si riesca Quest’estate sanza vacanza annuale Cotanto dolore esta pena inflitta

Ch’essa, ahimè, non può esser descritta.

Continüa la dura quarantena Et pare a me che la selva oscura In camera mia sia e porta pena

Più arduo star chiusi d’una pugna dura

Ogni canzon par più una cantilena Et m’appanna la vista la calura;

La situazione par più che mai tosta

‘Che ‘l morbo copre il mondo sanza sosta.

In esti tempi bui nulla è chiaro

‘l Signore nei Cieli debbo pregare Che m’assista come la notte ‘l faro Possami nelle tenebre guidare;

‘l Corona m’ha tolto tutto di caro Con altre armi non saprei affrontare Che il tempo a lottare è tempo perso E di scacciar il morbo non c’è verso.

L’homo già aspetta la süa disfatta Misero accetta ‘l virus vincitore

Per ‘l morbo sembra più che mai fatta Et di combatterlo perso è l’ardore Del dì finale non si sa data esatta Ma esso est atteso con gran disonore Da ‘sto fardello gravemente afflitto L’homo sta per dichiararsi sconfitto.

Preso captivo lo mondo era oppresso Infernale parea la situazione

Ma par rischiararsi dal nulla adesso Quasi vi fosse una benedizione Sembra iniziare il riposo promesso Ma che ‘l morbo ci serva da lezione!

Presto passato ‘l regnum del Corona Che passa lo scettro et l’homo incorona.

(5)

Niccolò Machiavelli, Come l’uomo possa conservarsi tale pur nella riduzione delle sue libertà, Trattatello

Con questo scritto intendo rivolgermi a tutti coloro che vivono in uno Stato affetto da una pandemia virale, la quale costringe ognuno di noi a interrompere le quotidiane attività, non permettendoci di esprimere pienamente la nostra natura di uomo che ci vede in perenne relazione con altri individui, relazione su cui la nostra società ed economia si basano.

Pertanto si può affermare che questo morbo limita a tutti gli effetti la nostra libertà, che ormai da diverso tempo è giustamente considerata diritto inalienabile degli uomini, alla cui riduzione nessuno può facilmente rassegnarsi.

Tuttavia il mio intento consiste nel comunicare in quale modo possano gli uomini continuare a sostenere un degno stile di vita nonostante i numerosi divieti imposti da questa pandemia; tali consigli dunque, sebbene contribuiscano

positivamente, non sono atti a porre una fine a questa situazione di emergenza, la quale forse sarebbe possibile se la totalità della popolazione collaborasse, ma

siccome nella realtà ciò non si verifica noi possiamo limitarci ad alleviare questa situazione, ma non ad estirparla del tutto;

tale compito spetta infatti agli scienziati in costante ricerca di una cura e di un

vaccino.

Innanzitutto occorre dire che, come affermato in precedenza, non vi è la piena collaborazione dell’intera popolazione, in quanto diversi individui, mostrando

noncuranza nei propri confronti e in quelli dei loro concittadini, non hanno voluto interrompere la propria quotidianità. Ciò avviene molto raramente per ignoranza

della negligenza, per via della quale essi rischiano di incorrere in pesanti sanzioni e si espongono alla malattia, la quale ha così la possibilità non solo di persistere, bensì anche di proliferare. Dunque la soluzione per non incappare in questi pericoli consiste nel mantenersi

“incontaminati”; e per raggiungere questo fine non resta che astenersi da ogni partecipazione, ritirarsi in quella che solo apparentemente è un’infruttuosa solitudine, isolandosi da tutti, evitando ogni contatto con persone e oggetti da esse toccati e guardandosi dal

frequentare luoghi tipicamente ricchi di vita.

Questo che parrebbe essere un cammino noioso e improduttivo, è in realtà, oltre che l’unico modo possibile per affrontare questa emergenza, una modalità

mediante la quale l’uomo può esprimere diverse virtù, come la pazienza, la

responsabilità e l’ingegno, in quanto, chi al termine dell’emergenza avrà superato la pandemia, rispettando le restrizioni, sarà sicuramente più orgoglioso di se stesso, rispetto a coloro che non hanno saputo resistere alla tentazione di uscire da questo isolamento.

Durante esso ognuno di noi ha però la necessità di trovare delle attività e delle modalità di esprimere se stesso che rimpiazzino le sue abitudini, per non ricadere nella noia che potrebbe sfociare nella trasgressione delle regole; in

particolare, coloro che non devono

svolgere una determinata mansione come la scuola o il lavoro, avranno molto più tempo a disposizione, pertanto è bene che si dedichino alla ricerca di una attività

(6)

questa via di fuga sia da ricercare nella musica, utile sia per chi la compone che per chi la ascolta per la sua duplice funzione: la musica serve infatti innanzitutto a se stessi, in quanto rappresenta per l’autore un mezzo di sollievo, di distrazione e di sfogo delle emozioni e dei pensieri che in una tale situazione diventano facilmente oppressivi; nondimeno lo è per l’ascoltatore, il quale può anch’egli

distrarsi e immedesimarsi nella mente del musicista che, come lui, si trova in simile situazione, e così facendo alimenta il sentimento di solidarietà.

Infatti la seconda funzionalità della musica risiede proprio nel suo immenso potere comunicativo, il quale diventa fondamentale in un periodo in cui le nostre relazioni sociali sono proibite.

Mediante questa infatti ognuno di noi diventa consapevole che gli stati d’animo e i sentimenti che lo pervadono, non sono sperimentati solo da lui stesso, bensì accomunano ogni cittadino del nostro Stato e dunque è portato ad assumere un atteggiamento che tende più al bene dell’intera nazione piuttosto che a un fine egoistico. Ecco i motivi per i quali sollecito tutti a dedicarsi maggiormente alla

musica.

Questo ovviamente non è l’unico modo in cui ci si possa distrarre alleviando

l’isolamento, né tantomeno l’unico modo attraverso cui comunicare con altre persone; esistono infatti svariate alternative per conversare con altre persone a distanza, il che, come la musica, svolge entrambe le funzioni.

Inoltre, benché la gloria dovuta alle consuete imprese non è possibile per coloro che si trovano in uno Stato colpito dal morbo, nessuno può tuttavia negare la gloria derivante dalla trasmissione dei giusti valori da seguire durante la

pandemia; infatti l’ampia diffusione dei social media permette a persone con elevata influenza e non solo di

trasmettere i principi corretti da seguire durante l’emergenza. Un gesto simile, anche se può sembrare incapace di combattere la malattia, può in realtà diventare un esempio da cui altre persone influenti prendono spunto, lanciando così un vero e proprio messaggio in grado di raggiungere un ampio bacino di persone.

Dunque ritengo che in una tale situazione, l’uomo virtuoso sia colui che si ritiri in una situazione di isolamento, in cui riesca a trovare un’attività che gli permetta di esprimersi al meglio e, se possibile, trasmettere questa condizione ad altri.

(7)

Torquato Tasso, Il pianto dell’umana gente, poema eroico in ottave, incipit

Scorreva lungo il pendio il fuoco ardente, dal monte sì silenzioso che non mosse la gente del loco, avanzando sempre più insidioso.

O Creatore di codesto mormorio roco!

Travolse ciò che avea dinanzi furioso,

che la folla si volge e grida: - O tu, che porte, che corri sì? - Risponde: - E crollo e morte.

Sì espandeva l’invisibil bacillo, vile e celato portando ruina;

il mondo intero spiegando il vessillo della pace, con guanti e mascherina.

O meschin batterio, O rovente lapillo!

Rende la Terra deserto, non solo la Cina:

una moltitudine la vita hanno lasciata sanza poter veder la famiglia amata.

Misero, di che godi? Oh quanto mesti fiano i trionfi ed infelice il vanto!

I torti tuoi pagherai (se in vita resti) Di quel sangue che il globo ha pianto.

Ma l’animo nostro spera che a questi vaccin ponga fine sempre più affranto.

Andrà tutto bene, di tutti il motto, ma tra i focolai fia nuovo botto.

(8)

Torquato Tasso, La quarantena, poema eroico in ottave

Canto delle sfortunate e tristi giornate dei mesi di marzo e aprile, nessuno li pensava così funesti

piangemmo anche ciò che prima era ostile;

né i truffatori né gli onesti non l’uomo egoista o il gentile poté sottrarsi a questa condizione che bloccò ogni tipo di ambizione.

O Musa, tu che ispirasti tanti poeti i cui nomi oggi ancora

risplendono come eterni diamanti, aiutami a raccontar di una strana guerra;

non si usarono spade taglienti e né la resistente armatura,

ma purtroppo come tutti i conflitti ci furon vincitori e sconfitti.

Nel mese di novembre in Occidente giunse la infelice notizia

di un virus nato nel lontano Oriente, causa di un’innaturale pigrizia;

credevamo il nuovo anno innocente invece fu una grande ingiustizia, scoppiò una pandemia universale che trasformò il vivere globale.

Così il tanto temuto divieto

del presidente piombò improvviso, infatti tutto ciò che non è lieto suole presentarsi senza preavviso;

rinchiusi per volere del decreto a molti svanì l’abituale riso, giorni in un abbandono orribile per scampare il nemico invisibile.

Ognuno stava nella sua dimora nulla la legge concedeva di far ed alta era la pena qualora questa decidevi di non rispettar;

anche chi le circostanze ignora intese che non si poteva scherzar le nostre uscite con gli amici furono solo ricordi felici.

Distese di vasti prati fiorenti, cinguettii ed alti alberi da frutto ci sostituirono nei nostri ambienti mentre vivevamo in profondo lutto;

mai di primavere così splendenti fruimmo: una rinascita dopotutto!

Forse dovevamo farci da parte perché nascesse la naturale arte.

La storia narra infine di eroi impavidi che per salvar le vite altrui e difender ognuno di noi compirono imprese inaudite;

delle anime si spensero ma poi anche infami idee furon perite:

prima stretti ai beni materiali ora tendiamo a quelli spirituali.

Così questa lotta non è cessata ancora e noi uomini erranti

fronteggiamo la nostra sciagurata sorte: non siamo di questa ignoranti, se no nuoceremo la già malata terra di cui eravamo incuranti;

e qui si conclude il mio narrare

di una storia che non si può scordare.

(9)

Vittorio Alfieri, Punge l'aere della solare veste, Sonetto dalle Rime

Punge l'aere della solare veste, il dì irradia il volto immoto della vita isolata e triste;

O luce, distruggi l'oscuro vuoto E il fatal cacciatore di teste acceca; ei è a mozzar il fiato crudele tiranno delle funeste genti sole recluse nel remoto.

Non alla vita pia è la corona, e blasfema la spada il san polmon trafigge; t’imploro, anima, abbandona il corpo affranto del guerrier! Suon di freddi passi sento: Morte, dona quiete all'ultimo vitale tuon...

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