REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI TORINO
SEZIONE LAVORO Composta da:
Dott. Rita Maria MANCUSO PRESIDENTE Rel.
Dott. Michele MILANI CONSIGLIERE Dott. Maurizio ALZETTA CONSIGLIERE all’esito della camera di consiglio ex art. 83,
co. 7, lett. h), D.L. n. 18/2020 conv. in L. n.
27/2020 e successive modificazioni e integrazioni ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa di lavoro iscritta al n.ro 126/2021 R.G.L.
promossa da:
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S., C.F. 80078750587, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.
Tommaso Parisi e Franco Pasut in virtù di mandato generale alle liti del 21/7/2015 a rogito dott. Paolo CASTELLINI, notaio in Roma, Rep. 80974/21569, elettivamente domiciliato in Torino, Via Arcivescovado n. 9, presso l’ufficio legale distrettuale della Sede provinciale dell’Istituto
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APPELLANTE E APPELLATO INCIDENTALE CONTRO
MANNUCCI Stefano, c.f. MNNSFN76T20H501Z, rappresentato e difeso per procura in atti dall’Avv. Marzia Giovannini presso il cui studio in Varese, Via Robioni n. 39, è elettivamente domiciliato
APPELLATO E APPELLANTE INCIDENTALE Oggetto: ripetizione indebito.
CONCLUSIONI
Per l’appellante e appellato incidentale: come da note di trattazione scritta depositate in data 7.7.2021.
Per l’appellato e appellante incidentale: come da note di trattazione scritta depositate il 9.7.2021.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 3.6.2020 diretto al Tribunale di Verbania MANNUCCI Stefano conveniva in giudizio l’INPS chiedendo, in via principale, che venisse accertata l’infondatezza della pretesa dell’ISTITUTO di ottenere la restituzione delle indennità di mobilità, dell’indennità integrativa FSTA (Fondo Speciale Trasporto Aereo) e dell’indennità NASPI percepite nel periodo dal 17.11.2016 al 30.9.2018 in conseguenza del licenziamento intimatogli con decorrenza 15.10.2016, poi dichiarato illegittimo con sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 19.9.2018 confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 991/2019 e, in via subordinata, che
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venisse accertato il suo obbligo di restituzione limitatamente ai periodi per i quali aveva ottenuto l’indennità risarcitoria ex art.
18, co. 4, L. n. 300/1970 (come modificato dalla L. n. 92/2012), in ogni caso al netto delle ritenute e con il favore delle spese processuali.
Resisteva l’INPS che con la memoria costitutiva depositata il 1°.9.2020 chiedeva la reiezione del ricorso perché infondato.
Richiesta la produzione al ricorrente di un conteggio con l’indicazione dell’importo percepito dal datore di lavoro a titolo di indennità risarcitoria, il Tribunale di Verbania con sentenza n.
31/2021 pubblicata il 24.2.2021 dichiarava il diritto dell’INPS alla ripetizione delle indennità pagate al MANNUCCI nei limiti dell’importo di € 19.250,53 (condizionando peraltro l’esigibilità del credito al passaggio in giudicato della cit. sentenza della Corte di Appello di Milano) e, di conseguenza, il diritto del ricorrente a trattenere le maggiori somme percepite dall’ISTITUTO, condannando infine quest’ultimo al rimborso delle spese processuali.
Avverso tale sentenza, non notificata, proponeva appello l’INPS con ricorso depositato il 16.3.2021 chiedendone l’integrale riforma con la reiezione della domanda proposta dal MANNUCCI.
L’appellato si costituiva con memoria depositata il 1°.7.2021 chiedendo la reiezione dell’appello dell’INPS e in via di appello incidentale l’accoglimento della domanda proposta in via subordinata col ricorso introduttivo del giudizio.
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Disposta la trattazione scritta della causa, dopo il deposito delle note conclusive da parte sia dell’INPS che del MANNUCCI, la Corte all’esito della camera di consiglio decideva la causa pronunciando il dispositivo sotto riportato.
MOTIVI DELLA DECISIONE I fatti di causa, pacifici, possono così riassumersi:
- il sig. MANNUCCI, dipendente di Meridiana Fly spa con mansioni di assistente di volo, venne licenziato con decorrenza dal 16.10.2016 nell’ambito della procedura di mobilità avviata dalla datrice di lavoro;
- in conseguenza di ciò l’INPS gli erogò l’indennità di mobilità per 12 mesi (€ 10.949,04) nonché l’integrazione del FSTA (€ 12.351,46) e altresì l’indennità NASPI nel periodo 27.7.2018-30.9.18 (€ 2.001,35) a seguito della cessazione del contratto di lavoro stipulato dal MANNUCCI con la JAMON Srl, per un totale complessivo lordo di € 25.301,85;
- il licenziamento venne annullato dal Tribunale di Busto Arsizio con sentenza n. 357/19 del 19.9.2018 (v. doc. 1 M.) che dispose la reintegrazione del MANNUCCI nel posto di lavoro e condannò la società a corrispondergli a titolo di indennità risarcitoria dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell’art. 18, co. 4, L.
n. 300/1970 (come modificato dall’art. 1, co. 42, lett. b, L.
n. 92/2012), sentenza che sul punto venne confermata dalla Corte di Appello di Milano con la sentenza n. 991/19
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(v. doc. 2 M.), poi impugnata in Cassazione dalla società (giudizio ancora pendente);
- il MANNUCCI venne effettivamente reintegrato nel posto di lavoro in data 12.10.2018;
- con lettere del 28.5.2019 l’INPS, preso atto dell’annullamento del licenziamento, ha richiesto al MANNUCCI la restituzione delle indennità di mobilità, dell’indennità integrativa FSTA e dell’indennità di disoccupazione erogategli (v. docc. 3-5 M.).
Il Tribunale, ricostruita nei termini anzidetti la vicenda di causa e dato atto che al MANNUCCI era stata liquidata dalla datrice di lavoro, a titolo di indennità risarcitoria, la somma netta di € 19.250,53, ha parzialmente accolto il ricorso del MANNUCCI, volto in principalità all’accertamento dell’insussistenza del suo obbligo restitutorio nei confronti dell’INPS, avendo in sostanza ritenuto quanto appresso : a) le pronunce di legittimità richiamate dall’ISTITUTO a
sostegno della richiesta di ripetizione (Cass., nn.
10164/10, 7794/17, 3597/11 e Cass., S.U. n. 12194/02) hanno riguardato ipotesi in cui l’obbligo risarcitorio del datore di lavoro, a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento, aveva coperto l’intero periodo di tempo intercorrente fra la data del recesso e la reintegrazione del lavoratore, e quindi fattispecie diverse da quella in esame;
b) il diritto dell’INPS all’integrale restituzione di quanto erogato presuppone la sussistenza di una “tutela piena”
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quale quella prevista dal testo originario dell’art. 18, mentre quando, come nel caso, il lavoratore fruisca di una tutela attenuata per effetto della novella introdotta dalla L.
n. 92/2012, allora “va riconosciuto anche all’Inps una forma ‘attenuata’ di diritto alla restituzione di quanto corrisposto, parametrato, appunto, sull’indennità risarcitoria attenuata riconosciuta al lavoratore illegittimamente licenziato”;
c) d’altronde, facendosi propria la ratio decidendi della sentenza Cass., n. 28295/19, l’indennità di mobilità, così come l’indennità di disoccupazione NASPI, presuppone uno stato di involontaria disoccupazione, sicchè non è ostativo alla loro percezione l’erogazione dell’indennità risarcitoria per un periodo inferiore a quello di inattività lavorativa incolpevole, “nei limiti di quanto il lavoratore abbia percepito in più rispetto al risarcimento giudiziale riconosciutogli ex lege ai sensi dell’art. 18”;
d) conseguentemente il diritto di ripetizione dell’INPS va riconosciuto nei limiti della somma di € 19.250,53 ricevuta dal MANNUCCI a titolo sostanzialmente retributivo, trattandosi di “somma di danaro effettivamente utilizzabile per il proprio sostentamento”, mentre dev’essere affermato il diritto del ricorrente a trattenere quanto in più l’INPS gli ha versato a titolo di sostegno al reddito.
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Nell’appello l’INPS censura l’iter argomentativo della decisione e chiede il rigetto integrale della domanda del MANNUCCI ribadendo, in estrema sintesi, che per effetto dell’annullamento del licenziamento è venuta meno la causa delle prestazioni previdenziali a sostegno del reddito erogate all’appellato e non v’è spazio alcuno, come affermato dalla Cassazione, per operare alcuna compensazione fra i pagamenti effettuati dall’INPS a titolo di indennità di mobilità e di disoccupazione e quanto percepito dal lavoratore a titolo di ristoro per l’illegittimo licenziamento.
Dal canto suo l’appellato chiede il rigetto dell’appello dell’INPS (ribadendo che ove, come nel caso, la sentenza di annullamento del licenziamento è intervenuta a distanza di oltre dodici mesi dal recesso datoriale l’ISTITUTO non ha diritto di ripetere le prestazioni erogate, non essendosi verificata una “situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege” : v. Cass., n. 17793/2020) e censura la sentenza, in via di appello incidentale, laddove ha ritenuto la ripetibilità da parte dell’ISTITUTO di quanto erogato nei limiti dell’importo netto ricevuto dalla datrice di lavoro, sostenendo che il Tribunale non avrebbe considerato che in materia di indebito assistenziale non trova applicazione l’art.
2033 c.c. bensì il principio dell’affidamento, chiedendo in definitiva l’accoglimento delle originarie conclusioni svolte col ricorso introduttivo.
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L’appello dell’INPS è certamente fondato laddove sostiene il diritto dell’ISTITUTO alla integrale ripetizione di quanto versato al MANNUCCI a titolo di indennità di mobilità, di indennità integrativa FSTA e di indennità di disoccupazione.
Per effetto della sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 19.9.2018 che ha annullato il licenziamento intimato al MANNUCCI il 16.10.2016, sono certamente venuti meno i presupposti dell’erogazione sia dell’indennità di mobilità erogatagli a decorrere dal 17.11.2016 (v. art. 7 L. n. 223/1991 e art. 2, co. 46 lett. d, L. n. 92/2012), sia dell’indennità integrativa prevista a carico del Fondo Trasporto Aereo istituito presso l’INPS (Fondo tenuto fra l’altro ad erogare trattamenti integrativi a quelli ordinari volti a garantire ai lavoratori del settore una prestazione pari all’80% della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro : v. art. 1 ter D.L. n. 249/2004 conv. in L. n.
291/2004), sia l’indennità NASpI, istituita a decorrere dall’1.5.2015 dal D.Lgs. n. 22/2015 in sostituzione della prestazione ASpI prevista dall’art. 2 L. n. 92/2012, erogata al MANNUCCI dopo la cessazione del rapporto di lavoro intercorso con l’altra società Jamon a r.l.
Infatti, l’annullamento del licenziamento con sentenza reintegratoria ex art. 18 cit. opera ex tunc e comporta pertanto la continuità giuridica del rapporto di lavoro, determinando, appunto in ragione di ciò, il venir meno del presupposto delle prestazioni erogate dopo il licenziamento dall’ente previdenziale ovvero del collocamento a riposo nel caso di pensione o dello
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stato di mobilità o di disoccupazione nel caso delle prestazioni di cui qui si tratta (v. Cass., nn. 16350/2017, 154/2012, 26988/2009).
In altri termini, siffatte prestazioni debbono considerarsi erogate
“sine titulo”, con conseguente diritto dell’INPS alla loro integrale ripetizione anche quando, come nel caso, l’indennità risarcitoria riconosciuta al lavoratore non copra l’intero periodo intercorrente fra il recesso datoriale e la sentenza che annulla il licenziamento con la condanna alla reintegrazione.
Non è infatti corretta, sotto un duplice profilo, la decisione del Tribunale laddove in ragione della “tutela attenuata” prevista dal novellato art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 a favore del lavoratore illegittimamente licenziato ha ritenuto che anche all’INPS andasse riconosciuta “una forma attenuata di diritto alla restituzione di quanto corrisposto al lavoratore”.
Sotto un primo profilo va osservato che a seguito della sentenza che annulla il licenziamento il rapporto di lavoro si ricostituisce ex tunc e viene quindi giuridicamente meno lo stato di disoccupazione che costituisce il presupposto normativo dell’erogazione delle indennità a sostegno del reddito e la cui assenza comporta l’insussistenza ab origine del diritto alla prestazione previdenziale, tanto è vero che l’art. 11 D.Lgs. n.
22/15 stabilisce la decadenza dalla NASpI in caso di perdita dello stato di disoccupazione e che l’art. 2 L. n. 92/2012, nel disciplinare la precedente indennità ASpI (disposizione applicabile in quanto compatibile ex art. 14 D.Lgs. n. 22/15),
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prevede che la fruizione dell’indennità resta condizionata al permanere dello stato di disoccupazione (co. 14), che da essa si decade in caso di perdita dello status di disoccupato (co. 39) e che sussiste in capo al lavoratore l’obbligo di restituzione delle somme percepite dal momento in cui si verifica l’evento che determina la decadenza (co. 41).
Sotto altro profilo la decisione del Tribunale finisce per operare una compensazione fra l’indennità risarcitoria dovuta dal datore di lavoro ex art. 18 cit. in conseguenza del licenziamento illegittimo e le prestazioni che il lavoratore ha percepito dall’ente previdenziale successivamente al licenziamento, compensazione non consentita trattandosi di poste che si sottraggono alla regola della compensatio lucri cum damno poiché il diritto all’indennità di mobilità, come di quella connessa allo stato di disoccupazione, sorge al verificarsi di determinati fatti stabiliti dalla legge e non è causalmente ricollegabile al licenziamento illegittimamente subito dal lavoratore (oltre a Cass., SS.UU. n.
12194/2002, si vedano in particolare, quanto all’indennità di mobilità e di disoccupazione, le sentenze Cass., nn. 3597/2011, 18687/2006, 6265/2000 e 6357/1999).
E’ pur vero che nel caso in esame l’integrale ripetizione da parte dell’INPS di quanto versato al MANNUCCI finisce per determinare un “effetto gravemente iniquo” essendo egli rimasto di fatto privo di occupazione per un periodo di oltre 12 mesi, ma a ben vedere detto effetto non discende dalla ripetibilità delle somme percepite dall’INPS bensì dalla previsione del novellato
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art. 18, co. 4, laddove prevede la condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore, in ogni caso, a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, ciò per cui non può certo in questa sede convenirsi con la difesa del MANNUCCI laddove dubita della legittimità costituzionale degli artt. 55 (rectius : 52) L. n. 88/1989 e 13 L. n. 412/1991, disposizioni che, peraltro, neppure trovano applicazione nel caso in esame dal momento che le stesse concernono non qualsiasi prestazione previdenziale ma unicamente l’indebito pensionistico e, in quanto norme di natura eccezionale, non sono suscettibili di interpretazione analogica (v. per tutte Cass., nn.
10274/2021 e 31373/2019).
L’appello incidentale del MANNUCCI è peraltro infondato laddove sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto escludere totalmente la ripetibilità da parte dell’INPS delle somme da lui percepite in quanto in relazione all’indebito assistenziale non opera la regola generale dell’art. 2033 c.c. ma il principio dell’affidamento incolpevole in forza del quale è esclusa la ripetizione delle somme versate dall’ente quando l’erogazione non dovuta non sia addebitabile all’accipiens che vi abbia fatto legittimo affidamento.
Basta dire che qui non si verte in materia di prestazioni assistenziali (cui infatti si riferiscono le sentenze Cass. nn.
13916/21 e 16088/20 richiamate nella memoria in appello e concernenti l’assegno sociale) poiché l’indennità di mobilità e la NASpI sono prestazioni di carattere certamente previdenziale
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(v. Cass, nn. 31373/19 in motivazione, nonché Cass., nn. 27674 e 24824 del 2011) che ove indebitamente erogate restano soggette alla disciplina generale di cui all’art. 2033 c.c. che, come noto, prevede la ripetibilità dell’indebito oggettivo con gli interessi dalla data della domanda in caso di percezione in buona fede, situazione questa certamente configurabile nel caso in esame.
L’appello incidentale merita però di essere accolto laddove, in via subordinata, il MANNUCCI chiede di essere tenuto a restituire le somme indebitamente percepite dall’INPS al netto delle ritenute.
Puntualizzato che sul punto l’INPS non ha svolto nelle note di trattazione scritta alcuna specifica difesa, osserva la Corte che nel caso di indebito oggettivo il diritto di ripetizione di colui che ha effettuato il pagamento “sine titulo” trova un limite nelle somme effettivamente entrate nella sfera patrimoniale dell’accipiens, dovendo del resto, quanto alle ritenute fiscali, trovare applicazione l’art. 38, co. 1, DPR n. 602/1973 secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha effettuato il versamento non dovuto.
Conseguentemente, il diritto dell’INPS alla ripetizione dell’indebito de quo deve ritenersi limitato all’importo effettivamente percepito dal MANNUCCI e, pertanto, all’importo netto corrispondente a quello lordo di € 25.301,85 complessivamente richiestogli in restituzione.
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L’esito del giudizio e la ben prevalente soccombenza del MANNUCCI consigliano la compensazione solo per un terzo delle spese del doppio grado e dunque la condanna dello stesso a rimborsarne all’INPS i restanti due terzi.
Dette spese si liquidano per l’intero per ciascun grado come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/2014 come modificato Dal D.M. n. 37/2018 tenuto conto dell’attività difensiva svolta e del valore della causa.
P. Q. M.
Visti gli artt. 348 e 437 c.p.c.,
in parziale accoglimento di entrambi gli appelli,
dichiara che Mannucci Stefano è tenuto a restituire all’Inps a titolo di indebito oggettivo l’importo netto corrispondente a quello lordo di euro 25.301,85 oltre interessi dalla domanda;
condanna Mannucci Stefano a rimborsare all’Inps due terzi delle spese di entrambi i gradi, liquidate per l’intero per il primo grado in euro 1.800,00 e per il presente in euro 3.777,00 oltre rimborso forfettario e oneri riflessi, compensato il restante terzo.
Così deciso all’udienza del 15.7.2021.
LA PRESIDENTE Est.
Dott. Rita Maria MANCUSO
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