PROVE DI LABORATORIO PER LA DETERMINAZIONE DELLE PROPRIETà IDRAULICHE E MECCANICHE DEI TERRENI
Sommario
2 Premessa ... 2
3 Identificazione e descrizione di un campione indisturbato ... 2
4 Prove di permeabilità ... 3
4.1 Modalità di esecuzione ... 3
4.1.1 Interpretazione di una prova in permeametro ... 4
4.1.2 Elaborato riassuntivo... 6
5 Prova di compressione edometrica... 7
5.1 Modalità di esecuzione ... 7
5.2 Analisi della curva di consolidazione sperimentale ... 9
5.2.1 Caratteristiche di compressibilità ... 10
5.3 Ricostruzione della storia tensionale da una prova edometrica. ... 14
5.4 Elaborato riassuntivo di una prova edometrica ... 16
6 Resistenza a taglio dei terreni ... 18
7 Prova di taglio diretto ... 21
7.1 Modalità di esecuzione ... 21
7.2 Interpretazione della prova ... 24
7.3 Meccanismi di resistenza al taglio e fattori influenti. ... 26
7.4 Elaborato riassuntivo di una prova di taglio diretto ... 29
8 Prova di compressione triassiale ... 31
8.1 Prove triassiali consolidate: modalità di esecuzione... 31
8.1.1 Saturazione ... 33
8.1.2 Consolidazione ... 34
8.1.3 Rottura ... 34
8.2 Prove triassiali consolidate: interpretazione ... 35
8.3 Dipendenza del comportamento da densità e condizioni di drenaggio ... 41
8.4 Elaborato riassuntivo di una prova di compressione triassiale consolidata ... 42
8.5 Prova non consolidata non drenata ... 44
1 Premessa
In questo contributo si è inteso fornire gli elementi conoscitivi essenziali per la corretta esecuzione ed interpretazione delle prove di laboratorio più frequentemente adottate per la determinazione delle proprietà idrauliche (caratteristiche di permeabilità e di consolidazione) e meccaniche (compressibilità e resistenza a rottura) dei terreni naturali. Si è fatto riferimento da un lato alla prassi vigente nella comunità tecnico‐scientifica nazionale, in gran parte regolamentata dalle ‘Raccomandazioni AGI’, in corso di aggiornamento, e dall’altro alle
‘Raccomandazioni Europee’ dell’ETC5 a seguito dell’adozione dell’ EC7.
Come in gran parte delle indicazioni previste dalle suddette Raccomandazioni tecniche, la trattazione è qui spesso necessariamente limitata ai terreni fini saturi prelevabili sotto forma di campioni indisturbati, cioè di classe Q5 secondo AGI, o di classe A secondo EC7‐Pt2. Ciò non pregiudica tuttavia la possibilità di estendere parte di queste indicazioni alla sperimentazione su terreni a grana grossa e/o parzialmente saturi, anche sotto forma di campioni ricostituiti per deposizione, sedimentazione o previo costipamento, con le dovute limitazioni operative ed applicative da valutare caso per caso.
Per ciascuna delle prove trattate, verranno sintetizzate le principali indicazioni sulle tecniche esecutive e di elaborazione dei dati, rinviando ai contributi di altri Autori per tutto ciò che riguarda i fondamenti teorici del comportamento idraulico e meccanico, i criteri di programmazione delle indagini, e l’uso progettuale dei parametri.
2 Identificazione e descrizione di un campione indisturbato
Per l’identificazione e la descrizione di un campione indisturbato, non esistono procedure standard riconosciute, sia in campo europeo che internazionale. Esistono invece alcune tradizioni non codificate, come gli elementi essenziali per la descrizione di un terreno adottati da numerosi studiosi e tecnici della scuola di Cambridge, che qui si riportano:
‐ Condizioni di umidità
‐ Colore
‐ Consistenza (terreni coesivi), compattezza (terreni incoerenti)
‐ Struttura (giaciture, fratture, tessitura, tracce di scorrimenti)
‐ Tipo di terreno (riconoscimento della granulometria)
‐ Altre peculiarità (tracce di sostanze organiche, inclusi lapidei)
‐ Origine (necessità di interpretazione)
‐ Condizioni di falda (necessità di osservazioni in sito)
3 Prove di permeabilità
In laboratorio, è possibile misurare il coefficiente di permeabilità k di un terreno saturo attraverso prove meccaniche e prove ad hoc in apparecchiature chiamate permeametri.
Tra le prove meccaniche, quelle più adatte allo scopo sono la compressione triassiale e quella edometrica (cfr. §4). Verranno qui di seguito, comunque, riassunte le modalità di esecuzione ed interpretazione delle prove in permeametro; queste possono essere condotte, come le prove di permeabilità in sito, a carico idraulico costante (procedura più adatta per terreni a grana grossa) o variabile (applicabile a terreni a grana fina).
Il principio alla base della prova consiste nell’applicare un gradiente idraulico (i=Δh/l) ad un provino cilindrico di lunghezza l (Figura 3.1), misurare la velocità di flusso v (portata filtrante Q rapportata all’area A), e ricavare il coefficiente di permeabilità k in base alla nota legge di Darcy:
Q h v ki k
A l (3.1)
Figura 3.1. Schema di esecuzione di una prova di permeabilità.
3.1 Modalità di esecuzione
Il campione di terreno deve essere almeno di qualità Q2 (AGI) o B (EC7), e prima della misura occorre che abbiano avuto completamente corso i processi di consolidazione o di rigonfiamento a cui può essere stato eventualmente sottoposto.
Se il terreno non è completamente saturo, in alcune configurazioni sperimentali può essere assoggettato ad una contropressione u0 controllata e mantenuta costante durante l’intera prova (cfr. § 7.1.1). In tal caso, è necessaria la presenza di carichi esterni statici per garantire l’equilibrio e la stabilità del provino. L’applicazione di carichi esterni può risultare d’interesse nel caso tra l’altro si voglia esplorare la dipendenza di k dallo stato (indice dei vuoti e tensione effettiva) del terreno.
1 Immissione acqua deaerata
2 Rubinetto
3 Serbatoio di carico 4 Serbatoio di scarico 5 Elemento filtrante 6 Piastra forata 7 Provino
8 Tubi piezometrici 9 Scala graduata 10 Buretta graduata 11 Cella
Figura 3.2. Prova in permeametro a carico costante.
Il gradiente idraulico deve essere tale da rientrare nei limiti di applicabilità della legge di Darcy (relazione lineare tra v e i), e la temperatura durante la prova deve risultare variabile entro ±2°, altrimenti sono necessarie apposite correzioni dei risultati.
Il rapporto tra diametro del provino D e dimensione massima delle particelle dmax deve risultare pari ad almeno 5 per terreni assortiti, 10 per terreni uniformi. La sezione trasversale del provino deve risultare non inferiore a 10 cm2 per terreni fini, a 20 cm2 per terreni a grana grossa.
Lo schema sperimentale tipico per una prova a carico costante è illustrato in Figura 3.2 Il carico idraulico viene misurato in sottili tubi piezometrici ( = 3‐4 mm) posizionati ad almeno 1.5 cm da entrambe le estremità del provino. La portata effluente viene regolata dal dislivello tra le quote piezometriche nei due serbatoi di carico e di scarico, e misurata ad intervalli di tempo regolari in corrispondenza del serbatoio di scarico, ad esempio utilizzando una buretta graduata.
Nella prova a carico variabile (Figura 3.3), il gradiente idraulico variabile è dovuto all’abbassamento progressivo del livello idrico h nel tubo di carico; la portata effluente, anch’essa variabile nel tempo, non richiede misura diretta, poiché è definita dalla variazione nel tempo del volume d’acqua nello stesso tubo, il cui livello è letto ad intervalli di tempo regolari.
3.1.1 Interpretazione di una prova in permeametro
Per interpretare la prova a carico costante, è sufficiente diagrammare l’andamento nel tempo del volume d’acqua V raccolto nella buretta, ottenendo una pendenza media (o locale) rappresentativa della portata effluente Q:
V
Q t
(3.2)
1 Immissione acqua deaerata 2 Tubo piezometrico asportabile 3 Raccordo a tre vie
4 Guarnizione di gomma 5 Elementi filtranti 6 Supporto provino 7 Provino
8 Piastra di carico
9 Sistema applicazione carichi verticali 10 Contenitore con sfioro
Figura 3.3. Prova in permeametro a carico variabile.
Ricordando la (3.1):
Q l
k A h
(3.3)
dove h è la differenza tra le quote piezometriche dei due tubicini, l la distanza tra i punti di misura, A la sezione trasversale del provino.
Per interpretare la prova a carico variabile, occorre invece diagrammare l’andamento nel tempo della variazione relativa di quota piezometrica h, espressa nella forma ln h h , essendo h
1 2
1 e h2 le letture di h all’inizio ed alla fine di ogni intervallo di tempo t. La pendenza in ciascun tratto lineare (o, in alternativa, la pendenza media relativa a tutta la durata della prova), fornisce il valore di k:a lln h h
1 2
k A t
(3.4)
dove a è la sezione trasversale del tubo, l la lunghezza del provino, A la sua sezione trasversale.
3.1.2 Elaborato riassuntivo
Le informazioni da riportare in un rapporto standard di una prova di permeabilità sono, secondo l’ETC5, quelle riassunte in Tabella 3.1.
Tabella 3.1. Informazioni da riportare nel rapporto di una prova in permeametro.
1) modalità di prova
2) identificazione del campione (origine, sito di prelievo, numero di campione, profondità, etc.) 3) descrizione del terreno, includendo la dimensione massima delle particelle nel caso di terreni a
grana grossa
4) dimensioni del provino
5) metodo di preparazione del provino (indisturbato, ricostituito, costipato) 6) densità o indice dei vuoti del provino
7) contenuto d’acqua prima e dopo la prova
8) gradiente idraulico (prova a carico costante), o massima e minima quota piezometrica (prova a carico variabile)
9) contropressione o grado di saturazione all’inizio ed alla fine della prova 10) temperatura di esecuzione della prova
11) temperatura di riferimento 12) direzione del flusso
13) coefficiente di permeabilità alla temperatura di riferimento 14) valore del carico esterno (se applicato)
15) qualunque deviazione dalla procedura standard presa a riferimento 16) osservazioni sul tipo di prova e/o apparecchiatura
4 Prova di compressione edometrica
La prova di compressione edometrica, a fronte di una notevole semplicità esecutiva, permette il conseguimento di molteplici obiettivi; essa consente infatti di:
1. determinare la relazione tensione‐deformazione che caratterizza le proprietà di compressibilità e di rigonfiamento per effetto di variazioni di stato tensionale effettivo in condizioni monodimensionali (edometriche, o di deformazione trasversale impedita);
2. determinare le caratteristiche che governano la variabilità di tali deformazioni nel tempo, per effetto dei fenomeni di consolidazione primaria e secondaria;
3. ricostruire la storia tensionale del deposito naturale da cui è stato prelevato il campione.
4.1 Modalità di esecuzione
Nelle celle edometriche tradizionali, un provino cilindrico di terreno, confinato lateralmente entro le pareti rigide di un anello metallico (Figura 4.1a), viene sottoposto ad una sollecitazione verticale in modo da trovarsi in condizioni di compressione di tipo ‘K0’, cioè di deformazione trasversale impedita1.
Il rapporto tra altezza H e diametro D del provino è contenuto, per favorire la massima uniformità delle tensioni verticali v. L’altezza H deve essere convenientemente ridotta, per minimizzare sia gli attriti tra la superficie laterale e l’anello, sia i tempi di consolidazione. Il rapporto tra l’altezza H ed il diametro nominale massimo delle particelle, dmax, deve infine risultare sufficientemente elevato da ridurre al minimo gli effetti di scala dovuti alla dimensione finita dei grani.
Figura 4.1. Cella edometrica (a) e sistema di carico (b).
1 Il parametro K0 (oppure k0 è detto coefficiente di spinta a riposo) definisce, come è noto, il rapporto tra la tensione effettiva orizzontale ’h e quella verticale ’v in condizioni di deformazione trasversale impedita.
I requisiti dimensionali dei provini da rispettare secondo Raccomandazioni nazionali ed europee sono in definitiva riassunti in Tabella 4.1. Prima della prova, occorre registrare le dimensioni dell’anello ed il peso umido del provino.
La procedura sperimentale più tradizionale è quella a gradini di carico, realizzata sottoponendo il provino, in genere mediante un sistema di pesi (Figura 4.1b), ad incrementi/decrementi di tensione verticale v, variabili secondo una progressione geometrica (cfr. Tabella 4.2). La fase di scarico va di norma effettuata con un numero di gradini pari ad almeno la metà di quelli relativi agli incrementi di carico effettuati. Le condizioni di drenaggio libero in direzione verticale sono consentite dalla presenza di carta da filtro e pietre porose sulle basi inferiore e superiore del provino.
Durante ciascun incremento di carico, i cedimenti verticali w della piastra di applicazione del carico sono misurati mediante un micrometro o un trasduttore di spostamento (Figura 4.1b), registrando nel tempo il valore del cedimento cumulato (curva di consolidazione) w(t). La lettura e memorizzazione dei cedimenti va effettuata ad intervalli di tempo prefissati, ancora una volta secondo una progressione geometrica (ti/ti‐1 = costante), articolata ad esempio come riportato in Tabella 4.3. Ogni incremento di carico va mantenuto costante nel tempo finché non si sviluppa completamente la consolidazione primaria, e vengano così garantiti la dissipazione delle sovrappressioni neutre u (u(t) 0) ed il trasferimento dell’incremento di tensioni totali in tensioni effettive (v ’v). Per le abituali caratteristiche di consolidazione dei terreni naturali fini, allo scopo è in genere sufficiente una durata di 24 h dell’applicazione del carico; prima di procedere ad un ulteriore incremento, è però comunque necessario controllare che il decorso della consolidazione primaria si sia esaurito, mediante l’analisi della curva cedimenti‐tempi registrata (cfr. §4.2). Al termine della prova, il provino va smontato con cura, pesato, e poi fatto essiccare in stufa a 105°‐110° per almeno 24 h, dopodiché ne viene registrato il peso secco.
Tabella 4.1. Requisiti dimensionali dei provini per prove edometriche.
Raccomandazioni AGI Raccomandazioni ETC5
Hmin (mm)
Dmin (mm)
D/H
min÷max Hmin/dmax Dimensioni tipiche provino D H (mm)
Massa minima di terreno Wmin (g)
13 50 2.5 ÷ 6 5
50 20 75 20 100 20
90 200 350 Tabella 4.2. Sequenze di carichi: raccomandazioni tecniche e prassi nazionale.
Raccomandazioni AGI & ETC5 6 12 25 50 100 200 400 800 1600 3200 kPa
Prassi nazionale 10 20 40 80 150 300 600 1200 2500 5000 kPa
Tabella 4.3. Possibili sequenze temporali di registrazione della curva di consolidazione sperimentale.
AGI 6” 15” 30” 1’ 2’ 4’ 8’ 15’ 30’ 1h 2h 4h 8h 16h 24h 8” 15” 30” 1’ 2’ 5’ 10’ 20’ 45’ 1h30’ 3h 6h 12h 24h
4.2 Analisi della curva di consolidazione sperimentale
Per effetto di ciascun incremento di carico, la curva cedimenti‐tempi sperimentale (Figura 4.2) è caratterizzata dalla presenza di tre diverse fenomenologie di cedimento:
‐ un cedimento immediato, w0, dovuto a svariate concause sperimentali (deformabilità finita del sistema di applicazione dei carichi, non perfetta saturazione di provino ed elementi drenanti, etc.)2;
‐ un cedimento da consolidazione primaria, wc, cioè dovuto al processo idrodinamico, descritto dalla teoria di Terzaghi (1923), in cui deformazioni di volume e cedimenti sono associati a dissipazioni di sovrappressioni neutre u (secondo lo schema di Figura 4.2a);
‐ un cedimento da consolidazione secondaria, ws, cioè associato a deformazioni di volume che avvengono indipendentemente dalla variazione nel tempo della pressione neutra (cfr.
Figura 4.2b); queste possono essere dovute, tipicamente, a deformazioni viscose (o da
‘creep’) dei granuli (p.es. nei terreni ricchi di sostanze organiche) o dei contatti interparticellari (nel caso di terreni fini molto plastici), o ancora a rottura progressiva degli elementi (nel caso dei terreni a grana grossa con particelle fragili, come p.es. le piroclastiti, le sabbie calcaree organogene, i terreni prodotti da rocce metamorfiche alterate).
Poiché la curva di consolidazione sperimentale è caratterizzata dalla coesistenza di questi tre fenomeni deformativi, per dedurne il ‘coefficiente di consolidazione verticale’ cv (che caratterizza il decorso della consolidazione primaria3), è necessario anzitutto ‘depurarla’ dell’assestamento iniziale, w0, e poi dell’aliquota di cedimento variabile nel tempo dovuta agli ‘effetti secondari’.
Questi si manifestano quando u 0, conferendo alla curva di consolidazione sperimentale la classica ‘coda’ con un asintoto obliquo (cfr. Figura 4.2c).
La più diffusa procedura di interpretazione della curva cedimenti‐tempi si deve a Casagrande ed è riassunta in Figura 4.3a. Da questo metodo è possibile dedurre, oltre il coefficiente cv, anche l’aliquota wc del cedimento totale dovuta al solo fenomeno di consolidazione idrodinamico ed il coefficiente di consolidazione secondaria, c; quest’ultimo non è invece deducibile applicando la procedura suggerita da Taylor, riassunta in Figura 4.3b.
2 Questa aliquota di cedimento dovrebbe essere in teoria nulla, in quanto in condizioni edometriche è v z ed in condizioni non drenate (t = 0) v = 0.
3 Si ricorda che la classica formulazione dell’equazione della consolidazione monodimensionale è:
2
2 ed
v v
w
k E
u u
c c
t z
4.2.1 Caratteristiche di compressibilità
A meno che non si misurino h e u (il che è possibile solo in apparecchiature avanzate), il percorso delle tensioni effettive in questa prova non è determinabile.
(a)
(b)
(c)
Figura 4.2. Consolidazione primaria (a) e secondaria (b), e curva sperimentale risultante (c).
(a)
(b)
Figura 4.3. Criteri di Casagrande (a) e Taylor (b) per l'interpretazione di una curva di consolidazione sperimentale.
(U=0%)
t 4t
w1 w2
w w0 w
wc
w3
t50 w4 (U=50%)
(U=100%)
log t
w
La relazione costitutiva tra tensione effettiva ’v e deformazione verticale z è deducibile esprimendo quest’ultima in funzione dei cedimenti cumulati (z = w/H con w = iwi) ad ogni incremento di carico. Se rappresentata nel piano ’v : z (Figura 4.4a), la relazione costitutiva evidenzia un comportamento tensio‐deformativo del terreno di tipo non reversibile, cioè con deformazioni totali caratterizzate da un’aliquota plastica non recuperabile, p, e da una elastica,
e, viceversa recuperabile allo scarico.
Il modulo di compressione edometrica secante:
ed v
z
E
(4.1)
si presenta crescente con v (Figura 4.4b), salvo un breve tratto iniziale in cui ha di solito un andamento non monotono.
(a)
(b)
Figura 4.4. Relazione tensione‐deformazione (a) e modulo edometrico in funzione del livello tensionale (b).
0 1000 2000 3000 4000 5000
0 5 10 15 20 25 30
deformazione verticale, z (% )
tensione verticale,'v (kPa)
p e
0 10 20 30 40 50
10 tensione verticale, 'v (kPa) 10000
Modulo edometrico, Eed (MPa)
Per ottenere una rappresentazione più conveniente ai fini dell’analisi della storia tensionale del deposito e del calcolo dei cedimenti, la relazione di compressibilità si diagramma tradizionalmente anche nel piano (e : v), in scala semilogaritmica, sfruttando l’esistenza di una relazione lineare tra deformazioni ed indice dei vuoti:
0 0 0 0 1 0
0 0
(1 )
1 1
i i
z z ss
ss
e e w h
e e e e h
e h e
(4.2)essendo e0 e h0, rispettivamente, indice dei vuoti ed altezza del provino prima della prova.
A seguito della trasformazione di scala, la curva di compressibilità (Figura 4.5) si presenta in genere caratterizzata da:
‐ un primo tratto di ‘ricompressione’ (o di ‘ricarico iniziale’), con pendenza relativamente modesta fino al raggiungimento di una ‘tensione di snervamento’, ’vy; se il provino viene sottoposto ad uno scarico tensionale in questo tratto, le deformazioni risultano praticamente quasi del tutto reversibili (‘elastiche’);
‐ un secondo tratto, oltre ’vy, in cui la pendenza incrementa sensibilmente, a segnalare la presenza di deformazioni plastiche prevalenti su quelle elastiche; il tratto lineare con pendenza massima (da individuare con almeno tre punti allineati della curva) prende il nome di ‘curva di normal‐consolidazione’;
‐ un terzo tratto di ‘rigonfiamento’ (o di ‘scarico’), con pendenza prossima a quella del tratto di ricompressione; anche in questo tratto, le deformazioni risultano praticamente reversibili (come potrebbe essere verificato sottoponendo il provino ad un ulteriore ciclo di ricarico).
Figura 4.5. Curva di compressibilità e definizione degli indici CR, CC, CS.
0.300 0.400 0.500 0.600 0.700 0.800 0.900
1 10 100 1000 10000
tensione verticale, 'v (kPa)
indice dei vuoti, e
CR
CC
CS
Questa formulazione del legame costitutivo può essere quindi sintetizzata attraverso tre diversi parametri di compressibilità, esprimenti la pendenza e log10v nei tre diversi tratti, opportunamente linearizzati, in cui è possibile schematizzare la curva:
‐ l’indice di ricompressione CR (lungo il ramo di ricarico iniziale)
‐ l’indice di compressibilità CC (lungo la ‘retta di normal‐consolidazione’)
‐ l’indice di rigonfiamento CS (lungo i rami di scarico ed eventuale ricarico)
I parametri appena definiti risultano di notevole utilità nel calcolo dei cedimenti di un deposito naturale.
4.3 Ricostruzione della storia tensionale da una prova edometrica.
Quasi nessun deposito naturale conserva indefinitamente nel tempo le caratteristiche di porosità e lo stato tensionale geostatico che assume all’atto della sua formazione.
Lo schema in Figura 4.6 mostra che processi di sedimentazione e successiva erosione (che avvengono con tempi molto lenti, quindi in condizioni sempre drenate), sono associati a comportamenti tensio‐deformativi di carattere diverso.
In particolare, durante la fase di sedimentazione si verifica che il terreno è più compressibile che in durante una fase di erosione (Figura 4.6a). D’altro canto, le tensioni orizzontali non vengono
‘scaricate’ in misura proporzionale a quelle verticali (Figura 4.6b), e pertanto il coefficiente di spinta a riposo K0 (costante in fase di sedimentazione), in erosione varia con lo stato tensionale, aumentando progressivamente in relazione all’entità della riduzione delle tensioni geostatiche.
Figura 4.6. Storia tensionale di un deposito in termini di compressibilità (a) e tensioni geostatiche (b).
Erosione Sedimentazione
1 2
3 3
4
5
v
h
h
e
v
1 2
3
4
5
vp
1 2
3
4
5 K0,nc
K0,oc
(a) (b)
Si definisce tensione di sovraconsolidazione, vp la massima tensione geostatica verticale a cui un elemento di terreno è stato sottoposto nella sua ‘storia tensionale’, e grado di sovraconsolidazione OCR il rapporto:
0 vp 1
v
OCR
(4.3)
In tale spirito, un terreno ‘normalmente consolidato’ (brevemente, n.c.) non è mai stato sottoposto a stati tensionali superiori a quello geostatico attuale, per cui risulta vp = v0 e OCR = 1. In realtà, a dispetto del termine, questa è tutt’altro che la norma.
Un terreno si dice invece ‘sovraconsolidato’ (o.c.) quando accade viceversa che vp > v0 e OCR > 1.
La prova di compressione edometrica consente in qualche modo di ricostruire la storia tensionale del campione su cui viene effettuata, e da questa trarre utili indicazioni per le previsioni delle deformazioni del deposito sotto carichi di esercizio.
La procedura più diffusa si deve ancora una volta a Casagrande, ed è sintetizzata in Figura 4.7;
questo metodo a rigore conduce alla determinazione della tensione di snervamento vy, che viene anche indicata come ‘tensione di apparente sovraconsolidazione’, e non coincide necessariamente con vp.
Figura 4.7. Determinazione della tensione di sovraconsolidazione apparente con il metodo di Casagrande.
0,300 0,400 0,500 0,600 0,700 0,800 0,900
10 100 1000 10000
tensione verticale, 'v (kPa)
indice dei vuoti, e
b
’vy,min
t C
LNC
’vy,max
’vy
h
o
Figura 4.8. Tensioni di sovraconsolidazione (σ’vp) e di snervamento (σ’vy) per depositi naturali sottoposti a 'ageing'.
Un terreno naturale, infatti, se dopo la sua sedimentazione è sottoposto ad un processo di
‘ageing’ (processo di ‘invecchiamento’ del terreno dovuto a fenomeni di ‘creep’ e/o diagenesi) con formazione di legami di cementazione, può presentare, anche in assenza di fenomeni erosivi durante la sua storia, una tensione di snervamento vy ben superiore a quella massima geostatica
vp a cui è stato sottoposto (Figura 4.8).
In tal caso, il metodo di Casagrande conduce alla determinazione della tensione di snervamento, e non a quella di sovraconsolidazione ‘vera’; questa è in tal caso ricostruibile solo a partire dall’analisi della storia geologica del deposito.
4.4 Elaborato riassuntivo di una prova edometrica
Come già detto, le informazioni estraibili da una prova di compressione edometrica sono molteplici: esse vengono riassunte in Tabella 4.4, mentre le procedure di elaborazione corrispondenti sono sintetizzate nei moduli di prova allegati in Appendice.
Si noti che da questa prova viene ricavato in maniera pressoché immediata anche il coefficiente di permeabilità k, che risulta dal confronto tra il coefficiente di consolidazione verticale cv ed il modulo di compressione edometrica Eed.
Il rapporto di prova non deve necessariamente fornire tutte queste informazioni, anche perché alcune di queste sono dipendenti dalla scelta di un modello interpretativo che, in fin dei conti, è compito del progettista (o del consulente geotecnico), e non del laboratorio di prova. In Tabella 4.5 si riportano, a titolo di esempio, le informazioni considerate obbligatorie e quelle opzionali secondo ETC5, ferma restando per il progettista (o consulente geotecnico) la facoltà di richiedere al laboratorio tutti i dati acquisiti durante la prova.
La suddivisione tra le due ‘categorie di informazioni’ è tuttora una questione molto dibattuta ed aperta, poiché, ad esempio, stupisce che non vengano considerati tra le ‘informazioni obbligatorie’ dati come le curve cedimenti‐tempi. Queste ultime, infatti, oltre ad essere necessarie per l’interpretazione della prova in termini di coefficienti di consolidazione, sono quanto meno essenziali per il controllo della sua corretta esecuzione.
S
Indice dei vuoti,e
Tensione verticale, ’v
σ’vp D
R
< σ’vy
Tabella 4.4. Le informazioni potenzialmente estraibili da una prova edometrica.
Parametro ricavato da mediante
coefficiente consolidazione primaria, cv (cm2/s)
curve di consolidazione (w : log t)
2
4
x v
x
c T H t coeff. consolidazione secondaria,
c (%/min)
c log
t modulo edometrico,
Eed (MPa) curva tensione‐deformazione
(’v : z)
v
ed z
E
coefficiente di permeabilità,
k (cm/s) cv e Eed v w
ed
k c E tensione di snervamento*,
’vy (kPa)
curva di compressibilità (e : log ’v)
metodi vari (p. es. Casagrande) indice di ricompressione,
CR ( )
R log v vy
v
C e
indice di compressibilità,
CC ( )
C log v vy
v
C e
indice di rigonfiamento,
CS (in scarico)
S log
v
C e
Tabella 4.5. Categorie di informazioni obbligatorie o opzionali secondo ETC5.
Informazioni obbligatorie Informazioni opzionali
1) identificazione del campione (origine, sito di prelievo, numero di campione, profondità, etc.) 2) descrizione del campione
3) profondità, posizione e orientamento del provino all’interno del campione
4) identificazione dell’apparecchiatura (anello fisso/flottante, drenaggio doppio/singolo, uso di carta da filtro, lubrificazione dell’anello, taratura della deformabilità del sistema)
5) dimensioni iniziali del provino
6) contenuto d’acqua iniziale, peso di volume umido e secco
7) pressione di rigonfiamento (se misurata) 8) grafico della curva di compressibilità,
rappresentando in scala lineare o logaritmica la tensione applicata in funzione della variabile prescelta per la deformazione (e o z), inclusi eventuali rami di scarico e ricarico
9) temperatura di esecuzione della prova
1) commenti sulle condizioni del campione (disturbo, stato di conservazione, tessitura del materiale, ed altro)
2) metodo di preparazione del provino
3) indice dei vuoti e grado di saturazione iniziali, se misurati
4) peso specifico del solido e metodo di determinazione (o se il valore è stato assunto)
5) curve di consolidazione (cedimenti in funzione del logaritmo o della radice quadrata del tempo) per ogni incremento di carico
6) parametri di compressibilità e rigonfiamento come specificati dal progettista o consulente4, insieme al metodo di calcolo
7) coefficiente di consolidazione cv e metodo usato per la determinazione
8) temperatura di correzione del coefficiente cv (se opportuno)
9) coefficiente di compressione secondaria c e metodo usato per la determinazione
10) tensione di sovraconsolidazione apparente ’vy
4 ‘Engineer’ nel testo originale.
5 Resistenza a taglio dei terreni
La ‘legge di resistenza a rottura’ di ogni materiale è definibile attraverso una superficie limite di stato, cioè il luogo geometrico che separa gli stati (tensionali e non) possibili da quelli impossibili.
Il modello di riferimento per i mezzi discontinui è quello di blocco rigido scabro a contatto con un piano (Figura 5.1a). Per esso, la superficie limite di stato è la curva che esprime, per ogni valore dello sforzo normale N, il valore dello sforzo trasversale F necessario per produrre scorrimento all’interfaccia.
Per analogia, il comportamento di un elemento di volume di un mezzo particellare (semplice o complesso, cfr. Figura 5.1b,c), se visto come continuo, è esprimibile in termini di relazione limite tra la tensione tangenziale e lo sforzo normale , cioè nel piano di Mohr (Figura 5.1d).
Il ‘criterio di resistenza’ si può dunque formulare mediante la curva limite (o ‘curva intrinseca’) osservabile nel piano ( : ). Per un mezzo granulare monofase, la curva è indipendente dalla giacitura dell’elemento e caratterizzata da un andamento lineare (Figura 5.2):
c tan (5.1)
(a) (b) (c)
(d)
Figura 5.1. Modello elementare di blocco scorrevole per attrito (a), mezzo granulare semplice (b) e complesso (c); superficie limite di stato (d).
T →
N →
(stati possibili) (stati impossibili)
curva limite
Figura 5.2. Criterio di resistenza di Mohr‐Coulomb (a): terreno incoerente (b) e terreno coesivo (c).
c
tan
tan
c
= c + tan
= tan
= c (a)
(b)
(c)
In tali ipotesi, si parla di ‘criterio di resistenza alla Mohr‐Coulomb’ (Figura 5.2a): c viene definita
’coesione’, e rappresenta la resistenza allo scorrimento in assenza di tensioni normali; è l’angolo d’attrito, e tan rappresenta l’incremento della resistenza con l’aumento della tensione . Nei terreni sono possibili due casi limite opposti:
‐ il materiale puramente attritivo (Figura 5.2b), caratterizzato da c = 0, 0 (il così detto (c.d.) ‘mezzo di Coulomb’), che rappresenta il comportamento tipicamente associato ai materriali a grana grossa5 (sabbie e ghiaie) ed a quelli a grana fine (limi ed argille), in condizioni drenate;
‐ il materiale puramente coesivo (Figura 5.2c), caratterizzato da c > 0, = 0 (il c.d. ‘mezzo di Tresca’), che rappresenta il comportamento tipicamente associato ai terreni a grana fine6 in condizioni non drenate.
Per estendere con legittimità il criterio di Mohr‐Coulomb ai terreni visti come mezzi particellari multifase, va ricordato che l’esperienza mostra che la resistenza di essi è governata dal Principio delle Tensioni Effettive, in virtù del quale la curva limite va espressa oggettivamente in termini di tensioni effettive:
tan
c (5.2)
Come verrà illustrato nel §7, uno stesso terreno (p.es. a grana fine) può mostrare inviluppi di rottura dipendenti dalle condizioni di drenaggio, se espressi in tensioni totali ( : ), ma indipendenti da esse, se espressi in tensioni effettive ( : ’).
Se è noto lo stato tensionale attraverso il cerchio di Mohr, la condizione di rottura è identificata dalla tangenza tra il cerchio e l’inviluppo, e il punto di tangenza permette di localizzare la giacitura di rottura.
La relazione di Mohr‐Coulomb è altresì esprimibile in termini equivalenti mediante:
la relazione (ancora lineare) tra le tensioni principali 1 e 3 (criterio di Rankine):
1Kp32c Kp 3 Ka12c Ka (5.3)
dove:
1 sen
coefficiente di spinta passiva 1 sen
Kp
(5.4)
5 Che per l’assenza di coesione vengono spesso detti ‘terreni incoerenti’.
6 Che per la presenza di coesione vengono spesso detti ‘terreni coesivi’.
1 sen
coefficiente di spinta attiva 1 sen
Ka
(5.5)
la relazione (sempre lineare) tra gli invarianti p e q:
q p qc (5.6)
dove:
6sen
3 sen
(5.7)
3 2
2 1 2
a
c a
a
q c K K
K
(5.8)
Nei capitoli che seguono verranno illustrate le modalità di determinazione della resistenza al taglio dei terreni mediante le prove di taglio diretto (§6) e quelle di compressione triassiale (§7).
6 Prova di taglio diretto
Obiettivo di questa prova è determinare le caratteristiche di resistenza a taglio di un terreno in condizioni drenate, mediante interpretazione della relazione : ’ nel piano di Mohr.
Gli strumenti sperimentali convenzionalmente adoperati allo scopo sono l’attrezzatura di taglio diretto piano (la c.d. ‘scatola di Casagrande’, Figura 6.1a) e quella di taglio anulare (apparecchio di Bromhead, Figura 6.2b). Quest’ultima presenta, rispetto alla prima, il vantaggio di permettere una distribuzione più uniforme delle tensioni tangenziali, e di consentire una più agevole determinazione della resistenza residua (cfr. §6.2); è però meno diffusa nella pratica sperimentale, a seguito della maggiore complessità operativa e per la difficoltosa preparazione dei provini.
Nella trattazione che segue, verranno pertanto fornite le indicazioni essenziali relative alla sola prova di taglio diretto piano.
6.1 Modalità di esecuzione
Una prova completa viene eseguita su almeno tre provini consolidati a tensioni ’v diverse.
I provini adoperati sono in genere prismatici a sezione quadrata (ma talora anche cilindrici) e, per ragioni analoghe a quelle esposte nel §4.1, devono soddisfare requisiti dimensionali (Tabella 6.1) simili a quelli delle prove edometriche.
Tabella 6.1. Requisiti dimensionali dei provini per prove di taglio diretto piano.
Raccomandazioni AGI Raccomandazioni ETC5
Hmin (mm)
Lmin
(mm) (L/H)min Hmin/dmax
Dimensioni tipiche provino
L L H (mm)
Massa minima di terreno
Wmin (g)
12.5
50
2
10
60 60 20 100 100 20 300 300 150
150 450 30000
(a)
(b)
Figura 6.1. Apparecchi di taglio diretto (a) e di taglio anulare (b).
Prima della prova, occorre registrare le dimensioni ed il peso umido di ciascun provino. Questo, una volta introdotto nell’apparecchiatura (Figura 6.3) tra le due semi‐scatole inferiore (mobile) e superiore (fissa e solidale con il sistema di carico verticale), viene poi sottoposto a condizioni di compressione di tipo ‘K0’, mediante l’applicazione di una forza verticale, N, generata da un sistema di leve e pesi analogo a quello dell’edometro.
La tensione effettiva di consolidazione, ’v (= N/A, con A = area del provino), non deve di norma risultare inferiore a quella geostatica alla profondità di prelievo del campione.
Nella fase di consolidazione, si registra la relazione cedimenti‐tempi, che viene poi interpretata nel piano :w t , ottenendo il valore di t100 come indicato in Figura 6.3a.
Nella fase di rottura, viene azionato un motore passo‐passo che produce uno scorrimento relativo
tra le due semi‐scatole, agendo su quella inferiore (Figura 6.3b).
(a) (b)
Figura 6.2. Schema di montaggio (a) ed inserimento del provino (b) nella scatola di taglio.
(a) (b)
Figura 6.3. Curva di consolidazione (a) e schema di controllo delle sollecitazioni nella fase di taglio (b).
Per garantire condizioni di drenaggio libero, la velocità di scorrimento viene mantenuta non superiore al valore:
100 f
F t
(6.1)
essendo f lo scorrimento prevedibile a rottura (Tabella 6.2); F è una costante che assume il valore 10 secondo le Raccomandazioni AGI, 12.7 secondo ETC5.
Tabella 6.2. Valori orientativi dello scorrimento a rottura δf secondo AGI (2).
Terreno Scorrimento δf (mm)
argille tenere 8
argille sovraconsolidate 2 ÷ 5
argille marnose 1 ÷ 2
sabbie 1 ÷ 5
In questa fase, vengono registrati nel tempo lo scorrimento (letto da un micrometro o da un trasduttore di spostamento), la forza di taglio orizzontale T (misurata da un anello dinamometrico o una cella di carico) e lo spostamento verticale w (rilevato con un sistema analogo a ).
Il sistema di carico verticale deve quindi rendere possibili anche gli spostamenti verticali e, per evitare il disassamento di N e T, si adottano a volte sistemi di controllo del parallelismo (p. es.
cuscinetti a sfera lungo l’asta che trasmette il carico verticale, Figura 6.3b).
Le letture simultanee di spostamenti orizzontali e verticali, nonché del carico orizzontale, vanno condotte fino all’evidenza del raggiungimento della resistenza del materiale.
Al termine della prova, il provino va smontato con cura, pesato, e poi fatto essiccare in stufa a 105°‐110° per almeno 24 h, dopodiché ne viene registrato il peso secco.
6.2 Interpretazione della prova
Come accennato, per l’impossibilità di prevenire o comunque di controllare il drenaggio questa prova è sempre consolidata – drenata.
Le modalità di interpretazione risentono di alcune limitazioni intrinseche dell’apparecchiatura, e cioè:
‐ la superficie di rottura è predeterminata;
‐ le tensioni orizzontali al contorno non sono misurabili, pertanto sia i cerchi di Mohr che i percorsi tensionali sono ignoti fino alla rottura;
‐ le deformazioni tangenziali (concentrate intorno alla superficie di rottura) non sono deducibili dagli spostamenti orizzontali misurati.
Ne deriva che la prova di taglio diretto è interpretabile solo in termini di relazione : in condizioni di rottura.
Malgrado la disuniforme distribuzione di tensioni tangenziali lungo la sezione trasversale del provino, nell’interpretazione il rapporto T/A viene indicato come ‘valore nominale di ’. I risultati sono quindi rappresentabili attraverso curve : e w : associabili a ciascun valore della tensione di consolidazione ’v applicata (Figura 6.4a,b).
Per ciascun provino, sono in linea di principio determinabili tre distinti valori della tensione tangenziale di rottura f:
‐ la resistenza di picco p (corrispondente al valore massimo max);
‐ la resistenza di stato stazionario cv (corrispondente alle condizioni di stazionarietà di w, cioè ‘a volume costante’);
‐ la resistenza residua r (corrispondente a scorrimenti elevati).
Riportando le relative coppie di valori (’,) sul piano di Mohr, sono di conseguenza determinabili (p. es. mediante regressione lineare) tre diversi inviluppi ed altrettante coppie di parametri di resistenza a rottura (Figura 6.4c). Risulta in genere ’p > ’cv > ’r , nonché c’cv c’r = 0.
L’uso progettuale dei diversi inviluppi di resistenza così determinabili è questione molto dibattuta;
in questa sede, a titolo di orientamento, si ricordano le regole generali riassunte in Tabella 6.3.
Figura 6.4. Risultati di una prova di taglio in termini di relazioni tensione‐scorrimento (a), cedimento‐
scorrimento (b) e tensioni limite nel piano di Mohr (c).
’
Picco
Stato Stazionario
Residuo
••
•
I
•
•
•
II III
Picco
Residuo
Stato
Stazionario (scorrimenti elevati)
min
dw d
T
A
V
w
(a) (c)
(b)
Tabella 6.3. Uso dei diversi parametri di resistenza.
Resistenza Significato Esempi
Picco Resistenza di calcolo per problemi in cui il terreno non è soggetto a fenomeni di scorrimento in atto
Fondazioni su terreni stabili Pendii stabili
Stato stazionario (o ‘a volume costante’)
Stima cautelativa della resistenza di calcolo per terreni a stabilità incerta
Opere di sostegno di terreni in sede
Pendii di stabilità incerta Residua Resistenza di calcolo per problemi in cui il
terreno è stato soggetto a scorrimenti elevati
Pendii già instabilizzati
6.3 Meccanismi di resistenza al taglio e fattori influenti.
Il ‘meccanismo primario’ alla base della resistenza al taglio dei terreni granulari è l’attrito tra le particelle, il che ha come immediata conseguenza la proporzionalità della resistenza f alle tensioni normali intergranulari, cioè le tensioni effettive ’.
Il ‘meccanismo secondario’ è invece la c.d. dilatanza, termine usato per definire in senso lato la propensione di un aggregato di particelle a mostrare, per effetto di sforzi di taglio, variazioni di volume. Un mezzo granulare addensato (Figura 6.5a) tende a dilatare, opponendo maggiore resistenza allo scorrimento, rispetto allo stesso aggregato caratterizzato da minore densità (Figura 6.5c), che viceversa tende a contrarsi mostrando resistenza minore.
(a) (b) (c)
Figura 6.5. Comportamento di un terreno granulare addensato (a), a densità critica (b) e sciolto (c).
Figura 6.6. Risultati di prove di taglio su sabbia densa, media e sciolta in termini di relazioni tensione‐
scorrimento.
Figura 6.7. Risultati di prove di taglio su sabbia densa, media e sciolta in termini di tensioni limite nel piano di Mohr.
Nella Figura 6.6 e nella Figura 6.7 sono confrontati i risultati di prove di taglio diretto condotte su provini di una stessa sabbia, ma preparati a valori di densità relativa sciolta, media e densa. E’
evidente che, all’aumentare della densità, la resistenza di picco aumenta, mentre la resistenza di stato stazionario (cv) non dipende dalla densità, ma dalla sola tensione normale effettiva ’.
(a) (b)
Figura 6.8. Dipendenza dell'angolo di resistenza a taglio da densità (a) e granulometria (b).
Più in generale, l’angolo d’attrito di picco p risulta dalla somma dei contributi di tre meccanismi, tutti dipendenti in misura diversa dalla densità (Figura 6.8a):
‐ l’attrito ‘materiale’ tra i grani (angolo ), indipendente dalla densità;
‐ la dilatanza (angolo ), crescente con la densità;
‐ il riassestamento dei grani (angolo ), decrescente con la densità.
I risultati sperimentali raccolti sui terreni a grana grossa mostrano che, a parità di densità relativa, sia la resistenza di picco che quella di stato stazionario crescono con la dimensione dei grani (Figura 6.8b).
Anche per i terreni fini si è ampiamente riconosciuta la dipendenza della resistenza drenata dalla combinazione di meccanismi di attrito e dilatanza (cfr. p.es. Scarpelli, 1991), e la possibilità che uno stesso materiale, a seconda del suo ‘stato naturale’, presenti comportamento:
‐ contraente (p = cv): tipico di argille da molli a poco consistenti;
‐ dilatante (p > cv): tipico di argille molto consistenti.
In definitiva, solo cv e r sono quindi ‘proprietà meccaniche intrinseche’ di un terreno fine;
l’esperienza mostra che entrambi decrescono con la frazione argillosa e la plasticità, come ad esempio mostrano le note correlazioni di Figura 6.9.
Figura 6.9. Correlazioni tra angolo di resistenza residua e frazione argillosa (a) e indice di plasticità (b).
6.4 Elaborato riassuntivo di una prova di taglio diretto
Il rapporto di prova deve fornire, secondo ETC5, i dati riportati in Tabella 6.4.
Come si puo’ notare, a differenza della prova edometrica, in questo caso non è stata introdotta alcuna distinzione tra informazioni ‘obbligatorie’ e ‘opzionali’; ciò malgrado alcuni parametri da riportare, come quelli di resistenza a taglio, in realtà comportano l’adozione di un modello costitutivo ben preciso (anche se universalmente diffuso), come il criterio di resistenza di Mohr‐
Coulomb.
A parere di molti esponenti della comunità geotecnica europea, sarebbe quanto meno opportuno che vengano perlomeno prescritti i criteri di interpretazione statistica dei punti sperimentali ( : ), per l’ottenimento dei parametri di attrito e coesione nei vari casi. Ad esempio, ci si chiede:
‐ quando si effettua una regressione lineare dei punti sperimentali per la determinazione della resistenza residua, deve imporsi il vincolo di intercetta nulla?
‐ come regolarsi quando l’applicazione automatica di algoritmi di regressione lineare fornisce intercetta di coesione negativa7?
Tabella 6.4. Informazioni da riportare nel rapporto di prova secondo ETC5.
1) identificazione del campione (origine, sito di prelievo, numero di campione, profondità, etc.) 2) posizione e orientamento del provino all’interno del campione
3) metodo di preparazione del provino (indisturbato, ricostituito, costipato)
4) modalità di prova (tipo di apparecchiatura, eventuale applicazione di più cicli di scorrimento) 5) dimensioni iniziali del provino
6) contenuto d’acqua iniziale, peso di volume umido e secco
7) peso specifico del solido e metodo di determinazione (o se il valore è stato assunto) 8) indice dei vuoti e grado di saturazione iniziali, se misurati
9) per ogni provino, tensione normale applicata, massima tensione tangenziale, e spostamento orizzontale corrispondente
10) tensione tangenziale residua (se determinata), numero di cicli di scorrimento, e corsa effettuata per ogni ciclo
11) velocità di scorrimento applicata nella fase di rottura
12) condizioni di umidità del provino (se a contenuto naturale d’acqua o immerso) 13) curve di consolidazione (cedimenti in funzione della radice quadrata del tempo)
14) tensione tangenziale e, se richiesto, variazioni di altezza di ciascun provino in funzione dello spostamento orizzontale per la determinazione della resistenza di picco e, eventualmente, di quella residua
15) diagramma dei valori massimi della tensione tangenziale (p) ed eventualmente anche dei valore residui (r), in funzione della tensione normale applicata, per tutti i provini
16) parametri di resistenza di picco, in termini di angolo d’attrito ’p (con l’approssimazione di 0.5°) e coesione c’p (con due cifre significative)
17) l’angolo di resistenza residua, ’r, se determinato
7 E’ successo...