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Vincenzo Bonomini: la Vita

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Academic year: 2021

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Indice

Indice ... 1

Introduzione... 2

Capitolo I ... 5

I.1 Vincenzo Bonomini: la Vita ... 5

I.2 Regesto... 19

I.3 Le opere ... 25

I.4 La Grafica ... 41

Capitolo II... 51

II.1 Santa Grata inter Vites in Borgo Canale... 51

II.2 I Macabri di Bonomini ... 59

Capitolo III ... 74

III.1 Atteggiamenti sulla morte dall’Alto Medioevo fino al XIX secolo: una sintesi... 74

III.2 Etimologia del macabro ... 87

III.3 L’Incontro dei tre vivi e dei tre morti e il Trionfo della Morte ... 89

III.4 La Danza Macabra ... 118

III.5 Vanità delle vanità, tutto è vanità ... 139

III.6 Composizioni e apparati macabri nelle parrocchiali bergamasche ... 146

Conclusioni... 160

Elenco delle Illustrazioni ... 163

I Macabri ... 173

Illustrazioni... 179

Bibliografia... 270

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Introduzione

Il mio “incontro” con Bonomini avviene per la prima volta a centinaia di chilometri di distanza rispetto al luogo di nascita e di sviluppo di quest’artista, la cui fama è legata sostanzialmente a sei tele, tutt’oggi conservate nella chiesa di Santa Grata inter Vites, quella della borgata cui rimarrà per sempre “fedele” il nostro pittore; a Roma, dal 29 febbraio al 10 giugno 2008, alle Scuderie del Quirinale era di scena una bellissima mostra intitolata Ottocento: da Canova al Quarto Stato, e in una delle prime sale mi imbattei in tre tele che letteralmente mi spiazzarono: si trattava di scene di scheletri viventi, un Tamburino della Guardia Nazionale , una coppia di Sposi borghesi a passeggio e un Pittore che raffigura la Morte, di mano di Vincenzo Bonomini, parti di un ciclo comprendente altrettanti soggetti caratterizzati anch’essi dall’aspetto scheletrico.

Rimasi molto colpita da queste opere, e non conoscendo assolutamente questo irriverente artista, decisi di documentarmi di ritorno da Roma, cosa che, prevedibilmente, passò in secondo piano rispetto agli impegni universitari.

La fortuna, o il caso, vollero che a quasi due anni di distanza mi trovassi di nuovo di fronte a questo artista, proprio a Bergamo, nella sua città natale, spinta da quella voglia che ogni studente di storia dell’arte ha di entrare in ogni chiesa che si trova di fronte quando visita una città per la prima volta; lo riconobbi, e da lì nacque l’idea di approfondire questo artista così poco conosciuto oltre i confini orobici.

Pur non volendo scrivere una monografia – su Bonomini sono stati realizzati studi specifici anche se pochi e ormai datati - era necessario partire con la trattazione affrontando per l’appunto la vita dell’artista: il primo capitolo si apre con la descrizione della vita del pittore, con l’esposizione di quella che era la sua realtà all’interno del quartiere di Borgo Canale e degli stravolgimenti, politici e personali, di cui è stato testimone nel corso della sua longeva

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esistenza. Seguono due paragrafi nei quali è stato necessario condensare l’opera pittorica e grafica del Bonomini; cercando di mantenere l’assioma imposto in partenza sul fatto di non scrivere una monografia, sono state presentate ai lettori quelle opere che meglio erano in grado di descrivere il pittore, scelta che in certi casi è stata anche sfortunatamente dettata dalla presenza delle opere in contesti non pubblici, e che ha costretto chi scrive ad

“inseguire” e tartassare privati cittadini al fine di farsi strada, e poter così osservare i mirabili affreschi all’interno delle private magioni.

Il secondo capitolo si apre con un piccolo e doveroso excursus sulla chiesa che ha “ispirato”

l’artista per la realizzazione dei suoi Macabri, Santa Grata inter Vites, situata a poche centinaia di metri dalla casa natale del pittore, e prosegue con la descrizione delle tele per le quali giustamente è divenuto famoso, non solo perché altamente significative e quasi prive di precedenti immediati, ma anche perché le uniche opere che possono essere esposte in contesti espositivi museali.

Il terzo capitolo sembra in una qualche maniera sviare dal filo conduttore della tesi: un primo paragrafo che, lungi dall’essere esaustivo, presenta la mentalità e gli atteggiamenti che si avevano di fronte alla Morte, i quali cambiarono radicalmente nel corso dei secoli; perché di morte si dovrà parlare, e anche parecchio, perché se Bonomini è famoso per i Macabri, che ci presentano scheletri nell’atto di comportarsi da vivi, non lo è per tutti quegli affreschi da lui realizzati nell’hinterland bergamasco che invece raffigurano la vita.

Una piccola definizione della parola “macabro” precede una disamina su quelli che sono sempre stati visti come gli antecedenti storici delle tele di Bonomini, quei grandi temi macabri - in Italia in realtà poco presenti rispetto all’area franco-germanica - che a partire dal XIII secolo, come L’Incontro dei tre vivi e dei tre morti, i Trionfi della Morte e le Danze macabre, la Chiesa utilizza per infiammare e al tempo stesso indottrinare i devoti cristiani.

Perché i Macabri, al di là dell’iconografia dissacrante ed irriverente, erano - e sono - a tutti

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gli effetti un apparato liturgico, utilizzato nelle festività religiose a suffragio dei morti. È parso inoltre doveroso spingersi ad indagare, seppur non in maniera capillare, anche il tema vastissimo della Vanitas, al fine di ricercare somiglianze iconografiche o almeno concettuali.

Infine l’ultimo paragrafo indaga quella che è risultata essere, attraverso le testimonianze che ancora sono presenti all’interno delle parrocchiali bergamasche, una tradizione locale consolidata: quella degli apparati macabri esposti per il triduo dei morti e per l’ottavario di novembre, che giustificano una così forte presenza nel territorio di realizzazioni macabre.

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Capitolo I

I.

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Vincenzo Bonomini: la Vita

Vincenzo Bonomini può certamente dirsi uno dei pittori più stravaganti che il secolo XVIII lasciò in eredità al XIX, e paradossalmente, uno di quelli ancora poco indagati.

Nasce a Bergamo il 23 gennaio 1757 nel quartiere di Borgo Canale1, da Paolo Maria, pittore di discreto successo locale, e Maria Diduali proveniente dal Canton Ticino.

La data di nascita è già di per sé problematica. Inizialmente l’anno assegnato comunemente era il 1756, data tutt’altro che sicura anche se corredata dal certificato di battesimo; infatti per ragioni a noi sconosciute egli venne iscritto nel registro dei battezzati della parrocchia di Borgo Canale sotto il mese di gennaio 1757, di seguito ad un atto del giorno 21, ma con l’indicazione 23 dicembre. Sicuramente si trattò di un lapsus dell’amministrante che anziché scrivere gennaio scrisse dicembre, e di fatto il pittore risulta nato il 23 gennaio 1757 da quanto si ritrova nell’atto del suo ultimo matrimonio. Possiamo forse pensare che si trattò di una dimenticanza degli atti del 1756 e che più tardi vi si rimediò annotando la nascita all’anno successivo ma con l’indicazione di dicembre? Questo non è dato sapere, ed è quindi da ritenersi che Vincenzo Bonomini nacque l’anno successivo, il 23 gennaio 1757, come attestano le poche pubblicazioni relative all’artista.2

1 Quella che è ritenuta tradizionalmente la casa natale del pittore fu proprietà della famiglia a partire da quando egli aveva cinque anni, è tutt’oggi esistente e abitata da più nuclei familiari. È in via Borgo Canale, contrassegnata dal civico numero 10 e da una lapide commemorativa, posta dal comune di Bergamo nel maggio 1958 che reca la seguente iscrizione: “IN QVESTA CASA NACQVE AI 23 GENNAIO 1757 / VINCENZO BONOMINI / PITTORE ESTROSISSIMO / CHE ALLE CLASSICHE ELEGANZE DI ARIOSI AFFRESCHI / TRA I PIV’ LEGGIADRI DEL SECOLO / AGGIVNSE LE IMMORTALI FANTASIE MACABRE / NELLE QVALI CON VIRTVOSO VMORISMO / COLORÌ LE FVGACI ILLVSIONI E VANITÀ DEL TEMPO” (Fig.1). R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, in I Pittori Bergamaschi raccolta a cura della Banca Popolare di Bergamo, Bergamo 1995, vol. 5 p. 7.

2 R. BASSI-RATHGEB, Vincenzo Bonomini pittore macabro, Venezia 1957, p. 9.

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L’atto di nascita dal libro battesimale della chiesa di Santa Grata inter Vites ci nomina non solo i genitori del futuro artista, ma anche il padrino di battesimo, un certo Giovanni Battista Boromini; da questa combinazione di cognomi poco dissimili, associata al fatto che probabilmente il padrino si occupò per un certo periodo di Vincenzo, può venire fuori l’appellativo con il quale l’artista sarà più comunemente noto fino a tutta la metà del primo Novecento, anche nelle varianti Borromini e Borromino.3

Il quartiere di Borgo Canale a Bergamo è situato appena fuori porta S. Alessandro e ai tempi di Vincenzo risulta essere popolato da artigiani, anche specializzati, da artisti (come l’emergente compositore Gaetano Donizetti) ma anche da semplici ortolani che sfruttano la geografia del luogo favorevole all’esposizione solare; il quartiere non è stato oggetto di notevoli trasformazioni edilizie, e ancora oggi è possibile vedere una strada stretta, sempre in ombra, che passa davanti alle case e alla chiesa del borgo; si tratta quindi di un abitato in fila la cui facciata posteriore, posta a sud, si apre su orti in pendenza soleggiati tutto il giorno (Fig. 2).4

L’esistenza del nostro artista trascorre in un tenore da ceto medio. Questo è provato dalle condizioni economiche che gli sono state trasmesse dai genitori grazie al possesso del complesso abitativo, dove lui stesso nasce, con appartamenti in uso di abitazione propria ed altri dati in locazione.5

Bonomini vive quindi in una realtà sociale a cerniera, per così dire, tra la cultura popolare del sobborgo e quella del patriziato agrario che quotidianamente frequenta grazie alla professione artistica, prima del padre e poi personale.6

3 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini op. cit. p. 3.

4 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, Bergamo 1975, p. 9.

5 Altro segno distintivo che lo inserisce nella categoria dei possidenti è il fatto che il pittore possedeva un calesse. Ibidem.

6 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini op. cit. p. 3.

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L’avvio della carriera del pittore sull’approssimarsi dell’ultimo quarto del Settecento, avviene nel solco della continuità familiare: gli strumenti e la tecnica gli sono trasmessi dal padre, Paolo Maria (nato nel 1703, vivo fin dopo il 1779), a sua volta pittore e figlio di un violoncellista originario di Venezia.7 Benché la personalità del padre non sia stata ancora oggetto di studi approfonditi, se ne può accertare il carattere saliente, che dimostra l’improbabilità – fatta salva, forse, una sconosciuta fase giovanile di Vincenzo - di un passaggio di ordine poetico di padre in figlio. L’indirizzo in cui si mosse Bonomini il vecchio è quanto di più lontano dall’effervescente freschezza di modi del figlio.

Stando al contemporaneo Tassi,8 Bonomini il vecchio fu tra i più fedeli imitatori di Fra’

Galgario, quando da giovane ne era allievo, prima di concludere il suo apprendistato a Milano e Venezia.

Anche se non sono state identificate opere in accordo perfetto con la testimonianza del Tassi, è evidente che una volta staccatosi dalla bottega del frate, egli continuò a privilegiare l’attività ritrattistica legata al sobrio realismo e alla prospezione psicologica. 9

Per meglio immaginare la figura di Vincenzo Bonomini è forse necessario cercare di inserirla nel contesto culturale e politico della sua città.

Bergamo si presenta all’epoca come una città di confine dello stato della Serenissima e la sua vita intellettuale si esprime, al momento d’esordio professionale di Vincenzo, veicolata mediante l’attività di due accademie: l’Accademia degli Eccitati, di antica fondazione ma riportata in auge dopo una lunga “sonnolenza” nel 1749, indirizzata ad un esercizio letterario prettamente accademico, e l’Accademia degli Arvali, istituita su pressione della Repubblica

7 Vincenzo Bonomini i disegni, i Macabri, l’ambiente, catalogo della mostra (Bergamo 22 maggio / 21 giugno 1981) a cura di R. MANGILI, Bergamo 1981, p. 25.

8 F. M. TASSI, Vite de’ pittori scultori e architetti bergamaschi (1793) ristampa anastatica, Milano 1970, vol.

II p. 70.

9 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini op. cit. p. 17.

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Veneta nel 1769 (che auspicava ad un qualche progresso nelle condizioni di arretratezza delle popolazioni sottomesse, senza però ricorrere a pericolose riforme) che doveva promuovere studi economici e scientifici finalizzati al miglioramento dell’agricoltura.

Entrambe le accademie verranno soppresse per decreto napoleonico nel 1810 e gli iscritti confluiranno nella nuova istituzione dell’Ateneo di Scienze Lettere ed Arti.

In sostanza prima della Rivoluzione si guardavano e si emulavano i costumi e le arti della capitale sulla laguna, mentre si restava ancora scandalizzati, ma forse al contempo affascinati, dalle idee milanesi che già guardavano Oltralpe all’Illuminismo.10

Già prima della Rivoluzione il governo veneziano temeva per la diffusione a Bergamo della nuova letteratura politica ed economica di firma francese, prese quindi misure per ostacolare il flusso del commercio librario, ma intorno al 1791, nonostante l’intercettazione e il sequestro di materiale a stampa proveniente da Parigi, il successo delle idee rivoluzionarie era in crescita. Con l’occupazione di Milano ad opera del generale Bonaparte (15 maggio 1796) è difficile, oltreché del tutto inutile, ostacolare la stampa sovversiva e il fermento delle idee rivoluzionarie. I rapporti commerciali tra le due città non possono essere soppressi e questo porta a frequenti contatti fra i cittadini con la coccarda tricolore e i bergamaschi ed ecco che il 14 marzo 1797 viene proclamata la Repubblica Bergamasca e Venezia perde i propri domini su queste terre.

Segue in città un periodo di tumulti che porterà quasi ad una guerra civile, quando le popolazioni delle valli, contrapposte alla popolazione urbana, non vogliono ribellarsi alla Serenissima, per il timore che il cambiamento di regime possa in qualche modo modificare i privilegi fiscali di cui godono sotto Venezia. Proprio dalla porta di Borgo Canale escono le

10 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, op. cit. pp. 9,10.

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truppe di Bergamo-città per affrontare i valligiani, il 30 marzo 1797, ma solo l’intervento dei francesi servirà a dissuadere i montanari da ulteriori sommosse.11

Il 19 giugno la Repubblica Bergamasca cesserà di esistere e il suo apparato politico- amministrativo confluirà, con la nuova denominazione di Dipartimento del Serio, nella Repubblica Cisalpina.

Il 24 aprile 1799 la controffensiva della coalizione austro-russa entra in Bergamo; i cosacchi di Suvarov predano e distruggono, due disegni di Bonomini ora nel corpus sforzesco mostrano questi cavalieri.12

Con la cacciata dei francesi la reazione degli austriaci è assai dura e tutto nella vita sociale ne risente: ostacoli nei commerci, epurazioni e confische, tasse insostenibili e cultura paralizzata dalla censura.13

Con la seconda campagna napoleonica in Italia rinasce la Repubblica Cisalpina che ben presto, nel 1802, si trasformerà in Repubblica Italiana, anche se per poco; con l’incoronazione di Napoleone quale imperatore dei francesi nel dicembre 1804 e la successiva, a re d’Italia nel maggio 1805, la Repubblica Italiana cesserà di esistere per evolvere nel Regno d’Italia. La Municipalità di Bergamo per celebrare il nuovo imperatore decide di erigere un arco di trionfo; nella raccolta sforzesca di Milano è custodito un disegno di Bonomini che ritrae il prospetto e la pianta di un arco di trionfo e che potrebbe essere messo in relazione con gli intenti della municipalità. Verrà però indetta una gara tra diversi architetti, vinta da Leopoldo Pollak, ma l’erezione del monumento non avrà mai inizio.

11 È probabile che alcuni disegni di soggetto bellico del corpus bonominiano siano da riferirsi alla cronaca di quei giorni, come anche quello denominato Bataglione della Speranza, ora raccolto nell’album del Castello Sforzesco, che ci mostra con la mano del pittore la marcia verso Milano dei corpi armati della Guardia Nazionale per la cerimonia del giuramento di fedeltà alla Repubblica Cisalpina. R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, op. cit. p. 11.

12 Per la descrizione dei disegni Cfr. paragrafo I.4 p. 46.

13 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, op. cit. p. 11.

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Con la Restaurazione nel 1814 ritornano gli austriaci: la loro dominazione durerà quasi un cinquantennio e Bonomini al momento dell’istituzione del Regno Lombardo Veneto accetterà l’incarico di dipingere i nuovi stemmi sulle porte della città.14

Questa piccola introduzione alla storia era necessaria per poter comprendere il pittore e l’uomo Bonomini, per spiegare la sua opera, perché come abbiamo visto in piccolo e poi come meglio vedremo attraverso un breve excursus della sua produzione, egli “collabora”

per l’una e l’altra fazione. Nella dimensione pubblica, resa precaria da continui cambiamenti, egli si comporta - come in genere i colleghi a lui coevi – da tecnico non legato a vincoli ideologici, pronto a servire con la sua arte l’una e l’altra faccia del potere.15

Per quanto riguarda la formazione artistica di Bonomini non abbiamo dati certi, ed è quindi possibile solo avanzare delle ipotesi attraverso i dati biografici e l’analisi della sua produzione artistica. Abbiamo già accennato alla figura del padre che se da una parte lo introduce alla professione artistica, dall’altra come già affermato, non fa altro che indicare la strada che sarà poi interpretata da Vincenzo in maniera autonoma rispetto ai modi del padre, debitori in egual misura alle cromie veneziane e alla sensibilità lombarda.

Le condizioni economiche della famiglia gli consentono di godere di una formazione anche letteraria, come si può vedere dai documenti autografi che ci mostrano un uomo istruito.16 Se quindi dobbiamo ricondurre al padre il primo apprendistato non possiamo però non pensare che nella sua formazione non siano stati previsti dei viaggi studio a Venezia, tappa d’obbligo se si pensa che Bergamo ne continuava a dipendere non solo economicamente ma

14 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, op. cit. p. 12.

15 Alcuni esempi oltre a quelli già citati: nel 1796 realizza le insegne di S. Marco per le onoranze di Bergamo a un rettore veneto, poco dopo dipinge feroci satire dell’Ancien Régime, tra il 1797 e il 1802 compone allegorie cisalpine, nel 1798 decora l’albero della Libertà innalzato in Piazza Vecchia, nel 1800 esegue un’insegna doganale per l’interregno austriaco, infine nel 1805 realizza i vessilli della Guardia d’Onore per l’auspicata visita di Napoleone a Bergamo. R. MANGILI, Vincenzo Bonomini op. cit. p. 4.

16 G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, Bergamo 2009, p. 9.

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anche dal punto di vista del gusto, e a Milano, dove già si faceva sentire l’aria neoclassica.

Vari studiosi si sono inoltre posti il quesito se Bonomini abbia affrontato o meno un viaggio di studio anche a Roma, l’accademia a cielo aperto per gli artisti del tempo, ma non vi sono tutt’oggi prove che negano la possibile esperienza ma neanche a sostegno di quest’ultima.

Vero è che Giacomo Quarenghi, allievo di Bonomini padre, e coetaneo di Vincenzo, vi si recò per migliorare la propria formazione ed è quindi ipotizzabile un viaggio anche per il nostro artista. Le stesse opere di Vincenzo portano a sostenere la tesi di un suo viaggio nella città eterna.17

La necessità di perfezionare una tecnica pittorica come la decorazione parietale, così lontana dall’arte del padre, spinge Bonomini ad affiancarsi ad artisti come Carlo Rancilio, che nel 1786 decorò la villa Vertova-Ambiveri a Seriate, dove nelle sovrapporte e nel pannello sopra il camino è ravvisabile la mano di Vincenzo; questa sarà però l’unica collaborazione con Rancilio.

La vita di Bonomini, in consonanza agli standard dell’epoca, è segnata dall’incidenza di nascite e morti frequenti. La sua infanzia è contrassegnata dall’alternanza di acquisizioni e perdite di familiari: nascita del fratello Giuseppe nel 1758 e della sorella Maria Teresa nel 1759, morte della sorella Maria Orsola e dei fratelli Giovanni e Giuseppe nel 1774, della madre nel 1776. Vita e morte, temi cardine dell’arte di Bonomini, trovano ragione prima nell’esperienza di vita che non nei luoghi comuni della speculazione letteraria. L’artista è comunemente conosciuto come il pittore dei Macabri e sostanzialmente per due motivi: uno legato alla tradizione letteraria che lo vede tratteggiato dai primi biografi, da Dragoni fino al

17 Basta ricordare una delle quattro Virtù Cardinali che Bonomini affresca nella chiesa del Monastero della Visitazione ad Alzano Lombardo (1795), dove la figura della Temperanza richiama da un lato, per il contrapposto e le torsioni, le figura delle Sibille della Cappella Sistina, e dall’altro sviluppa in maniera più compressa la posa della Temperanza scolpita da Camillo Rusconi per la chiesa di Sant’Ignazio a Roma nel 1686. G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, op. cit. p. 10.

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Bassi-Rathgeb, “pittore macabro”, l’altro legato alle peculiarità delle sue opere, quasi esclusivamente affreschi in ville di provincia per lo più private, quindi le uniche opere asportabili in contesti legati a mostre ed eventi museali sono effettivamente solo i Macabri di Borgo Canale i quali, tra l’altro, sono gli unici informati a tale categoria tematica, tranne che ovviamente i numerosi schizzi e disegni preparatori realizzati appunto per la composizione del triduo dei morti. Tre soli disegni si possono considerare propriamente macabri e al contempo autonomi rispetto a quelli preparatori per Santa Grata: due Trionfi della Morte e un’Allegoria di una Monarchia.18

Come segno di riconoscimento della sua maestria e professionalità Bonomini viene spesso chiamato a fare perizie sui lavori di altri artisti: nel 1793 interviene assieme a Vincenzo Orelli e Mauro Picenardi a confermare l’autenticità di una pala, dell’ormai defunto Giovanni Raggi, in possesso delle monache di Santa Grata che era oggetto di disputa giudiziaria; nel 1798 valuta gli affreschi eseguiti da Lattanzio Querena per il comune di Clusone. Nel 1823 stima gli affreschi di Angelo Sassi nella volta di una non meglio specificata bottega, mentre nel 1835 collauda la Via Crucis di Giovanni Brighenti per la parrocchia di Ponte San Pietro.

Nella vita privata Bonomini è sotto l’influenza del più vivace umore biotico.19 La prima prova sta nei matrimoni che il pittore contrae, ben tre, e tutti di curioso abbinamento; il primo con Maddalena Evandri, di quasi trent’anni più grande dell’artista. Sorge il sospetto che questa unione risalga al particolare momento in cui, attorno al 1799, molti celibi si sposavano improvvisamente per essere esentati dalle continue leve o per godere di benefici analoghi. In qualunque modo sia scaturita questa strana unione, morta la Evandri dopo una lunga malattia nel 1806, l’artista passa a seconde nozze, all’incirca un mese dopo, con una

18 Vincenzo Bonomini i disegni, i Macabri, l’ambiente, op. cit. p. 10; per la descrizione si rimanda al paragrafo I.4 p. 45.

19 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini op. cit. p. 5.

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donna poco più che trentenne: Francesca Pandini, ricamatrice, che già da tempo risulta vivere in casa dell’artista con la mansione di fantesca o magari proprio come traduttrice all’ago e al filo dei disegni di Vincenzo. Infine nel febbraio 1831, a settantaquattro anni, e a quasi tre anni dalla scomparsa di Francesca, Bonomini sposa Maria Annunciata Colombo, detta da tutti Marietta, che al momento della nozze non aveva ancora compiuto ventotto anni.

Anche lei risultava essere domiciliata presso l’artista quale domestica e nel gennaio 1832 darà alla luce l’unica figlia di Vincenzo, Maria Luigia.20 La tradizione orale di Borgo Canale non manca di intervenire con un commento: si parla di una festa improvvisata del pittore neo-padre, il quale in tale circostanza – e contrariamente al solito – si sarebbe mostrato prodigo invitando a banchetto tutto il quartiere.21 Bonomini era appunto conosciuto nella borgata per le sue stranezze e la sua avarizia; egli infatti non si scomodava all’invito, sia pure pressante, di chiunque fosse venuto a disturbarlo in casa mentre era intento in quella che tutti definiscono la sua occupazione preferita, cioè raddrizzare chiodi vecchi.22

Grazie quindi alla curiosità aneddotica, che sopravvive a lungo nella tradizione orale di Borgo Canale,23 una volta epurata dalla componente mitizzante, possiamo farci un’idea più precisa della psicologia del Bonomini; viene messo in risalto il suo amore per le burla, le messinscene ironiche e beffarde con ricorso agli stessi strumenti dell’arte.

Innanzi tutto i Macabri di Borgo Canale esposti per anni in occasione della commemorazione dei defunti nella chiesa di Santa Grata inter Vites, devono la loro fortuna (per più di un secolo popolare e locale) non solo alla straordinaria valenza estetica e

20 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini op. cit. p. 5.

21 R. MANGILI, , Vincenzo Bonomini,dipinti e disegni, op. cit. p. 15.

22 R. BASSI-RATHGEB, Vincenzo Bonomini pittore macabro, op. cit. p. 16.

23 Cfr. A. DRAGONI, La danza macabra del Boromini, in L’arte in Bergamo e l’Accademia Carrara, Bergamo 1897.

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culturale, ma anche alla burla geniale di Bonomini che ritrae in veste di scheletri figure reali della vita comunitaria del borgo, dei quali abbiamo ancora i nomi e le mansioni.

Tono di leggenda assume invece l’aneddoto di una trasferta di Bonomini a Trezzo d’Adda;

un signore del luogo volendo far affrescare la sua villa, reo di troppa insistenza, avrà una bella sorpresa da parte dell’artista: pattuito che il pittore avesse libertà tematica e compositiva e che soprattutto nessuno controllasse durante il suo operare, questi avrebbe infine abbandonato in maniera furtiva l’abitazione, lasciando al proprietario la raccapricciante sorpresa di una schiera di scheletri intenti a varie mansioni ma anche semplicemente ad uscire dalle proprie tombe, il tutto su fondo nero. Il proprietario inorridito di fronte alla ridda di scheletri, fece cancellare tutto senza mai più richiamare il Bonomini.24 Un’altra vicenda è quella relativa ai decori del Teatro Sociale, inaugurato a Bergamo nel 1809. Bonomini, chiamato a decorare gli ambienti, si divertì a dipingere sui parapetti delle logge una serie di satire, relativamente criptiche, indirizzate alle famiglie cittadine più in vista – cioè le stesse proprietarie dei palchetti che finanziavano l’intervento; non appena i contenuti satirici ed irriverenti furono codificati dal pubblico e l’ilarità e i commenti in platea realizzarono le aspettative dell’autore, le pitture vennero sostituite con decorazioni più ortodosse di mano di Francesco Pirovani.

Siamo di fronte quindi ad una personalità stravagante e irriverente, peraltro non solo di fronte alla società che lo circonda, ma anche verso se stesso: egli infatti si raffigura nelle vesti di scheletro allampanato intento a dipingere in uno dei pannelli del triduo dei morti.

E ancora più sintomatica dell’indole dell’artista è la magnetica Allegoria dell’Inganno, dove Bonomini si ritrae nei panni di un vecchio ghignante dalla faccia scavata e lo sguardo acuto

24 Questo simpatico aneddoto viene riportato da tutta la bibliografia relativa all’artista, ma viene però specificato come fatto leggendario, presumendo al contempo un fondo di verità. R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 5.

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dietro la maschera di una donna, con indosso un cappello femminile decorato da un serto di fiori (Fig. 3).25

Se nel 1786, come già accennato, risulta lavorare in collaborazione con Carlo Rancilio; sul finire del secolo però il pittore ha raggiunto una propria maturità stilistica: riceve commissioni dal clero, dalla nobiltà, dalla ricca borghesia. Nel 1795 è impegnato, affiancato da collaboratori, nella decorazione del ciclo dipinto per il Monastero della Visitazione ad Alzano Lombardo; sul finire del secolo interviene nelle decorazioni dell’oratorio della chiesa di Santa Maria a Cologno al Serio. La sua fama di decoratore fa sì che venga chiamato ad interpretare le idee rivoluzionarie26 di Leopoldo Pollak per villa Pesenti (ora Agliardi) a Sombreno (1797). Agli inizi dell’Ottocento dovrebbero risalire i famosi Macabri, dono dell’artista alla chiesa di Borgo Canale, mentre prosegue senza interruzioni le decorazioni per i nobili della città; è attivo nella villa Colleoni a Grena (Trescore Balneario) e nel 1802 riceve una prestigiosa commissione relativa alla sala consiliare del palazzo della Misericordia Maggiore. Nel 1810 l’artista è documentato in palazzo Maffeis (ora De Beni) e tra il 1814 e il 1815 è di nuovo attivo a Sombreno a Villa Pesenti. Questi sono solo alcuni degli interventi che Bonomini realizzò nel corso della sua lunga vita, molti sfortunatamente sono impossibili da datare anche perché una volta acquisita la maestria pittorica, l’artista rimane fedele a quella e non vi sono stadi di progressione grazie ai quali è possibile ipotizzare delle datazioni. Altre importanti realizzazioni, che avremo comunque modo di indagare approfonditamente più avanti, sono state realizzate da Bonomini nel Duomo di S.

Alessandro a Bergamo, databili intorno al 1800, nella Casa dell’Arciprete, poi canonica della Cattedrale e oggi sede di uffici dell’università di Bergamo, nel Palazzo della Biblioteca

25 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 6.

26 Come potremo meglio vedere in seguito.

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Civica Angelo Mai, databili intorno al 1815, nella villa Sottocasa, oggi Clinica Gavazzeni, cronologicamente databili attorno al 1810 e nella villa dell’Istituto Sacra Famiglia di Comonte.

La produzione di Bonomini è molto vasta, anche se purtroppo poco accessibile poiché legata al contesto di decorazioni murarie d’ambito privato, infatti l’artista lavorerà fino a due anni prima della morte, che lo coglierà ormai ottantenne. È significativo che il primo e l’ultimo lavoro dell’artista siano interventi di restauro, il primo è più che comprensibile poiché compiuto quando l’artista aveva appena ventidue anni ed è definito come acomodamento dell’ormai vetusto affresco dell’Oratorio della Beata Vergine della Ripa; l’ultimo compiuto nel settembre 1837, consiste nella rifoderatura di una tela di proprietà della chiesa di Santa Grata. Il ripristino di tele e murali a quei tempi era una prassi ordinaria per pittori di bassa e media levatura e cogliamo quindi qui la riprova che l’orgoglio di Bonomini, più di una volta esplicito, si alternava a moti di modestia. Nel maggio dello stesso anno poco prima di quest’ultimo intervento da restauratore, sappiamo che l’artista è in trasferta appena fuori città, e viene fatto il suo nome in una lettera che Simone Ronzoni, da Caprino Bergamasco, scrive al fratello pittore Pietro, abitante in Bergamo:

…il buon Boromini trovasi qui a travagliare, ed ha sofferto la grippa per due o tre giorni. Se avete comodità di venire qui, troverete il buon Sig. Vincenzo Boromini…

La fine è ormai vicina per il buon pittore che morirà di polmonite due anni dopo, il 17 aprile 1839, nella sua casa di Borgo Canale.

Sull’ultima fase della vita di Bonomini e sui congiunti superstiti fanno luce due carte d’archivio: il testamento del pittore ora presso l’Archivio di Stato di Bergamo e un faldone custodito nel monastero benedettino di Santa Grata.

(17)

Il testamento, redatto cinque giorni prima della morte, ci dà ulteriori indicazioni sull’immagine sociale del pittore; tra i beni lasciati vi sono infatti l’argenteria e la raccolta di quadri. Dal documento si intuisce anche la riprovazione di Vincenzo nei confronti della moglie Marietta (alla quale peraltro andò un legato piccolo e modesto) e si coglie la preoccupazione paterna nei confronti della figlia, allora di sette anni, nominata unica erede e raccomandata in tutela ad un amico fidato. Ma la sorte non sarà benevola con Maria Luigia che come raccontano le carte della clausura, morirà a soli diciotto anni, dopo aver vissuto quasi tutta la sua esistenza in convento, si dice per sottrarla all’influenza della madre donna di condotta non lodevole, la quale alla morte della figlia impugnò il testamento ed ottenne soddisfazione solo dopo alcuni anni di esborsi legali.27

La ragione per cui, già in vita, Bonomini godette di una fama impari al suo valore sta nella sua ostinata assunzione del nativo suolo bergamasco, politicamente e culturalmente periferico, come limite operativo. L’unico accenno che è possibile trovare nelle fonti legato ad una trasferta lavorativa fuori provincia, vede Vincenzo chiamato a Milano, assieme ad altri artisti delle città lombarde, a dipingere in duomo un grandioso apparato d’esequie. La sua riluttanza a proporsi su scala almeno regionale non fu neanche bilanciata da veicoli alternativi di diffusione delle invenzioni e del nome, come la pratica della calcografia, cui fecero ricorso anche artisti di minor calibro. Che si tratti di inadempienza o altro, questo atteggiamento auto limitativo dell’artista proietta ancora effetti su buona parte della fortuna postuma, avallata dall’altra fondamentale negatività di fondo, cioè il pressoché totale vincolo delle opere a contesti murari privati. Da questi aspetti dipendono diverse conseguenze: in primis l’insignificanza numerica degli studiosi interessati all’artista, la mancata diaspora

27 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. pp. 5-7.

(18)

collezionistica, l’assenza di opere dell’artista nei musei pubblici e ovviamente anche l’esclusione dalle spinte cognitive che il mercato finisce per determinare.28

28 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. pp. 18,19.

(19)

I.

2

Regesto

29

1757, 23 gennaio. Paolo Vincenzo Bonomini, in seguito detto Borromini o Boromini dal cognome del padrino di battesimo Giovanni Battista Boromini, nasce a Bergamo nel quartiere di Borgo Canale da Paolo Maria e da Maria Diduali.

1758, 18 aprile. Nasce il fratello Giuseppe Maria.

1759, 25 giugno. Muore la sorella Maria Orsola di soli tre anni.

1759, 1 novembre. Nasce la sorella Maria Teresa.

1774, 23 aprile. Muore il fratello Giovanni, all’età di 8 anni.

1774, 27 luglio. Muore il fratello Giuseppe Maria.

1776, 15 aprile. Muore la madre.

1786. In questo anno l’artista lavora a fianco di Carlo Rancilio in villa Vertova-Ambiveri a Seriate.

29 Le informazioni che seguono sono desunte dalle seguenti pubblicazioni:

A. DRAGONI, La danza macabra del Boromini,op. cit.

R. BASSI-RATHGEB, Vincenzo Bonomini decoratore e pittore macabro del settecento, Bergamo 1942;

R. BASSI-RATHGEB, Vincenzo Bonomini pittore macabro, op. cit.;

R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, op. cit.;

Vincenzo Bonomini i disegni, i Macabri, l’ambiente, op. cit.;

R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit.;

Dizionario biografico dei pittori bergamaschi, a cura di F. NORIS, sub voce Bonomini Vincenzo, Bergamo 2006, pp.

G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini,op. cit.

(20)

1793. Viene chiamato come perito in una disputa, assieme a Vincenzo Orelli, Mauro Picenardi e Domenico Botelli, tra l’abate Pietro, figlio del defunto pittore Giovanni Raggi, e le monache del monastero di Santa Grata a Bergamo. Tale perizia doveva appurare se una pala d’altare custodita all’interno del monastero, fosse opera del Raggi (che ne aveva rivendicato prima della morte il pagamento) oppure di Giambattista Tiepolo, come affermavano le monache.

1797. Riceve il corrispettivo per la decorazione di due sale in villa Pesenti (ora Agliardi) a Sombreno.

1798, 22 gennaio. Viene chiamato dal comune di Clusone a valutare alcuni affreschi di Lattanzio Querena.

1802. L’artista data la decorazione del salone consiliare della Misericordia Maggiore di Bergamo (ora sede del museo Donizettiano).

1805. A quarantotto anni risulta abitare nella casa natale con la moglie settantenne, Maddalena Evandri e con Francesca Pandini “conviva” poi futura moglie dell’artista dopo la morte della prima.

Nello stesso anno firma e data il bozzetto ad acquerello per la volta del Teatro Sociale di Bergamo.

1806, 3 gennaio. Muore Maddalena Evandri.

1806, 15 febbraio. Bonomini si sposa con Francesca Pandini.

(21)

1810. Data la decorazione di una sala in palazzo Maffeis (oggi De beni) in Bergamo.

1811. Realizza, assieme a Carlo Comaschino e Carlo Lonati, la scenografia dell’opera e del ballo programmati dal Teatro Riccardi di Bergamo, nel ruolo di “figurista”.

1812-1813. Sempre con il ruolo di “figurista”, a fianco di Pietro Ronzoni realizza le scenografie degli spettacoli programmati dal Teatro Riccardi di Bergamo.

1813, 22 luglio. Riscuote il compenso per la decorazione di una camera da letto a villa Pesenti (ora Agliardi) a Sombreno.

1814, 1 luglio-19 agosto; 1815, giugno-agosto. L’artista è attivo a villa Pesenti (ora Agliardi) a Sombreno, dove decora tra l’altro l’oratorio privato.

1816, 23 ottobre. Bonomini viene nominato in una lettera del poeta Pietro Rusconi al pittore Pietro Ronzoni che in questa data abita in Borgo Canale :

…Salutami intanto il buon pittore della storia mortuaria, cioè il Borromini

Questa allusione alla storia mortuaria, e quindi ai Macabri, costituisce il termine ante quem per la datazione degli stessi.

1818, 9 gennaio. Firma una comunicazione della fabbriceria parrocchiale di Borgo Canale in qualità di “Primo Fabriciere”.

1823, 27 luglio. Stende una perizia per la valutazione di mercato di una decorazione eseguita dal pittore milanese Angelo Sassi, in una bottega bergamasca non precisata.

(22)

1825, 29 aprile. Scrive alla Congregazione Municipale di Bergamo per suggerire la realizzazione di un trono provvisorio da allestire nel salone di Palazzo Nuovo per la visita di Francesco I. Assieme allo scritto allega due disegni preparatori, ma l’apparato non verrà mai messo in opera. Nella stessa lettera afferma l’opportunità di far demolire gli alti schienali dei seggi che erano disposti lungo le pareti del salone.

1825, 17 maggio. Scrive alla Congregazione Municipale indicando delle soluzioni di

ripristino dopo la rimozione degli antichi seggi rimossi dal salone di Palazzo Nuovo e si lamenta del fatto che egli aveva consigliato solo il ridimensionamento mentre qualcuno lo ritiene responsabile della radicale rimozione.

1825, 28 maggio. Scrive alla Congregazione Municipale per fornire un disegno per il

rifacimento delle quattro porte del salone di Palazzo nuovo. Anche questa proposta verrà accantonata.

1825, 31 maggio. Bonomini scrive nuovamente alla Congregazione Municipale dove

suggerisce di realizzare un apparato effimero composto di alberi artificiali abbelliti da palloncini colorati per mascherare un caseggiato indecoroso posto sul percorso trionfale previsto dall’ingresso di Francesco I a Bergamo. Anche questa idea non fu accolta poiché il conte Vailetti decise di erigere a proprie spese un alto muro di cinta per nascondere il suddetto caseggiato.

1826, 3 marzo. Richiede il pagamento per lo stemma Lombardo-Veneto che aveva affrescato l’anno precedente sul frontone di porta S. Agostino, sempre in vista del percorso trionfale di Francesco I. Il lavoro gli fu commissionato il 15 marzo 1825.

(23)

1826, 31 maggio. La Congregazione Municipale chiede all’artista di produrre una nota

dettagliata delle spese sostenute nell’esecuzione dello stemma e inoltre comunica che il compenso verrà ridotto.

1826, 3 luglio. L’artista risponde protestando; accetta la riduzione ma non spedisce la

distinta-spese.

1826, 2 agosto. La Congregazione sollecita l’invio della distinta-spese.

1826, 30 settembre. Bonomini si rifiuta di inviare la distinta, lascia all’ente la facoltà di

stabilire il compenso, ma afferma che il pittore deve essere pagato in base al valore artistico dell’opera realizzata e non in base ai costi e ai tempi d’esecuzione.

1826, 10 ottobre. In base al rifiuto dell’artista di presentare la distinta la Delegazione

Provinciale autorizza il saldo con un ulteriore ribasso; dalle 250 lire iniziali l’artista ne riscuoterà solo 150.

1828, 19 luglio. Muore la seconda moglie Francesca Pandini.

1831, 7 febbraio. A settantaquattro anni si sposa per la terza volta con Annunciata Maria Colombo, la quale non ha ancora ventotto anni e viene definita nubile donzella già domiciliata in casa del suddetto sposo al n.o 6.

1831, 25 agosto. Muore il fratello Gerolamo.

1832, 7 gennaio. Nasce l’unica figlia, Maria Luigia.

1835. Scrive una dedica all’amico Antonio Guasconi in calce ad uno dei disegni poi giunti alle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano.

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1835, 12 aprile. Data di una perizia che gli viene richiesta riguardo ad una Via Crucis dipinta da Giovanni Brighenti.

1837, 29 maggio. Viene fatto il suo nome in una lettera che Simone Ronzoni, da Caprino Bergamasco, scrive al fratello pittore Pietro, abitante in Bergamo:

…il buon Boromini trovasi qui a travagliare, ed ha sofferto la grippa per due o tre giorni. Se avete comodità di venire qui, troverete il buon Sig. Vincenzo Boromini…

1839, 17 aprile. Bonomini muore nella sua casa di Borgo Canale …in causa di grave polmonia.

(25)

I.

3

Le opere

Bonomini per oltre sessant’anni realizzò la propria produzione quasi esclusivamente a tempera, tecnica veloce sì, ma particolarmente deperibile e a rischio, per via dell’umidità e del deposito di particelle di polvere, quindi non finalizzata a rendere “eterni” i committenti e l’autore, quanto piuttosto offerta al “consumo”, per così dire, della generazione che se ne rende committente. La sua attività si sviluppò in adesione allo spirito e alle volontà estetiche dell’aristocrazia agraria bergamasca - benché attraverso forme linguistiche particolari e soggettive - che, se anche poteva dirsi economicamente salda, era comunque inquieta rispetto ai rapidi cambiamenti politici di quegli anni: dalla fedele adesione al dominio veneziano, alle aspirazioni repubblicane filo francesi, fino all’ossequio alla casata d’Austria.

Un’altra categoria sociale che divenne presto committenza del Bonomini fu, nel fermento di ristrutturazioni ed edificazioni ex novo della Bergamo del secondo Settecento e del primo Ottocento, la borghesia delle professioni legate alla burocrazia, che con l’avvicinarsi del Risorgimento diventava sempre più forte.

Bonomini contamina la volontà eternativa neoclassica, che vede nel candido marmo il sublime mezzo di realizzazione, anteponendo appena gli è possibile lo stucco (e per giunta dove possibile finto) che si irradia di fitti intrecci, fitomorfi e figurali, per la maggior parte realizzati a monocromo;30 egli preferisce lo stucco al marmo, ma viene da pensare che sia anche una scelta dettata da ovvie ragioni economiche.

Difficile risulta dare una sistemazione cronologica ai numerosi cicli decorativi realizzati dall’artista, poiché raramente sono datati e la mano del pittore è quasi priva di oscillazioni espressive; una volta maturato, lo stile bonominiano rimane stabile.

30 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 25.

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Nel 1786 Bonomini, il cui stile sembra già affermato, collabora con il decoratore bresciano Carlo Rancilio in villa Ambiveri-Vertova a Seriate; le sue realizzazioni si distinguono da quelle dell’altro artista per “immediatezza di segno e vena espressiva”31 e comprendono: sei teste di divinità olimpiche poste in riquadri di sovrapporte (Giove, Bacco, Marte, Venere, Cerere, Giunone) quattro teste classiche agli angoli del soffitto, quattro cammei figurati posti al centro di girali sulle pareti (Venere punisce Amore, Leda col cigno, Minerva, Diana) e un’affollata lunetta, posta sopra la specchiera del camino, che presenta una scena con Omaggi a un’erma.32 Questi sono i primi brani pittorici (fintanto che non si avrà conoscenza di imprese precedenti) che costituiscono il capitolo iniziale della vita artistica di Bonomini.33

La chiesa del Monastero della Visitazione ad Alzano Lombardo viene interamente decorata da Bonomini nel 1795. Quello di Alzano Lombardo è uno dei pochi cicli decorativi realizzati da Vincenzo per la committenza ecclesiastica; gli altri sono il ciclo allegorico per l’abazia benedettina di San Giacomo Maggiore a Pontida, molto degradato e parzialmente oscurato in seguito alla caduta di Venezia34, gli Angeli con i simboli papali e strumenti della Passione – tempere su tele ovali realizzati per la cattedrale di Sant’Alessandro a Bergamo, databili intorno al 180035 (Figg. 4-5) - e le decorazioni con soggetti biblici e simboli sacri nella

31 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 25.

32 Al momento del sopralluogo a villa Ambiveri-Vertova erano in atto i restauri degli affreschi e non è stato quindi possibile fotografare, come anche osservare con cura, i brani dipinti da Bonomini a causa dei ponteggi che oscuravano le scene. Di fatto la villa è il risultato di trasformazioni tardo settecentesche di un edificio del secolo precedente; attualmente ospita la sede del Centro Studi della Russia Cristiana. Per notizie sulla fabbrica si vedano: L. ANGELINI, Dodici ville bergamasche, Bergamo 1967, C. PEROGALLI, M.G. SANDRI, Ville delle provincie di Bergamo e Brescia, Milano 1969, R. FERRANTE, Ville patrizie bergamasche, Bergamo 1983.

33 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, dipinti e disegni, op. cit. p. 44.

34 Il reale intervento di Bonomini in questo contesto è valutabile in pochi passaggi rimasti integri; nell’insieme, intaccato da ampie lacune, il tessuto pittorico è degradato dalle riprese nei fondi e anche nelle figure. R.

MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 94; G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, op. cit. p. 10.

35 La prima coppia di angeli è posta nell’emicalotta sopra l’altare dei Santi ed esibisce gli attributi del martirio di Fermo e Rustico e le insegne vescovili di Procolo (Angelo con armi e palma, Angelo con mitra e pastorale);

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chiesa di Santa Maria Assunta a Cologno al Serio, che possiamo datare all’incirca al 1798 su valutazione critico-filologica (Figg. 6-11).36 Nella volta a padiglione dell’oratorio delle Confraternite a Cologno, realizza grottesche a grisaglia su fondi chiari che spaziano dal verde all’ocra e al violetto, che dialogano con un medaglione centrale policromo realizzato da Vincenzo Orelli, intitolato ad Agar nel deserto. La partitura della cornice definisce quattro riquadri rettangolari e quattro vele agli angoli: i primi presentano candelabre, alla cui base troviamo coppie di angioletti che reggono ghirlande a cerchio come a simboleggiare l’eternità, o coppie di aquile, simboli cristologici, mentre al centro, in piccole cartelle, si affollano personaggi che mettono in scena storie del Nuovo Testamento.37

Entro le vele agli angoli invece coppie di grifi, con pomo nel becco, si associano a candelabre a girali e alludono a Cristo, alla sua doppia natura, umana e divina, e al riscatto dal peccato originale. Nell’atrio dell’oratorio troviamo sempre i due artisti nella medesima composizione: Orelli affresca al centro un medaglione con la Benedizione di Giacobbe, mentre del Bonomini sono le storie del Vecchio Testamento,38 alternate a tabelle rettangolari che presentano vasi, conchiglie e girali di acanto, e in alcune, citazioni sapienziali.

L’unico ciclo quasi del tutto autografo realizzato in una sede religiosa dal nostro artista è, come già sopra accennato, quello situato nella Chiesa della Visitazione ad Alzano (Figg. 12- 15); la fondazione del convento delle visitandine, prima terziarie francescane, era stata

l’altra coppia è posta nell’emicalotta contrapposta, sopra l’altare della Beata Vergine Addolorata e porta i simboli della passione (Angelo con chiodi e corona di spine, Angelo con spugna e flagello). Queste tele sono incastonate in ornati di stucco rococò, sostituiscono affreschi più antichi che si sono rovinati a causa dell’umidità e sono montate su inusuali telai in ferro battuto che fanno sì che le tempere restino isolate dal muro grazie ad un’intercapedine concava. R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 84; G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, op. cit. p. 10.

36 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 93.

37 Gesù che lava i piedi agli Apostoli, Gesù sulla via del Calvario. Sposalizio della Vergine, Transito della Vergine. Ibidem.

38 Il giudizio di Salomone, la Regina di Saba omaggia Salomone, Assalonne trafitto, Davide trionfante con la testa di Golia. Ibidem.

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voluta da Monsignor Redetti Vescovo di Bergamo, il quale, chiese ed ottenne dal monastero di Arona, tre religiose per fondare un monastero della Visitazione.39

L’intervento di Bonomini si manifesta su pareti, volte e membrature, mentre l’apporto dell’assistenza sembra essere limitato alla sola esecuzione di due composizioni presso l’altare maggiore40 e delle quadrature illusive.

Alla sua mano vanno sicuramente ascritti gli ornati simbolici, le figure e le storie: un compendio figurato della storia cristiana che tocca gli episodi dell’Antico Testamento e del Nuovo, attraverso allegorie e personaggi che si distendono tra lesene, riquadri, formelle sagomate, in controfacciata e fino nei pennacchi della cupola.41

L’intero ciclo sembra legato ad una scelta neomanieristica, e i soggetti biblici sulle cantorie e sui finti pulpiti mostrano come Bonomini sia stato in grado di muoversi, con leggerezza e dinamicità, attraverso le fonti del passato, dove riecheggia un’influenza, quasi testuale, di Polidoro da Caravaggio;42 le figure sono esagitate, contorte nei loro movimenti, non sono né ieratiche né pietistiche, ma si muovono nei loro spazi senza alcuna individualità psicologica.

Una delle Virtù Cardinali nei pennacchi, la Temperanza, (Fig. 15) se da un lato ricorda con la sua torsione le Sibille di Michelangelo, dall’altra si lega in maniera più compressa al neomanierismo della Temperanza di Camillo Rusconi in Sant’Ignazio a Roma; inoltre la

39 Il 25 marzo 1737 le religiose presero possesso del monastero unendosi alle suore terziarie. Per ulteriori notizie sulla fabbrica: E. FORNONI, Alzano Maggiore, Bergamo 1923.

40 Simboli dell’antica e della nuova liturgia, R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 84.

41 Nel presbiterio: i quattro Evangelisti, due fastigi sopra grate con Angioletti reggenti palme presso un’urna e Angioletti reggenti rami d’ulivo presso un’urna, otto teste di santi. Sui pannelli delle cantorie due Apostoli, due Servienti del tempio, Mosè che riceve e presenta le tavole, la riconferma di Pietro a capo della Chiesa. Sui pannelli dei falsi pulpiti : la pesca miracolosa, la disputa di Paolo coi giudici a Efeso. Sulla controfacciata troviamo il simbolo dell’Eternità realizzato tramite una corona di fiori sorretta da due putti, le immagini dei fondatori e dei salvatori del popolo di Dio: Adamo, Noè, Costantino, ancora la figura di Mosè con le tavole e Aronne con il turibolo. Nei pennacchi della cupola maggiore (il medaglione policromo al centro non è di mano del Bonomini) vede descritte le quattro Virtù Cardinali, mentre all’interno di formelle nelle lesene sono narrate Storiette bibliche e Opere di Misericordia. R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 84.

42 Probabilmente conosciuto da Vincenzo tramite le traduzioni calcografiche di Pietro Sante Bartoli. R.

MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 84; G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, op. cit. p. 9.

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Temperanza di Bonomini anche se affine per posa alla Ebe di Canova del 1796, è comunque diversissima, ma con questo non si deve pensare che l’artista si muova su un terreno attardato, poiché le scene a grisaglia denunciano quanto lui fosse invece aggiornato sulla nuova espressione neoclassica, che vedeva alla base di ogni realizzazione lo stile antichizzante.43

Viene da pensare che l’attività pittorica svolta da Bonomini per le sedi religiose, confinata agli ultimi anni del Settecento, sia da attribuire al fatto che in quegli stessi anni vi furono mutamenti sostanziali e rivolgimenti politici, come la sconfitta della Repubblica di Venezia e l’avvento napoleonico con le conseguenti soppressioni, che crearono per così dire un

“vuoto”, una recessione nelle commissioni religiose.

L’aspetto attuale di villa Agliardi a Sombreno è dovuto alle ristrutturazioni architettoniche che Leopoldo Pollak44 effettuò su una precedente fabbrica secentesca sul finire del XVIII secolo; il committente, Pietro Pesenti, era un esponente di spicco dell’amministrazione

43 G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, op. cit. p. 10.

44 Nato a Vienna alla metà del XVIII secolo fu mandato a Brera nel 1776 a studiare sotto Piermarini, il quale lo accolse graditamente – forse per gli ottimi appoggi politici di cui il giovane austriaco godeva – ma anche sotto il profilo professionale, designandolo infatti come suo “erede” e continuatore nell’insegnamento e nella carriera professionale. Con la caduta del dominio austriaco nel 1796, inizia il declino del Piermarini, assai compromesso con il regime, ma in posizione ancora più grave si trovò il Pollak, essendo di natali austriaci, il quale fu costretto ad una “fuga” nella vicina, benché provinciale Bergamo, per continuare a professare. È in questa prospettiva storico-politica che dobbiamo guardare alla sua prestazione a Sombreno, lavoro giudicabile

“secondario” non solo per la pertinenza geografica ma anche perché si trattava di riattare un edificio preesistente. C. PEROGALLI, M.G. SANDRI, op. cit. pp. 216-218. I disegni originali del Pollak sono tuttora conservati incorniciati nella villa e presentano le piante del palazzo, le sezioni, le facciate, gli originali progetti per il parco, alcuni realizzati come l’obelisco-monumento della Libertà d’Italia e l’elegante tempietto, e molti altri mai messi in atto probabilmente per gli alti costi di esecuzione; non mi è stato però possibile fotografarli poiché la contessa Agliardi mi ha concesso di scattare foto ai soli affreschi e non agli interni nel suo complesso.

Per ulteriori informazioni sulla fabbrica si veda: L. ANGELINI, op. cit.; R. FERRANTE, op. cit..

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locale durante il periodo rivoluzionario, e vedeva nella ristrutturazione della villa, attrezzata per ospitare gruppi di persone, uno strumento funzionale di aggregazione di forze, congeniale ai suoi progetti politici. La decorazione parietale si rifà infatti all’ideologia repubblicana; Pesenti fu tra i più attivi sostenitori della Repubblica Bergamasca, poi Cisalpina. Nel 1797 quando la milizia veneta fu costretta ad evacuare da Bergamo, il signore di Sombreno ebbe l’incarico del comando delle milizie sostitutive, ma già nel 1799, con l’avvento delle truppe austro-russe, egli fu ridotto in carcere fino al 1800, e morì nel 1826, malato, a pochi anni dalla conclusione del cantiere.

La cronologia dei lavori di ammodernamento decorativo furono compiuti a più riprese, in un intervallo cronologico che va dal 1797 al 1815.

La mano di Bonomini si muove tra gli ambienti del piano terra e quelli del piano nobile. In una prima sala al pianterreno l’iconografia si lega al rapporto tra guerra e pace: stagliato al centro della volta, tra bassorilievi a stucco, è raffigurato un Guerriero in riposo, (Fig. 16) in tempera monocroma sulla scala del bianco e dei grigi su fondo violetto, mentre nelle sovrapporte, a tempera su tavola in bianco su grigio, troviamo Due eroti coi simboli del fuoco e dell’acqua e Due eroti con una freccia e una colomba. Il tema marziale continua nella sala attigua con quattro tavole all’interno di modanature di sovrapporta : Legatio, Adlocutio, Profectio e ancora Profectio, in tempera grigio-bianca su fondo celeste. La sala che segue, quella da pranzo, presenta alle pareti una decorazione illusionistica a grisaglia, con candelabre composte da amorini che reggono gli emblemi delle quattro parti del mondo (rappresentate da un elefante, un cervo, un leone e un cavallo, figg. 17-20) che potremmo vedere come un’allusione all’universalità dell’idea di Repubblica, mentre sulla volta a padiglione, al centro di un sistema di quadratura dove si inseriscono girali, genietti e cammei

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istoriati,45 troviamo un grande ovale con l’Allegoria della Repubblica (Figg. 21 a/b), in monocromo bianco, su fondo rosa violetto: la figura di donna alata tiene in mano un fascio littorio indicando al contempo quello che sembra essere un sole, ed è accompagnata da un genietto che reca una corona d’alloro e una palma. Il ciclo allegorico della sala è completato dalle quattro sovrapporte, a tempera su tavola, che sembrano voler ripetere un motivo identificabile come la Vittoria del Coraggio e del Sacrificio, rappresentato attraverso la testa coronata di un animale fantastico, tra il capro e il leone, con tralci fitomorfi.

La cappella, sempre al pianoterra, conclude il giro affrescato dal Bonomini per questo piano:

quadrature antropo-fitomorfe, finte nicchie con angioletti realizzati in ocra che esibiscono gli attributi della Vergine, e sulla cantoria, a grisaglie ma molto deturpati, l’Annunciazione di Maria, l’Ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme e la Visitazione di Maria a Santa Elisabetta.

La visita al piano nobile si apre con lo studio, mirabilmente affrescato da Vincenzo con allegorie entro finte nicchie: la Pittura, l’Astronomia e l’Architettura (Figg. 22-24). È probabile che gli ornati fitomorfi e le quadrature di questa stanza siano opera di aiuti.46

Una delle camere da letto è decorata da Bonomini in policromia e propone un virtuoso effetto illusionistico: alle pareti false cariatidi bronzee si legano ad addobbi tessili floreali, come nascoste dalla finta tappezzeria, e al centro della volta si stagliano Ganimede e Ebe (Fig. 25) nel loro volo verso l’olimpo. Queste figure anche se in buone condizioni, risultano in parte deturpate da una crepa che le segue nella loro lunghezza, ma non ne altera fortunatamente la godibilità. La stanza attigua propone un soffitto a chiaroscuro ripartito in zone geometriche che accolgono al loro interno elementi vegetali e figure di menadi danzanti

45 Minerva come Allegoria della Ragione, Educazione di Amore come Educazione della gioventù, Trionfo del Nuovo Ordine e Devozione all’Ordine pristino.

46 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 94.

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su fondo violaceo (Fig. 26); anche in questo ambiente le sovrapporte sono decorate con un Amorino che mostra la ciambellina a un cane e con un Amorino che abbevera una coppia di anatre (Fig. 27), realizzate a tempera bianca su intonaco a sfondo verdino. Nella stanza successiva corre un vivace fregio policromo di cui fanno parte girali d’acanto, spighe, uccelli, fiori, turcassi, arpie e vasi; a fare da pendant al fregio le due sovrapporte, che riproducono una Coppia di arpie con vaso di fiori (Fig. 28). La camera che si snoda successivamente lungo il percorso, presenta nella volta un impianto illusionistico che riproduce con grande maestria un addobbo in pizzo, (Fig. 29)47 e dove “finisce” la stoffa, ripete delle figure femminili che reggono ghirlande. Le due sovrapporte recano delle scenette allegoriche popolate da putti e risultano essere alquanto interessanti: l’Abbattimento del regime di Napoleone e la Pace universale sotto la Restaurazione (Figg. 30-31). Il contenuto ideologico di queste scenette ci fa affermare con certezza che siano state realizzate durante l’ultimo periodo in cui il cantiere fu all’opera, e quindi presumibilmente - in concomitanza con gli svolgimenti politici - non prima del 1815. Bonomini con queste due sovrapporte mostra attraverso le immagini l’infrangersi del sogno del conte Pesenti.

Come abbiamo visto, nella decorazione di questa villa, gli ideali rivoluzionari si fondono con immagini allegoriche, con scene mitologiche e addirittura con pannelli chiaramente celebrativi del ritorno degli Asburgo; per la sua fisionomia, il suo essere disincantato, Bonomini sembra attraversare, grazie alla sua attività pittorica, mezzo secolo di storia senza esserne toccato, considerando la sua disponibilità verso la committenza come una giusta misura di comportamento etico.48

47 Mangili sostiene che buona parte della volta sia stata eseguita da un collaboratore. R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 94.

48 G. BRAMBILLA RANISE, Bonomini, op. cit. p. 12.

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Villa Tassis49 a Comonte fu verosimilmente costruita, o meglio conglobata assieme agli altri edifici annessi, verso la metà del Settecento.50 La decorazione realizzata da Bonomini per questa villa si riduce ad un’unica sala al pianterreno, ma di alto interesse e fattura finissima (Figg. 32-33).

L’opera risale al 1796, Bonomini stesso tracciò l’iscrizione dell’anno, nascondendola all’incontro tra la volta e il cornicione in asse con il camino; lo stile di questi affreschi è infatti ricollegabile a quello del ciclo della Visitazione di Alzano, a quello dell’Oratorio delle Confraternite a Cologno, e a parte della decorazione che troviamo in villa Agliardi e in villa Colleoni a Grena.

Il programma iconografico sembra mettere in luce storie e simboli in riferimento ai quattro elementi e ai cinque sensi.51 Il sistema della volta, ripartito in quadrature realizzate a monocromo, crea degli spazi nei quali Bonomini alloggia grandi “statue” bianche: Leda con il cigno, Geni alati con penna e tabula - da identificarsi con Mito e Storia - Ganimede che porge la coppa all’aquila di Giove, Grifi reggi festone e Delfini cavalcati da genietti reggi fiore (Figg. 34-37 a/b). Questi amorini sono delineati da Bonomini in maniera squisitamente superba, ognuno in una posa differente, chi rannicchiato sul dorso del delfino, chi a cavallo di esso, intento a guardare chissà cosa dietro all’animale marino e a noi celato allo sguardo, chi spaventato mentre spalanca la bocca e tende indietro la mano. Sopra ogni coppia di personaggi sono presenti dei piccoli medaglioni tondi che affrontano temi mitologici e letterari, sempre in monocromo bianco su fondo verde: Diana cacciatrice, le tre Grazie (coperte in tempi recenti da un drappo triangolare per mascherare le figure flessuose femminili), Cerere, e Clorinda e Tancredi. Al centro della volta vediamo un tondo in ocra

49 Per informazioni sulla fabbrica: C. PEROGALLI, M.G. SANDRI, op. cit., e R. FERRANTE, op. cit.

50 La villa è ormai da molti anni la sede dell’Istituto di Sacra Famiglia.

51 R. MANGILI, Vincenzo Bonomini, op. cit. p. 96.

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