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5. FLUIDODINAMICA
In meccanica dei fluidi, la fluido-dinamica è quella scienza che indaga il comportamento dei fluidi in movimento. In generale, la risoluzione di una indagine fluidodinamica ha come obiettivo la determinazione delle caratteristiche del campo di moto di un fluido in movimento e delle proprietà dei fluidi, come temperatura, densità, viscosità ecc.
La risposta a questo quesito, come sarà spiegato meglio in seguito, prevede la risoluzione di sistemi di equazioni differenziali estremamente complessi data la loro non linearità, quasi sempre tramite metodi numerici. A causa della difficoltà di integrazione e risoluzione dei sistemi di equazioni sopradette, nel tempo e nell’era dei calcolatori elettronici, ha preso campo e si è sviluppata sempre più una branca della fluidodinamica classica detta fluidodinamica numerica o anche CFD (Computational Fluid Dynamics); pertanto, la fluidodinamica computazionale si occupa di risolvere i problemi della fluidodinamica classica mediante l’utilizzo dei computer.
Il processo di risoluzione di un problema fluidodinamico, e nello specifico di questa Tesi, idrodinamico, consiste in tre fasi sostanziali. La prima è quella della modellazione della geometria e della suddivisione del dominio fluido in sotto-volumi elementari, dalla forma e dimensioni che più si adattano allo studio da effettuare; in seguito è necessario il passaggio attraverso un codice di calcolo, il quale, tramite tecniche che saranno illustrate in seguito, risolve per via numerica le equazioni governanti il problema; infine è necessario un visualizzatore dei risultati in termini grafici e/o numerici. Tale visualizzatore di outputs può essere allocato dentro il codice di calcolo stesso oppure può essere convenientemente utilizzato un software esterno.
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5.1. Ipotesi fondamentali 5.1.1. Mezzo Continuo
E’ nota a tutti la natura discreta delle sostanze fluide in genere ed in particolare quella dell’acqua; ma nonostante questa sua caratteristica, una delle ipotesi fondamentali negli studi fluidodinamici o di idraulica è quella dell’introduzione del modello fittizio di mezzo continuo.
Si pensi infatti al numero di molecole interessate dallo studio di un qualsiasi problema di idrodinamica o aerodinamica, sarebbe improponibile il solo pensare di definire caratteristiche di moto per ognuna di esse.
Nasca allora la necessità di vedere un fluido come un continuo, le cui caratteristiche varino con continuità nello spazio e nel tempo. Tale ipotesi è del tutto ragionevole e giustificata se si pensa per esempio alla trascurabilità delle dimensioni molecolari rispetto alle scale di grandezza di solito in gioco nei problemi di interesse pratico.
Uno dei principali motivi per cui si introduce questa semplificazione schematica è che, grazie alla proprietà della continuità del mezzo sono possibili operazioni matematiche come la derivazione e l’integrazione per la risoluzione dei campi di moto.
5.1.2. Incomprimibilità
Nelle analisi fluidodinamiche, il fluido di cui si indaga il comportamento viene detto comprimibile se le variazioni di densità hanno effetti apprezzabili sulla soluzione.
Al fine di definire il campo di validità dell’ipotesi di in comprimibilità, viene analizzato il valore del numero di Mach. Questo è definito come rapporto tra la velocità media U del fluido analizzato e la velocità del suono c:
(20)
Ordinariamente in fluidodinamica è considerata valida l’ipotesi di fluido incomprimibile per M < 0,3. In considerazione del fatto che nei tratti vallivi dei corsi d’acqua le velocità raramente superano i 6m/s, nel presente lavoro di Tesi, ma più in generale in molte
57 applicazioni idrauliche è senza dubbio lecito ritenere valida l’ipotesi di fluido incomprimibile e pertanto considerare la densità dell’acqua costante nello spazio e nel tempo.
5.2. Equazioni fondamentali 5.2.1. Equazioni di continuità
L’equazione di continuità è una legge che esprime in forma locale la conservazione di una generica grandezza fisica utilizzando il flusso delle grandezza stessa attraverso una superficie chiusa.
Data una funzione φ, la formulazione generale dell’equazione di continuità è:
(21)
In cui è una funzione vettoriale che descrive il flusso di φ.
Tale espressione può essere applicata per varie grandezze fisiche e rappresenta una legge di conservazione di validità generale.
Nel preciso ambito della fluidodinamica è possibile definire l’equazione di continuità come una legge di conservazione della massa; si immagini infatti di osservare un volume infinitesimo di controllo di dimensioni tali che:
(22)
E disposto nello spazio in modo da avere le sei facce parallele agli assi coordinati. Il principio di conservazione della massa esprime il fatto che, il flusso netto di massa attraverso la superficie di controllo, nell’intervallo di tempo dt, è pari alla variazione di massa all’interno dello stesso elemento. Essendo il volume di controllo infinitamente piccolo ed assumendo che le variabili varino con continuità nello spazio e nel tempo, la massa del volume di controllo può essere espressa come
(23)
58 Essendo ρ la densità del fluido esaminato.
L’equazione di continuità può quindi essere così scritta:
(24)
Che per un fluido incomprimibile, essendo come spiegato la densità costante, diventa:
(25)
Ovvero:
(26)
Dove ovviamente
è la variazione della velocità del fluido nella direzione i-esima rispetto alla direzione i-esima.
5.2.2. Equazioni indefinite di equilibrio
Le equazioni dell’equilibrio dinamico possono essere scritte a partire dal solito cubetto fluido infinitesimo su cui insistono le forze di volume e quelle di superficie.
Le tensioni superficiali possono essere indicate come , ; come convenzione, il primo indice si riferisce alla direzione normale alla faccia considerata ed il secondo alla direzione nel sistema di riferimento in cui è inserito il cubo fluido.
Si parla di tensioni normali se i=j, se invece i≠j avremmo una tensione tangenziale.
Il tensore degli sforzi è composto da nove elementi, di cui solo sei sono diversi tra loro per motivi di equilibrio alla rotazione e quindi di simmetria:
,
, , , , , , , , ,
(27)
59 Sulla generica faccia agirà la tensione , , mentre sulla faccia opposta, sviluppando in serie ed arrestando lo sviluppo al termine lineare, agisce la tensione , ,
; pertanto la forza di superficie risultante nella generica direzione, data dal prodotto della tensione per l’area della faccia del cubo su cui insiste risulta:
,
(28)
Oltre alle forze superficiali, nei casi di interesse pratico, agiscono anche forze di volume, le quali possono essere considerati agenti nel centro di massa del corpo ed espresse come prodotto della massa per una accelerazione :
ρ d (29)
Per il secondo principio della dinamica si deve uguagliare la sommatorie delle forze, alle forze di inerzia, che assumono l’espressione:
d (30)
Semplificando il termine , si ottiene l’espressione delle tre equazioni indefinite di equilibrio dinamico:
,
(31)
5.2.3. Legame costitutivo
E’ noto che i principali fluidi analizzati nelle applicazioni idrodinamiche di interesse pratico sono l’aria e l’acqua, e che questi sono così detti fluidi newtoniani, ovvero presentano un legame di proporzionalità diretta tra il tensore degli sforzi e la velocità di deformazione;
seguono cioè quella che è stata l’evidenza sperimentale ottenuta da Newton. La costante di proporzionalità è la viscosità dinamica μ, la quale è una proprietà del fluido e non del tipo di moto:
60
(32)
In cui y è la direzione perpendicolare al moto e
il gradiente di velocità lungo la direzione y.
La relazione sopra esposta, è quella che in meccanica dei continui è chiamata legame costitutivo, ovvero una legge che lega le tensioni ad un’altra grandezza significativa del fluido.
Le tensioni tangenziali agenti sulla generica faccia del solito cubetto fluido infinitesimo si ottengono per sovrapposizione degli effetti delle tensioni taglianti agenti in due direzioni tra loro perpendicolari:
,
(33)
Mentre le tensioni normali si ricavo dalla precedente ponendo i=j ed aggiungendo il termine dovuto alla pressione idrostatica p:
,
(34)
E’ possibile fornire una espressione unica per il legame costitutivo valido per un fluido newtoniano introducendo l’operatore , che vale zero se i≠j vale l’unità se i=j:
, ,
(35)
5.2.4. Equazioni di Navier-Stokes
Le equazioni di Navier-Stokes sono un sistema di tre equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari che descrivono il comportamento di un fluido reale dal punto di vista macroscopico, queste contemplano il contributo di tutte le forze su di un elemento infinitesimo di volume e sulla sua superficie, è pertanto l’equazione di conservazione della quantità di moto proiettata lungo i tre assi principali.
61 Sostituendo l’espressione del legame costitutivo per fluidi newtoniani all’interno delle equazioni indefinite dell’equilibrio dinamico e tralasciando i passaggi analitici, si perviene all’espressione:
(36)
Come accennato l’espressione non è nient’altro che la formulazione della conservazione della quantità di moto valida in ogni istante e in ogni punto del dominio di calcolo, infatti tiene conto delle forze di pressione, di quelle tangenziali, delle forze di massa, delle inerzie locali e convettive.
Le tre equazioni di Navier-Stokes, insieme equazione di continuità, consentono in linea teorica, una volta integrate di risolvere qualsiasi problema di fluidodinamica, cioè di determinare le quattro incognite: tre componenti di velocità e una di pressione:
(37)
In realtà, non sono di semplice utilizzo, ed eccezion fatta che per qualche caso semplice e di interesse solo a livello teorico per il quale sono state fornite soluzioni esatte, la loro integrazione non è effettuabile per via diretta, a causa della non linearità dei termini, ma sono pertanto necessari approcci di tipo numerico.
5.3. Moto turbolento
In genere, si possono manifestare nella realtà, due tipi di deflusso: uno regolare e ordinato detto regime laminare ed uno caotico e disordinato detto regime turbolento.
62 La differenza tra i due tipi di flusso sopra anticipati è stata ben evidenziata dalla “Esperienza di Reynolds” della seconda metà dell’800. Tale esperienza ha avuto come scopo l’osservazione del deflusso di un fluido (acqua) all’interno di una condotta in pressione sotto varie condizioni di moto.
La configurazione della strumentazione utilizzata da Reynolds per le prove sperimentali, illustrata nella figura sottostante, consiste in un recipiente d’acqua mantenuto a livello costante nel quale è innestata una semplice condotta trasparente di vetro. Tale condotta è dotata ad una estremità di una valvola di regolazione del flusso ed all’altra di un ugello per l’ingresso di un liquido fortemente colorato; anche l’ingresso del fluido colorante è regolato da una valvola posta lungo la sua condotta di immissione.
Fig.20 : Apparato sperimentale di Reynolds.
Fu osservato che, fino a quando la velocità della corrente proveniente dal serbatoio è modesta, il filetto fluido colorato immesso si mantiene rettilineo come se fosse indipendente dalla resto del flusso, non mischiandosi cioè con la corrente circostante; Reynolds riconobbe nel deflusso laminare tale tipo moto, denominato anche di tipo viscoso, poiché le forze viscose sono dominanti rispetto alle forze inerziali ed il trasferimento di energia avviene per diffusione molecolare, quindi a livello microscopico.
Aprendo la valvola del tubo di vetro e quindi aumentando la velocità del fluido principale si raggiunge una condizione precaria, uno stato critico, in cui il filetto colorato inizia ad avere movimenti oscillatori ed ondulatori casuali, ma ancora ben distinti rispetto al percorso dell’acqua che lo circonda; questa tipo di deflusso fu nominato regime di transizione.
63 Se la velocità aumenta ulteriormente, si osserva il completo mescolamento dei due liquidi e si verifica la perdita di identità di entrambi non riuscendo più a distinguere percorsi e traiettorie separate, il fluido è cioè uniformemente colorato; questo regime caotico è detto turbolento ed il corrispondente andamento delle particelle è completamente disordinato ed aleatorio. Il trasferimento di energia avviene a livello macroscopico.
Il campo di moto varia, nelle tre dimensioni dello spazio e nel tempo, in maniera non prevedibile; si può già intuire da questa semplice analisi la enorme difficoltà di rappresentare analiticamente tale tipo di regime.
Reynolds inoltre legò le variabili in gioco, ovvero la dimensione della tubazione utilizzata (mediante il diametro), la velocità media della corrente principale e la viscosità dinamica del fluido, definendo quello che poi sarebbe stato l’omonimo numero adimensionale:
(38)
Tale quantità è tutt’ora utilizzata per classificare il regime in tre categorie (laminare, di transizione e turbolento) come sommariamente illustrato in figura:
Fig.21 : Classificazione flusso, Reynolds
Potendo misurare la velocità istantanea puntuale di una corrente che defluisce in regime turbolento, si osserverebbero delle notevoli fluttuazioni di velocità attorno ad un valore medio , tale che:
, (39)
64 , (40)
E’ pertanto lecito scomporre il valore istantaneo di velocità del flusso punto per punto in un valore medio ed in una componente di pulsazione:
, , , , (41)
Si definisce fluttuazione di velocità , la variazione istantanea della velocità rispetto al valore medio nella direzione specificata.
Tramite la fluttuazione di turbolenza è possibile definire il parametro “Intensità Turbolenta”
come il rapporto tra la fluttuazione di turbolenza ed il valore medio della velocità nella stessa direzione:
, (42)
Ricordando che il numero adimensionale di Reynolds può essere visto come il rapporto tra le forze di inerzia e quelle viscose, è possibile affermare che questo, nella ordinaria turbolenza, assume un valore dell’ordine di ; a dimostrazione del fatto che in regime turbolento si ha la netta prevalenza delle forza inerziali rispetto a quelle viscose.
5.3.1. Cascata di energia
La teoria sviluppata da autori come Kolmogoroff e Richardson nella prima metà del 900 riguardo la trasmissione e la dissipazione dell’energia in un flusso turbolento è ancora oggi molto diffusa e ritenuta valida.
Se si conferisce energia meccanica ad un fluido, ad esempio mescolando l’acqua contenuta in un bicchiere con un cucchiaino, si genera un moto turbolento e nascono strutture vorticose di dimensioni paragonabili alla dimensione delle strutture geometriche nel dominio di interesse, ovvero delle dimensioni del cucchiaino stesso.
A questa scala di turbolenza, detta scala integrale, non possono certo verificarsi dissipazioni dell’energia a causa delle forze viscose, perché appunto queste sono senza dubbio trascurabili
65 rispetto a quelle inerziali in gioco. Pertanto tale energia contenuta nelle strutture vorticose di dimensioni maggiori va ad alimentare vortici a scale sempre più piccole fino ad arrivare alla così detta scala dissipativa, ovvero la più piccola dimensione di struttura vorticosa che può esistere nel campo di moto senza che vi siano effetti dissipativi da parte delle forze viscose.
Giunti alla scala dissipativa, acquistano importanza le forze viscose e l’energia meccanica contenuta nelle strutture vorticose verrà in parte dissipata per attrito in calore.
5.3.2. Equazioni di Reynold (RANS)
In un flusso turbolento, anche se ci fossero condizioni al contorno stazionarie, il campo di velocità è variato nel tempo e nello spazio con oscillazioni intorno ad un valore medio che può essere a sua volta funzione del tempo. In teoria il sistema di equazioni di Navier-Stokes fornirebbe una risoluzione a questo tipo di problema, ma dal punto di vista pratico, per poter descrivere nel dettaglio il flusso turbolento servirebbero risorse di calcolo che al giorno d’oggi non sono disponibili.
Solamente nel caso di situazioni molto semplici e numeri di Reynolds non troppo elevati (le risorse richieste crescono proporzionalmente a ) sarebbero possibili analisi del genere, dette analisi DNS o dirette; mentre per casi di interesse pratico, questo tipo di strada non potrà essere intrapresa nel futuro a breve termine perché sarebbero necessarie griglie di calcolo in grado di catturare le strutture turbolente in tutte le loro dimensioni; sarebbe cioè necessario, avere a disposizione un dominio di calcolo grande almeno quanto la struttura turbolenta di dimensioni maggiori, e allo stesso tempo celle tanto piccole da poter apprezzare le strutture più piccole della turbolenza.
Detto ciò, è anche possibile affermare che in molte applicazioni di interesse pratico non è richiesta la conoscenza dei valori istantanei del campo del moto, bensì è sufficiente la determinazione dei corrispondenti valori medi nel tempo. E’ a partire da questo concetto che nascono le equazioni di Navier-Stokes mediate, note anche come equazioni di Reynolds o RANS (Reynolds Averaged Navier-Stokes Equations). Queste non sono altro che il sistema di equazioni di Navier-Stokes, in cui le grandezze non risultano più istantanee ma mediante in un periodo di tempo che sia sufficientemente piccolo rispetto al transitorio del fenomeno che si vuole indagare ed abbastanza grande rispetto al disturbo della turbolenza.
66 Deve essere sfruttata la possibilità, citata la paragrafo precedente, di poter decomporre una qualsiasi variabile che compare nelle equazioni di Navier-Stokes (velocità, pressione ecc) come la somma di un valore medio (pedice m) e di una fluttuazione (apice ‘ ); ricordando inoltre le proprietà espresse dalle (39) e (40) si possono dedurre le equazioni RANS:
(44)
Il precedente è un sistema di quattro equazioni differenziali in dieci incognite, alle derivate parziali nello spazio e nel tempo, sulle grandezze mediate.
Le ulteriori sei grandezze incognite sono dimensionalmente delle tensioni, prendono il nome di “sforzi di Reynolds” e sono caratteristiche dei moti turbolenti. Quindi, alle tensioni dovute alla viscosità si aggiungono quelle dovute alla turbolenza che risultano proporzionali alla media del prodotto tra due componenti normali del campo di velocità.
Le tensioni sopradette formano il tensore di Reynolds, che appunto è composto da nove elementi, ma che per ragioni di simmetria si riducono a sei:
,
(45)
In teoria è possibile dedurre sei equazioni differenziali esatte per gli sforzi di Reynolds a partire dalle equazioni di Navier-Stokes, ma tali equazioni conterrebbero termini turbolenti di ordine superiore e pertanto non sarebbe comunque possibile chiudere il problema.
Per i motivi elencati è necessario ricorrere a dei modelli di chiusura, detti modelli di turbolenza, che leghino gli sforzi di Reynolds con il campo di velocità medio:
, , , , , (46)
Chiaramente i modelli di chiusura non possono fornire soluzioni esatte, ma devono essere relazioni approssimate di natura concettuale e sperimentale.
67 Si ritiene opportuno ricordare, che oltre all’approccio diretto (DNS) e a quello della risoluzione delle equazioni RANS esiste anche la tecnica Large Eddy Simulation (LES); questa si basa su un processo di filtraggio spaziale ed è intermedia per accuratezza ed impegno computazionale tra le due sopracitate.
Nel presente lavoro di Tesi non è stata presa in considerazione la metodologia LES a causa del suo notevole costo computazionale rispetto alla modellistica RANS.
5.3.3. Modelli di turbolenza
Esistono diversi tipi di modelli di turbolenza che si differenziano per campo di applicazione, accuratezza ed impegno di calcolo.
I modelli seguono la suddivisione schematica riportata a seguire.
Modelli a viscosità turbolenta
Algebrici (0 equazioni)
Prandtl Von Karman...
Differenziali (1 o 2 equazioni)
Spalart Allmaras k-epsilon
k-omega
68 I modelli a viscosità turbolenta si basano sull’ipotesi introdotta da Boussinesq, secondo la quale il tensore degli sforzi può essere correlato al gradiente di velocità media come nei flussi laminari. Il tutto nasce dall’assunzione che il moto delle strutture a livello molecolare ed il moto delle strutture vorticose sono simili; infatti anche il moto molecolare è del tutto casuale e può essere decomposto in una componente macroscopica U ( ed una di fluttuazione u’.
E’ possibile perciò studiare il moto delle strutture vorticose in modo analogo a quanto fatto per il moto a livello molecolare, potendo in tal modo correlare il tensore degli sforzi alla componente media del moto U.
Con le assunzioni sopradette, tralasciando i passaggi analitici, si perviene all’espressione delle tensioni turbolente di taglio (in analogia con il flusso viscoso):
,
(47)
In cui è detta viscosità turbolenta.
L’espressione precedente, apparentemente è di facile utilizzo e risoluzione, ma a differenza della (32), in cui la viscosità è una proprietà del fluido (se inoltre assumiamo che la densità rimanga costante allora anche la viscosità è costante in tutto il dominio), la viscosità turbolenta è una proprietà del flusso e varia quindi nello spazio e nel tempo.
I vari modelli di turbolenza nascono nel tentativo di fornirne una espressione e di modellare appunto la viscosità turbolenta.
Modelli dei flussi di Reynolds
Algebrici (ASM) Differenziali (RSM,DSM)
69
5.3.3.1. Modelli a 0 equazioni
Il primo e più famoso tentativo di dare un’espressione alla viscosità turbolenta fu quello di Ludwig Prandtl con il modello della “lunghezza di mescolamento” o “mixing lenght”, applicabile a moti in due dimensioni su di una parete con curvatura trascurabile.
L’ipotesi fu quella di considerare il moto turbolento come un insieme di particelle a livello molecolare che scambiano energia per mescolamento e non tramite urti.
Se si immaginano i vortici più piccoli del flusso come molecole, possiamo pensare che questi, dopo aver percorso una certa distanza ad una data velocità V, interagiscano tra loro mescolandosi e scambiando quantità di moto.
Ricordando l’espressione delle tensioni di Reynolds:
(48)
Grazie all’ulteriore ipotesi di coincidenza delle fluttuazioni della velocità nelle due direzioni principali x e y, Prandtl giunse all’espressione:
(49)
Essendo definita come velocità d’attrito.
L’interpretazione dell’autore del gradiente di velocità ortogonale alla parete fu la seguente:
(50)
(51)
(52)
Definendo la grandezza come “lunghezza di mescolamento” o “mixing lenght” come proporzionale (tramite la costante in seguito fornita da Von Karman) alla distanza y dalla parete.
Questa trattazione portò alla definizione dell’espressione del profilo della velocità lungo la parete:
70 ln (54)
Si capisce il limite enorme di questo tipo di modello, che vede la risoluzione del campo di moto turbolento mediante la introduzione di parametri che non sono proprietà del fluido analizzato, ma che sono funzione del tipo di moto studiato e che quindi debbono essere determinati per via sperimentale.
5.3.3.2. Modelli differenziali
Grazie a questo tipo di modelli, la viscosità turbolenta è calcolata dopo che sono state risolte opportune equazioni differenziali di trasporto per una o più grandezze significative della turbolenza. Nei modelli differenziali, una equazione di trasporto riguarda sicuramente l’energia cinetica turbolenta K:
(55)
In effetti, come già anticipato nel diagramma di flusso, esistono modelli differenziali ad una ed a due equazioni.
Nei modelli ad una equazione, l’unica equazione di trasporto riguarda l’energia cinetica turbolenta e mediante la risoluzione di tale equazione di trasporto è possibile determinare la viscosità turbolenta.
Il primo tentativo di risoluzione del problema fu dato da Prandtl e Kolmogoroff che assunsero la velocità caratteristica come radice quadrata dell’energia turbolenta e pertanto fornirono la seguente espressione della viscosità turbolenta:
(56)
Dove nella precedente, la lunghezza l, non è altro che una generalizzazione della lunghezza di mescolamento definita da Prandtl.
La scala di lunghezza l, o indirettamente la dissipazione di energia ε a cui è legata mediante l’espressione:
71
(57)
sono assegnate invece in maniera algebrica in funzione delle caratteristiche del moto medio.
Il problema principale di questi modelli di turbolenza risiede appunto nella difficoltà di fornire una espressione algebrica della lunghezza caratteristica che è fortemente dipendente dal tipo di flusso analizzato e quindi da determinare su base empirica.
Anche se i semplici modelli del passato appartenenti a questa categoria sono stati implementati (modello di Spalart-Allmaras) e adattati ad una notevole varietà di situazioni di pratico interesse, tramite la definizione molto precisa della scala di lunghezza, risultano molto poco utilizzati e si preferisce di gran lunga l’utilizzo dei modelli a due equazioni di trasporto per la loro maggiore accuratezza.
Un cenno è riservato ai modelli differenziali degli sforzi di Reynolds; questi complessi modelli si basano su equazioni di trasporto per le tutte le sei componenti indipendenti del tensore degli sforzi di Reynolds , . Tali modelli, come si intuisce, richiedono un notevole impegno computazionale sia sotto il profilo del tempo di calcolo che sotto quello della memoria utilizzata; d’altra parte sono in grado di descrivere correttamente, in linea di principio, casi di flusso in cui gli altri modelli cadono in difetto come la valutazione della lunghezza di riattacco in flusso separati o la circolazione secondaria in canali non circolari.
5.3.3.3. Modelli a 2 equazioni
Come già anticipato, nei modelli a due equazioni, oltre all’equazione di trasporto per la determinazione dell’energia cinetica K, anche una seconda proprietà del moto turbolento viene calcolata mediante trasporto.
I vari modelli disponibili si differenziano tra loro per la scelta della seconda variabile da determinare che può essere la dissipazione di energia ε, la scala di lunghezza l, o anche la frequenza caratteristica ω.
Questi modelli hanno il pregio di non lasciare spazio a determinazioni empiriche delle variabili descriventi il flusso turbolento a prezzo di un maggiore impegno computazionale rispetto ai modelli visti precedentemente.
72
5.3.3.4. Modello K-ε
Questo modello, nella sua versione k-ε Standard, fu proposto da Spalding e Launder nel 1972; ad oggi risulta essere ancora il modello di turbolenza più utilizzato e diffuso tra i codici di calcolo fluidodinamici.
Grazie alle sue implementazioni susseguitesi nel corso degli anni è preferito sugli altri modelli di turbolenza per il compromesso che fornisce tra validità generale, stabilità, impegno computazionale ed attendibilità dei risultati.
Le equazioni per il trasporto della energia cinetica turbolenta e del tasso di dissipazioni utilizzate nel modello Standard sono le seguenti:
,
, ,
(58)
,
, ,
(59)
In cu i la viscosità turbolenta è espressa da:
(60)
Le soluzioni fornite per i coefficienti da introdurre nel modello, sulla base di risultati sperimentali ottenuti in molteplici casi da diversi autori sono quelle riportate a seguire; tali possono adattarsi bene ai casi più comuni, e possono allo stesso tempo essere variati caso per caso sulla base di taratura sperimentale:
- . - . - .
-
- .
73 Come anticipato, sono state fornite diverse varianti al modello K-ε Standard nel corso degli anni per sopperire ad alcune sue lacune; senza scendere nel dettaglio e rimandando a testi specifici per ulteriori chiarimenti, possiamo dire che il modello Standard cadrebbe in difetto nella modellazione di alcuni tipi di flusso a causa della non eccellente modellazione del termine di dissipazione ε.
Per tentare di risolvere tale problema nascono modelli come il K-ε RNG (Re-Normalization Group), nel quale si tenta di fornire l’espressione di non più sotto forma di costante, ma come una funzione delle caratteristiche locali del moto e di altre costanti opportunamente tarate tramite sperimentazione.
Importante notare che, le equazioni di trasporto del modello sopradescritte, non sono estendibili nelle regioni di parete, ovvero non sono valide nel substrato viscoso dove prevalgono appunto le forze viscose su quelle inerziali. Tale è un’altra limitazione del modello K-ε, in quanto devono essere definite in tali zone le così dette “funzioni di parete”.
Queste sono funzioni approssimate che descrivono il campo di velocità o di temperatura nell’intorno della zone sopradetta.
5.3.3.5. Modello K-ω
Introdotto da Kolmogoroff nel 1942, vede la sua formulazione più usata nella versione proposta da Wilcox nel 1988.
Oltre alla solita equazione di trasporto per il termine energia cinetica turbolenta, vi è il trasporto per la quantità ω, che nella formulazione di Wilcox è espressa dl rapporto tra il tasso di dissipazione e l’energia turbolenta:
(61)
La formulazione Standard, fornita da Kolmogoroff, fu ottenuta con considerazioni simili rispetto al trasporto del tasso di dissipazione nel modello k- :
,
, ,
(62)
74
,
, ,
(63)
In cu i la viscosità turbolenta ed i coefficienti del modello sono espressi come:
-
-
-
-
- .
A differenza dei modelli K-ε, i modelli K- non richiedono correzioni ed espressioni approssimate nello strato limite.