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L’origine degli indios: europei, ebrei o atlantidi?

Se, come ricorda John H. Elliot, i conquistadores sono troppo impegnati ad arraffare ricchezze per prestare attenzione alle caratteristiche delle popolazioni incontrate e alle loro usanze, gli eruditi europei sono altrettanto presi dalle polemiche personali e politiche per comprendere pienamente il senso di un approccio più profondo all’universo americano.

Se le Indie sono ben presenti sulle carte geografiche e si sono imposte all’interno di nuove rotte commerciali, non così nelle coscienze dell’Occidente, che cerca di plasmarne la struttura per farla aderire il più possibile al modello del suo ristretto universo.

Il processo di “assimilazione (…) doveva richiedere all’Europa più di un secolo, dimostrandosi un processo difficoltoso oltre che lungo. [...]

Molti furono gli sforzi compiuti allo scopo di inserire i fatti noti sull’America entro i confini esistenti. Ma, ancora negli anni del Seicento, tali confini non si erano allargati che minimamente”.

1

Nonostante numerosi manoscritti e resoconti circolino in Occidente, gran parte delle informazioni e delle testimonianze rimane invisibile sia a causa della mancanza di una solida organizzazione e classificazione dei dati raccolti sia a causa di una caotica curiosità che predilige la collezione delle stranezze e dell’esotico, a discapito della costituzione di un sapere attendibile e preciso.

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Ma, al di là del più superficiale interesse per le novità d’oltreoceano, il Nuovo Mondo e i suoi abitanti devono trovare un’adeguata collocazione all’interno di un sistema di valori e idee che aveva ereditato dalla tradizione classica la sua immagine del mondo.

La polemica sulle Indie, che anima i circoli intellettuali e le corti europee, si incentra soprattutto sull’origine delle popolazioni che abitano queste terre all’estremità del mondo.

Le potenze iberiche devono assicurarsi il diritto pressoché esclusivo e legittimo di sfruttare intensamente e a proprio piacimento le terre americane e, per riuscire in questo intento, necessitano di teorie che avallino le loro scelte.

La Spagna ha grande bisogno di costruire una forte identità nazionale: con l’insediamento di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona sul trono della più grande potenza cattolica, si auspica una unificazione che non sia solo geografica ma anche politica e sociale, dopo secoli di divisioni e conflitti tra i diversi regni.

1

John H. Elliot, Il Vecchio e il Nuovo Mondo, op.cit., p. 39.

2

“Le opere di Durán e Sahagún non furono stampate fino al XIX° secolo, e la storia del Messico di Tovar, che

suscitò le domande di Acosta, è a tutt’oggi inedita. [...] Grandi quantità di dati male assortiti sul nuovo mondo

avevano trovato accesso all’Europa; e c’erano molti manoscritti, che circolavano fra i privati o si trovavano in

possesso del Consiglio delle Indie, da selezionare e raccogliere”. [JOHN H. ELLIOT, op.cit., pp. 47-48].

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Tuttavia, nonostante la cacciata degli ebrei e la ritrovata unità religiosa, la monarchia non è sufficientemente forte per contrastare le difficoltà sorte nella gestione e nel controllo di un regno nato dalla fusione di quattro stati, “non solo (…) distinti ma rivali tra loro”

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.

Le colonie, in continua espansione, costituiscono un ulteriore fonte di tensione e non solo per quanto riguarda la loro organizzazione amministrativa.

La bolla Inter coetera di Alessandro VI, che, nel 1493, aveva spartito i territori americani tra Spagna e Portogallo, stabilendo le rispettive aree di interesse e di influenza, sembra non essere più sufficiente a garantire i privilegi delle cattolicissime corone.

Il testo pontificio, infatti, presenta, al suo interno, una necessaria ma pericolosa postilla: la proprietà e la tutela sui territori d’oltreoceano avrà validità solo nel caso in cui questi non siano già stati occupati.

E se le terre scoperte da Colombo fossero appartenute, precedentemente, a qualche altro re cristiano? In questo caso il diritto delle altre potenze decadrebbe immediatamente, aprendo così la scena per una battaglia giuridica da parte di possibili concorrenti europei interessati all’insediamento dei loro coloni nel Nuovo Mondo.

Dal momento che la legittimazione papale non basta più, cominciano a moltiplicarsi le speculazioni più ardite al fine di dimostrare una plurisecolare presenza europea nelle Americhe. Se Gonzalo Fernandez de Oviedo sostiene l’esistenza di antichi possedimenti del re spagnolo Espero nelle Indie Occidentali, Lopez de Gomara sottolinea, in virtù del ritrovamento di croci nelle iscrizioni sepolcrali locali, la colonizzazione dello Yucatan, ad opera di alcuni spagnoli, fuggiti in seguito alle lotte con gli Arabi, durante il regno del re Roderico, nell’VIII°

secolo d.C. Mitici navigatori portoghesi e leggendari viaggiatori britannici avrebbero solcato l’oceano ben prima di Colombo, prendendo possesso di ampie terre disabitate.

Allo stesso modo Frisi, Francesi e Olandesi, appigliandosi a presunte affinità linguistiche e sociali, rivendicano il loro diritto di precedenza rispetto ai sovrani cattolici, affermando con forza l’ardore e il coraggio dei primi rispettivi scopritori e coloni.

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3

Raúl Meléndez, “Orígenes del derecho indiano hasta las Leyes Nuevas”, Mañongo, n° 24, 2005, p. 113.

Traduzione dallo spagnolo mia.

4

Addirittura, “alcuni spagnoli, come Pedro Sarmento de Gamboa affermavano che Ulisse e i suoi greci visitarono l’America e lì si insediarono: era inevitabile che, prima o poi, qualcuno proponesse che anche i troiani fossero stati in America.

Il principale sostenitore della teoria dell’origine troiana era il mercenario inglese Thomas Morton (1590-1647), che nel 1637 scrisse New English Canaan or New Canaan, Containing an Abstract of Three Books. Morton affermava di aver colto alcune parole latine e greche nelle lingue delle tribù native del New England. Quella combinazione di lingue gli fece sospettare che i troiani fossero gli antenati degli indiani d’America, dal momento che si suppone che i troiani conoscessero tanto il latino quanto il greco. (…)

Nel 1729 lo storico spagnolo Andrés Gonzáles de Barcía Caballido y Zuñiga aggiunse l’ipotesi delle origini

troiane alla sua revisione dell’opera di Gregorio García sulle origini degli indiani d’America”. Ronald H. Fritze,

Invented Knowledge. False History, Fake Science and Pseudo-Religions, London, Reaktion Books, 2009, (trad.it

di L. Lencini, Falsi miti. Come si inventa quello in cui crediamo, Milano, Sironi, 2012, p. 123).

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Attratte dai grandi profitti che si possono ricavare dalle nuove rotte commerciali con le Indie, le maggiori potenze europee desiderano partecipare alla spartizione delle terre, garantendosi importanti fette di potere.

Gli eruditi del Vecchio Mondo cercano di ricostruire e stabilire la genealogia delle Indie sulla base della solida tradizione biblica, facendo derivare il popolamento delle Indie dai discendenti di Jafet, primogenito di Noè e progenitore degli europei.

Ma come avrebbero fatto gli epigoni di Jafet a raggiungere il Nuovo Mondo?

Secondo Gregorio García, proprio gli eredi di Roderico sarebbero stati favoriti dalla loro posizione geografica e dalla presenza dell’isola di Atlantide, che, in tempi remoti, avrebbe costituito uno snodo centrale e un utile collegamento per la navigazione, permettendo loro di raggiungere le coste oceaniche.

Si arriva quindi ad affermare che “non sembra si possa dubitare che gli Indios siano per origine spagnoli” .

5

A riprova di ciò, il gesuita Diego Andrés Rocha sottolinea le numerose affinità tra i primi spagnoli e le popolazioni locali, nei costumi, nell’organizzazione sociale, nella cosmogonia e nelle pratiche sacrificali.

In qualunque modo sia avvenuta la loro penetrazione nei territori americani, “furono sempre spagnoli i primi che popolarono l’America”.

6

Tuttavia, l’ipotesi di un’antichissima origine iberica degli indios sembra non convincere molto chi ha l’opportunità di vivere a contatto con loro.

Infatti, oltreoceano comincia a svilupparsi e a farsi strada l’idea che i popoli del Nuovo Mondo discendano in realtà dalle dieci tribù perdute di Israele.

Strumentalizzando alcuni passi biblici

7

, in cui peraltro si prefigura la distruzione e l’asservimento di uomini ormai lontani dalla parola di Dio, e riproponendo improbabili analogie linguistiche e rituali, i manoscritti di eruditi e missionari delle Indie dipingono i nativi come eredi della parte maledetta del popolo ebraico, sulla quale puntualmente si riversa la vendetta divina delle Scritture, compiuta per mano dei conquistadores europei.

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5

Diego Andrés Rocha, Tratado unico y singular del origen de los Indios occidentales del Pirù, México, Santa Fé

y Chile, (1° ediz. Lima 1681) , « Collecion de libros raros ò curiosos que tratan de America» , Madrid, 1891, vol.

II, cap. IV, § 1, pp. 101-106. (Cit.in G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come

ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 44).

6

Ibid., p. 152.

7

Cfr. 4 Ezra, 13; 41-45; Osea 4; 2 Re, 7-19.

8

Secondo Diego Durán, alcuni indios conserverebbero la memoria dei lunghi viaggi compiuti da antiche popolazioni che, in tempi remoti, dopo aver attraversato grandi distanze, giunsero in Messico e lo colonizzarono.

Inoltre, nei racconti dei locali, oltre ad alcune curiose somiglianze con il racconto biblico della Genesi, è attestata

la presenza di una figura che risulta essere molto vicina a quella di Mosè e che, in realtà, probabilmente, gli indios

avrebbero estrapolato dagli insegnamenti dei religiosi spagnoli e successivamente assimilato alla loro tradizione.

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In questo modo, anche la barbarie spagnola trova piena giustificazione, dal momento che non solo punisce gli idolatri, come preconizzato dai profeti, ma li redime dai loro peccati, portando la vera fede cristiana che edifica e pacifica gli animi.

Eppure, la teoria giudeogenetica, presente fin dagli anni Quaranta del Cinquecento e affermatasi proprio tra i coloni e i soldati spagnoli nel Nuovo Mondo, sebbene abbia una certa circolazione, soprattutto nel Nord Europa, non gode di molta popolarità in patria.

José de Acosta e Juan de Torquemada controbattono e rigettano questa ipotesi, contestando punto per punto le argomentazioni che presentano gli amerindi come eredi delle tribù perdute di Israele.

Acosta, nella sua Historia natural y moral de las Indias, demolisce non solo la teoria del popolamento delle Americhe attraverso l’isola di Atlantide, ma critica anche la teoria giudeogenetica, liquidandola come opinione del volgo

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, soprattutto sulla base delle evidenti differenze che separano gli ebrei dagli abitanti del Nuovo Mondo, come l’uso della scrittura e la fedeltà a certi rituali e comportamenti sociali, inesistenti presso questi popoli.

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Dal momento che i nativi non conservano testi scritti, non è possibile fare affidamento su ciò che la loro tradizione, piena di descrizioni vaghe e confuse di scarso interesse, riporta:

“Sapere ciò che gli stessi indios raccontano solitamente sui loro primordi e la loro origine, non è cosa di grande importanza, poiché le cose che riportano sembrano più sogni che storie”.

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Il gesuita spagnolo suppone, allora, seppur cautamente, che la colonizzazione delle Indie sia avvenuta in virtù della vicinanza o addirittura della contiguità del continente americano con l’Europa e stabilisce una relazione tra le popolazioni amerindie e i primi Greci e Romani, anch’essi rozzi e incolti, facili prede del Diavolo.

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9

Il fatto che eruditi come Acosta o Torquemada riprendano la polemica su questo punto mostra che l’ipotesi dell’origine giudaica degli indios arriva senza troppa difficoltà anche in Spagna, nonostante il testo di Diego Durán, Historia de las Indias de Nueva España y Islas de tierra firme, (le cui posizioni derivano in gran parte dall’inedito manoscritto di Roldán), sarà pubblicato solo nel XIX° secolo.

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Acosta infatti cerca di far notare la debolezza dell’ipotesi giudeogenetica: “Del fatto che gli indios derivino dagli ebrei il volgo ha per indizio certo l’essere menzogneri e negligenti, molto cerimoniosi e astuti e bugiardi.

Oltre a ciò, dicono che il loro abito sembra proprio quello che usavano gli ebrei, perché indossano una tunica o una camiciola con un mantello avvolto in alto, camminano scalzi o con calzari legati in alto, che quelli chiamano ojotas. (…) Ma tutte queste sono congetture molto superficiali e hanno molti più prove contro che a favore.

Sappiamo che gli eberei usarono l’alfabeto. Tra gli indios non ve ne è traccia; gli altri erano molto amici del denaro; questi non gli danno importanza. (…)

Ma, come si può spiegare - dal momento che gli ebrei sono talmente fieri di conservare la loro lingua e le loro tradizioni che, in ogni parte del mondo, in cui oggi vivono, si differenziano da tutti gli altri - che nelle sole Indie essi si siano dimenticati del loro lingnaggio, della loro legge, delle loro cerimonie, del suo Messia, e, infine, del loro giudaismo?”. [JOSÉ DE ACOSTA, Historia natural y moral de las Indias, ed. Edmundo O’Gormann, México-Buenos Aires, Fondo de cultura economica, (1940), 2° ed., 1962, libro I, cap. 23, p. 61. Traduzione dallo spagnolo mia].

11

Ibid., cap. 25, p. 63.

12

Per il missionario spagnolo, infatti, le affinità tra indios e altri popoli sono riconducibili alla malvagia influenza

dell’Avversario e non ad una discendenza diretta da mitici progenitori.

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A riprova della riluttanza dei circoli intellettuali ad accettare l’idea di una derivazione degli indios dal popolo d’Israele, il primo volume in cui si ripropone la tesi giudeogenetica, sarà quello, nel 1607, di Gregorio García, Origen de los Indios del Nuevo Mundo, anche se quasi trent’anni prima, a Parigi, era uscita, in quattro tomi, l’opera di Gilbert Génébrard, Chronographiae.

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Secondo García, le affinità tra ebrei e indios sono notevoli, dal momento che entrambi i popoli sono pigri, vili, svogliati e poco inclini al lavoro, oltreché restii alla conversione.

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Le origini ebraiche sono chiare anche per il francescano Pedro Simon, che fa derivare gli amerindi dalla tribù di Isachar, apostrofato, nelle sacre Scritture, come asinus fortis. Di conseguenza, l’identificazione tra asini e indios è quasi automatica: gli indios, infatti sono come asini, stupidi e ottusi, ma utili, perché in grado di essere caricati e gravati di pesi, come le bestie da soma.

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“Gli obiettivi dell’elaborazione di Simon risaltano con tutta evidenza. (…)

Simon vuol sostenere la legittimità della concessione di indios in encomienda, la legittimità della conversione dei tributi in servizi personali per i coloni, la necessità del lavoro forzato degli indios e la loro disposizione naturale alla servitù”.

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La questione relativa all’origine degli indios assume un’importanza fondamentale per la politica coloniale spagnola: se gli amerindi sono ebrei, essi non possono beneficiare di alcun trattamento di favore, “in virtù della stessa legislazione antigiudaica in vigore nel regno

“Secondo Acosta, queste rassomiglianze avevano un’ovvia e semplice spiegazione: non erano che il risultato della

«superbia, e invidia del Demonio». (…) Né deve quindi meravigliare che gli Americani abbiano avuto moltissime cerimonie e usanze che ricordano l’antica legge di Mosè, alcune simili a quelle dei Mori e altre che si accostano ai precetti evangelici. In principio, a quanto pare, tutto il mondo era davvero come l’America, anche se Acosta attribuiva ciò alle macchinazioni del Diavolo, e non al fatto che gli antichi abitanti della terra erano tutti «selvaggi e cacciatori» come gli Americani”. [RONALD L. MEEK, Social science and the ignoble savage, Cambridge, Cambridge University Press, 1976, (trad.it. di Anna Sordini, Il cattivo selvaggio, Milano, 1981, p. 37) ].

Ancora nel 1671, lo scozzese John Ogilby, passerà in rassegna le ipotesi e le teorie sull’origine degli indios, scartando la proposta giudeogenetica perché basata su elementi troppo poco probanti e imprecisi.

Il Nuovo Mondo è stato occupato in tempi diversi e da popoli diversi, anche se i primi ad insediarsi sarebbero stati gli Sciti, provenienti dall’Asia: “È evidente che i primi fondatori dell’America, non furono Europei, vista la diseguaglianza dei due popoli nella carnagione, nella lingua e nell’aspetto, né Africani, poiché in tutta la vasta regione americana non si trova neanche un negro, eccetto qualcuno vicino al fiume Martha, nel piccolo territorio del Quarequa, probabilmente spinto colà dalla tempesta dalla costa della Guinea.

Perciò solo l’Asia, madre di tutte le genti, può essere stata la fondatrice della nostra America”.

[JOHN OGILBY, America: Being the Latest, and the Most Accurate Description of the New World, London, 1671, pp. 39-40. Cit. in R. L. Meek, Il cattivo selvaggio, op.cit., p. 41].

13

(Cfr. G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia coloniale: dalle

genealogie bibliche alle teorie razziali, op.cit., p. 49 e sgg.).

14

Le differenze, come l’assenza della scrittura, sarebbero da attribuirsi alla degenerazione causata dalle tante peregrinazioni, dal contatto con altri popoli e dalla negativa influenza del clima e delle calamità naturali.

15

Il testo di Pedro Simon, Noticias historiales de las conquistas de tierra firme en las Indias Occidentales, è del 1627.

Cfr. G. Gliozzi, op.cit., p. 87 e sgg.

16

G. Gliozzi, op.cit., p. 92.

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iberico”

17

, ma se invece non lo sono, sarà allora l’imperatore a tutelarli come sudditi e vassalli, ma soprattutto come anime da evangelizzare.

18

Le Leggi di Burgos, del 1512, ricordano infatti che “la conoscenza della nostra fede sarà necessaria per la loro salvezza, perché”, essi “per loro natura sono inclini all’ozio e a turpi vizi” e che quindi “per prima cosa” la ferma risoluzione della monarchia è quella di “cambiare gli indios”.

19

Inoltre, si ordina che “si cerchino tutti i migliori modi che si possano trovare per inclinarli alle pratiche della nostra santa fede cattolica”.

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17

G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie

bibliche alle teorie razziali, op.cit., p. 68.

Infatti, i giudei erano stati cacciati dalla penisola iberica già nel 1492 e, tra il 1609 e il 1614, sotto Filippo III°, la stessa sorte toccherà anche ai Moriscos, espulsi dalla Spagna, dopo che nel 1502 era stato bandito l’islamismo.

18

Lo stesso Las Casas, opponendosi all’ipotesi dell’origine giudaica degli amerindi, sostiene non solo che gli indios non sono ebrei e non devono scontare alcuna colpa, ma anche che la corona deve farsi carico della loro difesa e sicurezza, interpretando così la parola di Dio.

19

“Ordenanzas reales para el buen regimiento e tratamiento de los indios”, (Leyes de Burgos), 1512, Biblioteca cultural “Luis Ángel Arango”, http://www.banrepcultural.org. Sito visitato il 05.05.2013. Traduzione dallo spagnolo mia. Corsivo mio.

L’ipotesi giudeogenetica sarà al centro della polemica tra la corona e i coloni delle Indie: tra le preoccupazioni di Carlo V, infatti, si trova la questione della vertiginosa diminuzione della popolazione locale e, quindi, della manodopera gratuita, che equivale alla perdita costante di cospicui introiti nelle casse dello stato.

Con il sistema dell’encomienda, infatti, sviluppatosi negli insediamenti d’oltreoceano e abolito solo nel XVIII secolo, gli encomenderos riscuotono direttamente i tributi, trattenendo tutte le ricchezze provenienti dai territori posti sotto il loro controllo e danneggiando economicamente la madrepatria.

Così il giurista Juan de Solórzano y Pereira descrive l’encomienda: “un diritto concesso dalla benevolenza reale per i meritevoli delle Indie affinché percepiscano e tengano per sé i tributi degli indios che si affidavano loro per la loro vita e quella di un erede, secondo la legge di successione, con il compito di prendersi cura degli indios nelle cose spirituali e temporali e di abitare e difendere le province alle quali furono assegnati e portare a compimento tutto questo, con un giuramento di fedeltà o un giuramento privato”. [JUAN DE SOLÓRZANO Y PEREIRA, Politica indiana: sacada en lengua castellana de los dos tomos del Derecho i gouierno municipal de

las Indias Occidentales, Diego Diaz de la Carrera, Madrid, 1648, p. 258. Traduzione dallo spagnolo mia].

Il termine homenaje, usato da Pereira per descrivere il giuramento dell’encomendero, indica il rapporto fedudale che lega il vassallo al suo re.

20

Ibid. Corsivo mio. “La Giunta di Burgos del 1512 non fu la prima consultazione della Corona con i suoi teologi e giuristi sulla questione delle Indie; ma fu la prima occasione in cui la consulta prese la forma di Giunta e anche la prima occasione in cui le conclusioni di essa implicarono un cambiamento nell’importanza dello status quo legale dell’Indio e dei conquistadores (…)”. [MIGUEL MENÉNDEZ MÉNDEZ, “El trato al indio y las Leyes Nuevas: una aproximación a un debate del siglo XVI”, Tiempo y sociedad, n° 1, 2009, p. 27. Traduzione dallo spagnolo mia].

A questo proposito è importante ricordare la Real Provisión che la regina Isabella aveva emanato, il 20 giugno 1500, dichiarando la libertà degli indios, che erano stati tradotti in Andalusia per essere venduti come schiavi, nonché il loro rientro nelle Americhe.

“A quanto pare, la regina, molto influenzata dal suo confessore, il cardinale Jiménez de Cisneros, rimase profondamente impressionata dallo sbarco di due navi, quelle di Ballester e di García Barrantes, che arrivarono piene di indios.

Secondo il padre Las Casas, la regina Isabella, appresa la notizia, si chiese irritata: “che potere ha il mio ammiraglio per dare a qualcuno i miei vassalli?”

Dall’altro lato, esisteva una noto precedente, quello dei guaches delle Canarie.

Sembra che, dopo i primi anni in cui furono sottomessi, dal 1477, si proibì la loro schiavitù”. [ESTEBAN MIRA CABALLOS, “Isabel la Católica y el indio americano”, Isabel la Católica y su época: actas del Congreso Internacional, Valladolid- Barcelona- Granada, 15-20 noviembre, 2004, vol. II°, ed. 2007, p. 926. Traduzione dallo spagnolo mia ].

Nel 1501, la sovrana deciderà, inoltre, di inviare, all’isola di Hispañola, il comandante maggiore Nicolás de

Ovando, uomo di sua fiducia, con il compito di controllare e fermare gli abusi e le violenze, perpetrati a danno

degli indios.

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Tuttavia, la spinta evangelizzatrice non è l’unica che muove le ordinanze reali.

La legislazione delle Indie, promossa da Ferdinando II e successivamente rivisitata da Carlo V e da Carlo II, insieme all’istituzione del Consejo Real y Supremo de las Indias

21

, cercherà, con

Infatti, come sottolinea Cándido Ruiz Martínez, “tra le istruzioni che Ovando portava con sé per la buona amministrazione dell’isola, gli si raccomandava molto caldamente (…) di regolamentare lo sfruttamento e la tassazione delle miniere sotto certe condizioni (…) e di trattare bene gli indios, come persone libere quali erano e in nessun modo come servi, non permettendo che alcuno li offendesse né arrecasse loro danno (…)”.[Cándido Ruiz Martínez, “Gobierno de Frey Nicolás de Ovando en la Española”, Conferencia pronunciada el 8 de Mayo de 1892, Establecimiento Tipográfico «Sucesores de Rivandeyra» 1892, p. 9.

http://www.ateneodemadrid.com/biblioteca_digital/folletos/Folletos-0030.pdf , Sito consultato il 10.05. 2013.

Traduzione dallo spagnolo mia].

Sono però sufficienti le parole di Bartolomé de Las Casas per capire che la fiducia della regina non è così ben riposta:

“Questo cavaliere era uomo assai cauto e degno di governare molte persone, ma non gli indios, perché con il suo governo procurò loro danni incomparabili”. [Ibid., p. 8. Traduzione dallo spagnolo mia].

Ovando, contravvenendo agli ordini e alle raccomandazioni della cattolica Isabella, sarà infatti responsabile della strage di Xaragua del 1503, in cui gli spagnoli, nonostante fossero stati accolti benevolmente dalla regina Anacaona e da un gruppo di circa trecento nobili locali, con danze, canti e un ricco banchetto, massacrano con furia inaudita cetinaia di innocenti, dando fuoco alle abitazioni, calpestando con i cavalli donne e bambini e, come ultimo atto di offesa e di disprezzo, impiccando la loro sovrana.

Lo stesso Las Casas ricorderà questo barbaro e drammatico episodio, nella sua Historia de las Indias, dedicando un intero capitolo al puntuale svolgimento degli eventi e al commento dei fatti.

Il padre domenicano, che non crede alle motivazioni ufficiali, rimarca la scarsa credibilità delle presunte cause della violenza e ricorda come questo genere di soprusi non sia affatto inconsueto:

“Il comendador mayor apprezzò poco questo intrattenimento, perché poi, senza indugio, ordinò agli spagnoli di compiere un’azione, inaugurata in quest’isola e molto praticata e in uso in tutte le isole; vale a dire – quando [essi]

arrivano o si trovano in una terra o in una provincia in cui c’è molta gente, dal momento che essi sono sempre pochi rispetto al numero degli indios, per incutere e infondere timore nei cuori, affinché tremino come gli stessi diavoli nell’udire il nome dei cristiani – fare una grande e assai crudele strage”. [BARTOLOMÉ DE LAS CASAS, Historia de las Indias, Obras Completas, vol. 4, tomo II, libro II, Madrid, Alianza Editorial, 1994, p.

1328. Traduzione dallo spagnolo mia].

Episodi simili, assai frequenti, saranno spesso giustificati, agli occhi della corona, come legittimi tentativi di difesa in seguito ad attacchi o rappresaglie dei popoli amerindi.

Cronisti quali López de Gomara e Fernández de Oviedo sostengono la versione dei conquistadores, sottolineando come, in seguito al massacro di Xaragua, siano stati fondati villaggi cristiani e raccolte molte ricchezze per la madrepatria.

Ma Las Casas vuole fare chiarezza, stabilire le responsabilità e ricostruire la verità:

“Queste azioni sono state compiute per ordine del comendador mayor di Alcántara, don Nicolás de Ovando, per ripagare quella gente, signori e sudditi della provincia di Xaragua, per la buona accoglienza e la cortesia loro accordata e come ricompensa per gli oltraggi e i danni infiniti che avevano ricevuto da Francisco Roldán e dagli altri suoi alleati.

Il motivo [della strage] che rese pubblico e che diffusero fu che egli diceva che volevano ribellarsi e che volevano ucciderli, pur avendo [gli spagnoli] settanta cavalli, che, dico realmente, bastavano per devastare cento isole come questa e tutta la terraferma. (…) E intendevano uccidere circa quattrocento uomini e settanta cavalli che si trovavano lì, sapendo che erano giunti a questo porto più di trenta navi - cosa che non avevano finora mai visto se non una, due, tre o quattro - e tutte piene di cristiani? Ben chiara è l’innocenza di quegli agnelli e la ingiustizia e

la crudeltà di chi così li ha annientati e ordinò di ucciderli”. [Ibid., p. 1330. Traduzione dallo spagnolo mia.

Corsivo mio].

Per Las Casas non c’è alcun dubbio: la posizione di Ovando e dei suoi uomini è indifendibile.

La metafora biblica degli agnelli, simbolo di purezza e ingenuità, stride ancora di più con la brutalità e la bestialità dei soldati, che si sono scagliati senza alcuna pietà su uomini indifesi e del tutto ignari delle loro vere intenzioni.

La devastante presenza degli spagnoli lascia una pesantissima traccia, segno inequivocabile di un rapido

sterminio: “ dei 3 milioni che si calcola vivessero nella Hispañola all’arrivo di Colombo, ne rimasero, negli ultimi anni della dominazione di Ovando solo 60.000, vale a dire che, in quattordici o quindici anni, erano scomparsi quasi tutti i 3 milioni”. [Cándido Ruiz Martínez, art.cit. p. 24. Traduzione dallo spagnolo mia].

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Il Consejo Real y Supremo de las Indias, sarà istituito nel 1524, con il compito di occuparsi di tutti gli aspetti, giuridici, legislativi e burocratici delle questioni americane.

Ma, come fa notare Meléndez, “a partire dalla sua creazione, il Consiglio delle Indie, (…) non fu all’altezza delle

esigenze, dal momento che, tra i suoi consiglieri, vi furono dei casi di estorsione e corruzione, cosa che obbligò i

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scarso successo, di ristabilire il controllo della corona sui beni e i possedimenti del Nuovo Mondo e di salvaguardare la popolazione indigena, riaffermando il diritto della madrepatria ad organizzare e dirigere la vita degli indios e dei coloni.

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Come ricorda Menéndez Méndez,

“se in trent’anni siamo passati dalla scoperta alla conquista, in solo vent’anni si modificò sostanzialmente il risvolto legale intorno a queste attività; (…). [...]

La questione della legittimità della conquista delle Indie fu la prima volta in cui uno stato moderno in espansione si pose questo problema e, il fatto che - a dispetto delle enormi difficoltà nell’ applicazione e nel controllo - il carattere legale sarà rivisto in ripetute occasioni, che si creeranno figure come il

«curatore degli Indios», che si aggiungerà, come priorità al Consiglio delle Indie dopo la sua organizzazione formale nel 1524) la facoltà di garantire un buon trattamento ai nativi, (…) dimostra che la corona era decisa ad agire”.

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Mentre la Spagna, sempre più dipendente dai proventi del Nuovo Mondo per arginare il pericoloso indebitamento, osserva con preoccupazione la crescente ostilità e l’insofferenza dei conquistadores rispetto alla politica americanista, i dibattiti sullo status giuridico degli indios e la disputa sulla loro origine proseguono con fervore.

Alla teoria giudeogenetica, si affianca la dottrina che vede nelle Indie la perduta isola di Atlantide. López de Gómara, recuperando la geografia platonica, sostiene, nella sua Historia general de las Indias, del 1552, che proprio l’ampiezza delle terre scoperte a Occidente testimonia la veridicità del mito, secondo cui Atlantide avrebbe superato per estensione Asia e Africa. Se quindi il Nuovo Mondo fosse in realtà la misteriosa isola dell’immaginario classico, nessuno, a parte i conquistadores potrebbe rivendicare per sé i territori d’oltreoceano.

sovrani di turno ad effettuare costanti controlli”. [RAÚL MELÉNDEZ, “Orígenes del derecho indiano hasta las Leyes nuevas”, Mañongo, n° 24, 2005, p. 120. Traduzione dallo spagnolo mia].

22

Le Leyes Nuevas, volute da Carlo V, nel 1542, insisteranno ancora di più sul buon trattamento dei nativi e sul loro status di vassalli della corona, limitando la formazione di nuove encomienda e abolendone il sistema ereditario.

Tuttavia, le resistenze saranno fortissime, tanto che l’imperatore sarà costretto ad abrogare l’articolo 30, che annullava l’ereditarietà dell’encomienda, in seguito alla guerra civile scatenatasi in Perù, dopo il tentativo del viceré Blasco Núñez de Balboa di attuare le disposizioni del governo.

L’amministrazione dei territori scoperti e conquistati diviene sempre più difficile per la Spagna, che si trova di fronte alle brame e agli interessi personalistici degli avidi coloni, che proprio nelle Indie avevano avuto la possibilità di arricchirsi.

La Recopilación de Leyes de los Reynos de Indias, ratificata da Carlo II, testimonia, con i suoi nove tomi, che ancora nel 1680, è necessario affrontare di nuovo la questione del trattamento dei nativi, ricordando le volontà e i provvedimenti presi dai reali spagnoli al fine di garantire l’incolumità degli abitanti del Nuovo Mondo.

Secondo Héctor Grenni, “tutti questi diritti e proibizioni intendono creare le condizioni per l’inserimento degli indios nel sistema.

Il fatto che queste disposizioni si ripetano, alcune con differenze di molti anni, mostra, da un lato, che le leggi non sempre si eseguivano, mettendo in evidenza l’importanza della Corona nel far rispettare le sue leggi a migliaia di kilometri di distanza; dall’altro, la corruzione dei funzionari coloniali. Ma, da un’altra prospettiva, indica anche la decisione della Corona di rendere più umana, nonostante tutto, la condizione degli indios all’interno del sistema”.

[HÉCTOR GRENNI, “La encomienda nel Derecho Indiano: las propuestas de Las Casas y la Recopilación de 1680”, Teoría y Praxis, n° 7, enero 2006, p. 91.Traduzione dallo spagnolo mia].

23

Miguel Menéndez Méndez, “El trato al indio y las Leyes Nuevas: una aproximación a un debate del siglo XVI”,

art.cit., p. 46. Traduzione dallo spagnolo mia.

(9)

“Chi infatti potrebbe accampare diritti sulle terre dell’Atlantide, terre non più frequentate da tempi antichissimi, se non chi per primo, nei tempi moderni, le ha di fatto scoperte e conquistate?”

24

L’ipotesi, nata principalmente per garantire a Cortés la legittimità dei suoi possedimenti in Messico

25

, intende sottolineare sia la novità di un mondo in cui tutto è diverso dall’Europa, sia la sua autonomia dal punto di vista giuridico.

Tuttavia, la novità delle Indie non risiede nel fatto di essere rimaste sconosciute per secoli, dal momento che, secondo le fonti antiche, l’Occidente ne aveva già notizie ben prima della scoperta di Colombo, ma nella loro straordinaria vastità e nelle peculiarità che le caratterizzano:

“La cosa più grande dopo la creazione del mondo, escludendo l’incarnazione e la morte di chi lo creò, è la scoperta delle Indie; e perciò le chiamano Nuovo Mondo.

E non tanto dicono nuovo per essere una nuova scoperta, quanto per essere vastissimo e grande quasi come il vecchio, che contiene Europa, Africa e Asia.

Si può anche chiamare nuovo per il fatto che tutte le sue cose sono assai differenti da quelle del nostro.

Gli animali, in generale, sebbene siano di poche specie, sono di altro aspetto; (…).

Tuttavia, gli uomini sono come noi, al di là del colore, perché, diversamente sarebbero bestie e mostri e non deriverebbero, come derivano, da Adamo.

Ma non hanno lettere, né moneta, né bestie da soma; cose fondamentali per l’organizzazione sociale e la vita dell’uomo; e il fatto che vadano nudi, dal momento che la terra è calda e dal momento che mancano la lana e il lino, non è una novità. E poiché non conoscono il vero Dio e Signore, si trovano in grandissimi peccati di idolatria, sacrifici umani, antropofagia, conversazioni con il diavolo, sodomia, poligamia e altre cose simili”.

26

Gómara cerca anche di rassicurare l’imperatore circa l’origine adamitica dei nativi, rimarcando che, al di là della loro pelle e della loro arretratezza, sono come gli spagnoli, (“empero los hombres son como nosotros, fuera del color”).

Egli però non scende in dettaglio, non spiega con precisione come altri autori prima di lui, a quale tribù appartengano gli indios, non analizza le Sacre Scritture per ricavarne delle prove.

Il suo intento infatti non è quello di dimostrare da dove provengano i nativi, ma quello di fornire una base solida per la conquista e gli interessi personalistici di Cortés.

“Dire che gli americani sono atlantidi è un modo per appagare l’esigenza di conferire alle nuove popolazioni una identità storica senza tuttavia affrontare il problema della loro origine

24

G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie

bibliche alle teorie razziali, op.cit., p. 187.

25

L’autorità di Cortés non ha alcun fondamento, dal momento che non è basata su una disposizione imperiale, ma su un volgare raggiro operato ai danni dell’aristocrazia atzeca, convinta ad accettare il vassallaggio spagnolo, con la garanzia che la struttura politica locale sarebbe rimasta pressoché inalterata.

Infatti, il formale riconoscimento di nuovi territori, che entrano così a far parte dell’impero, arriva solo attraverso l’assenso dell’imperatore che autorizza il requerimiento, cioè, la lettura delle formule di rito che sanciscono l’effettiva e legittima presa di potere di una regione da parte di un conquistador.

26

Francisco López de Gómara, A Don Carlos, Historia general de las Indias, 1552, Biblioteca Virtual Miguel de

Cervantes, http://www.cervantesvirtual.com/obra-visor/historia-general-de-las-indias--0/html/fef81d62-82b1-

11df-acc7-002185ce6064_1.html#4, sito consultato il 11. 05. 2013. Traduzione dallo spagnolo mia. Corsivo mio.

(10)

biblica”.

27

Nonostante le molte criticità aperte da questa ipotesi, la teoria che vede l’America sovrapporsi perfettamente e aderire alla vecchia Atlantide sarà ripresa trent’anni più tardi dal grande umanista Giusto Lipsio.

Durante il periodo del suo insegnamento a Leida, egli sostiene con forza la radicale novità delle Americhe, che rappresenterebbero addirittura “un vero e proprio altro mondo”.

28

Dopo l’inabissamento di Atlantide, di cui non è rimasto nulla, è infatti sorto un altro mondo, popolato da uomini nuovi, che avrebbero diritto alla loro sovranità.

Nel De constantia, pubblicato nel 1584, Lipsio si scaglia duramente contro la barbarie spagnola e l’inaudita violenza che ha travolto milioni di innocenti, costretti a sopportare il pesante giogo dell’oppressione. Tuttavia, come la storia ha già testimoniato in numerose circostanze, da queste sofferenze e umiliazioni può nascere una spinta positiva per il cambiamento e il progresso dell’America, destinata a prendere il posto del Vecchio Mondo.

Nonostante ciò, la dottrina stoica di un mondo perfettamente ordinato e regolato in cui il male è necessario e addirittura propedeutico al bene, risulta pesantemente inadeguata di fronte ad una società pressoché immobile e cristallizzata che, lungi dal modificarsi o ammodernarsi, cerca solo di mantenere i suoi privilegi.

Otto anni più tardi, il passaggio dalla calvinista Leida alla cattolica Lovanio, dove Lipsio insegnerà dal 1592, produce un mutamento piuttosto radicale nelle sue posizioni nei confronti del dominio spagnolo nelle Indie e delle sue teorie su Atlantide.

Riabilitate le conquiste d’oltreoceano, di cui viene esaltata la grandezza e lo spirito di avventura, che ha permesso la colonizzazione del Nuovo Mondo, torna in auge il mito platonico, supportato dall’auctoritas dei testi classici e dalla Bibbia.

L’intento di Lipsio è ora quello di far rientrare Atlantide all’interno del racconto biblico.

Come lo stesso Gómara aveva affermato, fin dall’antichità gli uomini avevano un’idea, seppur vaga, di un mondo lontano, che, secondo l’umanista di Overijssche non può essere definito propriamente nuovo, dal momento che l’Antico Testamento parla di un unico atto di creazione dell’universo. Lo storico spagnolo, però, aveva evitato di approfondire la questione relativa al popolamento delle Americhe, limitandosi a riaffermare l’origine adamitica dei nativi.

Lipsio, invece, propone una soluzione, forzando l’interpretazione del mito e delle Sacre Scritture e cercando di unificare entrambe le tradizioni.

Le Indie, non corrisponderebbero ad Atlantide, ma alle terre oltre di essa: l’isola del mito greco sarebbe stata in realtà solo una zona di passaggio, che permetteva il flusso di uomini e animali,

27

G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie

bibliche alle teorie razziali, op.cit., pp. 232-233.

28

Giusto Lipsio, De constantia, (1584), 1, II, cap. XXII, in Opera omnia, vol. III, p. 600. Cit. in G. Gliozzi, op.cit.,

p. 220.

(11)

che altrimenti, non avrebbero potuto raggiungere luoghi pressoché inaccessibili per le tecnologie del tempo.

Tuttavia, per salvare l’attendibilità del filosofo ateniese, Lipsio è costretto a sostenere che Atlantide non fu colpita dal diluvio universale, riportato nella Genesi, ma da quello narrato nel Timeo e in Crizia.

29

Lo stesso Bacone tornerà sul tema del diluvio e del mito nelle pagine della sua New Atlantis.

Per il filosofo inglese, che, sulla scia del suo predecessore Richard Halkuyt

30

, identifica completamente la realtà americana con quella del mito classico, il diluvio non avrebbe completamente distrutto quella terra, ma avrebbe risparmiato alcuni abitanti.

Ciò, inoltre, giustificherebbe lo stato selvaggio e barbaro in cui sono stati trovati i popoli amerindi, tecnicamente e culturalmente più arretrati degli europei di almeno mille anni.

Il ricordo dell’antica e straordinaria civiltà degli atlantidi, seppur fortemente ridimensionata dalla condizione attuale degli indios, permette a Bacone sia di contestare la dominazione spagnola nelle Indie sia di preparare il terreno per difendere la politica coloniale dell’Inghilterra. Il discrimen per la legittimazione della conquista è il livello di civiltà di un popolo: i popoli più progrediti saranno allora autorizzati a prendere possesso delle terre dei selvaggi. Tuttavia, l’obiettivo primario degli inglesi non è quello della sottomissione dei nativi, ma quello di una colonizzazione a carattere prevalentemente agricolo e pacifico.

Bacone non esclude che, durante questo processo di insediamento, possano verificarsi degli scontri, perché comunque sempre di barbari si tratta e anzi, inizialmente, sarà opportuno porsi sulla difensiva, ma, nonostante ciò, l’auspicio è quello di instaurare “rapporti di semplice vicinato”.

31

“Rispetto a questo programma coloniale, la teoria baconiana dell’America-Atlantide rappresenta un presupposto concettuale completamente adeguato”.

32

Nella riflessone del filosofo inglese, infatti, non vi è alcuna subordinazione alla tematica religiosa che tanto sembra preoccupare e addirittura ossessionare gli eruditi spagnoli, ma si prefigura invece un’attenzione particolare alle politiche di espansione di cui l’Inghilterra sarà protagonista quasi incontrastata per secoli.

La relazione nativo-colono europeo non si configura mai come un rapporto paritario: anche laddove non si teorizzi esplicitamente lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù, si prospetta comunque una sorta di dipendenza culturale o economica.

29

Ammettere la molteplicità dei diluvi che il mondo avrebbe conosciuto, ma di cui la Bibbia non tratta, significa screditare in qualche modo l’esattezza della parola divina. Su questo punto tornerà Gliozzi, op.cit., p. 229 e sgg.

30

Lo scrittore e cartografo inglese Richard Hakluyt, nel 1600, in Principal Navigations, Voyages and Discoveries

of the English Nation, definisce il Nuovo Mondo come Atlantide occidentale.

31

L’espressione è di Gliozzi, op.cit., p. 245.

32

G. Gliozzi, op.cit., p. 245.

(12)

Gli intellettuali europei orientano le loro speculazioni sull’origine del Nuovo Mondo e dei nativi sulla base dei rispettivi interessi nazionali, dei loro saldi orientamenti culturali eurocentrici e sul bisogno comune di legittimare, attraverso la costruzione di apparati burocratici e giuridici, ma soprattutto teorici, una presenza e un’invasione difficilmente giustificabili.

E proprio per meglio difendere vecchi e nuovi privilegi, la discussione sulla natura dei popoli americani sarà accesa e vibrante.

Il loro destino e la loro storia, legati a quelle scoperte geografiche che avevano aperto gli

orizzonti del mondo, ma non delle coscienze, dipenderanno per secoli dall’idea che l’Europa

costruirà della loro identità e dall’immagine che essa contribuirà a diffondere e

strumentalizzare.

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