• Non ci sono risultati.

La mediazione familiare ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre forme mediative proprio in ragione dell’ambito di cui si va ad occupare: la famiglia.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La mediazione familiare ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre forme mediative proprio in ragione dell’ambito di cui si va ad occupare: la famiglia. "

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

CAPITOLO PRIMO

DAL CONFLITTO GENITORIALE ALLA SUA REGOLAZIONE

1. 1 La famiglia contemporanea: tra stabilità di coppia e separazione coniugale

Delle molte forme di mediazione possibili quella che ha luogo fra due genitori in fase di separazione o divorzio è quella che oggi è in maggiore sviluppo.

La mediazione familiare ha caratteristiche peculiari che la distinguono dalle altre forme mediative proprio in ragione dell’ambito di cui si va ad occupare: la famiglia.

La famiglia può essere considerata un “fenomeno sociale totale” (C

ASTELLI

1996), cioè una struttura in cui vi è una commistione inscindibile di aspetti psicologici, sociali, economici, giuridici, politici, religiosi, morali, ed ognuno di questi elementi è strettamente interrelato con gli altri. Già nel 1888 Durkheim scriveva “non esiste un modo di vivere che sia migliore per tutti. La famiglia di oggi non è né più ne meno perfetta di quella di una volta:

è diversa, perché le circostanze sono diverse”.

Difatti la famiglia è una struttura dinamica, i suoi ruoli e i suoi compiti si evolvono e si modificano continuamente, basti pensare quanto la famiglia si è andata modificando dagli inizi del ‘900 ad oggi, passando da una famiglia “allargata” (genitori, figli, nonni, zii etc…) ad una famiglia “nucleare” (genitori e figli). Se la famiglia precedentemente era in primo luogo un’entità sociale e politica organizzata gerarchicamente e vincolata da leggi, consuetudini e considerazioni di natura economica, sin dall’approvazione della Costituzione Italiana emerge un nuovo concetto di famiglia, in cui è il consenso a regolare i rapporti familiari sulla base del principio di uguaglianza giuridica e morale dei coniugi.

Non più quindi l’istituzione protetta in vista di interessi superiori, ma una formazione sociale orientata al fiorire delle personalità individuali

1

.

Lo Stato salvaguarda la libera scelta come criterio guida della famiglia.

L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, approda relativamente tardi alla scelta divorzista: è con la legge n. 898/1970, con la quale viene introdotto il divorzio, che prende decisamente

1 A questo proposito: Art.29 - La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Art. 30 – E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi d’incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

(2)

l’avvio quel processo di “privatizzazione” del diritto di famiglia che avrà i suoi esiti più significativi con la riforma del diritto di famiglia del 1975. La facoltà di liberarsi da un vincolo non più alimentato dalla comunione materiale e spirituale, che la legge n. 898/170 riconosce, sta a dimostrare una mutata concezione della famiglia. Questo nuovo criterio presuppone la totale reciprocità, che mette in risalto il concetto di attrazione reciproca, venendo di conseguenza meno l’idea di indissolubilità dell’unione. L’unità della famiglia non viene più considerata come un interesse pubblico superiore, oggi prevalere invece il diritto individuale alla libera scelta.

La famiglia contemporanea presenta caratteri ambigui, essa è contemporaneamente un gruppo sociale, cioè i suoi componenti sono legati da un insieme di relazioni interpersonali, e un’istituzione sociale, regolata da codici normativi che hanno a che fare con la dimensione legale, politica, economica e religiosa vigente in un dato paese. Di conseguenza in essa si scontrano e si incontrano bisogni pubblici e privati. A lungo in Italia vi è stata una concezione della famiglia che tendeva a salvaguardare l’unità, a prescindere dal grado di conflittualità; questo ha portato ad un atteggiamento culturale negativo nei confronti del divorzio

2

.

Attualmente però stiamo vivendo un’epoca di transizione: gli scenari nei quali ci muoviamo sono in continuo mutamento, di conseguenza la probabilità di “esperimenti sbagliati” va crescendo (C

ASTELLI

1996).

Questo atteggiamento viene in qualche modo confermato dalla crescita di separazioni e divorzi: nel 2005 le separazioni sono state 82.291 (14,8 % delle coppie coniugate), contro le 52.323 (11,3 % delle coppie coniugate) del 1995; i divorzi 47.036 contro i 27.038 del 1995

3

.La tendenza a ricorrere a separazione e divorzio non è uniforme sul territorio nazionale: nel 2005 al Nord si rivelano 6,2 separazioni e 4 divorzi ogni 1000 coppie coniugate contro 4,2 separazioni e 1,8 divorzi nel Mezzogiorno.

Il tipo di procedimento maggiormente scelto dai coniugi è la separazione consensuale: nel 2005 si sono chiuse consensualmente l’85,5 % delle separazioni e il 77,6 % dei divorzi. E’

interessante però notare che la scelta del tipo di procedimento è condizionata dai costi e dal tempo necessari per concluderla. Infatti un procedimento consensuale si conclude in media in 150 giorni mentre per una sentenza di separazione giudiziale occorrono 886 giorni e per un divorzio 634 giorni, con tutti i costi materiali ed emotivi connessi.

2 A questo proposito: BARBAGLI 1990.

3 I dati riportati in questa sezione sono tratti da: ISTAT 2007(a), ISTAT 2007 (b).

(3)

Sempre dall’analisi Istat emerge che ad intraprendere più frequentemente l’iniziativa della separazione è la donna, mentre è l’uomo separato a chiedere maggiormente il divorzio, nel 2005 il 71,7% delle richieste di separazione è stato presentato dalla moglie, mentre il 56,3% delle istanze di divorzio è stato presentato del marito.

Per quanto riguarda la durata media del matrimonio, nel 2005 al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento di separazione, risulta pari a 14 anni, anche se circa un quarto delle separazioni proviene da matrimoni di durata inferiore ai 6 anni.

Nell’ambito dell’instabilità coniugale una particolare rilevanza sociale assume la crisi dei matrimoni fra coniugi di diversa cittadinanza

4

. Questa tipologia di unioni, pur essendo un fenomeno recente in Italia, sono fortemente in espansione. Nel 2005 sono state pronunciate nei tribunali italiani 7.536 separazioni riguardanti “coppie miste”, contro le 4.266 del 2000, con un incremento pari al 76,7%. La diversità dei coniugi rispetto al contesto di origine – del quale il luogo di nascita può essere considerato parzialmente indicativo – sembra influire sulla stabilità del matrimonio. Le coppie formate da coniugi nati entrambi in Italia presentano un quoziente di separazione (227,8 ogni 1.000 matrimoni) inferiore al valore corrispondente alle coppie in cui uno dei due è nato all’estero, specialmente se si tratta della moglie (346,8 per 1.000). Questo dato è influenzato dal fatto che le coppie miste sono formate in prevalenza da marito con cittadinanza italiana e moglie con cittadinanza non italiana. L’importanza della condivisione del tessuto culturale di partenza e la relativa carenza di strumenti che facilitino l’integrazione di contesti di appartenenza diversi sono evidenti anche nel caso italiano, infatti i quozienti sono più bassi quando marito e moglie sono nati nella stessa ripartizione geografica rispetto a quelli corrispondenti a coniugi nati in ripartizioni diverse

5

.

La separazione è un evento doloroso, spesso per quanto possa apparire paradossale, è quasi più facile accettare la scomparsa della persona amata che non la separazione

6

. La morte è qualcosa di definitivo ed indipendente dalla nostra volontà, mentre la separazione ci dà una netta sensazione di rifiuto da parte dell’altro. Essere rifiutati dà la sensazione del fallimento, fallimento personale, come coniuge e, nel caso, come genitore. Fallisce l’investimento fatto per il futuro, si sente di essere stati incapaci di realizzare ciò in cui si

4 Questi dati non possono che farci riflettere sulle difficoltà culturali che incontrano le coppie di diverse nazionalità e su quanto questo incida sulla durata delle unioni. Quindi forse ancor prima della mediazione familiare vi è la necessità di una mediazione interculturale, o della creazione di un nuovo strumento di risoluzione dei conflitti che incontri le specifiche esigenze di queste “nuove famiglie”.

5 ISTAT 2007 (b).

6 A proposito di separazione e lutto: BOWLBY 1977;FERRARSI 1997.

(4)

era creduto, originandosi così forti sentimenti di rabbia e di colpa dai quali possono derivare sintomi di profondo malessere. Inoltre, da un punto di vista sociale il non essere stati capaci di costruire una vita a due, può essere sentito come riprovevole.

Oltre ai costi di natura psicologica è bene sottolineare quanto la separazione comporti costi di natura economica. La separazione, oltre alle spese legali, comporta necessariamente la riorganizzazione di due nuclei, due case (due affitti), due bollette di luce, gas, telefono etc… Non è difficile capire quanto questo incida, sia per i singoli che si trovano ad affrontarla, quanto per la società

7

(C

ASTELLI

1996).

1.2 La separazione e i figli

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’art 24 afferma che “i bambini hanno diritto alla protezione ed alle cure necessarie per il loro benessere…” e che “in tutti gli atti… l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente…”.

Nel 2005 il 70,5% delle separazioni e il 60,7% dei divorzi hanno riguardato coppie coniugate con figli avuti durante la loro unione. I figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati 99.257 nelle separazioni e 44.848 nei divorzi. Oltre la metà (il 52,8%) delle separazioni e oltre un terzo (il 36,5%) dei divorzi provengono da matrimoni con almeno un figlio minore di 18 anni. Il numero di figli minori implicati nei casi di conflitto coniugale nel 2005 è stato 63.912 nelle separazioni e 21.996 nei divorzi. Circa il 60% dei figli minori coinvolti nelle separazioni concesse nel 2005 aveva un’età inferiore a 11 anni e il 15,7% un’età compresa tra i 15 e i 17 anni. Al momento della pronuncia del divorzio i figli sono generalmente più grandi: nel 2005 quelli al di sotto degli 11 anni rappresentavano il 39,2%, mentre i figli di età compresa tra i 15 e i 17 anni erano il 24,1%

8

. Dalla ricerca Istat 2007 emerge inoltre che i minori sono stati affidati alla madre nell’80,7% delle separazioni e nell’82,7 % dei divorzi. Questi dati non possono non farci

7 A questo proposito Marco Luchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare, intervistato da Caterina Pasolini per la Repubblica 08/04/08 dice “Sempre più coppie separate significano poi più spese, come minimo due affitti da pagare, cifre difficili da reggere con i salari odierni. E così vediamo alle nostre mense mariti separati, vecchi che cercano compagnia e non solo cibo, mentre le madri di famiglia preferiscono rivolgersi agli enti, alle parrocchie dove possono trovare scorte alimentari senza farsi vedere da tutti”. E ancora su la Repubblica del 02/08/08, Carlo Brambilla scrive “Le separazioni coniugali, si sa, costano care. Soprattutto alle coppie con figli, costrette ad affrontare un improvviso aumento delle spese con conseguente impoverimento generale della famiglia”.

8 I dati riportati in questa sezione sono tratti da: ISTAT 2007 (c).

(5)

riflettere sull’impatto che separazione e divorzio possono avere sui minori e quanto sia importante contenere il disagio che ne può derivare, anche attraverso strumenti come la mediazione familiare.

È cresciuto, invece, il ricorso all’affidamento congiunto o alternato

9

, passato nelle cause di separazione dall’8% nel 2000 al15,4% nel 2005 e, in quelle di divorzio, dal 6,8%

all’11,6%. Tra i provvedimenti adottati nelle cause di separazione e divorzio, assumono notevole importanza quelli relativi alla frequenza di visita dei figli stabilita nei confronti del genitore non affidatario. La frequenza di visita dei figli minori decisa nella maggior parte delle separazioni è fra i due e i sei giorni (56,3%), seguita dalla visita settimanale (21,2%) e infine da quella giornaliera (14%).

La periodicità delle visite dipende anche dal rito di definizione della causa. Gli intervalli più brevi, da due volte a settimana fino a tutti i giorni, sono disposti più frequentemente nelle separazioni consensuali (complessivamente nel 72,9% delle cause) rispetto a quelle giudiziali (56,9%).

Oltre a questi dati statistici, utili ad incorniciare la situazione “figli e separazione” in Italia, è importante sottolineare come la crisi

10

della coppia porta alla rottura di un equilibrio che si era andato a creare, ma questo inevitabilmente conduce verso un cammino evolutivo e trasformativo, che in quanto tale può causare disagio e sofferenza.

La separazione coinvolgendo le persone in modo globale, talvolta induce i genitori a sottovalutare la ferita emotiva che può causare nei bambini. I genitori presi dal conflitto possono sottovalutare il disagio dei figli attribuendo loro una maturità immotivata e lasciandoli soli nell’affrontare il carico emotivo.

Secondo una ricerca di Zussman I.V. (Z

USSMAN

1981) vi è una proporzione tra il grado di conflittualità e il disinteresse verso i propri figli durante i litigi. Soprattutto per i bambini molto piccoli una relazione tumultuosa tra il padre e la madre può essere vissuta come una minaccia alla propria sicurezza.

Numerose ricerche

11

, pur tenendo conto della molteplicità di fattori che entrano in gioco nel determinare le conseguenze della separazione coniugale sui figli (fattori di personalità di

9 Con l’entrata in vigore della legge 54/2006, nelle separazioni e divorzi concessi dal 16 marzo 2006, il termine “affidamento congiunto” è stato sostituito dalla denominazione “affidamento condiviso”.

10 Secondo ZINGARELLI 2000, per crisi si intende: “fase della vita individuale o collettiva particolarmente difficile da superare e suscettibile di sviluppi più o meno gravi”.

11 Hetherington (HETHERINGTON 1979) ha condotto una ricerca longitudinale dalla quale emerge che è meglio vivere con un solo genitore piuttosto che vivere con entrambi in un atmosfera conflittuale. Hamilton (HAMILTON 1993) ha individuato nella facilità di contatti con il genitore non affidatario la variabile maggiormente significativa rispetto al successo scolastico dei bambini in età di latenza.

(6)

ciascun membro della famiglia; caratteristiche strutturali e relazionali della famiglia; norme sociali e culturali; ambiente extra-familiare) hanno verificato che il principale elemento predittivo dei problemi che possono insorgere nel tempo è il conflitto tra i genitori (Q

UADRIO

, V

ENNINI

1993; D

ELL

’A

NTONIO

, V

INCENTI

A

MATO

1992). Alcuni autori (A

HRONS

1981) sostengono che il grado di patologia dei figli non è correlato con l’intensità del disaccordo di coppia prima della separazione, quanto al conflitto persistente dopo la separazione.

Nel 1994 Katherine Kitzmann e Robert Emery (K

ITZMANN

, E

MERY

1994) hanno documentato come, a distanza di un anno dalla separazione, il grado di benessere di bambini dipendesse proprio dal livello di reciproco astio genitoriale.

La comprensione dei sintomi espressi dai minori risulta dunque favorita dalla loro contestualizzazione nell’ambito degli scambi relazionali che tengono acceso il conflitto coniugale e che molto spesso vedono coinvolte anche le famiglie estese

12

(M

ALAGOLI

, T

OGLIATTI

, A

RDONE

1992).

Nella coppia separata o in via di separazione spesso avviene una sovrapposizione tra il ruolo coniugale e quello genitoriale, che porta a ritenere giusta l’interruzione del rapporto con il genitore considerato inadeguato a non compiere alcuno sforzo nella direzione della conservazione nel figlio di una buona immagine di entrambe le figure genitoriali.

Uno dei comportamenti più frequentemente osservati riguarda il rifiuto e/o la difficoltà del figlio ad incontrarsi con il genitore non affidatario, talvolta a seguito di azioni di convincimento da parte del genitore affidatario volte a dimostrare l’incapacità dell’altro genitore a prendersi cura del figlio. Le conseguenze di tali accuse sono particolarmente gravi, in quanto il riconoscimento ufficiale del disinteresse e delle trascuratezze di un genitore comporta per il figlio un’ingente perdita di autostima. Autostima costruita sulla consapevolezza di essere amato dal genitore e sulla necessità di identificarsi con lui (M

OMBELLI

1985).

Altri studi hanno rilevato la presenza di una correlazione positiva tra buon adattamento dei figli alla separazione e la possibilità per questi ultimi di mantenere dei contatti regolari con entrambi i genitori, di avere cioè libero “accesso” a ciascuno di essi (W

ALLERSTEIN

, K

ELLY

1980; B

UCHANAN

, M

ACCOBY

, D

ORNBUSCH

1991).

Una relazione positiva dopo il divorzio, improntata alla cooperazione parentale e all’esercizio congiunto delle funzioni genitoriali, tende a ridurre la probabilità per i figli di

12 Per famiglie estese si intendono nonni, zii, cugini etc... cioè tutti i familiari che ruotano attorno al nucleo genitori/figli.

(7)

vivere dei conflitti di lealtà intendendo con questi la sensazione per i figli di genitori separati la sensazione di dover scegliere tra un genitore e l’altro, e dunque ad avere un impatto positivo su di essi (C

AMARA

, R

ESNICK

1989).

Importante è sottolineare che qualora il conflitto si manifesti in famiglie separate con figli adolescenti è necessario ricordare che l’adolescente – ancor più del bambino- non è un soggetto che percepisce passivamente le iniziative altrui, bensì è capace di tattiche e strategie autonome ampiamente correlate al “gioco familiare

13

” (M

ALAGOTTI

, T

OGLIATTI

, A

RDONE

1993).

A proposito dei possibili risvolti del divorzio sui figli, un interessante contributo è quello offerto da Canevelli e Lucardi (C

ANEVELLI

, L

UCARDI

1994; 1996; 1997; 2000a), che presentano le diverse forme di rischio mettendole in relazione a specifiche modalità di gestione della conflittualità nel processo di separazione, da loro individuate nel corso della loro esperienza clinica. Essi riconoscono quattro modalità disfunzionali di gestione del conflitto:

• Congelamento del conflitto: è il tipo di situazione che si riscontra più frequentemente nelle separazioni “ufficialmente” consensuali, che però nascondono alti livelli di rancore non espressi, ma agiti con modalità spesso ambigue o tramite la loro deviazione sui figli. Questi rischiano di diventare il “contenitore” privilegiato delle emozioni genitoriali, o di perdere il genitore che risponde alla rabbia con l’abbandono della relazione. In questo caso si parla di “figlio consolatore” o

“coniugalizzato”. Inizialmente il figlio può avere un apparente buon adattamento, basato sull’acquisizione di un ruolo gratificante dato dalla “promozione di grado”. A lungo termine però, tende a tradursi nel rimanere incastrato in una posizione non compatibile con lo sviluppo e la soddisfazione dei propri bisogni. Il permanere di questo ruolo nel tempo determina quindi uno stato di “congelamento”, cui il più delle volte è il genitore stesso a sottrarsi per primo, ad esempio iniziando una nuova relazione affettiva, lasciando così il figlio ancor più disorientato e doppiamente danneggiato.

• Esasperazione del conflitto: in questo caso si hanno manifestazioni di ostilità e aggressività direttamente espresse, che sfociano in vere e proprie “escalations”

conflittuali. I figli rischiano di venire direttamente coinvolti negli episodi di violenza, sia fisica che psicologica, e diventano “armi improprie” che i due contendenti si

13 Per gioco familiare si intendono tutte quelle dinamiche di relazione che si instaurano nelle comunicazioni familiari.

(8)

scagliano reciprocamente. Si parla a questo proposito di “figlio vittimizzato”: egli viene a trovarsi in uno stato di “allarme cronico”, caratterizzato dalla perdita di qualunque punto di riferimento sicuro nella figura adulta e dalla percezione dei genitori come minacciosi, spaventati e spaventanti. Ne deriva di frequente una sorta di “paralisi”, ossia il blocco della spinta ad esplorare il mondo esterno ed interno, avvertiti come insidiosi, ostili e carichi di pericoli.

• Spostamento del conflitto: qui la conflittualità, piuttosto che essere agita direttamente dai partner, viene delegata ad altri (famiglie allargate, medici, operatori psico-sociali, rappresentanti del mondo giuridico), contribuendo a formare veri e propri schieramenti contrapposti. In questi casi i figli si trovano per lo più a confrontarsi con la richiesta di “allearsi” con uno dei due “eserciti”: l’immagine che ne emerge è dunque di “figli arruolati”. Nel rivestire questo ruolo essi tendono a sentirsi esposti alle ritorsioni e alla vendetta del “nemico”. Si afferma così una visione dei rapporti centrata sulla dicotomia “amico/nemico” che, in quanto rigida semplificazione, rischia di impoverire e compromettere lo sviluppo di un più articolato e autentico senso di sé e dell’altro. Il senso di sicurezza e di sfida che i figli veicolano all’esterno è infatti qualcosa di soltanto apparente: alla base manca una solida rappresentazione del proprio rapporto con il mondo.

• Vittimizzazione: in questo caso il coniuge si comporta in modo persecutorio, spesso violento nei confronti dell’altro, il quale, assume sempre più il ruolo di “vittima”. Il figlio, chiamato a svolgere la funzione di “protettore”, riceve a sua volta pesanti attacchi; si parla pertanto di “figlio scudo”. Ciò concorre all’insorgere, nel corso del tempo, di forti sentimenti di colpa e vergogna, e all’affermarsi della tendenza a

“subire”: anche il figlio finisce dunque per identificarsi nel ruolo di vittima passiva che non riesce a condannare il proprio persecutore a causa dei vincoli affettivi.

Un aspetto comune alle situazioni appena descritte è quello della perdita della figura

genitoriale da parte del figlio, che vede venir meno il proprio rapporto con l’adulto, sia in

senso quantitativo per il suo estremo diradarsi, sia dal punto di vista qualitativo a causa

dell’emergere di caratteristiche che modificano la relazione trasformandola in qualcosa

d’altro rispetto alla corretta e funzionale dinamica genitore-figlio. Trasversale a queste

quattro modalità di gestione del conflitto è poi l’elemento “agonistico” che contribuisce ad

accentuare la conflittualità, favorisce la perdita della competenza negoziale in primo luogo

e di quella genitoriale nel corso del tempo, licita il conflitto in ogni momento di crisi,

(9)

impoverisce le risorse, incrementa atteggiamenti di delega a terzi e riduce la tensione ad essere protagonisti del proprio futuro (C

ANEVELLI

, L

UCARDI

1997).

Una volta ottenuta la separazione o il divorzio, il legame tra gli ex coniugi sarà mantenuto soltanto dai figli. Se questo legame è conflittuale, i primi a risentirne saranno proprio i bambini. Quando i membri della coppia non riescono a distinguere tra il proprio ruolo di genitori e quello di coniugi, è facile collegare i bambini ai problemi della separazione, coinvolgendoli in meccanismi spesso distruttivi.

Quanto detto fin qui relativamente alla conflittualità genitoriale e al relativo disagio del minore, sottolinea il carattere ostativo della separazione coniugale, la possibilità che quest’ultima si configuri come opportunità di cambiamento risulta legata alla capacità degli ex-coniugi di ristabilire una comunicazione “sana” che permetta di rapportarsi in modo cooperativo. Attraverso una diretta attivazione delle risorse dei protagonisti di un conflitto, la negoziazione di accordi può essere una risorsa e una forma di prevenzione di un disagio, sia per la società che per l’individuo.

La mediazione familiare cerca di rispondere al bisogno espresso da coppie in procinto di separarsi o già separate, che vivendo una situazione di forte conflittualità non riescono a trovare soluzioni soddisfacenti e condivise nella gestione di ciò che resta in comune e in particolar modo dei figli. Essa si propone quindi come un percorso durante il quale la coppia genitoriale, dopo aver individuato i temi del conflitto, arriva a stabilire accordi che possano essere sostenuti anche per il futuro. La mediazione nell’aiutare i coniugi a trovare soluzioni concordate su aspetti della separazione, aiuta anche e soprattutto a ristabilire una comunicazione magari interrotta anni prima, a migliorare la comprensione fra le parti e a promuovere un dialogo che aiuti gli ex coniugi a non essere privati della volontà e della capacità di essere genitori attenti ai bisogni dei figli.

A fronte della difficoltà e della sofferenza la famiglia può mettere in campo tutte le forze individuali, di coppia e familiari (proprie e della famiglia allargata) disponibili al fine di superare l’evento critico della frattura coniugale e ripristinare uno stato di maggiore benessere per tutti i componenti del nucleo. Alla base dell’avvio di un percorso funzionale vi è dunque la “competenza negoziale” degli ex-coniugi (C

ANEVELLI

, L

UCARDI

1997), che si contraddistingue per i seguenti aspetti:

• capacità di ricollegarsi alla propria storia personale e familiare, e di elaborare il significato dell’evento separativo rispetto ad essa;

• capacità di mettersi di fronte all’altro, vedendolo effettivamente come altro da sé

senza che ciò si carichi di significato di perdita;

(10)

• capacità di riconoscere la quota di coniugalità (fatta di rispetto, stima affetto, comprensione) che è sopravvissuta alla frattura coniugale piuttosto che esasperare la conflittualità;

• capacità di prefigurasi un futuro meno doloroso con la possibilità di realizzarlo, al di là della presenza oggettiva di elementi positivi.

Tutto ciò si traduce nella possibilità per i figli di mantenere un profondo e valido legame con entrambi i genitori nonostante la separazione. Gli ex-coniugi, infatti, continueranno a condividere le responsabilità nei confronti dei figli e permetteranno loro di accedere all’altro genitore e dunque alle proprie radici e alla propria storia familiare. La creazione di un fronte genitoriale più compatto e consapevole delle necessità di un figlio può rappresentare per quest’ultimo un banco di prova, interrompere le sue attive strategie di coinvolgimento e manipolazione del conflitto coniugale, oltre che consentirgli di misurare le proprie capacità di autodeterminazione.

Passare da un percorso disfunzionale ad uno funzionale, trasformare il rischio in opportunità piuttosto che danno, significa dunque, nel caso del divorzio, muovere da una dimensione esclusivamente o prevalentemente agonistica verso la costruzione di una relazione cooperativa tra genitori. All’interno di questo scenario un ruolo determinante è giocato dai terzi che gli ex-partner incontrano lungo il cammino della separazione:

favorendo o meno l’apertura di spazi di tolleranza, elaborazione e condivisione, gli “esperti esterni” possono, con il loro operare, promuovere lo slittamento da una logica competitiva basata sul confliggere alla logica cooperativa incentrata sulla regolazione della conflittualità. Ed è proprio nella direzione della promozione di tale cambiamento che opera la figura del mediatore familiare.

1.3 La mediazione familiare: definizione degli “autori”

Tra le definizioni di mediazione familiare, una delle più storiche è quella di Heynes, che

nel 1981 la descrive come “offerta di aiuto alla coppia allo scopo di riequilibrare il potere

contrattuale tra le parti, dove lo scambio è alla pari”. Tra le più recenti troviamo Marzotto

e Tamanza (M

ARZOTTO

, T

AMANZA

2003) che parlano di “uno strumento per favorire una

nuova pattuizione all’interno della coppia parentale, un rito sociale in cui mantenere viva

la dimensione etica del patto matrimoniale”.

(11)

Tra le fonti ufficiali la mediazione familiare è stata definita come “un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito a separazione e divorzio: in un contesto strutturato, un terzo neutrale e con formazione specifica (il mediatore familiare), sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possano esercitare la comune responsabilità genitoriale” (Società Italiana di Mediazione Familiare 1995)

14

; come “un processo di risoluzione dei conflitti familiari: le coppie, coniugate o no, richiedono o accettano l’intervento confidenziale di una terza persona, neutrale e qualificata, chiamata chiaramente mediatore familiare” (Association pour la promotion de la mediation familial 1990); o ancora come “la pratica di risoluzione dei conflitti basata sulla cooperazione e l’autodeterminazione dei genitori. Il ruolo del mediatore familiare è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile, tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli, in uno spirito di corresponsabilità e uguaglianza dei ruoli genitoriali”. (Ecoles des Parents et des Educateurs 1990).

La Raccomandazione Europea N. R. (98) 1 (1998/1/21)

15

definisce la mediazione familiare come “un processo in cui una terza parte, il mediatore, imparziale e neutrale, supporta le parti a negoziare le questioni oggetto di controversia o conflitto e a raggiungere i loro propri accordi”.

Partendo da questo livello definitorio – che non vuole certo essere esaustivo – si passa ora ad esaminare in modo più articolato le caratteristiche proprie della mediazione familiare.

Una sua sufficientemente approfondita comprensione non può prescindere da riflessioni circa i suoi obbiettivi, la sua storia, le fonti normative e i presupposti strutturali e procedurali.

14 I mediatori familiari esperti da me intervistati nella seconda parte della tesi, quali testimoni privilegiati, affermano che la definizione data dalla S.I.Me.F. è la più condivisibile.

15 TURCHI,GHERARDINI 2005.

Riferimenti

Documenti correlati

Alla base della nostra proposta, c'è il porre come oggetto precipuo di studio, di ricerca, di consulenza, di progettazione, di analisi e valutazione empirica il

Di tipo rigenerativo: dal momento che i conflitti non sono costituiti solo da aspetti negativi da trasformare, ma anche da energia, percezioni, emozioni, relazioni, si fa strada

Di tipo rigenerativo rigenerativo: dal momento che i conflitti non sono costituiti solo da aspetti negativi da trasformare, ma anche da energia, percezioni, emozioni, relazioni, si

Iniziando le ricerche per il presente lavoro, mi sono imbattuta in una grande vastità di letteratura che affronta il passaggio generazionale prevalentemente da un punto di vista

L’allievo può utilizzare 20 ore delle 60 del proprio tirocinio partecipando ad iniziative fornite dall’ITFB: tirocinio di osservazione ed elaborazione di un

I soggetti gestori sono le Agenzie di Tutela della Salute, d’ora in poi ATS mentre i beneficiari dei finanziamenti sono i Consultori delle Asst ovvero i Servizi Sociali

Camera Nazionale per la Mediazione e l'Arbitrato CNMA, attivamente impegnata nell'ambito della formazione, anche accademica, e nella gestione quotidiana di procedure di

Camera Nazionale per la Mediazione e l'Arbitrato CNMA, attivamente impegnata nell'ambito della formazione, anche accademica, e nella gestione quotidiana di procedure di