• Non ci sono risultati.

II.1 Architettura espressionista: quale definizione?

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "II.1 Architettura espressionista: quale definizione? "

Copied!
59
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo II. La città degli espressionisti: testi teorici d’architettura e disegni

II.1 Architettura espressionista: quale definizione?

Prima di affrontare nel dettaglio gli scritti e le opere grafiche di alcuni architetti che hanno contribuito alla riflessione sulla città all’interno del movimento espressionista, è bene precisare i termini di una ricerca la cui definizione cronologica e ideologica non appare minimamente scontata. Oltre alla difficoltà di reperire una delimitazione, una formalizzazione, una definizione di architettura espressionista da parte dei suoi stessi protagonisti nella Germania degli anni Venti, scarso aiuto viene dalla letteratura scientifica. Gli storici e i critici d’architettura hanno infatti impiegato il termine “espressionista” in senso molto vago, estendendolo oltre i limiti temporali dell’avanguardia storica in base a non perfettamente precisate contiguità, rispetto alla corrente tedesca di inizio secolo, di sensibilità, plasticità organiche o geometrie cristalline rinvenute in tempi assai posteriori nell’opera di questo o quell’altro progettista.

D’altro canto, l’espressionismo architettonico non si presta a facili definizioni, non si propone con un unico manifesto, non serra le sue fila attorno ad un unico protagonista, per quanto emergano nettamente alcuni esponenti maggiori e un gruppo di compagni di cammino, tutti comunque con una propria personalità e caratteristiche diverse. Volendo concentrare l’attenzione su l’uno o l’altro aspetto peculiare dei suoi esponenti, l’immagine che se ne ricava è quanto mai eterogenea: l’espressionismo architettonico si dà come una giustapposizione di percorsi individuali verso la città e la società del futuro, con linguaggi solo in parte comuni ai vari architetti, ora più propensi a forme derivate dal mondo minerale, ora da quello animale, ma sempre e comunque con l’idea della ri- creazione della natura da parte dell’uomo artefice.

Non è semplice delineare che cosa sia prettamente attribuibile all’espressionismo nell’architettura tedesca e cosa no, vista la contemporanea presenza e attività di vari movimenti in Germania nei soliti anni tra la fine della prima guerra mondiale e l’avvento del Nazismo e l’appartenenza di architetti

“espressionisti” a più associazioni, nonché il rapido volgere di alcuni artisti verso

(2)

la Nuova oggettività in architettura e il Bauhaus o l’abbandono dell’utopia a vantaggio dell’attività professionale nella progettazione di Siedlungen.

Anche da un punto di vista cronologico, l’espressionismo architettonico mal si presta ad essere delimitato, tuttavia è opinione comune e condivisibile che la datazione del suo esordio debba essere collocata in ritardo rispetto alla stagione espressionista in letteratura o pittura, considerando come primi spunti per la riflessione su una nuova architettura le opere di Scheerbart

1

e Taut del 1914, rilevando il primo impiego in ambito critico del termine architettura espressionista nel 1915

2

da parte di Adolf Behne, ma potendo parlare più correttamente solo dal 1918 di un gruppo di architetti con tale condivisa sensibilità, testimoniata dagli scritti.

La vicenda dell’architettura espressionista

3

è racchiusa a livello di elaborazione teorica negli anni 1918-1922, tra i proclami dell’Arbeitsrat für Kunst e gli ultimi numeri della rivista Frühlicht, passando per i numerosi scritti di Taut, la corrispondenza della Gläserne Kette

4

e lo Zehner-ring

5

.

Oltre che per l’autocritica distruttiva di alcuni dei suoi esponenti, o per la consapevolezza della sterilità di una ripetizione di alcune formule un tempo giudicate scandalose dall’accademia e dal pubblico e poi circondate da una perdita

1 Paul Scheerbart (1863-1915), fu prolifico autore di romanzi fantastici e disegnatore. Il suo testo più celebre Glasarchitektur, del 1914, incoraggiò la ricerca degli architetti espressionisti nel campo dell’applicazione del vetro come principale materiale da costruzione. Scheerbart fu in stretti rapporti con Bruno Taut.

2 Era il titolo di un articolo pubblicato da A. Behne in “Der Sturm” nel gennaio 1915.

3 Si impiega la voce “architettura espressionista” consapevoli della problematicità di utilizzare tale definizione per un insieme di architetti che, pur avendo alcune tematiche in comune, non hanno prodotto un unico manifesto rappresentativo dei principi dell’avanguardia, non hanno costruito utilizzando il medesimo linguaggio (si pensi ad esempio alla disparità tra le opere di Mendelsohn e quelle di Hablik), si sono relazionati in modi diversi con la pittura e la letteratura coeve. Peraltro già l’impiego del termine “espressionista” pone secondo alcuni critici la complicata questione se l’espressionismo in generale esista e possa essere considerato un vero movimento d’avanguardia o sia solo una vaga tendenza culturale e psicologica sottesa ad esperienze comuni ai più disparati artisti.

4 Il nome del gruppo è da attribuire al poeta Alfred Brust e gli altri appartenenti furono: W.

Brückmann, H. Finsterlin, P. Goesch, J. Göttel, O. Gröne, W. Gropius, W. Hablik, H. Hansen, C.

Krayl, H. Luckhardt, W. Luckhardt, H. Scharoun, B. Taut, M. Taut (dati tratti da I. Boyd Whyte (a cura di), The Crystal Chain letters: architectural fantasies by Bruno Taut and his circle,

Cambridge (Mass.), MIT Press, 1985, p. 3 e p. 20).

5 Questo gruppo, sulla cui datazione e composizione si hanno testimonianze contrastanti, fu fondato secondo Max Taut nel marzo 1919, mentre Hugo Häring lo data al 1923-24. I dieci aderenti furono: Bruno e Max Taut, Mies Van der Rohe, Poelzig, Häring, Scharoun, Mendelsohn, Hilberseimer, Bartning, Behrens. Successivamente, nel 1925, l’associazione prese il nome di Der Ring e fu ampliata ad altri architetti.

(3)

di interesse, l’espressionismo architettonico arrivò al suo traguardo

6

quando, dopo aver fatto tabula rasa delle forme precedenti, ottenne i primi successi con l’accettazione e l’assunzione nella cultura popolare di alcuni temi e stilemi.

Questo causò da parte degli espressionisti tra 1920 e 1921 l’immediato ripudio di ciò che, nato e sviluppatosi come loro patrimonio formale e ideale, ma mal compreso dalla società tedesca, poteva diventare al massimo solo una moda nel design, nella costruzione di edifici o nella decorazione d’interni; come scrisse Behne, “alla fine non é più architettura, ma una mascherata”

7

.

L’attività personale degli aderenti alle suddette esperienze proseguì in Germania fino all’avvento del Nazismo, quando anche l’architettura moderna, come il resto dell’arte espressionista, definita degenerata, subì la censura del regime. Inoltre alcuni progettisti furono costretti all’esilio a causa della loro origine ebraica.

In questa tesi si considereranno come architetti espressionisti coloro che, di origine tedesca e vissuti in Germania tra gli anni Dieci e Trenta del Novecento, esplicitamente condivisero fin dal suo sorgere le ragioni e le poetiche del movimento espressionista, manifestandolo attraverso scritti, disegni ed eventualmente opere realizzate, facendo della stagione espressionista una delle più importanti della loro carriera. All’interno della loro attività teorica e progettazione si evidenzieranno, quale elemento caratterizzante questa ricerca rispetto alle generiche storie dell’architettura di quel periodo, le proposte urbanistiche, onde tentare di dar principalmente conto dell’immagine di città sognata e propugnata da tali architetti.

Un discorso a parte meriterebbero anche la definizione e la considerazione finora incontrate dall’architettura espressionista nei manuali o nei saggi critici. Si rimanda alla letteratura specialistica sul tema, presentando qui solo un sintetico excursus che sottolinei come in Italia sia stata posta la necessaria attenzione all’architettura espressionista a partire dagli anni Sessanta, mentre invece da parte della critica angloamericana, feconda di apporti alla storia dell’architettura europea, si sia per molti anni guardato con estrema diffidenza al fenomeno,

6 Cfr. I. Boyd Whyte, The end of an avant-garde. The example of Expressionist architecture, in

“Art history”, 3, 1, March 1980, pp. 102-114.

7 A. Behne, Lettera a W. Gropius, 9-11-1920, Berlin, Bauhaus Archiv.

(4)

riabilitandolo solo negli anni Settanta col contributo di vari studiosi della Columbia University

8

e più di recente con l’opera di Iain Boyd Whyte, attualmente professore di storia dell’architettura all’Università di Edimburgo.

Bruno Zevi fin dalla sua Storia dell’architettura moderna del 1953

9

si occupa dell’avanguardia e riconosce una vena espressionista in tutti gli architetti tedeschi dell’epoca, come protesta contro le forme precedenti, ma sottolinea che un movimento a radici psicologistiche non avrebbe potuto dare al mondo una linguistica architettonica chiara come invece fecero poi, in un ritorno all’ordine, Gropius

10

e il Bauhaus. Di tutt’altro avviso Giulio Carlo Argan che scrive nel 1965, dopo l’importante mostra dell’espressionismo e il relativo convegno internazionale tenutosi a Firenze nel 1964: “dobbiamo concludere che tra il cosiddetto “utopismo” dell’architettura fantastica dell’espressionismo e il razionalismo rigoroso tedesco non v’è contraddizione ma continuità: esattamente come, nella storia dell’ideologia politica che anima tutta l’architettura moderna, non v’è contraddizione ma continuità tra socialismo “utopistico” e socialismo

“scientifico””

11

.

Se nel 1960 Leonardo Benevolo non prende posizione sul fenomeno nella Storia dell’architettura moderna

12

, al 1961 risale il contributo di Vittorio Gregotti

13

, L'architettura dell'espressionismo, che rileva la sopraccitata difficoltà di definizione di un’edilizia espressionista, percorrendo poi, in un cammino interdisciplinare e largamente inclusivo di personaggi e argomenti, i principali temi ascrivibili al movimento e alla sua architettura.

8 Si ricordano le tesi di dottorato e i saggi critici di Rosemarie Haag Bletter (PhD diss., Bruno Taut and Paul Scheerbart’s vision: utopian aspects of German expressionist architecture, Columbia University, 1973), di Eugene Anthony Santomasso (PhD diss., Origins and aims of German expressionist architecture: an essay into the expressionist frame of mind in Germany, especially as typified in the work of Rudolf Steiner, Columbia University, 1973), di Rose-Carol Washton Long (autrice tra l’altro di German Expressionism: documents from the end of the Wilhelmine Empire to the rise of National Socialism, Berkeley, University of California press, 1995).

9 B. Zevi, Storia dell’architettura moderna, Torino, Einaudi, 1953.

10 Walter Gropius (1883-1969), erede di una famiglia di architetti, entrò nel 1907 a lavorare allo studio di Behrens, per poi iniziare nel 1910 un’attività autonoma. Vicino al Deutscher Werkbund si occupò di architetture e design industriale. Al termine del conflitto mondiale fondò il Bauhaus a Weimar, per poi lasciarlo nel 1928 e dedicarsi all’urbanistica a Berlino. Con l’avvento del nazismo si trasferì dapprima in Inghilterra e nel 1937 negli USA, dove proseguì l’attività professionale firmando numerosi progetti.

11 G.C. Argan, L’architettura dell’espressionismo, in L. Mittner [et al.], Bilancio dell’espressionismo, Firenze, Vallecchi, 1965, p. 103.

12 L. Benevolo, Storia dell’architettura moderna, Roma-Bari, Laterza, 1960.

13 V. Gregotti, L'architettura dell'espressionismo, in “Casabella”, 254, Agosto 1961, pp. 24-50.

(5)

Il primo testo italiano monografico sul movimento espressionista è l’importante volume di Franco Borsi

14

e Giovanni Klaus König Architettura dell’espressionismo, del 1967, tuttora l’opera più completa in lingua italiana con traduzioni di alcuni scritti di Taut e un ricco apparato iconografico.

Gli anni Settanta vedranno sorgere un florilegio di contributi specialistici sia sull’architettura espressionista in generale che su alcuni aspetti particolari ripresi anche negli anni Ottanta-Novanta (rapporti con la Nuova oggettività, espressionismo architettonico e comunismo, spiritualismo, esoterismo, espressionismo e gotico), nonché le traduzioni dei testi di Bruno Taut.

Si ricordano alcuni saggi di Jolanda Nigro Covre

15

, Marcello Fagiolo

16

, Paolo Portoghesi

17

per un ulteriore tentativo di descrizione e inquadramento dell’architettura espressionista nel contesto storico e culturale. La Storia dell’architettura contemporanea di Renato De Fusco

18

nel 1974 accentua, in mancanza di progetti realizzati o realizzabili, il valore utopico, ma ugualmente incisivo e concorrenziale al razionalismo, dell’architettura espressionista.

Gli anni Ottanta vedono vari contributi specialistici sui singoli architetti da parte di Luciana Capaccioli

19

, Francesco Dal Co

20

, Giovanni Fanelli

21

, Ezio Godoli, Franco Bevilacqua, Giacomo Ricci

22

, mentre di nuovo Vittorio Gregotti è chiamato a definire l’architettura in un’enciclopedia dell’espressionismo

23

.

Occasione di approfondimento del nostro tema in Italia è stata anche la mostra Espressionismo e Nuova oggettività: la nuova architettura europea degli anni Venti, tenutasi alla Triennale di Milano nel novembre-dicembre 1994, con la

14 Autore anche di saggi su Finsterlin e Poelzig.

15 J. Nigro Covre, Espressionismo e Architettura: per una impostazione del problema, in

“Annuario dell'Istituto di Storia dell'Arte. Università degli studi di Roma”, 1974/75 e 1975/76, pp.

247-272.

16 M. Fagiolo, La piramide in espansione: architettura espressionista e “comunismo cosmico”, in

“Psicon”, 2-3, gennaio-giugno 1975, pp. 18-37.

17 P. Portoghesi, Espressionismo e Razionalismo: utopia e Sachlichkeit, in “Psicon”, 2-3, gennaio- giugno 1975, pp. 12-17.

18 R. De Fusco, Storia dell’architettura contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1974.

19 L. Capaccioli, Bruno Taut: visione e progetto, Bari, Dedalo, 1981.

20 F. Dal Co, Bruno Taut (1880-1938): l'utopia e la speranza, in “Casabella”, 460, Luglio/Agosto 1980, pp. 26-32.

21 G. Fanelli, E. Godoli, F. Bevilacqua (a cura di), Wenzel Hablik attraverso l’Espressionismo, Firenze, Centro Di, 1989.

22 G. Ricci, Hermann Finsterlin, Bari, Dedalo, 1982; G. Ricci, La cattedrale del futuro: Bruno Taut 1914-1921, Roma, Officina, 1982.

23 V. Gregotti, Architettura dell’espressionismo, in P. Chiarini, A. Gargano, R. Vlad (a cura di), Expressionismus: una enciclopedia interdisciplinare, Roma, Bulzoni, 1986, pp. 519-527.

(6)

pubblicazione da parte di autori italiani e stranieri di un omonimo volume

24

a più mani.

Paolo Portoghesi ha più recentemente evidenziato la discriminazione subita dai progettisti non inseribili in quel cammino di perfezionamento e tensione verso l’ideale architettonico e la purezza dell’artificio che è stato identificato dalla critica del Novecento nel funzionalismo, razionalismo, movimento moderno, affermando in un suo saggio che “la ragione della marginalità riservata a Bruno Taut nelle Storie dell’Architettura moderna scritte negli anni Cinquanta-Settanta, è dovuta proprio al fatto che egli, pur accettando la poetica del razionalismo, ha sempre cercato dei distinguo, non ha mai abbandonato quel filone che, forse ha proprio il suo massimo significato in questa volontà di continuare la Creazione, di porsi in risonanza, in continuità con una Natura intesa come qualcosa da cui l’uomo ha da imparare continuamente e la cui ricchezza di messaggi non potrà mai essere esaurita”

25

.

Agli anni Novanta risalgono anche gli studi su Poelzig

26

di Marco Biraghi

27

e quelli su Taut di Gian Domenico Salotti

28

, nonché vari saggi di Piergiacomo Bucciarelli su figure “minori” di architetti dell’ambiente berlinese ed espressionista.

Affronteremo ora brevemente anche la storia e la critica architettonica di lingua inglese, che ha prodotto numerosissimi contributi sull’architettura espressionista, con giudizi e interpretazioni discordanti. Sigfried Giedion nell’ormai storico

24 M. De Michelis [et al.] (a cura di), Espressionismo e Nuova oggettività: la nuova architettura europea degli anni Venti, Milano, Electa, 1994.

25 P. Portoghesi, Bruno Taut: architettura e natura, in G.D. Salotti [et al.], Bruno Taut, Der Weltbaumeister: l’interno e la rappresentazione nelle ricerche verso un’architettura di vetro, Milano, Angeli, 1998, p. 107.

26 Hans Poelzig (1869-1936), dopo un esordio eclettico nella chiesa di Maltsch del 1906, aderì alla Novembergruppe e al movimento espressionista. Di tale periodo si ricordano soprattutto i progetti per teatri a Berlino e Salisburgo, improntati a forme del mondo minerale rivisitate con libertà fantastica. In seguito Poelzig si dedicò a edifici industriali monumentali in una vena ormai razionalista.

27M. Biraghi, Hans Poelzig: architectura, ars magna, 1869-1936, Venezia, Arsenale, 1992;

M. Biraghi, Tradizione e utopia nell'architettura di Hans Poelzig, in “Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura. Facoltà di architettura di Genova”, 1, 1998, pp. 87-98.

28G.D. Salotti (a cura di), Bruno Taut: la figura e l’opera, Milano, Angeli, 1990; G.D. Salotti [et al.], Bruno Taut, Der Weltbaumeister: l’interno e la rappresentazione nelle ricerche verso un’architettura di vetro, Milano, Angeli, 1998.

(7)

manuale Space, time and architecture, uscito in inglese negli anni Quaranta

29

, liquidava l’espressionismo come qualcosa che “non può creare nuovi livelli di conoscenza essendo dovuto solo a un faustiano fiammeggiare contro un mondo nemico e all’urlo dell’umanità ferita”

30

, concludendo che “l’influenza espressionista non può essere salutare o rendere alcun servigio all’architettura”

31

.

Henry Russel Hitchcock e Reyner Bahnam intervennero sull’argomento alla fine degli anni Cinquanta, l’uno fornendo un quadro della questione nel suo Architecture: Nineteenth and Twentieth Centuries del 1958, l’altro con l’articolo The glass paradise apparso su “The architectural review” nel febbraio 1959

32

nel quale si mostra un apprezzamento per il ruolo pionieristico di Scheerbart e degli espressionisti nell’aver compreso l’importanza del vetro come materiale moderno;

l’anno seguente Banham pubblicò Theory and design in the first machine age, confermando interesse e simpatia verso gli architetti espressionisti e la loro attenzione all’individuo oltre che alla funzionalità.

Nel 1966 Dennis Sharp dedicò all’argomento il primo volume monografico in lingua inglese, dal titolo Modern architecture and Expressionism

33

, presentandolo come “non una storia, ma una valutazione di un’epoca attraverso gli occhi di un architetto praticante che sente che per molto tempo i classici libri sul movimento moderno in architettura hanno prodotto una visione distorta. Lo scopo è esplorare il mondo di quegli architetti che seguirono nel design una linea orientata dal romanticismo prima di divenire assorbiti dalla causa funzionalista”

34

. Sharp nella prefazione si schiera apertamente contro Giedion e riafferma con forza l’importanza dell’espressionismo nella storia dell’architettura.

Nikolaus Pevsner nel solito anno bollò gli espressionisti come “deviazionisti senza effetto”

35

, contribuendo a creare l’immagine del movimento espressionista in architettura come quella di una episodica esplosione di irrazionalità non legata,

29 La prima edizione americana fu del 1941. Trad. it. S. Giedion, Spazio, tempo e architettura, Milano, Hoepli, 1954.

30 S. Giedon, Space, time, architecture, Cambridge, Harvard University Press, 1949, p.418.

31 S. Giedon, Space, time, architecture, Cambridge, Harvard University Press, 1949, p.418.

32 Nuova edizione: R. Banham, The Glass Paradise, in J. Maud Richards, N. Pevsner, D. Sharp (a cura di), The anti-rationalists and the rationalists, Oxford, Architectural press, 2000, pp. 187-192.

33 D. Sharp, Modern architecture and Expressionism, London, Longmans, 1966.

34 D. Sharp, Modern architecture and Expressionism, London, Longmans, 1966, p. ix.

35 N. Pevsner, Architecture in our time, in “The listener”, 29, December 1966, p. 953.

(8)

se non per contrapposizione, all’arte precedente e (fortunatamente?) archiviata dal razionalismo e dal resto del movimento moderno.

Altrettanto impreciso risulta il parallelo condotto da alcuni storici tra la nuova architettura e la rivoluzione politica, perché, sebbene incoraggiato da alcune pose assunte dagli architetti espressionisti, non tiene conto della particolare posizione nella quale questi ultimi vollero porsi rispetto ad altre classi sociali. A dispetto di manifesti e proclami per la condivisione delle attività artistiche e dei loro prodotti, gli intellettuali espressionisti si sentivano infatti al di sopra della massa, proprio per la loro particolare genialità. Esisteva quindi una casta di illuminati che avrebbe dovuto avere il ruolo guida nelle trasformazioni sociali e rimanere in posizione particolare. Inoltre, per quanto vicine ad alcune istanze socialiste, la riforma agraria e l’organizzazione delle città giardino pensate dagli architetti espressionisti non contrastavano totalmente con la sopravvivenza del sistema capitalista, poiché puntavano soprattutto a migliorarne alcuni aspetti. Infine, nell’espressionismo si fronteggiarono spesso le due tendenze purista e sociale, per cui non si può dire che il movimento avesse precise velleità politiche, dato che molti suoi aderenti avrebbero sacrificato ogni impegno alla pura espressione dello spirito creativo. Le varie istanze si conciliarono parzialmente nel cosiddetto Attivismo, corrente di pensiero sposata anche da Taut, nella quale si auspicava che l’artista demiurgo guidasse la riforma sociale, in un protagonismo dello spirito illuminato

36

, in un’aristocrazia (tendente alla dittatura) della classe intellettuale, quindi ben lontano dall’accomunamento democratico che si è voluto leggere nell’affermazione sottoscritta dall’Arbeitsrat für Kunst “Arte e popolo devono formare un’unità”

37

. Si parla infatti qui di arte come “felicità e vita della massa”

38

, ma non si dà per scontato che artista e popolo possano stare sul solito piano.

36 Per approfondimenti cfr. I. Boyd Whyte, Politics of expressionist architecture, in “Architectural Association Quarterly”, 12, 3, 1980, pp. 11-17; I. Boyd Whyte, Bruno Taut and the architecture of activism, Cambridge, Cambridge University Press, 1982.

37 Arbeitsrat für Kunst, Programme, December 1918, in “Mitteilungen des deutschen Werkbundes”, 4, 1918, p. 14.

38 Arbeitsrat für Kunst, Programme, December 1918, in “Mitteilungen des deutschen Werkbundes”, 4, 1918, p. 14.

(9)

Appare quindi poco corretta anche l’identificazione tout court dell’Arbeitsrat für Kunst con un Soviet bolscevico

39

.

A riportare ordine in ambito anglofono su alcune questioni politiche, filosofiche e architettoniche riguardanti l’attività di Taut e compagni, è stato, come accennato, con metodo storico e una ricerca approfondita in terra tedesca, Iain Boyd Whyte, cui si deve al momento la più copiosa produzione critica e attività scientifica sul nostro tema, con traduzioni dei suoi scritti in varie lingue.

Quanto all’ambito tedesco, appare oltremodo difficoltoso tentare qui una sintesi di una produzione vastissima in ambito critico riguardo all’espressionismo architettonico, vista la vastità della bibliografia che, a partire dai contemporanei all’avanguardia, ha affrontato il tema. Sarà dato conto di alcuni fondamentali contributi man mano che si affronteranno questioni specifiche, ricordando ora solo un classico tra i manuali dedicati all’architettura espressionista, il celebre Die Architektur des Expressionismus di Wolfgang Pehnt

40

, il quale ha pubblicato numerosi interventi su protagonisti del movimento, teoria e disegni.

II.2 Immagini con testi didascalici: un nuovo genere.

Gli architetti

41

espressionisti scelsero di comunicare le proprie idee in forma di:

volantini

42

, proclami

43

, resoconti

44

, lettere riservate

45

ad una cerchia di eletti, oppure articoli

46

pubblicati su giornali d’avanguardia quali Der Sturm e Frühlicht, singoli disegni e infine libri che raccoglievano immagini e testi.

39 Cfr. I. Boyd Whyte, Politics of expressionist architecture, in “Architectural Association Quarterly”, 12, 3, 1980, p. 11.

40 Wolfgang Pehnt, Die Architektur des Expressionismus, Stuttgart, Hatje, 1973.

41 Si ricorda anche il contributo alla riflessione sulla nuova architettura dato da Paul Scheerbart come letterato nei suoi romanzi.

42 Si devono menzionare in particolare il volantino Ein Architektur-Programm di Bruno Taut, stampato a Natale del 1918 (Ant. V) e il volantino che accompagnava la mostra degli architetti sconosciuti organizzata dall’ Arbeitsrat für Kunst e tenutasi nell’aprile 1919 al Gabinetto grafico Neumann di Berlino, con la triplice firma di Gropius, Taut e Behne (Ant. III).

43 Si segnala il testo Ruf zum Bauen. Zewite Buchpublikation des Arbeiterrats für Kunst, Berlin, Wasmuth, 1920. Si trattò di un appello al costruire nel senso di dar forma alla cultura del tempo, non semplicemente edificare.

44 Ne è esempio il documento prodotto dall’Arbeitsrat für Kunst dopo un’inchiesta tra i suoi membri e pubblicato nel novembre 1919 a Berlino col titolo Ja! Stimmen des Arbeitsrates für Kunst in Berlin (Ant. I).

45 Ricordiamo qui nuovamente la corrispondenza della Gläserne Kette.

46 Tra i quali anche novelle e copioni per film.

(10)

Se i precedenti trattati d’architettura contenevano tavole illustrative di concetti rigorosamente teorizzati dall’autore, Bruno Taut crea un nuovo genere di pubblicazione. Pur potendo riconoscere ne I cinque ordini di architettura del Vignola un antecedente di questa forma comunicativa per delle proposte architettoniche, presentate tramite immagini e brevi didascalie, i testi di Taut hanno un valore più evocativo che normativo. La sequenza narrativa di immagini corredate da brevi didascalie conduce il lettore all’interno della poetica espressionista.

La scelta di modi di rappresentazione e tecniche del disegno

47

varia da opera ad opera.

Taut rifiuta la prospettiva come “scelta filosofica di ordinamento dello spazio”

48

e presenta in Alpine Architektur (Figg. 90-95) delle vedute d’insieme non prospettiche, senza un punto di vista predeterminato. Inoltre, tranne la carta della Pianura Padana e delle Alpi, non ci sono proiezioni orizzontali o verticali e tutte le immagini, seppur con una grafia precisa, attengono maggiormente al repertorio degli schizzi d’architettura che non a progetti.

Secondo Borsi e König “i disegni di Taut non sono in un certo senso né brutti né belli. Non sono disegni che abbiano una grafia particolarmente esaltante; ma sono piuttosto di una indicatività esauriente e qualche volta modesta, ma essi sono integrati con le didascalie. Queste didascalie non sono, come potrebbe sembrare a prima vista, semplicemente delle note aggiunte a chiarimento del disegno. Esse sono delle specie [sic] di poesie a metro libero, che utilizzano gli spazi marginali dell’immagine. In esse il capoverso ha un qualche significato, sottolinea la parola che è chiave di certo tema. Siamo così alle soglie della poesia visiva dove espressionisticamente grafia e parola si incontrano e collaborano”

49

.

Si dovrà comunque ricordare che uno degli obiettivi di Taut era quello di sommuovere gli animi, avviare una riflessione, proporre una nuova architettura corrispondente ad una nuova società, e come in tutte le pubblicazioni utopiche

47 Per un breve contributo sul disegno d’architettura espressionista si veda W. Nerdinger, De l’épure baroque a l’axonométrie: l’évolution du dessin d’architecture en Allemagne, in Images et imaginaires d’architecture: dessin, peinture, photographie, arts graphiques, théâtre, cinéma en Europa aux XIXe et XXe siècles, Paris, Centre Pompidou, 1984, p.40.

48 L. Capaccioli, Bruno Taut: visione e progetto, Bari, Dedalo, 1981, p. 26.

49 F. Borsi, G.K. König, Architettura dell’espressionismo, Genova, Vitali e Ghianda, 1967, p. 73.

(11)

contano forse più gli ideali presentati che il modo concreto di metterli in atto, per cui nei testi teorici di Taut non ci si devono attendere indicazioni precise su come costruire, né tanto meno disegni progettuali traducibili immediatamente in edifici veri.

Anche Die Auflösung der Stadte (Figg. 96-101) segue lo stile di Alpine Architektur nella presentazione delle idee tramite grandi immagini e brevi testi didascalici.

In Die Stadtkrone (Figg. 102-105) Taut immagina una planimetria generale circolare attraversata da grandi arterie che delimitano nel loro incrocio l’area centrale dove deve sorgere l’edificio focus della città. Di questo presenta “una pianta, il prospetto ovest e quello est, una veduta da est, una prospettiva di paesaggio, una assonometria elementare della pianta [sic], una veduta prospettica ravvicinata”

50

. Tali disegni rievocano normali impianti urbanistici basati su simmetria e staticità, ma nell’insieme hanno il carattere di appunti.

Avvicinandosi nel suo iter all’arte totale, all’opera d’arte assoluta, Taut, dopo il connubio tra immagine e parola di alcuni volumi precedentemente menzionati, stampati in poche copie, affida alla sceneggiatura del dramma architettonico per musica sinfonica Der Weltbaumeister (Figg. 106-111) il compito di raggiungere un pubblico più vasto. Si potrebbe interpretare l’opera teorico-grafica di Taut alla luce di questa incursione nel mondo del teatro, concludendo che volumi come Alpine Architektur siano da considerarsi un nuovo genere di testo architettonico intermedio tra la letteratura tecnica e quella fantastica, tra la trattatistica e la narrativa nel presentare l’utopia dinamicamente, come un racconto, non per modelli schematici ma con immagini evocative che lasciano spazio a mille diverse realizzazioni. Pubblicazioni di questo tipo potevano con la loro forza comunicativa stimolare il lettore ad aderire alla visione delineata dall’architetto guida, la cui creatività voleva coinvolgere cosmicamente uomini e cose.

Scrivendo e disegnando testi del genere non veniva forse fissata su carta

“l’architettura espressionista” come qualcosa di dato, definibile, tangibile, ma si sottolineava soprattutto la sua valenza innovativa e si valorizzava il processo ideologico che stava alla base dell’operare di Taut e dei suoi colleghi.

50 L. Capaccioli, Bruno Taut: visione e progetto, Bari, Dedalo, 1981, p. 32.

(12)

II.3 La città nelle opere di Paul Scheerbart.

L’intera opera letteraria di Paul Scheerbart è pervasa di riferimenti all’architettura e alla città di domani.

Il saggio Berlins architektonische Plastik

51

del 1893 affronta il tema della policromia nelle facciate degli edifici e mostra l’incondizionata approvazione di Scheerbart per l’uso del colore in architettura nel rendere la città più vivace.

Nel 1900 Rakkox der Billionaer: ein Protzenromanz

52

critica il militarismo dell’età guglielmina e il capitalismo al suo servizio, per proporre un impiego pacifico delle ricchezze nell’impresa di costruire città, tema, come vedremo, ripreso da Taut in Alpine Architektur.

Nel 1904 il romanzo Der Kaiser von Utopia

53

testimonia il desiderio di pittori, scultori e architetti di dar vita ad un nuovo modo di abitare, contrastando con forza, fino a dargli del pazzo, chi non si fa travolgere dall’utopia.

Saranno gli anni Dieci del Novecento a vedere i contributi più significativi di Scheerbart alla ideazione della città del futuro.

Nella novella Transportable Städte

54

del 1909 egli finge un’intervista con un architetto americano costruttore di città mobili, su commissione di un gruppo di cinquanta milionari. Si presenta un progetto di una città completa di cento case realizzate con tre camion e trecento auto, montabile in mezz’ora e rispondente all’esigenza moderna di massima mobilità. Il solito architetto statunitense protagonista della suddetta novella appare anche nel racconto Die Stadt auf Reisen

55

. In questo caso, il progetto per una città viaggiante si è ampliato notevolmente, trasformandosi in un abitato di mille case formate da tremila auto.

Appare la figura di un mecenate, ricco ma incolto, un tale Mr. Schmidt che si propone di sponsorizzare il lavoro dell’architetto, ma tenta tuttavia di forzarlo a soluzioni più convenzionali per il municipio e le strade. A tale proposta, l’architetto, sdegnosamente, risponde con l’abbandono del cantiere e la ricerca di

51 P. Scheerbart, Berlins architektonische Plastik, in M. Reymond e L. Manzel, Berliner Pflaster.

Illustrierte Schilderungen aus dem Berliner Leben, Berlin, Pauli, 1893, pp. 60-65.

52 P. Scheerbart, Rakkox der Billionaer: ein Protzenromanz, Berlin, Schuster & Loeffler, 1900.

53 P. Scheerbart, Der Kaiser von Utopia: ein Volksroman, Gr.-Lichterfelde, Eisselt, 1904.

54 P. Scheerbart, Transportable Städte, in “Gegenwart”, 76, 9-10-1909, p. 762.

55 P. Scheerbart, Die Stadt auf Reisen, in “Das Blaubuch”, 5, 29-9-1910, pp. 929-932.

(13)

un patrono più comprensivo nell’est asiatico, sottolineando come non si debba scendere più a compromessi nell’impresa di rinnovare il volto della città.

Un insediamento sul mare appare nella novella Das Ozeansanatorium für Heukranke

56

, che uscì nel 1912. Un ospedale galleggiante, come una piccola realtà cittadina sparsa su varie isolette, viene progettato per la cura e la salvezza di malati che non possono soggiornare sulla terraferma e consiste di padiglioni di cristallo colorato e illuminato, con riscaldamento e aria condizionata tra le loro doppie pareti in vetro.

Per i sofferenti di nervi, disturbati a causa dell’intenso viaggiare degli aeroplani, Scheerbart propone, in un racconto del 1909 intitolato Das Luft- Sanatorium

57

, una terapia d’urto con il confronto diretto dei pazienti con la realtà aerea, grazie alla realizzazione di un sanatorio volante. Nel testo Aviatik und Baupolizei

58

parla invece dell’imminente sostituzione dell’auto con l’aereo, come mezzo di trasporto personale più diffuso, e della necessità di creare piste di atterraggio nel centro delle città. Scheerbart sceglie come esempio la capitale Berlino, suggerendo come inizio simbolico dei lavori di adeguamento al traffico aereo l’Alexanderplatz, realizzando un nuovo tetto piano sulla caserma della polizia per poi proseguire con le modifiche alle coperture di altri edifici nel centro cittadino. Si profila così una città-aeroporto.

Prevedendo, nel pamphlet del 1909 Die Entwicklung des Luftmilitarismus und die Auflösung der Europäischen Land-Heere, Festungen und Seeflotten

59

, che l’aereo sarebbe divenuto anche uno dei principali mezzi da combattimento, Scheerbart suggerisce, nel medesimo anno, una soluzione di difesa strategica delle città da attacchi dell’aviazione, proponendo, nell’articolo Dynamitkrieg und Dezentralisation

60

, la dispersione dei grandi centri abitati in piccole città giardino.

Poiché le grandi concentrazioni urbane costituivano un facile bersaglio e tutto sommato, per Scheerbart, erano solo un luogo di miseria e ingiustizia sociale, la

56 P. Scheerbart, Das Ozeansanatorium für Heukranke, in “Der Sturm”, 123-124, Agosto 1912, pp.

128-129.

57 P. Scheerbart, Das Luft-Sanatorium, in “Gegenwart”, 76, 18-10-1909, pp.781-782.

58 P. Scheerbart, Aviatik und Baupolizei, in “Gegenwart”, 76, 7-8-1909, p. 582.

59 P. Scheerbart, Die Entwicklung des Luftmilitarismus und die Auflösung der Europäischen Land- Heere, Festungen und Seeflotten, Berlin, Oesterheld, 1909.

60 P. Scheerbart, Dynamitkrieg und Dezentralisation, in “Gegenwart”, 76, 27-11-1909, pp. 905- 906.

(14)

loro dissoluzione sarebbe stata un beneficio ed una risposta nonviolenta che fermasse con l’astuzia eventuali assalti via cielo alle città tedesche.

La visione profetica della dissoluzione della città, nel senso più vicino a quello datogli poi da Bruno Taut, appare anche negli scritti di Scheerbart, in particolare in un articolo del 1910 intitolato Die Entwicklung der Stadt

61

. Qui il poeta testimonia la sua sfiducia nella sopravvivenza della metropoli come modello insediativo, nato ed esistito in fondo solo da tempi recenti, un centinaio d’anni, e destinato come tutte le realtà a scomparire col tempo. Scheerbart prevede uno spopolamento del centro città a favore di aree periferiche con parchi verdi e struttura abitativa simile a quella delle città giardino. A sostegno delle sue tesi invoca e chiama a riunirsi in un congresso gli psichiatri di tutto il mondo, per dimostrare il rischio per la salute mentale costituito dal traffico caotico e per chiedere ai governi, con la forza del loro autorevole parere medico, di scoraggiare la vita in città e di tassare i mezzi di trasporto per ridurre il traffico.

Nel 1913 Scheerbart pubblica Der Architektenkongress. Eine Parlamentsgeschichte

62

, una novella in cui immagina un congresso mondiale di architetti e amministratori per la costruzione di edifici di vetro nelle loro rispettive regioni. Ognuno esprime perplessità e vantaggi dell’impiego dell’architettura in vetro colorato, mentre gli avvenimenti sono contornati dalla promessa di diventare architetto fatta da un giovane al padre, unica via per conseguire celebrità nel ventesimo secolo, così come nell’Ottocento si poteva divenire famosi come ingegneri. Tale inciso di un dibattito familiare denota la convinzione di Scheerbart dell’importanza dell’architettura nella società moderna.

Al 1914 risalgono due importanti volumi: Glasarchitektur

63

e Das graue Tuch

64

.

In Glasarchitektur (Ant. IV), con uno stile aforistico, Scheerbart mostra di saper integrare i suoi valori e la sua cultura letteraria romantica con le necessità e le opportunità del mondo moderno, confidando che l’architettura sia il mezzo con

61 P. Scheerbart, Die Entwicklung der Stadt, in “Gegenwart”, 77, 18-6-1910, pp. 497-498.

62 P. Scheerbart, Der Architektenkongress. Eine Parlamentsgeschichte, in “Berliner Tageblatt”, Giugno 1913, ristampato in “Frühlicht” 1, autunno 1921, trad it. in Frühlicht 1920-1922: gli anni dell’avanguardia architettonica in Germania, Milano, Mazzotta, 1974, pp. 96-98.

63 P. Scheerbart, Glasarchitektur, Berlin, Der Sturm, 1914.

64 P. Scheerbart, Das graue Tuch und zehn Prozent Weiss: ein Damenroman, München, Müller, 1914.

(15)

cui esso si rinnovi. Nel volume egli esprime più volte la fiducia che il diffuso impiego del vetro colorato in edilizia

65

possa trasformare spiritualmente e concretamente la civiltà contemporanea: “Scheerbart proclama che la cultura è creata dall’architettura. Crede in una diretta connessione tra il mondo interno dell’individuo e l’esterno. Conseguentemente, la struttura formale del circondario di una persona può effettivamente produrre un cambiamento nel pensiero”

66

. Scheerbart oscilla tra una fiducia nella tecnologia costruttiva moderna che può rendere tangibili tali cambiamenti, e l’ironia e un certo distacco da alcune delle sue proposte più utopiche. Eppure, durante l’esposizione del Werkbund a Colonia nel medesimo anno, Hermann Muthesius con il progetto per il padiglione Farbeschau, nel quale si propose di esibire “colori veri” (Echtfarben) immutabili sotto ogni sorgente luminosa, e Bruno Taut con il Glaspavillon (Figg. 112-115), ornato dai motti di Scheerbart

67

sul cristallo, mostravano l’uno la fiducia degli architetti in questo nuovo materiale da costruzione e l’altro quella negli stimoli positivi che poteva indurre negli abitanti, così come sosteneva Scheerbart.

Dal primo esempio citato di architettura in vetro, il padiglione del giardino botanico di Berlin-Dahlem, al percorso storico che egli fa compiere al lettore tra ornamenti moreschi, vetrate delle cattedrali gotiche, arti decorative nell’era dello Jugendstil, fino alle proposte più ardite di convergenza tra luce e vetro nell’edificazione di moderni hotel sulle Alpi, Scheerbart ribadisce il suo concetto fondamentale: il beneficio arrecato all’umanità dall’architettura di cristallo colorato, che trasformerà anche le singole abitazioni in cattedrali dello spirito purificato. Per le case esistenti, il poeta si accontenta di proporre passi graduali verso l’adeguamento all’ambiente di cristallo, affiancando loro verande, padiglioni sui tetti e chioschi nei giardini. Vetro, luce e acqua sono gli elementi

65 Dopo il successo ottocentesco e dei primi del Novecento delle architetture effimere in ferro e vetro (padiglioni espositivi, serre), nonché l’impiego di questi materiali dapprima in nuove tipologie edilizie (stazioni ferroviarie ad esempio), in seguito in costruzioni pubbliche, con l’espressionismo il vetro strutturale acquista una sua speciale importanza, sia per edifici collettivi che residenziali, precorrendo le scelte compiute poi in alcuni importanti progetti dell’architettura novecentesca e di quella a noi contemporanea.

66 R. H. Bletter, Paul Scheerbart’s architectural fantasies, in “Journal of the Society of Architectural Historians”, XXXIV, Maggio 1975, p. 87.

67 Scheerbart conobbe nel 1913 Taut grazie a Gottfried Heinersdorf, capo di una vetreria che collaborò con Taut a Colonia per l’esposizione del Werkbund. Desideroso di fondare una Società dell’architettura di vetro, dedicò a Taut il suo libro, mentre Taut gli dedicò il padiglione di Colonia, inserendovi alcune frasi del poeta.

(16)

che, grazie a riflessione e rifrazione, rinforzano l’uno con l’altro le piacevoli sensazioni ambientali della nuova architettura e per Scheerbart si dovranno dotare i nuovi edifici di mosaici e fontane, così come fece Taut nel padiglione di Colonia. Paragrafi specifici sono poi dedicati alle architetture trasportabili, su strada o acqua, e agli aeroporti, nei quali l’illuminazione artificiale permette finalmente un traffico ininterrotto anche in orari notturni.

Nell’altro romanzo del 1914, Das graue Tuch und zehn Prozent Weiss: ein Damenroman, si narra il viaggio dell’architetto Krug in aeronave, assieme alla moglie Clara, pianificando la costruzione di grandiosi edifici di cristallo in paesi lontani, per diffondere ovunque la cultura del vetro. Krug erige un centro per mostre e congressi a Chicago, un complesso per aviatori a riposo nelle isole Fiji, una ferrovia aerea che attraversa un parco zoologico in India, una villa residenziale nelle isole Kuria Muria e un museo di armi orientali a Malta

68

. Tutte le costruzioni sono in vetro colorato e Krug, con la collaborazione della moglie che accetta di vestire solo di grigio all’interno di essi, per non contrastarne l’atmosfera già sufficientemente vivace, sembra mettere in pratica molti accorgimenti che Scheerbart aveva suggerito in Glasarchitektur.

Come espresso dalla critica

69

, Scheerbart in questo volume si muove tra visione e ironia, tra la fantascienza e la poesia di un intellettuale capace al contempo di suggerire nuove idee e toccare i sentimenti umani.

Nel libro Das graue Tuch egli affronta anche la tematica dell’importante contributo femminile nell’andare incontro al progresso

70

, esemplificata nel ruolo di Clara Krug, che appare non solo come un mero “oggetto” ornamentale o una figura mortificata nella sua femminilità dall’impiego di colori mascolini, come

68 Scheerbart descrive luoghi dove egli non si è mai recato, sulla scia della letteratura orientalista- esotica romantica tedesca, così come Schlegel e Goethe scrissero dell’Oriente senza mai aver lasciato l’Europa.

69 Cfr. J. A. Stuart (a cura di), The grey cloth: Paul Scheerbart’s novel on glass architecture, Cambridge, MIT press, 2001, XXV-XXVI.

70 Argomento già trattato in P. Scheerbart, Der Lichtklub von Batavia. Eine Damennovellette, in

“Die kritische Tribune”, 1, 1912, pp. 5-7.

Qui uno dei personaggi femminili dice: “Non abbiate paura troppo presto. Uno diventa

invariabilmente timoroso troppo velocemente. Questo non è segno di coraggio. Noi donne siamo meno paurose. Perciò anche noi, dal canto nostro, portiamo un po’ di progresso alla storia universale. Che cosa sarebbe il mondo intero se con ci fosse il coraggio delle donne?” Cit. in J. A.

Stuart (a cura di), The grey cloth: Paul Scheerbart’s novel on glass architecture, Cambridge, MIT press, 2001, XXXIII.

(17)

potrebbe sembrare ad una lettura superficiale del suo personaggio, ma quale artista essa stessa nel lanciare col marito la nuova moda di vestire in grigio per fare da giusto pendant all’architettura colorata.

II.4 La città nelle opere di Bruno Taut.

Il tema urbano è pressoché onnipresente nell’opera teorica di Bruno Taut. Da un primo momento utopico egli passerà ad un momento politico, il momento della realizzazione, facendo i conti con la realtà metropolitana e divenendo uno dei più importanti costruttori di Siedlungen, nelle quali ancora tentare un cambiamento sociale oltre che urbanistico.

Taut, fin dal 1914, sulle colonne di Der Sturm, come abbiamo visto, e con la realizzazione del padiglione in vetro per l’esposizione del Werkbund a Colonia, delinea il modello dell’edificio che dovrà caratterizzare la città nuova, essere il suo fulcro, divenirne il simbolo: la costruzione in cui il popolo, conscio di essere una comunità di uomini liberi, riconosca se stesso e il suo domani. Taut parla di cattedrale del futuro, casa del sapere, casa del popolo quasi come sinonimi, e tale edificio andrà a prendere il posto che gli spetta, quello sopraelevato su tutte le altre costruzioni, come coronamento della città.

Nel 1919 Taut diede alle stampe Die Stadtkrone (Ant. VII), libro pensato durante la prima guerra mondiale e dedicato alla definizione di una città ideale, come sempre luogo di un rinnovamento sociale e spirituale. Come implicito nel titolo, il fulcro della città è un grande edificio che la domina dall’alto come un tempio. Tale costruzione doveva essere una casa di cristallo, simbolo delle aspirazioni trascendenti della popolazione cittadina.

Tema della cattedrale perduta, invocazione del ristabilirsi di un’unità spirituale e di uno sforzo collettivo rivelano probabili influenze

71

da parte del testo di Hendrik Petrus Berlage

72

L’arte e la società, più volte scritto e riveduto tra 1909-

71 Vedi anche E. Godoli, Il mito gotico nell’architettura dell’espressionismo. La cattedrale perduta, in R. Bossaglia e V. Terraroli (a cura di), Il neogotico nel XIX e XX secolo, Milano, Mazzotta, 1989, pp. 372-374.

72 Hendrik Petrus Berlage (1856-1934), architetto e urbanista olandese, studiò a Zurigo e visse per alcuni anni a Francoforte. Rientrato in patria, realizzò numerosi edifici e interventi urbanistici ad Amsterdam, l’Aia, Rotterdam, Utrecht.

(18)

1914. Evidenti divergenze separano tuttavia i due architetti nell’assegnazione del ruolo di chi dovrà costruire il tempio (la volontà dell’architetto-guida per Taut, la comunità tutta come suo destino per Berlage) e nella considerazione della civiltà urbana, ripudiata da Taut e compagni e ammirata da Berlage nel modello delle metropoli americane, viste come unità democratica dove sorgono cattedrali del lavoro, i grattacieli.

Il volume Die Stadtkrone è composto da due estratti di un romanzo di Paul Scheerbart e due testi inediti di Erich Baron (Ant. VII) ed Adolf Behne, ma il cuore dell’opera è costituito dall’omonimo intervento di Taut. Sono inoltre presenti numerose illustrazioni di “corone di città antiche” (in numero di circa 40) e edifici significativi nei contemporanei panorami urbani.

L’immagine di città che Taut mostra nel suo contributo è quella di una comunità coesa socialmente e architettonicamente. Dopo un excursus sull’importanza dell’architettura, sulla città antica inimmaginabile senza un focus e tutto quello che esso rappresenta, sul problema della mancanza di caratterizzazione della città moderna, che gli appare come un busto senza testa, un agglomerato di case e uomini senza un centro, Taut evidenzia la necessità di una bandiera sotto le cui file serrarsi, di un’ideologia ed un edificio che la rappresenti.

Egli infatti individua chiaramente uno dei problemi maggiori della metropoli moderna, causa della perdita della forma della città, ovvero la “perdita di centro”.

Manca un’idea generale da esporre mediante la strutturazione dello spazio urbano e , poiché esiste una relazione diretta tra città nella sua impostazione formale e società che in essa vive, la perdita del centro per Taut è indice di problemi ben più gravi della sola mancanza di una luogo fisico, di una costruzione. Si entra così nel merito della città nuova e della Stadtkrone, rigorosamente in vetro con tutti i significati simbolici che tale materiale aveva per gli espressionisti. Tale edificio, attorniato da altri che servono alla cultura, allo sport, alla scienza, a tutte le attività pacifiche che rendono migliore la vita dell’uomo, assume quindi un significato antimilitarista e di protesta contro il contemporaneo conflitto mondiale.

La planimetria della città è costituita da un cuore centrale pubblico e da una

serie di abitazioni lottizzate, più basse nel profilo, a ricordare i disegni delle città

(19)

medievali che illustrano questo saggio, cittadine in cui la silhouette degli edifici, s’innalza improvvisamente dalle zone profane al luogo sacro, la cattedrale.

Taut sottolinea come la sua sia soprattutto una proposta, uno stimolo teorico aperto poi a concretizzarsi in mille modi diversi, e non dà particolari sulla modalità di esecuzione dell’opera, se non un preventivo delle spese, una stima in milioni di marchi. Non pare esserci niente di nuovo nei singoli elementi architettonici, le case forse potevano essere quelle progettate per le città giardino prima della guerra, non si danno indicazioni sugli edifici industriali. Un ultimo paragrafo presenta le nuove ricerche per un coronamento della città e cita esplicitamente vari casi, tra i quali il monumento Pantheon dell’umanità di Berlage, criticato perché decorato con immagini simboliche ma non sufficientemente capace di divenire patrimonio collettivo, parte manifesta della sensibilità popolare.

Nel 1918 Taut lavorò alla serie di disegni che saranno anch’essi pubblicati nel 1919 col titolo Alpine Architektur, nei quali si propose addirittura un rifacimento della superficie terrestre, tramite progetti di edifici cristallini che cambiano il paesaggio naturale delle Alpi e si estendono in vaste aree al di là dei confini nazionali. I suoi schemi assumono accenti fanciulleschi, abbinati a toni grandiosi e prospettive cosmiche, e non sono volti ad un’effettiva attuazione. Ciò che a Taut interessa in questa proposta anarchica di rifacimento del mondo e della natura è il raccogliere i popoli europei in un gesto pacifista di ricostruzione, impiegando forze e denari in maniera migliore che nel recente conflitto mondiale (Ant. VIII).

Nell’esperienza di Taut, la tecnologia era stata usata soprattutto in vista di un’efficiente distruzione, mentre uno sforzo collettivo di valorizzazione dell’ambiente in cui l’uomo è posto a vivere avrebbe significato senz’altro una comunione spirituale e una collaborazione pacifica sul modello dei grandi cantieri medievali. Le case sulle Alpi non si dovevano concentrare in nuclei cittadini ma andare a costituire una rete abitativa transnazionale, primo passo verso la dissoluzione della grande città come modello insediativo.

Costruire cattedrali di cristallo e edifici fantastici sulle Alpi poteva sembrare

una inutile impresa, ma Taut domanda polemicamente se l’utile abbia mai portato

felicità, visto che le tecnologie più avanzate avevano ultimamente prodotto

(20)

praticità e utilità “ma anche cannoni, bombe ed arnesi per uccidere!” L’intento dell’architetto è quello di rispondere alla tragedia della distruzione con il più grande impegno collettivo alla costruzione che possa esser stato concepito in Europa, suggerendo il socialismo come via alla pace paneuropea.

La prima suggestione che Taut ha raccolto per impostare Alpine Architektur forse proviene dal romanzo di Scheerbart Rakkox der Billionaer: ein Protzenromanz

73

il cui protagonista, un ricco stanco del mondo e delle sue vanità, investe tutti i suoi averi non per trarne altro profitto, ma per costruire sulle Ande edifici con terrazze e giardini.

Il libro di Taut è articolato in cinque parti ed è costituito essenzialmente da tavole con un breve testo. Il titolo Alpine Architektur deriva dalla sezione centrale del volume con l’omonimo capitolo, in una progressione di cinque contributi dall’architettura del cristallo a quella stellare, la minima e massima unità dell’abitare. I capitoli parlano infatti rispettivamente di architettura in cristallo

74

(Cristallhaus), architettura della montagna da un punto di vista fisico-morfologico (Architektur der Berge), poi si passa alla costruzione sulla montagna (Alpenbau), all’intera crosta terrestre (Erdrindenbau) e alle architetture stellari nel cosmo

75

(Sternbau).

Tale graduale spostamento dell’architettura dalla Terra al cielo fu una mossa di Taut per “liberarla dalla quotidianità e dalla tradizione mondana”

76

, secondo quanto testimoniò Adolf Behne. La città sulle Alpi, vicina e integrante la natura, è quanto di più diverso Taut potesse proporre dalla Groszstadt, la metropoli che artisti e poeti vedevano solo come luogo di morte e corruzione: “natura assoluta, le Alpi diventano, nei disegni di Taut, architettura assoluta”

77

. Sulle Alpi si può esprimere la vera vocazione dell’uomo, la costruzione e la creazione artistica,

73P. Scheerbart, Rakkox der Billionaer: ein Protzenromanz, Berlin, Schuster & Loeffler, 1900.

74 Anche riguardo questo argomento, strettissimi sono i legami con l’opera di Scheerbart, in particolare con la sua Glasarchitektur del 1914.

75 Di nuovo si ritrovano citazioni di Scheerbart, soprattutto nella tavola 28 in cui il testo che commenta il sistema planetario costituito da sfere, cerchi, ruote riproduce il testo Das Perpettum Mobile: die Geschichte einer Einfindung, pubblicato da Scheerbart nel 1910 a Lipsia presso l’editore Rohwolt. Cfr. Jean-Louis Cohen, Introduction, in B. Taut, Architecture alpine en cinq parties et trente dessins, Paris, Editions du linteau, 2005, p. VIII.

76 Cfr. cit. di A. Behne in K. Junghanns, Alpine Architektur: un lascito particolare, in G.D. Salotti (a cura di), Bruno Taut: la figura e l’opera, Milano, Angeli, 1990, p.134.

77 V. Ugo, L’Alpine Architektur di Bruno Taut o “la Terra come buona dimora”, in G.D. Salotti (a cura di), Bruno Taut: la figura e l’opera, Milano, Angeli, 1990, pp.164-165.

(21)

quasi più essenziali al benessere che la fisiologica sopravvivenza, così come Taut sostiene nel motto iniziale dell’opera “Aedificare necesse est, vivere non est necesse”.

Al 1920 risale la pubblicazione di Die Auflösung der Städte, un testo i cui contenuti erano stati in parte anticipati nell’articolo

78

di Bruno Taut Die Erde eine gute Wohnung, in Die Volkswohnung del 24/2/1919 (Ant. VI). In tali contributi egli invocava una riforma sociale basata sul ritorno alla terra, basandosi tuttavia non sul comunismo di Marx ed Engels e sul ruolo del proletariato industriale in tale rivoluzione, quanto piuttosto sulle teorie di Proudhon

79

, Kropotkin

80

e Landauer

81

. Il comando di questi cambiamenti sociali doveva risiedere nelle mani dell’artista illuminato.

Il ristabilirsi della democrazia parlamentare dopo la repressione dei moti spartachisti di estrema sinistra e la firma del trattato di Versailles, che costrinse la Germania a cedere ingenti giacimenti minerari e gran parte della flotta mercantile, indussero Taut a pensare ad un futuro senza grandi agglomerati industriali né una classe operaia capace di guidare il paese. L’autogoverno di piccole comunità e l’autarchia vengono da lui intraviste come la miglior strada possibile per il futuro.

L’urbanista espressionista rigetta la città tradizionale, ne invoca la fine apocalittica, in nome di un ritorno alla natura giocato sulla contrapposizione tra la città di pietra e le piccole comunità agresti, disegnate quasi fossero anch’esse frutti del suolo, con le case in raggruppamenti a forma di petalo o di microrganismi cellulari. Taut proclama: “Lasciate crollare le costruite volgarità!

Case di pietra fanno cuori di pietra. Ora la nostra terra inizia a fiorire!”

82

.

E’ la Terra che partorisce le città, come fiori, in modo naturale, mentre le vecchie metropoli si imponevano con prevaricazione da parte degli uomini sulla natura. La città nuova si inserisce nel territorio organicamente, rispetta il luogo naturale. Tutto ciò esige ed implica una trasformazione sociale e Taut inserisce nel

78 B. Taut, Die Erde eine gute Wohnung, in “Die Volkswohnung”, I, 4, 24/2/1919, pp. 45-48.

79 Pierre Joseph Proudhon (1809-1865) teorico socialista, partecipe dei moti del 1848. Auspicò la condivisa proprietà dei mezzi di produzione per i lavoratori, in un sistema che conciliasse capitale e lavoro, libertà individuale e rapporto sociale.

80 Petr Alekseevic Kopotkin (1842-1921), antropologo e zoologo russo rivoluzionario e anarchico.

81 Gustav Landauer (1870-1919), politico e ideologo, tra i promotori della repubblica consiliare bavarese del 1919 fu ucciso in carcere dopo la repressione del moto rivoluzionario.

82 B. Taut, La dissoluzione delle città oppure la terra una buona abitazione oppure anche la via all’architettura alpina, Faenza, Faenza editrice, 1976, p. 5.

(22)

suo volume un’antologia di citazioni di filosofi e scrittori che criticano i vecchi poteri costituiti: Landauer, Kropotkin, Nietzsche, Lenin, Engels, Novalis, Hölderlin, Tolstoi, Scheerbart, etc.

Il volume è composto da trenta tavole con didascalie, disegno e testo hanno un legame paritetico così come parole e musica nel melodramma wagneriano. Anche in questo volume, così come in Alpine Architektur, c’è una progressione dal finito all’infinito. Se, nelle prime tavole, si propone la forma di una comunità agricola e dei centri di attività primaria, si parla di argomenti terreni come traffico e case di abitazione, non appena si giunge a descrivere lo spazio della vita collettiva o spirituale, dalla casa del popolo al tempio di cristallo in forma di stella, la realtà della nuova comunità viene messa in relazione con le stelle del cielo. Si ripresentano poi temi cari a Taut, quali edifici simbolici sulla scia della corona della città ed accenni all’architettura alpina, esplicitamente citata nella didascalia della ventottesima tavola. La conclusione del testo è fiduciosa nella possibilità di costruzione della città utopica, tramite il contributo di tutti.

Parallelamente al ciclo di opere fantastiche del 1919-1920 (Die Stadtkrone, Alpine Architektur e Die Auflösung der Städte), Taut concepì un ciclo di progetti e scritti per la rappresentazione scenica

83

o cinematografica, con intenti divulgativi e propositivi delle idee esposte nelle altre opere, tentando di coinvolgere l’opinione pubblica nel rinnovamento sia dell’architettura che del teatro stesso.

Con l’auspicio che gli interlocutori fossero intellettualmente liberi e capaci di abbandonarsi alla contemplazione estetica e alla stimolazione sinestetica del dramma, “Taut riteneva che il teatro dovesse divenire il luogo della realizzazione di una grandiosa comunione catartica collettiva”

84

.

Cominciò nel 1919, per poi pubblicarlo nel 1920, il cosiddetto “dramma astrale” Der Weltbaumeister, sottotitolato dramma architettonico per musica

83 Taut poté realizzare un’unica opera, gli scenari per la rappresentazione della Jungfrau von Orlèans di Schiller, presentata al Deutsches Theater nella stagione 1920-1921. Come altri scenarchitetti pensava che palcoscenico e platea dovessero costituire, mediante l’architettura e l’uso accorto delle luci, un’unità che legasse in un continuum attori e pubblico e per questo congiunse con una cornice vitrea palco e pubblico. Si ricorda anche l’impiego di luci colorate fluttuanti che percorrevano lo spazio. Cfr. K. Junghanns, Bruno Taut 1880-1938, Milano, Angeli, 1984, pp. 98-99.

84 M. A. Manfredini, Per un’architettura “teatrale”. Der Weltbaumeister: mondi e rappresentazioni, in G.D. Salotti [et al.], Bruno Taut, Der Weltbaumeister: l’interno e la rappresentazione nelle ricerche verso un’architettura di vetro, Milano, Angeli, 1998, p. 17.

(23)

sinfonica

85

dedicato allo spirito di Paul Scheerbart, una successione quasi filmica di 28 scene “assolute”, nelle quali sono protagonisti non degli attori, totalmente assenti, ma colore, luce, musica e architettura. Nel Weltbaumeister Taut descriveva lo sviluppo e il frammentarsi di una cattedrale gotica, che si disperde nei cieli, mentre si ripresenta un’altra architettura-stella, sintesi di sapienza, mistero e creazione artistica, e la terra rivive alcune scene della creazione biblica (luce, acqua, etc.) fino al sorgere, in una specie di paradiso terrestre, di un meraviglioso palazzo di cristallo sul quale si chiude il dramma.

“Al pubblico è proposta una privata esperienza di viaggio che, attraverso le meraviglie della fantasia, segue un itinerario sviluppato in ellissi immaginifiche e di meravigliazione volte verso l’epifania della nuova architettura di vetro”

86

. Il

“costruttore del mondo” evocato da Taut richiama il cristiano Dio creatore e il massonico grande architetto dell’universo, ma va qui interpretato soprattutto come lo spirito della nuova architettura, che si manifesta quale assoluta arte creatrice:

“ciò che trascende o sembra trascendere l’uomo, i sensi e il mondo, non è individuabile in un’entità divina, ma è in realtà esito della liberazione della forza creatrice dell’uomo stesso”

87

.

Il leitmotiv degli scritti teatrali o cinematografici di Taut è quello di rivelare mediante essi la forza delle idee architettoniche e urbanistiche pensate nell’entusiasmo degli anni 1919-1920. Oltre ad analizzare il contributo che la cinematografia offre all’arte, nell’articolo

88

Künstlerisches Filmprogramm (Ant.

IX) Taut pensa ad un proprio film e chiama a raccolta gli amici della Gläserne Kette perché gli diano un parere ed un ausilio nel comporlo. Nasce così Die Galoschen des Glücks (Ant. II), dall’omonimo titolo di una favola di Andersen cui

85 I compositori scelti per la realizzazione delle musiche furono dapprima Hans Pfitzner (1869- 1949), amico di Taut ma da lui poi giudicato troppo conservatore per creare una colonna sonora

“moderna”, poi Heinz Tiessen (1887-1971), che effettivamente portò a termine l’opera, come testimoniato da una lettera di ringraziamento inviatagli da Taut nell’ottobre 1920, tuttavia il dramma non fu mai messo in scena. (Cfr. C.M. Cella, Musica a Berlino negli anni Venti, in G.D.

Salotti [et al.], Bruno Taut, Der Weltbaumeister: l’interno e la rappresentazione nelle ricerche verso un’architettura di vetro, Milano, Angeli, 1998, pp. 108-115).

86 M. A. Manfredini, Per un’architettura “teatrale”. Der Weltbaumeister: mondi e rappresentazioni, in G.D. Salotti [et al.], Bruno Taut, Der Weltbaumeister: l’interno e la rappresentazione nelle ricerche verso un’architettura di vetro, Milano, Angeli, 1998, p. 30.

87 M. A. Manfredini, Per un’architettura “teatrale”. Der Weltbaumeister: mondi e rappresentazioni, in G.D. Salotti [et al.], Bruno Taut, Der Weltbaumeister: l’interno e la rappresentazione nelle ricerche verso un’architettura di vetro, Milano, Angeli, 1998, p. 32.

88 B. Taut, Künstlerisches Filmprogramm, in “Das hohe Ufer”, II, 5/6, 1920, pp. 86-88.

Riferimenti

Documenti correlati

Morel not only stresses the Democritean heritage of Epicurean atomism, but thinks that a theory of the composition of bodies, integrated with a theory of generation, allows for

Progetto grafico: Pentacor Book Design, Bucks, England Adattamento grafica versione italiana: Chiara Mangione Adattamento copertina versione italiana: Chiara Mangione Stampa:

Maria delle Grazie in Arezzo, 226 St.. Paul being scourged,

B ENNETT , John, Five Metaphysical Poets: Donne, Herbert, Vaughan, Crashaw, Cambridge Univ.. B LOOM , Harold, John Donne, Infobase Publishing,

Feast

Ricavare la velocita’ raggiunta dalla carica all’infinito. Il condensatore viene collegato in un circuito di resistenza complessiva R = 10MW e dopo un tempo t* = 6 ms la

El autor demuestra que el término puede ser entendido en el contexto amplio del lenguaje del don, incluso como una fór- mula para solucionar, siguiendo a Annette Weiner, la

6-7, questo modo di studiare il linguaggio può essere allora davvero un buon modo per “imparare a ragionare”, come una volta ci si proponeva di fare attraverso la grammatica