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Lo scopo di questo studio è valutare la fattibilità ambientale e urbanistica inerente il servizio da rendere alle frazioni collinari di Castelnuovo della Misericordia, Gabbro e Nibbiaia, appartenenti al Comune di Rosignano Marittimo, che ha per oggetto il nuovo Polo Scolastico, comprendente asilo nido, scuola dell’infanzia e scuola elementare, con attenzione rivolta agli aspetti sociali ed economici – gestionali.

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La complessità degli aspetti in gioco (sociale, normativo, tecnico, ecc.) ha richiesto un approccio metodologico rigoroso per affrontare la valutazione comparativa.

L’Analisi del Valore ha consentito di valutare al meglio tutti gli aspetti relativi alle sette classi di esigenze (UNI 8289/1981).

Il prospetto utilizzato nella comparazione è l’Indice di Valore, dato dal rapporto tra il grado di soddisfazione delle esigenze ed i costi globali (costituiti dai costi di produzione, finali e di gestione nella vita utile ipotizzata del fabbricato).

VALORE

COSTO GLOBALE

=

SODDISFAZIONE DELLE ESIGENZE IN TERMINI DI FABBISOGNO RESO

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CAPITOLO 1 – L’EVOLUZIONE DELL’EDILIZIA

SCOLASTICA

1.1 Premessa

1.2 L’evoluzione storica dell’organizzazione scolastica 1.3 Tendenze contemporanee

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PREMESSA

Tra le istituzioni quella di maggiore importanza è la scuola, dal momento che ha come scopo quello di preparare,educare e trasmettere alle nuove generazioni le varie conoscenze accumulate nel corso degli anni che garantiscono, attraverso il perdurare ed il loro trasformarsi nel tempo, la continuità e lo sviluppo della civiltà. Il progetto degli immobili scolastici rappresenta un tema molto importante e delicato, dove entrano in gioco diverse componenti dell’architettura e dell’ingegneria civile, come il rapporto con il luogo, l’indagine tipologica, la relazione tra gli spazi collettivi, la modalità di aggregazione tra le parti, la funzionalità sociologica ed ancora altri fattori. E’ per questi motivi che, per procedere ad uno studio di fattibilità per la realizzazione di un edificio scolastico, occorre affrontare l’argomento fin dalla nascita di questa tipologia, analizzando le soluzioni proposte dai progettisti nel corso di questa evoluzione.

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EVOLUZIONE STORICA DELL’ORGANIZZAZIONE

SCOLASTICA

La scuola, quale sistema complesso ed articolato di insegnamento, nasce con le prime grandi civiltà agricole, quella egizia e quella mesopotamica, ovvero quelle che per prime nella storia edificarono delle città. Tale organo rappresentava una delle istituzioni preposte alla creazione, allo sviluppo e all’esercizio del potere da parte delle caste dominanti, le quali avevano il monopolio su questa istituzione consentendone l’accesso solo agli appartenenti di tale caste.

Essendo nata come strumento per l’esercizio del potere, la scuola ha il compito di formare le nuove generazioni e collocarle al posto giusto all’interno della città. E’ per questo motivo che per molto tempo non esisterà un edificio destinato esclusivamente all’istituzione scolastica, in quanto l’istruzione avveniva, oltre che nel tempio o nella casa del maestro stesso, attraverso il contatto diretto con la vita della città e le sue attività.

Questa caratteristica permane fino al moltiplicarsi delle discipline insegnate dai maestri e quindi all’aumento delle conoscenze specifiche richieste agli studenti da parte della società, richiedendo, allo stesso modo, spazi appositi per l’esercizio dell’insegnamento.

Questo schema scolastico era proprio quello in uso nell’antica Grecia, dove i maestri, per l’esercizio delle loro lezioni private, utilizzavano le loro case, gli spazi aperti dei giardini e i portici dell’agorà. In questa civiltà aspetto fondamentale per l’educazione alla vita sociale era rappresentato dall’attività fisica, dall’addestramento alla lotta e dal maneggio delle armi. Queste attività vennero sublimate dai giochi olimpici, ed in conseguenza si diffuse l’istituzione della palestra, che con il tempo si trasformò in ginnasio, un campo sportivo cintato, situato in un boschetto di platani adatto per ogni sorta di gara o esibizione atletica; in questo centro si trovavano bagni, spogliatoi ed aule. I ginnasi greci rappresentarono il primo edificio specifico per l’insegnamento di una disciplina.

Il modello educativo greco, i suoi spazi e persino i nomi dei suoi luoghi, sono sopravvissuti attraverso la storia, presso i romani, nei monasteri medioevali, nel

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Rinascimento e nell’Illuminismo, fino al Neoclassicismo ed ai giorni nostri, costituendo il fondamentale stesso della civiltà occidentale.

Lo schema greco si ripete anche nell’antica Roma, dove, analogamente, i maestri utilizzavano gli spazi pubblici cittadini per le loro lezioni. Qui, però, avvenne una differenziazione del ruolo dell’attività fisica: i ginnasi vennero sostituiti ed assorbiti dalle terme, che comunque riproposero i tipi di relazione e comportamenti sociali già presenti in questi antichi centri.

Con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, la scuola passò dal controllo delle alte caste, al completo monopolio da parte della Chiesa, con scuole episcopali dirette alla preparazione del clero. In conseguenza di questo, la nuova sede per l’istituzione, a partire dal Medioevo, divenne il monastero, all’interno del quale venivano a trovarsi i laboratori, o più propriamente le botteghe, per le attività degli artigiani o degli artisti, ma anche altri spazi destinati ad altre discipline, quali la medicina o l’erboristeria. L’edificio stesso della chiesa divenne una vera e propria palestra per pittori, scultori, architetti ed artisti in genere. Il monastero, all’interno delle sue mura, andava a riprodurre la città, specialmente nel caso di quelli che si trovavano al di fuori del centro cittadino.

Architettonicamente, questi edifici, si chiudevano su se stessi e gli spazi per l’attività monastica si relazionavano al chiostro, che divenne una sorta di piazza consacrata, dedicata alla meditazione ed al raccoglimento. Questo modello servì nei secoli successivi come riferimento per edifici scolastici, per la capacità di riprodurre al suo interno le principali istituzioni della città; alcuni locali, come il refettorio, si trovano ancora oggi nelle scuole.

Al di fuori dei monasteri, l’insegnamento veniva svolto dai maestri, sia religiosi che laici, per le arti liberali, e da artisti ed artigiani per le arti minori ed i mestieri; questi erano di tipo diretto e lo scolaro doveva trasferirsi a casa del maestro per un periodo variabile (da due a dieci anni) a seconda del grado di istruzione e professionalità che si voleva raggiungere.

Alla fine del Settecento iniziò a diffondersi l’idea da parte dello Stato a sostituirsi alla Chiesa nella gestione dell’istruzione. Questo passaggio avvenne con la Rivoluzione Francese, sulla base del principio che l’istruzione dovesse essere pubblica e alla portata di tutti i cittadini, proprio per consentire il passaggio delle persone dal ruolo di sudditi a quello di cittadini liberi ed uguali tra loro (appunto i principi fondamentali della Rivoluzione Francese); si stabilisce che l’istruzione deve comprendere tutti i

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rami della conoscenza ed essere “gratuita, letteraria, fisica, morale ed industriale”, come si può leggere in una risoluzione del Comitato per l’Istruzione. Con la legge Le Chapelier del 1791 venne smantellato l’istituto dell’apprendistato e le corporazioni di arti e mestieri (che si erano venuti a creare nel Medioevo).

In questo clima, l’importanza delle trasformazioni in campo pedagogico, ed anche in quello più generale scientifico e culturale, sono dovute alle necessità indotte dal nuovo mondo industriale. La Rivoluzione Industriale comporta due fenomeni collegati: la necessità di formare adeguatamente la nuova classe operaia, in modo da aumentare la capacità per adeguarsi alle nuove tecnologie, e alla revisione della rigida separazione tra le attività umanistiche e quelle pratiche. Si iniziò a formare una generazione di tecnici, provenienti dalla nascente borghesia, dotati oltrechè delle necessarie conoscenze scientifiche, anche di una solida preparazione umanistica. La nascita della scuola pubblica e la sua conseguente diffusione, l’istituzione dei licei e delle scuole tecniche e professionali, spinse a nuovi tipi edilizi e a nuove impostazioni per edifici scolastici, insieme al mantenimento di schemi antichi e collaudati, come quello ad uno o più cortili interni, furono introdotti nuovi accorgimenti di tipo organico e tecnologico.

Tra il XVIII ed il XIX secolo, per la necessità di diffondere un’istruzione primaria a tutto il popolo, furono studiati nuovi sistemi di insegnamento che consentissero a poche persone colte, assistite da altre sommariamente istruite, di insegnare a grosse masse di analfabeti. Questa nuova metodologia prese il nome di “mutuo insegnamento” e portò alla diffusione di una nuova tipologia edilizia e di struttura dell’aula, per poter consentire questo tipo di insegnamento. Le aule erano costituite da numerose file di banchi e da un complesso di pedane, da cui gli insegnanti svolgevano le loro lezioni; sulle pareti circostanti erano appesi dei tabelloni sui quali gli scolari dovevano studiare.

La particolarità di questo tipo di scuola, non consiste tanto nella sua singolarità organizzativa, quanto nel fatto che per la prima volta nella storia dell’edilizia scolastica, l’organizzazione didattica dipende strettamente dall’organizzazione spaziale e dagli elementi di arredo e di supporto didattico dell’aula. Le scuole vennero, così, costruite con una successione di aule che si affacciavano o sul cortile interno o sulla strada e collegate da lunghi corridoi, tipico schema della scuola a blocco.

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Alla fine del XIX secolo, per tentare di affrontare i problemi posti dall’evoluzione della società industriale, si sviluppò un movimento pedagogico, “attivismo”, che vide una vasta adesione proprio nei paesi a più alto sviluppo industriale, nei quali il profondo intreccio tra la nuova realtà tecnica, la società ed il ruolo dell’istruzione di quest’ultima erano maggiormente sentiti. Con lo sviluppo di questo movimento, si ebbe la cosiddetta “new school”, che non era più basata sull’insegnamento diretto delle materie, secondo il metodo tradizionale, ma sull’esperienza personale dell’allievo attraverso il fare, la manipolazione ed, in genere, attraverso esperienze manuali. Quindi si poneva come elemento centrale dell’educazione, l’apprendimento che deriva da un’esperienza di un’attività lavorativa, dando minore importanza ad un insegnamento formale, alla disciplina ed all’obbedienza. Questa

“new school” fa si che siano proprio i ragazzi a riunirsi in modo spontaneo in gruppi

che non nascono da un accostamento casuale o sentimentale, ma dalla passione per una comune attività; il gruppo va così a costituire l’elemento di unione tra una singola personalità ed una collettività democraticamente intesa. Una volta che il singolo è entrato in un gruppo si ritrova in una piccola società, di cui costituisce un anello necessario. Quindi l’attivismo individua nel lavoro il mezzo più idoneo per realizzare il proprio programma e questo obbliga ad una cooperazione, la quale veniva a mancare nell’apprendimento libresco, ciò porta ad un incontro tra le singole personalità che determinano un apprendimento passivo. I nuovi metodi di insegnamento riducono la necessità dell’aula tradizionale che dovrebbe trasformarsi in laboratorio.

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Sempre verso la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo fu dato un altro contributo significativo al sistema scolastico dalla pedagogista Maria Montessori: questa si è formata secondo le linee guida della corrente positivista, allora dominante in pedagogia, accostandosi ai problemi educativi con tutti i limiti della cultura del tempo. Malgrado tali presupposti il sistema montessoriano possiede tuttora una sua attualità e vitalità nel considerare fondamentali per l’educazione i motivi della libertà e dalla dignità della persona umana ed a tali motivi subordina, in modo funzionale, l’intera tecnica educativa. Il metodo consiste, essenzialmente, nell’esercitazione al movimento, all’uso ed al controllo dell’ambiente, andando a considerare l’educazione sensoriale, tanto importante quanto quella intellettuale, insieme allo sviluppo morale, umano e sociale, rivalutando l’azione spirituale dell’insegnante che deve saper richiamare l’uomo assopito nell’anima del fanciullo.

Il metodo montessoriano richiama all’organizzazione diversa delle scuole: con aule organizzate come case dove non ci sono banchi e cattedre ma un ambiente familiare, fatto di poltroncine, tavoli di varie grandezze, sedie, attaccapanni, armadi, tutto alla misura del bambino e dove può muoversi con assoluta libertà, giocando alle stesse operazioni che sono poi la vita quotidiana, e dovendole, svolgere necessariamente in relazione con quelle dei compagni, vengono coordinate e misurate.

La Montessori respinge in pieno l’insegnamento associativo, accettando così il metodo intuitivo. I concetti principali dell’attivismo hanno contribuito all’apertura di un dibattito mettendo in discussione i principi ed i metodi educativi usati fino ad allora. Alcuni aspetti della scuola attiva hanno avuto maggior effetto nelle dotazioni e negli arredi scolastici, ma è la filosofia educativa, aspetto fondamentale, che ha fatto si che nelle scuole tradizionali si avesse un introduzione graduale dei nuovi modi di insegnamento che comportavano una diversa organizzazione spaziale del complesso. Secondo queste idee, l’allievo doveva trovarsi al centro del processo educativo, che l’educazione doveva fondarsi sulla scoperta della personalità umana, attraverso la psicologia, sulla necessità di eliminare dai processi educativi il verbalismo ed il nozionismo, la società doveva essere considerata come centrale nell’educazione e questa socialità dovesse scaturire dalla collaborazione e dal lavoro di gruppo; queste non sono solo tipiche della scuola attiva, ma hanno anche influenzato tutta l’impostazione pedagogica attuale.

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Il diffondersi dell’idea della scuola attiva ha comportato influenzato in modo vasto ed immediato le realizzazioni e le normative in tema di scuole primarie o materne, mentre il suo influsso sulle scuole superiori è stato di riflesso, generato da un cambiamento di mentalità generale. In conclusione si può affermare che la scuola materna nasce quasi direttamente da queste esperienze unitamente a quelle sviluppate dal metodo Montessori, mentre le scuole elementari e medie, che hanno ormai accolto il lavoro di gruppo e l’importanza della sperimentazione diretta nella formazione degli allievi, la quale ha reso indispensabile spazi speciali con attrezzature specifiche per l’attività diretta degli allievi.

Le nuove esigenze spaziali ed organizzative che si sono venute a creare, hanno prodotto nuovi tipi edilizi e rielaborazioni molto importanti di tipi già esistenti, volti tutti a rompere l’uniformità spaziale dell’edificio, in modo da renderlo partecipe al processo educativo.

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TENDENZE CONTEMPORANEE

Dagli inizi del XX secolo, parallelamente allo sviluppo della scuola a blocco, che continuò anche fino agli anni sessanta, venne avvertita la necessità di modificare questo impianto ottocentesco; si vengono quindi a delineare due categorie di tipologie: una dovuta all’esigenza di accorpare ulteriormente il blocco e l’altra, completamente contraria e razionalista, tendente ad espandere la scuola all’aperto. Per la tipologia a blocco è interessante notare la Three Decker School costruita a Liverpool nel 1900; l’edificio è composto da tre piani, con le aule disposte sul perimetro e servite da un ballatoio che si affaccia sul vuoto interno.

Otto Haessler, nel 1928, a Celle in Germania, realizza un edificio ripreso proprio dalla Three Decker School di Liverpool, ma con un maggiore studio dell’arredo e dell’illuminazione. In questo edificio è da notare come lo spazio interno, che pur essendo utilizzato come spazio per riunioni ed attività fisiche, non entra mai in relazione spaziale con il resto della scuola. Il corpo diventa triplo; formato da aula, vuoto con doppia fila di ballatoi, aula, superando così lo schema aula-corridoio illuminato. In questa costruzione si possono avvertire altre variazioni che tendono a qualificare il vuoto interno come spazio di riferimento dell’intero edificio, come gli spazi messi sulle testate del corpo rettangolare, anch’essi serviti dal ballatoio

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dall’alto; vengono eliminate le facciate esterne vetrate, che illuminavano i corridoi, e lo sviluppo di questi viene notevolmente ridotto in modo da rendere ancora più compatto il blocco, essendo più economico, ma anche meno dispersivo.

Nel corso del secolo, questa tipologia, subisce ulteriori evoluzioni e trasformazioni: lo spazio centrale diviene sempre più articolato, tanto da rappresentare lo spazio visuale dell’intero organismo. E’ significativo l’esempio della Hustanton Secondary

School di A. & P. Smithsons, realizzata intorno al 1950, nella quale la semplicità

dell’impostazi one in pianta, l’uso di materiali e la volontà di interpretare le tre corti aperte e chiuse come fulcro stesso dell’edificio, propongono,

appunto, una variazione significativa del tipo a blocco svuotato: la luce non solo penetra all’interno dallo spazio centrale, ma viene anche scomposta nelle grandi vetrate esterne che permettono la vista.

Figura 3 - Hustanton Secondary School

Figura 4 - Scuole Gemelle Montessori e Willemspark ad Amsterdam, vista dall'alto

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Sempre su questa linea si può considerare la realizzazione delle Scuole Gemelle

Montessori e Willemspark ad Amsterdam, da parte di Hermann Hertzberger tra il

1980 ed il 1983; rappresentano un valido esempio del tipo edilizio a blocco e

direttamente derivante dal metodo Montessori. Ognuna di loro è assimilabile ad una grande casa, dove le aule sono raggruppate intorno alla sala centrale, aperte verso di essa che è considerata come il cuore dell’edificio ed ospita tutte le attività didattiche non afferenti le aule. Dal punto di vista compositivo, gli edifici si articolano

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lasciando uno stacco centrale sul quale si affacciano gli spazi della scuola, tale ambiente riceve luce dall’alto e dalle aperture laterali. Questi due edifici rappresentano un evoluzione del tipo a blocco con vuoto interno, proprio per come viene trattato qualitativamente lo spazio centrale, che si arricchisce di connotati oltre che spaziali e visuali, anche funzionali ed ad uso didattico, divenendo così il fulcro delle attività.

La seconda tipologia è completamente opposta a quella a blocco, tendente a dilatare ed espandere la scuola verso l’esterno. Nell’ambito di questa si assiste ad una profonda diversificazione dell’organizzazione spaziale e distributiva degli edifici; si creano degli edifici che richiedono grossi spazi e dove l’esterno è sempre presente all’interno dell’edificio.

Alla tipologia a blocco si va a contrapporre inizialmente una pianta a croce, costituita da un corpo centrale da cui si dipartono dei bracci indipendenti, relazionati tra loro

solo dagli spazi esterni contigui, oppure da uno schema a pettine, nel quale un elemento lineare principale si vanno ad attaccare altri corpi ospitanti diverse funzioni (auditorio, mensa, palestra e laboratori). In questa tipologia si esclude qualsiasi relazione tra le parti, che devono trovarsi in assoluta indipendenza tra loro, e diventa fondamentale il ruolo svolto dalla sistemazione degli spazi esterni.

Esempio significativo di questa tipologia aperta è rappresentato dalla Hetahcote

School di Scarsdale a New

Figura 6 - Heathcote Schoole di Scarsdale a New York, pianta

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York realizzata dallo studio Perkins & Will. Lo schema è fornito dall’utilizzo di un nucleo autosufficiente, formato da quattro aule esagonali disposte intorno ad uno spazio centrale adibito alle attività comuni alle classi ed ai relativi servizi. I nuclei sono connessi tramite un corridoio vetrato e passaggi chiusi ad un corpo centrale, ospitante la biblioteca, direzione, un grande spazio di riunione, i laboratori, gli spazi comuni e l’atrio. Allo stesso tempo erano previste diverse fasi di costruzione con l’aggiunta di altri nuclei di aule.

L’esempio di Scarsdale non propone proprio una novità rispetto al modello razionalista, infatti permane il rapporto aula – corridoio, che è solamente scisso ma non separato.

Un esempio più rappresentativo è dato dalla Scuola Montessori, costruita a Delft da Hermann Hertzberger tra il 1960 ed il 1981, che ha la capacità di racchiudere in un

solo edificio le caratteristiche salienti di questa. La scuola è pensata per rispondere strettamente al programma montessoriano, fondato su un rapporto di tipo normale tra insegnante e scolaro e sulla possibilità di intraprendere più attività

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d’insegnamento non possono avere la forma di aula tradizionale, in cui le diverse attività si svolgerebbero con fastidio reciproco, ma assumono una forma ad “L” dell’aula, suddividendo così l’interno in due livelli collegati da un passaggio e caratterizzati da differenti sviluppi in altezza, in questo modo, lo studente non è più obbligato a condividere lo spazio con tutti gli altri, potendo usufruire di spazi differenziati, simili a quelli di una casa.

Questa scuola inizialmente fu prevista e realizzata con quattro aule;

successivamente fu integrata da altre due classi, da due sale destinate alla scuola materna, da un’insieme di locali comprendenti tre aule, da una sala giochi, di una di musica e da una parte riservata agli insegnanti. Lo schema iniziale prevedeva uno sviluppo successivo, costituendo però un’unità completa ed autonoma all’interno della scuola, con il grande ed articolato spazio centrale che ha assunto le fattezze di una strada che ordina tutti gli spazi dell’insieme.

Negli anni sessanta e settanta si ricercò una tipologia intermedia, in modo da riunire alcune caratteristiche della tipologia a blocco con quelle della scuola estensiva; lo scopo era quello di ottenere un risultato che portasse ad un uso minore dello spazio, e quindi ad una maggiore economia nei costi, con l’eliminazione dei corridoi, dei passaggi e del connettivo in generale. Lo scopo, che precedeva le considerazioni riguardanti l’organizzazione della didattica e le sue necessità di rinnovamento, veniva raggiunto mediante la realizzazione di spazi indifferenziati e, possibilmente, neutri, definiti mediante l’adozione di un arredo multifunzionale, pareti mobili e attrezzate, che consentissero un doppio uso degli ambienti e dei rapporti tra i diversi spazi improntati alla massima flessibilità. La nuova organizzazione portava ad un conseguente mutamento nella scuola e nel suo funzionamento, attraverso la sostituzione dello spazio tradizionale dell’aula con ambienti laboratorio che richiedevano la rottura del tradizionale rapporto tra insegnanti ed allievi; questo tipo di strutturazione dello spazio è noto come Open – plan.

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Tale atteggiamento, però, andava in contrasto con le posizioni razionaliste che asserivano una stretta dipendenza tra la forma e la funzione. La perdita dell’unicità della funzione creava libertà delle relazioni spaziali, ma anche possibilità di aggregazioni caotiche e di difficile controllo; Il tipo edilizio ha consentito di porre l’attenzione su alcuni aspetti fondamentali tra cui la necessità di pensare all’organismo scolastico come ad un insieme non rigido, ma mutabile sia nello spazio che nel tempo e capace di interagire in modo flessibile con le attività da ospitare. Queste esperienze dimostrano come il tema più importante che l’edilizia scolastica ha dovuto affrontare nel tempo e che anche oggi costituisce un tema assai complesso è la necessità di far coincidere un preciso programma funzionale pensato per parti, con la volontà di riassumere tutto l’edificio in un idea molto forte, sia dal punto di vista morfologico che organizzativo. Il numero e gli spazi che compongono l’edificio scolastico hanno spesso prodotto l’esigenza da parte dei progettisti di riassumere in poche linee il complesso progettato, nel tentativo di restituire un immagine unitaria ed un insieme che per natura ne è privo.

In tale atteggiamento è riscontrabile la funzione e la vocazione urbana dell’edificio scolastico che, non soltanto nel concetto di complessità nell’unità, ripropone il rapporto tra i suoi elementi e l’insieme, così come la città ed i suoi edifici, ma più oltre stabilisce la possibilità di instaurare dei rapporti complementari con la città stessa dalla quale può qualificarsi come una prosecuzione o un riassunto. Esempio di questo tentativo di mediazione è una realizzazione di Bennet & Bancroft a Pimlico, Londra, tra il 1964 ed il 1970, la Comprehensive School, che si pone contemporaneamente come punto di partenza e di arrivo dell’evoluzione dell’edilizia scolastica. Analizzando l’edificio dal punto di vista dell’evoluzione tipologica a blocco, questo rappresenta un punto di arrivo, perchè l’operazione di svuotamento realizzata in sezione, traslando i corpi dei laboratori, della sala assembleare, delle aule verso l’esterno, genera al suo interno uno spazio cavo che, innervato dai percorsi a diversi livelli, diventa una vera e propria strada interna, centro e fulcro dell’intera composizione. Se viceversa vado ad interpretare questa composizione dal punto di vista della capacità di intessere e riprodurre relazioni a scala non soltanto dell’edificio scolastico, ma anche a livello della città, questa scuola, seppur priva di particolari connotati di apertura verso la comunità e la città, costituisce un esempio fondamentale per la comprensione e gli sviluppi prodottosi negli anni successivi

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Uno sviluppo tecnologico sensibile che riassume molte caratteristiche, tra le quali quella della sua funzione e vocazione urbana appare la più evidente, è rappresentato dall’edificio dell’Eisee, realizzato da Dominique Perrault a Marne la Vallee. La sua composizione si fonda su una rigida separazione tra gli spazi di servizio e quelli per l’insegnamento, distribuendo i primi sotto una vasta copertura inclinata, e gli alti corpi messi perpendicolari e agganciati a quello principale (una sorta di pettine). Questi spazi entrano in relazione mediante una strada di circa 300 m, coperta da una vetrata

continua che distribuisce luce dall’alto. Gli spazi relativi alla biblioteca, ai servizi amministrativi, alle sale di riunione, ai bar, alla caffetteria e gli altri servizi parascolastici sono ospitati sotto una lunga copertura inclinata, unitaria, mentre le

Figura 9 - Comprehensive School, piante

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aule ed i laboratori sono disposti a blocchi a sviluppo perpendicolare rispetto al corpo principale, creando quattro corti, con uno dei lati aperto verso il bosco retrostante. Questi sono connessi alla strada interna da ballatoi e lo schema compositivo prevede la possibilità di costruire elementi dello stesso tipo al suo a completamento dell’insieme.

Le relazioni che interessano i vari ambienti di servizio collettivo lungo la strada interna tendono a riprodurre gli stessi rapporti tra i vari edifici, gli spazi pubblici cittadini e la strada; si passa infatti dalla biblioteca, nella quale vengono mantenuti i legami visuali con la strada, pur nella necessità di una sua protezione, alla completa apertura della caffetteria e del bar verso il grande concorso interno, alla chiusura totale delle sale di riunione, mentre gli spazi amministrativi sono racchiusi in elementi vetrati curvi con affaccio interno.

Tale schema non soltanto allude alla città, riproponendo al suo interno modi e forme, ma, nella disgregazione della città moderna, ne ricostruisce una parte effettiva, ricostruendo quel rapporto strada – edificio completamente alterato, nella città, dal traffico veicolare.

Idee riguardo ad una completa integrazione dell’edificio scolastico con la città già circolavano negli anni settanta e ottanta, descrivendo un futuro nel quale l’edificio scolastico avrebbe dovuto dissolversi ed amalgamarsi con il tessuto cittadino.

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LA SITUAZIONE ITALIANA DAL DOPOGUERRA AD OGGI

Il tema dell’edilizia scolastica, nel dibattito architettonico italiano, ha un ruolo importante che si evolve soprattutto dal secondo dopoguerra fino agli anni ottanta, in tre fasi. La discussione ha come argomento i programmi di intervento e le modalità operative, sollevando questioni più ricche e complesse, diverse dalle altre tipologie. La prima fase che dura dalla fine degli anni quaranta fino ad i primi anni sessanta si muove in stretta relazione con la legislatura e le politiche di riforma con l’obbiettivo di definire nuovi caratteri nell’edificio scolastico della nova Italia repubblicana ed antifascista. Il dibattito è basato sulla visione dello spazio scolastico come luogo privilegiato della vita associata, come centro di quartiere sul passaggio dal funzionalismo fisico a quello psicologico, traducendosi in spazio non autoritario nella successione dalla “scuola caserma” (schema a corridoi) all’ “unità funzionale” (aggregati di aule distribuite senza corridoi e portici). Altro punto importante di confronto è quello di riprodurre un sistema costruttivo che sia in grado di ottimizzare i costi e gli investimenti diffondendo al contempo la qualità architettonica.

Sotto discussione è l’ “unità funzionale”, costituita da un corpo di fabbrica minimo con aule e con l’aggiunta di un ambiente per le esercitazioni e attività di assemblea. La scuola si costituiva con l’unione di più “unità funzionali”, tant’è vero che gli architetti preferivano parlare di “organismo scolastico” invece che di “edificio per l’istruzione”. Importante, in questo processo, è anche il ruolo che ha la pedagogia, che suggeriva la sostituzione della “scuola per ascoltare” con la “scuola per scoprire”.

Il Ministero della Pubblica Istruzione bandì nel 1949 il “concorso per le scuole all’aperto”, e da allora fino alla Triennale di Milano del 1960, dedicata proprio al mondo della scuola, la problematica sembrava ridursi solo ad una questione di forma: il tipo a padiglione era meglio di quello a corridoio, preferendo il quadrato rispetto al rettangolo, poiché era opinione comune, che uno spazio lineiforme, creasse una sequenza di gerarchie da imitare nella nuova.

I concetti di “scuola casa” e “scuola all’aperto” prevalgono con il loro doppio significato d’apertura, sia alla società quanto all’ambiente naturale. Il movimento dell’architettura organica domina culturalmente il dibattito. La fluidità tra interno ed esterno che costruisce un altro requisito di questa genesi, permetteno di rispondere ai momenti ed agli spazi percettivi riguardanti quelli transizionali di soglia; traiettorie

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di passaggi, tipo e qualità delle vedute, uso dei materiali, dosaggio della luce traguardi percettivi. In questa fase si distinguono per il loro contributo attraverso le proprie opere, gli architetti Ciro Cicconcelli, Mario Ridolfi e Ludovico Quadroni.

Ciro Cicconelli, si dedica completamente all’edilizia scolastica curando scuole materne, elementari e secondarie, e pubblicando nel 1960 sul numero 245 della rivista Casabella, dedicata completamente alla scuola, un resoconto sulla ricerca dell’evoluzione scolastica dal dopoguerra al 1958.

Mario Ridolfi, tra il 1955 ed il 1963, progetta due asili, uno per il quartiere Canton Vesco ad Ivrea e l’altro per Poggibonsi, che vanno a riassumere le linee delle ricerche di quest’architetto (l’esaltazione dell’architettura povera e il recupero della tradizione artigiana) andandole a coniugare con i temi centrali del dibattito, come l’utilizzo del padiglione a pianta quadrata ed il concetto di scuola all’aperto. Ridolfi pone l’attenzione nel benessere psicologico prodotto dalla percezione verso l’esterno, proprio come aveva già fatto per infissi disegnati per le Case Torri in via Etiopia a Roma (tra il 1954 ed il 1958), con i quali si permetteva ad i bambini di osservare il mondo “fuori la casa”. A Poggibonsi, il tema ridolfiano è portato ad i massimi livelli, con una grande finestra che misura l’intera altezza del padiglione e del refettorio, con la presenza di trame composte da telai in legno sorreggenti il tetto, che conferiscono al materiale povero una forte identità spaziale. Nel 1960, Ridolfi è protagonista di un’altra realizzazione, una scuola media a Terni, che è un po’ in controtendenza con l’evoluzione del dibattito. Il progetto esplora la dialettica fra consistenza materica e dell’involucro e modellazione dei telai strutturali, risultando comunque, un impianto decisamente tradizionale, nonostante gli ambienti siano areosi, luminosi e ben dimensionati. L’immagine non risulta quella di una scuola, anche se la scala d’intervento e la pietra usata per i rivestimenti, la rendono armoniosa con la prospiciente Chiesa di San Francesco.

L’opera che sintetizza in pieno i caratteri della ricerca teorica di quegli anni è sicuramente la scuola elementare ad Ivrea, progettata da Ludovico Quadroni nel 1959, tanto da essere presa come modello per l’allestimento di un’aula e di una sala comune per la Triennale di Milano del 1960. Questo edificio possiede, ancora oggi, una certa dose di attualità per l’integrazione socio – funzionale (grazie alla previsione di negozi facenti parte del complesso scolastico), l’equilibrio tra gli elementi e la chiarezza figurativa, l’uso della luce zenitale come componente dello spazio scuola

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ed il senso di leggerezza evocata della soluzione delle coperture quadrate traforate e dalla grande pergola che delimita l’area di intervento.

La seconda fase ha una durata di circa quindici anni che inizia negli anni sessanta e termina a metà degli anni settanta. Nel 1962 viene varata la scuola media unica ed è nominata una Commissione Nazionale per lo studio edilizio della nuova scuola che analizza lo stato delle cose e prospetta nuovi investimenti, abbandonando il conteggio delle aule che è sostituito dal concetto di “posto alunno”. Con la Legge 641 del 1967, la costruzione degli edifici avviene secondo un piano quinquennale, che causa un decentramento paradossale delle responsabilità e creando problemi nella ricerca dei finanziamenti, disseminando, sul territorio edifici incompleti o non terminati destinati a diventare ruderi. Il problema principale è di ordine legislativo, mancando di una normativa tecnica e di standard funzionali adeguati. In concomitanza con il primo Censimento Nazionale dell’Edilizia Scolastica, nel 1968, si istituisce la scuola materna statale e nel contempo anche le facoltà di architettura cominciano a lavorare più intensamente sul tema della scuola moderna.

La svolta nell’edilizia scolastica avviene in seguito all’emanazione del D.M. del 18 Ottobre 1975 da titolo “Norme tecniche relative all’edilizia scolastica” contenente le linee guida per lo sviluppo degli edifici e tutt’ora vigente.

In questi anni, si approfondiva anche la ricerca sulla prefabbricazione, con il coinvolgimento dell’industria delle costruzioni, ritenendo indispensabile razionalizzare il processo edilizio, strumento basilare per conseguire obbiettivi come la qualità diffusa e la flessibilità. La flessibilità vista sia in termini di adattabilità che evolutivi fa si che la scuola non venga più pensata solo come una struttura spaziale, ma anche come luogo di variazioni a componenti temporali ,andando ad approfondire concetti che erano già stati affrontati ad inizio secolo ma con un regime costruttivo del tipo tradizionale, come lo studio dell’aula modificabile, delle unità didattiche accorpabili, dell’intercambiabilità.

In questo contesto si assiste anche ad una de–specializzazione planimetrica dell’edificio rispetto alle elaborazioni del dopoguerra, coincidendo non solo al passaggio dal cantiere tradizionale a procedure di costruzioni industrializzate, dopo un periodo di eterogeneità nelle soluzioni che regolavano i sistemi tecnologici e disegni delle componenti, ma anche alla crescente standardizzazione di queste ultime.

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L’ingresso della scuola – fabbrica nel panorama edilizio italiano, sebbene in ritardo rispetto agli altri paesi europei, si combina con dei progetti di elevata complessità a livello spaziale e da alto uno standard che la rendono non paragonabile all’edilizia comune e senza rischio per un’indifferenza planimetrica.

In questa seconda fase gli architetti Luigi Pellegrin e Gino Valle sono i più coinvolti in questa sperimentazione: Pellegrin realizza una quarantina di scuole in varie zone d’Italia, asserendo che la compattezza produce economia, e che lo spazio interno può inoltrarsi fluido tra pause ed eventi di vario genere.Nella scuola media prefabbricata di Pistoia (1965) abbiamo una polemica reintroduzione del corridoio ma si assiste anche alla brillante idea dell’inserimento, nell’atrio, di una piscina coperta e vetrata; nella scuola prefabbricata 3 – 6 – 9 la tecnologia e la modularità vengono perfettamente interpretate in modo da ottenere un manufatto perfettamente ampliabile (3 – 6 – 9 aule,) dividendo sempre gli spazi con degli arredi. Nella scuola elementare prefabbricata per 15 aule a Segrate (1971) si ricorre ad una particolare cura della luce e dei colori per conferire un carattere di domesticità a spazi polivalenti dedicati alla didattica, ricorrendo anche ad altezze limitate e all’utilizzo di materiali cosiddetti “caldi”.

L’architetto Gino Valle, con l’approvazione della nuova normativa per l’edilizia scolastica (D.M. del 18 Dicembre 1975) approntò un nuovo programma di scuole prefabbricate con la ditta Valdadige, basandosi su una struttura a maglia rettangolare e modulare e con la distribuzione delle aule periferiche intorno ad un atrio centrale costituito come doppio volume, rivestito all’esterno con pannelli di cemento armato. Il programma era basato su un intervento realizzato per parti, con diversi elementi disposti sul terreno con attenzione alla logica evolutiva, scartando l’uso del contenitore unico. Valle definisce quattro tipi di contenitori per attività omogenee (corpo didattico, palestra, mensa e centrale termica) fornendo in questo modo una varietà nelle combinazioni planimetriche, lasciando ampi margini di flessibilità; possono essere posti su terreni di qualsiasi natura e risultano in grado di adattarsi a diversi programmi.

Nonostante la mentalità morfologica, gli spazi collettivi sono dotati di un forte carattere spaziale perché nitidi e vitali, e l’uso del colore permette di ammorbidire la modularità ed esaltare, al contempo, alla scala paesistica la stereometria degli elementi.

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In questo periodo sono da sottolineare e menzionare anche le realizzazioni di Aldo Rossi e Giorgio Grassi, ai quali si riconosce una grande capacità di lettura della realtà urbana, di essere e riusciti a rivalutare il concetto di forma, con il carattere del manufatto architettonico che affida al rigore tipologico determinandone la forza evocativa. La riduzione del progetti dell’edificio scolastico alla sola matrice tipologica comporta una parzializzazione della ricerca che blocca gli esiti tecnologici e sospende l’indagine sul rinnovamento funzionale e spaziale.

In questo ambito, le tre realizzazioni di scuole da parte di Aldo Rossi diventano delle vere e proprie icone dell’architettura italiana. L’architetto va a criticare le soluzioni che propongono modelli di uso forzati che vanno a condizionare con la loro autonomia spaziale e formale, le esperienze del bambino, che non riesce a liberare la sua fantasia. Il restauro ed ampliamento della scuola elementare De Amicis a Broni (1969), la scuola di Fagnano Olona (1972 – 1976) e la scuola elementare di Broni (1979 – 1981) vanno a codificare un paesaggio architettonico di pochi segni in uno spazio che riesce a portare il bambino fuori dal frastuono del Mondo.

Nella struttura di Fagnano Olona, la scuola è rappresentata come una piccola città dove al centro si trova una piazza sulla quale si affacciano le varie destinazioni d’uso che assumono precise forme evocative. Il concetto di Rossi nella scuola di Broni, è rappresentato in modo ancora più rigoroso e riduttivo; democratizzare lo schema del palazzo con la distribuzione interna a portico, la trasformazione della piazza in quattro corti, e la riduzione dell’edificio scolastico vero e proprio ad un’architettura essenziale, primigena.

La ricetta del successo delle opere di Rossi è dovuta alla semplice precisione tipologica, alla ricercata semplicità e al recupero della memoria popolare nella configurazione degli spazi aperti (piazza e corte come parti aggreganti, non condizionanti); l’architetto ha realizzato scuole conosciute in tutto il mondo, ed ha saputo rileggere le tipologie depurando il materiale edilizio, come pochi altri, nonostante il freno dell’indagine sul rinnovamento dello spazio interno.

La terza fase ha inizio negli anni ottanta, in un clima di frammentaria sperimentazione che ha come filo conduttore del progetto la memoria storica. Proseguono le esperienze progettuali che vedono nell’edificio scolastico un irrinunciabile aggregato, per la costituzione di nuovi poli civici e, nel contempo, il manierismo storicista condiziona la forma delle parti e torna a dislocare i caratteri dell’edificio scolastico sulla facciata del contenitore.

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Alessandro Anselmi, nell’asilo nido – scuola materna a Santa Severina (1980), scompone il programma funzionale in frammenti di forme evocative e simboliche, stravolgendo con originalità l’immagine canonica della scuola per l’infanzia.

Nella scuola media a Putignano di Massimo Carmassi, nel 1985, la metafora archeologica si articola e diviene più complessa: il concetto di evoluzione della materia ed il richiamo planimetrico alla stratificazione dei reperti sono strumenti di qualificazione.

I “guasti ambientali”, prodotti dalla banalizzazione di questa cultura architettonica, sono ancora ben visibili ai margini delle città italiane che portano ancora nel vivo del loro paesaggio gli edifici decorati con timpani, colonne, capriate e tralicci porticati dietro alle quali si cela la disposizione delle aule. A causa della crisi economica, dei successivi minori investimenti, della concentrazione delle nascite, e delle scarse occasioni di nuove costruzioni, le attività di progettazione e sperimentazione si riducono e rivestono un ruolo marginale nella pubblicistica; così che gli interventi si concentrano sul già costruito, oppure puntano sulle economie di spesa, dimettendo piccole unità e razionalizzando risorse attraverso la concentrazione dei servizi in plessi scolastici esistenti oppure da ingrandire. Negli ultimi anni, invece, è stato registrato, causa un inversione di tendenza dal punto di vista demografico e dell’attenzione posta sulla scuola in relazione all’approvazione della recente riforma, la Legge n° 53 del 28 Marzo 2003, .un rinnovato interesse per l’edilizia scolastica. Le nuove scuole, per questo motivo, dovranno educare ed accogliere bambini con esigenze diverse rispetto al passato, con modi di vita ed abitudini diversi, in quanto l’aumento demografico non è solo da attribuire al numero delle nascite, ma è dovuto anche all’immigrazione sempre più numerosa ed importante, che ha mutato l’equilibrio all’interno della famiglia.

La riforma scolastica va modifica gli obbiettivi e gli strumenti della scuola e si pone come passo fondamentale per una rilettura ed una nuova normativa nel campo di quest’edilizia portando innovazioni alle materie ed ai modi di insegnamento che provoca un necessario adattamento degli edifici a queste nuove esigenze.

Gli aspetti della riforma che maggiormente sembrano incidere nell’organizzazione spaziale degli edifici possono essere desunti dall’articolo 1 della legge 53:

“…..Per la realizzazione delle finalità della presente legge, il Ministro

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a) della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo e la valorizzazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche;

b) dell'istituzione del Servizio Nazionale di valutazione del sistema scolastico; c) dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle

tecnologie informatiche, nel pieno rispetto del principio di pluralismo delle soluzioni informatiche offerte dall'informazione tecnologica, al fine di incoraggiare e sviluppare le doti creative e collaborative degli studenti; d) dello sviluppo dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli

studenti;

e) degli interventi di adeguamento delle strutture di edilizia scolastica.”

Gli ambiti di maggior influenza sembrano essere due: il primo legato alla dimensione delle strutture scolastiche al fine di realizzare le richieste di autonomia, e l’altro relativo alle dotazioni di spazi idonei per lo sviluppo di attività tecnologiche, tecniche e sportive. Il primo si collega al D.P.R. n° 23 del 18 Giugno 1998 “Il regolamento sul

dimensionamento ottimale degli istituti scolastici autonomi”, che accredita la tipologia

organizzativa degli istituti comprensivi come una delle modalità ordinarie di gestione del servizio scolastico nel territorio.

Una delle rarità istituzionale più significativa degli ultimi anni, per la rapida espansione del fenomeno e per le evidenti connessioni con il processo di riforma in atto nel nostro sistema, è rappresentata dall’avere un istituto comprensivo di scuola materna, scuola elementare e media. Nell’articolo 2, comma 2 del suddetto D.P.R. si riporta:

“…..per acquisire o mantenere la personalità giuridica gli istituti di istruzione devono

avere, di norma, una popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa tra 500 e 900 alunni; tali indici sono assunti come termini di riferimento per assicurare l'ottimale impiego delle risorse professionali e strumentali…..”.

Ed ancora al comma 5:

“…..Qualora le singole scuole non raggiungano gli indici di riferimento sopra indicati,

sono unificate orizzontalmente con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo ambito territoriale o verticalmente in istituti comprensivi, a seconda delle esigenze educative del territorio e nel rispetto della progettualità territoriale…..”.

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Nell’articolo 1 vengono indicate le motivazioni per le quali sono state definite delle dimensioni ottimali per gli istituti:

1. Il raggiungimento delle dimensioni ottimali delle istituzioni scolastiche ha la finalità di garantire l'efficace esercizio dell'autonomia prevista dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n.59, di dare stabilità nel tempo alle stesse istituzioni e di offrire alle comunità locali una pluralità di scelte, articolate sul territorio, che agevolino l'esercizio del diritto all'istruzione.

2. Il dimensionamento è altresì finalizzato al conseguimento degli obiettivi didattico - pedagogici programmati, mediante l'inserimento dei giovani in una comunità educativa culturalmente adeguata e idonea a stimolarne le capacità di apprendimento e di socializzazione. Il raggiungimento delle dimensioni stabilite a norma del comma 1 ha l'ulteriore finalità di assicurare alle istituzioni scolastiche la necessaria capacità di confronto, interazione e negoziazione con gli enti locali, le istituzioni, le organizzazioni sociali e le associazioni operanti nell'ambito territoriale di pertinenza.

Regioni ed enti locali, alle quali spetta il compito di programmazione scolastica per effetto del D.L. n° 112 del 31 Marzo 1998, dimostrano un grande interesse verso un modello di organizzazione della scuola di base che sembra coniugare la presenza dell’istituzione scolastica nel territorio con elementi di rilevante spessore culturale e di qualificazione della spesa pubblica.

Gli istituti comprensivi della scuola materna, elementare e media nascono nel 1994 con la Legge n° 97, per la tutela delle zone montane che, in appena tre anni, a partire dall’anno scolastico 1995/96, si sono arricchiti di un valore “aggiunto”, in relazione alle nuove prospettive di riforma e, in particolar modo, con la proposta di riordino dei cicli con l’attuazione dell’autonomia scolastica. I motivi di attualità degli edifici comprensivi sono molteplici, ed il riferimento più immediato è nel riordino complessivo dei cicli e dell’idea di un percorso formativo coerente ed unitario. Con riferimento alla Legge n° 53 del 28 Marzo 2003 ed al D.L. n° 59 del 19 Febbraio 2004, l’articolazione dei cicli scolastici è definita nel modo seguente:

“-- Il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria e da quella

secondaria di primo grado, ciascuna caratterizzata dalla sua specificità; esso ha la durata di otto anni e costituisce il primo segmento in cui si realizza il diritto – dovere all’istruzione e formazione. La scuola primaria

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scuola d’infanzia e teso al raggiungimento delle strumentalità di base, ed in due periodi didattici biennali.

-- La scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni si articola in un periodo didattico biennale ed in un terzo anno, che completa prioritariamente il percorso disciplinare ed assicura l’orientamento ed il raccordo con il secondo ciclo.

Le scuole statali appartenenti al primo grado possono essere aggregate tra loro in istituti comprensivi anche comprendenti le scuole dell’infanzia esistenti sullo stesso territorio.”

L’istituto comprensivo, che già oggi è chiamato all’istruzione ed alla formazione dei ragazzi dai 3 anni fino ad i 14 anni, segna una tappa importante verso una maggiore responsabilizzazione dei dirigenti e degli insegnanti nei confronti degli alunni e delle loro famiglie, in quanto la presenza di un alunno, per molti anni nella stessa istituzione, favorisce lo sviluppo di rapporti educativi più profondi e la condivisione di responsabilità del successo o insuccesso scolastico da tutti i gradi d’istruzione coinvolti.

Si nota che la scuola verticale coincide perfettamente con il ciclo primario previsto dalla riforma ed inoltre le norme di attrazione dell’autonomia scolastica, in particolare il regolamento sul dimensionamento dell’unità scolastiche, incentivano le forme di “verticalizzazione”.

Gli istituti comprensivi, come anticipato dalla Legge n° 662 del 23 dicembre 1996, diventano una tipologia ordinaria, e le prime simulazioni di dimensionamento ottimale prevedono una notevole espansione del modello verticale. Nei documenti preparatori dell’autonomia scolastica ed organizzativa, è anche incentivata l’autonoma capacità di ogni unità scolastica di determinare le caratteristiche della propria offerta formativa, improntandola ai principi della flessibilità e del miglioramento del servizio, potendo costruire così un vero e proprio curricolo, componendo variamente le discipline fondamentali e quelle opzionali, sperimentando le forme organizzative più adeguate. Le innovazioni, sotto il profilo organizzativo, rappresentano l’oggetto specifico di ricerche per molti istituti comprensivi e l’autonomia, inoltre, implica una più immediata visibilità del rapporto con il territorio, nelle sue valenze istituzionali ed educative. Gli istituti comprensivi, in questo senso, hanno già verificato positivamente una maggiore capacità di costruire risposte educative flessibili ed adattabili ai bisogni di sviluppo del contesto ambientale.

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Il riordino dei cicli, saperi fondamentali, e l’attuazione dell’autonomia sono tessere fondamentali per quel che riguarda il presente ed il futuro degli istituti comprensivi, e li coinvolge con la loro capacità di fornire risposte, ipotesi e materiali di lavoro alle diverse questioni quali la strutturazione curricolare, l’organizzazione didattica, l’integrazione scuola.

Altro punto fondamentale della riforma, che influisce sull’organizzazione spaziale degli edifici scolastici, è il riferimento all’attività pratica di gruppo e personale che presuppone un’adeguata dotazione di spazi specializzati. Nei documenti, accompagnanti la progressiva riforma, è prevista la realizzazione dei laboratori, indicati come uno degli elementi fondamentali per il piano di studioe la personalizzazione, indicati come il fine centrale per la legge di riforma del sistema educativo nazionale;

“…..Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto

dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione…..”.

La personalizzazione diventa lo snodo per realizzare il dettato normativo, per dare nuovo vigore al sistema educativo nazionale e qualità agli apprendimenti degli studenti. Personalizzare significa aprire, accrescere, liberare, moltiplicare la capacità e le competenze personali dell’individuo; dare a ciascuno il proprio, che è unico ed irripetibile, valorizzare le identità personali, non svilirle, ma considerarle poiché questa è la condizione necessaria per un dialogo fecondo con altre identità che possono, perfezionarsi a vicenda. Il fine è lo studente e la sua migliore maturazione globale a livello di capacità, nei contesti, nei processi e nelle relazioni date. La tradizione scolastica italiana, è quasi completamente fondata su modalità didattiche che percorrono la tradizionale via deduttiva: prima lo studio delle nozioni, dei concetti, degli schemi logici e dopo si passa alla pratica, il “fare”, che genera apprendimento, non è mai separato dal sapere e le due intelligenze (quella della mano e quella della mente) non si muovono mai separate, ma integrandosi, interagendo e potenziandosi a vicenda.

La scelta metodologica, nella realizzazione del cambiamento, richiede un’affermazione forte sia nel percorso obbligatorio che in quello opzionale facoltativo,

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astratto senza concreto. All’interno della riforma del sistema di educazione nazionale, il collegamento tra sapere, il saper fare ed il saper essere rappresenta un principio pedagogico irrinunciabile.

I laboratori e le pratiche laboratoriali sono un modo per ricordare l’unità della persona, della cultura e dell’educazione, e per imparare a scoprire in maniera cooperativa le complessità del reale, mai riducibile a qualche schematismo più o meno disciplinare; questi rappresentano un momento significativo di relazione interpersonale e di collaborazione costruttiva tra bambini dinnanzi a problemi da risolvere insieme, a progetti condivisi da realizzare ed a compiti comuni da svolgere. Tali contenuti erano già presenti nel D.P.R. n° 104 del 12 Febbraio 1985 che introduce i nuovi programmi ministeriali eliminando la distinzione tra materie curricolari ed integrative, ritenendo che tutti gli insegnamenti contribuiscono alla formazione ed alla maturazione dei ragazzi. Appare dunque chiara la necessità di predisporre spazi capaci di realizzare questo nuovo modo di pensare la scuola con spazi più ampi, specializzati e maggiormente attrezzati, ma anche la necessità di rileggere in chiave nuova lo spazio dell’aula che deve sempre essere flessibile, adattabile, trasformabile. Dunque le indicazioni relative alle dimensioni dell’intervento di seguito riportate devono essere considerate come valori minimi da integrare per raggiungere gli obbiettivi posti dalle nuove leggi in materia di offerta didattica.

Figura

Figura 1 - Aula di mutuo insegnamento, pianta
Figura 2 - A: scuola di Celle (Germania);   B: Trhee Decker School di Liverpool
Figura 4 - Scuole Gemelle Montessori e Willemspark  ad Amsterdam, vista dall'alto
Figura 5 - Scuole Gemelle Montessori e Willemspark, piante
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