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(1) . RASSEGNA STAMPA 28-06-2018. 1. REPUBBLICA.IT Tumori: c'è una soluzione anche per gli over 70 2. HEALTH DESK Hpv: il vaccino funziona davvero e riduce del 40 per cento il rischio di tumore 3. QUOTIDIANO SANITÀ In Italia spesa sanitaria all’8,9% del Pil, meno di Germania, Francia e Belgio 4. AGI Quante sono le apparecchiature mediche negli ospedali italiani troppo vecchie? 5. DIRE Giulia Grillo: Su acquisto generici serve corretta informazione 6. ADN KRONOS Salute: figli obesi? Ma le madri li vedono in forma 7. CORRIERE DELLA SERA Coca e oppiacei, mezzo milione di morti all'anno 8. AVVENIRE Vaccinazioni separate Il sindaco: ambulatori diversi per i rifugiati 9. QUOTIDIANO SANITÀ Nel 2017 denunce di infortunio stabili, in calo i casi mortali e le malattie professionali.

(2) 27-06-2018 Lettori 291.389. http://www.repubblica.it/. Tumori: c'è una soluzione anche per gli over 70. Non serve solo un'attenzione particolare verso gli over 70 anni. Ma anche protocolli specifici e più studi clinici. E formare gli oncologi. A Treviso al via un nuovo corso della Società internazionale di oncologia geriatrica, con studenti da Giappone, Australia, Canada ed Europa di TIZIANA MORICONI. PUÒ sembrare strano che per i tumori, che hanno il picco di incidenza proprio nella popolazione adultaanziana, ci siano pochi studi clinici su persone over 65. E che nella maggior parte dei reparti oncologici non siano organizzati ambulatori ad hoc, o non si seguano protocolli specifici. Eppure si fa ancora fatica a guardare alle necessità di questi pazienti, che hanno spesso altre malattie concomitanti e hanno quindi bisogno di un approccio diverso, mirato, che tenga conto della persona nel suo complesso. . PER RIMETTERCI IN PARI. Negli Usa e in Francia l'oncologia geriatrica è decisamente più avanti che nel nostro paese, ma qualcosa cinque anni fa è cambiato e oggi si percepisce una consapevolezza diversa. Pionieri sono un manipolo di geriatri come Roberto Bernabei e oncologi come Silvio Monfardini che, in seno alla Società internazionale di oncologia geriatrica (Siog) e insieme all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, hanno dato il via al primo (e attualmente) unico programma di formazione in questo campo, che sta diventando un punto di riferimento ben oltre i nostri confini. Il nuovo corso – che si svolgerà da oggi al 30 giugno a Treviso – accoglie infatti studenti da Giappone, Australia e Canada, oltre che dai paesi dell'Europa dove non esiste un training formale, e con docenti non solo italiani, ma anche francesi e statunitensi, che hanno all'attivo diverse.

(3) esperienze. Condividi . QUELLO CHE SERVE. “Comincia ad esserci più consapevolezza tra gli oncologi e sono state pubblicate le linee guida dell'Associazione italiana di oncologia medica – Aiom sull'oncologia geriatrica, che sono molto utili – spiega Monfardini, direttore del corso – ma sarebbe importante che nelle divisioni di oncologia degli ospedali ci fossero programmi più strutturati. Mi riferisco a spazi e momenti in cui geriatri, oncologi e chi si occupa delle terapie di supporto possano discutere insieme i singoli casi in maniera cadenzata, per mettere insieme idee su nuovi protocolli e studi clinici”. “L'effetto collaterale più importante per i pazienti anziani – continua l'oncologo – rimane l'abbassamento dei globuli bianchi e delle piastrine. Bisogna poi considerare tutti quei segnali che riguardano gli organi maggiormente colpiti da tossicità, come rene, fegato e cuore”. Il principale problema sta nel fatto che gli anziani sono esclusi dai trial clinici sui nuovi farmaci, quindi nella realtà clinica non ci sono dati a cui fare riferimento quando ci si trova a trattare pazienti fragili e vulnerabili. “L'Agenzia italiana del farmaco ha mostrato però un notevole interesse e anche su questo fronte qualcosa comincia a muoversi – conclude Mofardini – Ecco perché è sempre più importante formare giovani medici che siano interessati a trattare al meglio i pazienti anziani”..

(4) 26-06-2018 LETTORI 10.000 http://www.healthdesk.it/. ANCORA UNA PROVA. Hpv: il vaccino funziona davvero e riduce del 40 per cento il rischio di tumore Lo dimostra uno studio sulle donne che sono state vaccinate nel 1993. Ricercatori danesi hanno messo a confronto i risultati degli screening delle donne vaccinate con quelli delle donne non vaccinate. Scoprendo che nel primo gruppo i casi di tumore si riducono del 40 per cento. Lo studio sull’International Journal of Cancer. Dalle pagine dell’International Journal of Cancer arriva l’ennesima prova a sostegno dell’utilità dei vaccini. E si tratta di una prova molto consistente che si basa sull’osservazione di ciò che hanno realmente ottenuto le campagne di immunizzazione: uno studio dell’Università di Copenaghen ha infatti testato l’efficacia del vaccino per il papilloma virus su un’intera generazione di donne. Dimostrando che l’immunizzazione nei confronti del papilloma virus umano riduce effettivamente il rischio di ammalarsi di tumore della cervice uterina. I ricercatori hanno messo a confronto i dati sugli screening per il cancro del collo dell’utero che riguardavano le ragazze nate nel 1993, le prime ad aver ricevuto il vaccino, con quelli delle giovani donne nate dieci anni prima che non sono mai state vaccinate. La generazione del 1993 è stata sottoposta ai primi controlli nel 2016, mentre le donne del 1983 hanno effettuato la prima visita per la prevenzione del tumore femminile nel 2006. Ebbene, i ricercatori hanno osservato che nelle donne vaccinate il rischio di andare incontro alla.

(5) patologia oncologica si è ridotto del 40 per cento. Lo studio ha preso in esame il primo vaccino utilizzato per la prevenzione dei tumori del collo dell’utero provocati da alcuni tipi del papilloma virus umano (Hpv 16 e 18 sono responsabili del 70 per cento di tutti i casi di cancro). Si tratta di Gardasil 4 in uso tra il 2009 e il 2016. «È il primo studio al mondo che valuta l’efficacia del Gardasil-4 a livello di popolazione - ha dichiarato Elsebeth Lynge, a capo dello studio - Il programma vaccinale per l’infanzia e l’adolescenza che comprende il vaccino per l’Hpv è indirizzato all’intera popolazione. È quindi importante osservare l’intera popolazione osservando gli effetti del vaccino dopo il primo screening delle donne effettuato a 23 anni». Le donne nate nel 1993 avevano 15 anni quando hanno ricevuto il vaccino. Ora invece le ragazze vengono vaccinate a 12 anni e, per questa ragione, ci si aspetta di osservare un’efficacia preventiva del vaccino ancora superiore, visto che poche ragazze di quell’età sono sessualmente attive. Tra i vantaggi del vaccino, ricordano i ricercatori, c’è anche un considerevole risparmio della spesa sanitaria: le donne vaccinate non hanno più bisogno di effettuare controlli periodici dal ginecologo per effettuare i test dell’Hpv. L’indagine condotta dai ricercatori danesi e pubblicata sull’International Journal of Cancer ha consegnato un secondo inaspettato risultato: tra le donne vaccinate si assiste a una maggiore incidenza di lesioni lievi rispetto a quelle non vaccinate. Ma il dato dipende probabilmente, dicono gli autori, dai progressi nelle tecnologie diagnostiche degli ultimi anni, capaci di individuare leggere anomalie che un tempo sfuggivano all’osservazione. Non si tratta di un effetto collaterale del vaccino, rassicurano gli scienziati..

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(337) 28-06-2018 Lettori 17.555 www.agi.it. Quante sono le apparecchiature mediche negli ospedali italiani troppo vecchie? Secondo Assobiomedica, l’età media dei sistemi di diagnostica per immagini è superiore a 7 anni, con punte addirittura di oltre i 13 anni nel caso di alcune tecnologie. Ma l'obsolescenza delle macchine non pregiudica l'affidabilità delle analisi. Ecco perché di SONIA MONTRELLA. In ambito sanitario il nuovo governo giallo-verde dovrebbe inserire l’ammodernamento delle tecnologie e degli strumenti di diagnostica in cima alla sua agenda. È quanto afferma Antonio Spera, amministratore delegato di GE Healthcare Italia, intervenuto al workshop “Vetustà ed obsolescenza del parco tecnologico”, organizzato dall’Associazione Culturale Giuseppe Dossetti – I Valori Onlus a Villa Brasavola de Massa, a Verona. “In Italia un gran numero di apparecchiature ha ormai superato i limiti dell’obsolescenza tecnologica e non è più in grado di soddisfare gli standard di utilizzo”, ha dichiarato. “Secondo dati Assobiomedica, l’età media dei sistemi di diagnostica per immagini è superiore a 7 anni, con punte addirittura di oltre i 13 anni nel caso di alcune tecnologie. Questa situazione è divenuta ormai insostenibile e riteniamo sia da inserire tra le priorità della nuova legislatura dato che è spesso direttamente correlata anche allo sviluppo di liste d’attesa penalizzanti per i cittadini.. Il 50% delle apparecchiature è troppo vecchia Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva e molte altre: il 50% delle apparecchiature per la diagnostica è obsoleto. Almeno.

(338) secondo i dati di Assobiomedica pubblicati lo scorso dicembre. “Nello specifico, destano preoccupazione il 95% dei mammografi convenzionali con più di 10 anni di vita, così come il 69% di apparecchiature mobili convenzionali per le radiografie, il 52% dei ventilatori di terapia intensiva e il 79% dei sistemi radiografici fissi convenzionali”.. I rischi dei macchinari obsoleti Erogare sanità con tecnologia obsoleta è limitante nel risultato clinico, è a volte rischioso per il paziente e per gli stessi operatori sanitari ed è certamente più oneroso in termini di costi di manutenzione con eventuali ritardi e sospensioni nell’utilizzo dei macchinari, che generano tempi di attesa più lunghi e carichi di utilizzo mal gestiti.. Le proposte “Un’azione radicale di rinnovamento è quindi urgente - sostiene Spera - e le proposte non mancano: compartecipazione di capitali pubblici e privati, ricorso alla leva fiscale, schemi di “rottamazione dell’usato”, estensione del perimetro del piano nazionale Industria 4.0 allo scopo di consentire l’iper-ammortamento per gli investimenti in Sanità, ma anche il superamento dell'attuale immobilismo dei sistemi di remunerazione delle prestazioni, seguendo una logica di flessibilità e differenziazione. Oggi il peso delle tecnologie nella cura dei pazienti tende a crescere rispetto alle altre voci di spesa e non assecondarlo, governandolo al contempo con modelli di valutazione clinica ed economica, rischia di lasciare il nostro Paese al di fuori della medicina di eccellenza e di penalizzare ulteriormente il nostro sistema sanitario.”. “Una direttiva inutile con macchinari vecchi” Sul numero dei macchinari vecchi e sulla necessità di un ammodernamento degli stessi concorda anche Bruno Beomonte Zobel, professore ordinario di Diagnostica per Immagini e Radioterapia Università “Campus Bio-Medico” di Roma. “Quello della obsolescenza delle apparecchiature di Diagnostica per Immagini è un tema molto caro anche alla Società Italiana di Radiologia Medica ed Interventistica (SIRM), la società professionale che rappresenta più di 10.000 radiologi italiani, che si è più volte espressa per un ricambio di tali macchine”, ha spiegato il professore all’Agi. “È vero che il 50 % delle apparecchiature è obsoleto perché la maggior parte di questi apparecchi è rappresentato da macchine di radiologia tradizionale che.

(339) non vengono sostituite con la stessa frequenza di ecografi, apparecchi di TAC o di RM”.. Medici pronto soccorso ospedale (Agf). Il docente ha inoltre ricordato che “una direttiva della Unione Europea sulla Radioprotezione, entrata in vigore lo scorso mese di Febbraio, obbliga il radiologo a dichiarare sul referto la dose di radiazione cui è stato esposto il paziente”. Questa direttiva, però, “non è stata ancora recepita dal governo italiano sia per i noti ritardi, sia perché la maggior parte delle apparecchiature utilizzate non sono in grado di esprimere tale valore e si dovrebbero spendere dei quattrini per ottemperare alle suddette norme o cambiando le apparecchiature o aggiungendo dei dosimetri a quelle attuali”.. “Macchinari vecchi non portano a diagnosi sbagliate” Per Beomonte Zobel, però, il problema è più articolato: “Se da un lato apparecchiature più moderne, consentono di “vedere” meglio e di riconoscere più facilmente malattie presenti, a solo titolo di esempio si pensi che non tutte le TAC in attività sul territorio italiano sono in grado di eseguire studi diagnostici per definire la normalità o meno delle coronarie, le arterie del cuore, d’altro canto non bisogna ingenerare nei pazienti il dubbio che non siano correttamente assistiti perché le macchine sono vecchie”. La qualità della prestazione di Diagnostica per Immagini “dipende solo in parte dalla qualità della macchina. È la professionalità del radiologo, che in Italia è molto elevata, che decide cosa può essere efficacemente effettuato con una certa apparecchiatura e cosa no. È il radiologo che decide di eseguire un certo esame con una determinata tecnica di studio, verificando in precedenza l’appropriatezza e la giustificazione clinica di tale scelta e, successivamente, interpreta i risultati dell’esame stesso, assumendosene in toto la responsabilità”..

(340) 27-06-2018 LETTORI  . 10.000.   http://www.dire.IT . GIULIA GRILLO: SU ACQUISTO GENERICI SERVE CORRETTA INFORMAZIONE Roma, 27 giu. - Il tema della spesa farmaceutica per i ticket, che 'impazza' in Italia, "l'ho affrontato personalmente nella mia attivita' parlamentare. In effetti, in Europa, siamo tra quelli che usano meno farmaci generici. Su questo dobbiamo lavorare, non voglio obbligare nessuno perche' sono anche scelte individuali, ma c'e' anche un problema di informazione rispetto all'uso dei generici". Cosi' il ministro della Salute, Giulia Grillo, entrando all'incontro con le Regioni. "Spesso ho sentito dire storie fantasiose- prosegue- come quella che certi farmaci sarebbero meno efficaci di quelli coperti da brevetto. Cosi' non e'. Poi ovviamente se parliamo di malati cronici posso anche capire le esigenze malato". L'invito del ministro ai farmacisti, "che gia' lo fanno, e' di proporre un'alternativa". A questo proposito Grillo cita il caso di un'app di Cittadinanzattiva che consigliava subito il farmaco generico. "L'ho usata anche io- conclude- ci sono tanti modi su cui incideremo"..  .

(341) 27-06-2018 Lettori 80.400 http://www.adnkronos.com/. Salute: figli obesi? Ma le madri li vedono in forma Studio padovano su 2.700 bambini in 10 Paesi del mondo Roma, 27 giu. (AdnKronos Salute) - L'amore rende spesso ciechi, anche se si tratta di quello materno. Per una mamma sovente il proprio figlio è perfetto, e le madri dei bambini in sovrappeso e obesi non fanno eccezione: per la scienza hanno una percezione distorta della forma fisica del pargolo. E questo succede in tutto il mondo. E' quanto emerge da uno studio condotto da un team di ricercatori padovani guidato da Dario Gregori dell'Unità di Biostatistica, epidemiologia e sanità pubblica del Dipartimento di Scienze cardiologiche, toraciche e vascolari dell'Università di Padova, pubblicato su 'Obesity'.Lo studio di Gregori aveva come obiettivo quello di analizzare il tasso di misperception materna (intesa come percezione di un bambino sovrappeso/obeso come sottopeso/normopeso) e il suo ruolo nell'influenzare la scelta di intraprendere delle azioni mirate alla perdita di peso. Sono stati arruolati 2.720 bambini (fra i 3 e gli 11 anni, bilanciati per genere) in 10 nazioni in tutto il mondo (Cile, Messico, Argentina, Brasile, Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Georgia, e India). Di questi, 774 sono risultati in sovrappeso/obesi. La proporzione maggiore di bambini sovrappeso/obesi è stata identificata in India (49%, 377) e America Latina (16%, 124), seguite da Brasile, (7%, 54), Cile (6%, 45), Argentina (6%, 47). In Italia, in linea con le altre nazioni europee, è stato identificata una percentuale inferiore di bambini sovrappeso/obesi (30 su 774, pari al 4%). "La proporzione di bambini sovrappeso/obesi non correttamente percepiti come tali dalle proprie madri risulta molto elevata - spiega Gregori - la quasi totalità dei bambini sovrappeso (89%) e metà dei bambini obesi (52%) non sono stati percepiti come tali dalle proprie madri". L'analisi stratificata per nazione mostra una leggera variabilità tra i Paesi considerati nello studio (la proporzione di bambini sovrappeso/obesi non correttamente percepiti varia dal 50% del Cile all'89% della Francia). Quanto all'Italia, rappresenta uno dei Paesi con la proporzione più elevata di misperception, "ovvero l’80% dei bambini sovrappeso/obesi - pari a 24 bambini su 30 sovrappeso/obesi - sono stati percepiti dalle proprie madri come normopeso", dice l'esperto. I bambini sono stati sottoposti a una valutazione antropometrica, mentre alle madri è stato chiesto di indicare la figura che meglio rappresentava la forma fisica del proprio figlio tra 14 'modelli' (7 maschili e 7 femminili) disegnati in modo tale da rappresentare altrettanti bambini con differenti forme fisiche (dall'estrema magrezza fino all'obesità). La mispercpetion si è rivelata un fattore che influenza la scelta di adottare delle azioni per perdere peso: i bambini sovrappeso/obesi che non venivano correttamente percepiti come tali dalle proprie madri avevano una minore probabilità di essere coinvolti in un programma per perdere peso. Questi risultati, concludono gli autori, sottolineano la necessità che le politiche di salute pubblica volte a combattere l'obesità infantile favoriscano la presa di coscienza, da parte dei genitori, della forma fisica del proprio figlio, dato che questo fattore si è dimostrato importante in vista della scelta di aiutarlo a perdere peso..

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