• Non ci sono risultati.

RIASSUNTO TESI

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "RIASSUNTO TESI"

Copied!
53
0
0

Testo completo

(1)

1

RIASSUNTO TESI

L’impatto del diabete mellito di tipo 1 è importante in termini di costi socio-sanitari. Poiché il diabete mellito di tipo 1 insorge tipicamente durante l’infanzia e l’adolescenza, la gestione della malattia implica sforzi consistenti e di lunga durata in termini sia di costi sociali e sanitari, che di qualità di vita del paziente nel pieno delle proprie capacità intellettive e lavorative.

La più importante causa di morbilità e mortalità associate al diabete mellito di tipo 1 è data dalle complicanze microvascolari, inclusa la retinopatia diabetica che fra questa è la più frequente e temibile, in quanto più importante causa di cecità in età lavorativa, almeno nel mondo Occidentale.

Un ampio studio di popolazione americano (Wisconsin Epidemiologic Study of Diabetic Retinopathy, WESDR) iniziato nel 1979, ha dimostrato che dopo 25 anni di malattia quasi tutti i pazienti con diabete mellito di tipo 1 presentino segni di retinopatia, e che una elevata percentuale di questi sviluppi una forma avanzata ad elevato rischio di evoluzione in cecità. Studi di intervento hanno dimostrato che, se la prevalenza di retinopatia è trascurabile in epoca pre-puberale ed all’esordio di malattia, essa diventa significativa dopo 10 anni di malattia (40-50%), raggiungendo almeno il 90% dopo 20 anni di malattia. Lavori recenti suggeriscono tuttavia una riduzione negli ultimi anni di prevalenza ed incidenza di retinopatia, in particolare della forma avanzata. Un recente lavoro ha studiato la prevalenza di retinopatia e la sua evoluzione in una coorte di popolazione con diabete mellito di tipo 1 proveniente dalla stessa area geografica da cui fu estrapolata la popolazione per lo studio WESDR circa 10 anni prima. In entrambe le coorti sono stati selezionati i soggetti con 20 anni di durata di malattia, ed è stato utilizzata la stessa metodologia diagnostica per la retinopatia. Dal confronto è emersa una ridotta prevalenza di retinopatia di stadio avanzato e di compromissione dell’acuità visiva. Questo dato è stato confermato in altri studi condotti nel Nord Europa.

L’avvento degli analoghi rapidi dell’insulina ha sicuramente avuto un impatto significativo in termini di possibilità di ottenere un controllo glicemico più stabile ed un controllo metabolico migliore nel tempo. Del resto il recente

(2)

2

concetto di “memoria metabolica” implica che l’ottenimento di un controllo glicemico ottimale fin dall’esordio della malattia possa comportare, anche a distanza di molti anni, un minore rischio di comparsa e progressione di retinopatia e delle altre complicanze microvascolari. Il maggiore utilizzo attuale di farmaci potenzialmente protettivi a livello retinico (fenofibrato, inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone), oltre che di strumenti più sofisticati ed efficaci per l’autocontrollo glicemico, potrebbe d’altro canto contribuire a spiegare questo dato.

Sulla scorta di questi dati, in questo lavoro ci siamo proposti di valutare retrospettivamente eventuali differenze di prevalenza e relativi fattori di rischio di retinopatia a 10 anni di distanza in pazienti diabetici di tipo 1 afferenti al nostro centro. Nel primo gruppo (Gruppo A con n=516 soggetti esaminati tra 2012 e 2013) e nel secondo gruppo (Gruppo B con n=402 soggetti esaminati tra il 2002 ed il 2003) la retinopatia è stata valutata con due fotogrammi retinici per occhio e classificata in accordo con i criteri utilizzati nello studio EURODIAB. Nel Gruppo A abbiamo osservato valori medi di età, durata di malattia e BMI significativamente più alti, mentre è risultato significativamente più basso il valore medio di HbA1c, colesterolo LDL calcolato e totale. I pazienti del gruppo A facevano maggiore uso di terapia insulinica in infusione continua con microinfusore (CSII) e di statine. Le due coorti esaminate presentavano caratteristiche simili per quanto riguardava rapporto maschi/femmine, uso di ACE inibitori/sartanici, valori di pressione arteriosa e di colesterolo totale, HDL e trigliceridi.

Tra i due gruppi non vi era differenza significativa per quanto riguardava la prevalenza di retinopatia. Nei soggetti con segni di retinopatia, nel gruppo B abbiamo osservato un maggior numero di casi di retinopatia avanzata (proliferante e/o laser-trattata) ed un minore numero di casi di retinopatia non proliferante rispetto al gruppo A (p=0.02).

Dai nostri dati non emergono differenze significative di prevalenza tra due popolazioni ambulatoriali confrontate a distanza di circa 10 anni l’una dall’altra. Tuttavia confrontando i due gruppi di soggetti con segni di retinopatia, nel

(3)

3

gruppo A si osservava un minore numero di casi con retinopatia avanzata rispetto al gruppo B.

EPIDEMIOLOGIA DEL DIABETE MELLITO E DELLA RETINOPATIA DIABETICA

A causa del tasso di prevalenza in continuo aumento nel mondo del diabete mellito, la retinopatia diabetica rimane la più frequente causa di cecità prevenibile in età lavorativa (20-74 anni). Sebbene il diabete mellito possa essere coinvolto nella eziopatogenesi di varie malattie oculari (per es. cataratta, glaucoma), la retinopatia rimane la più comune e temibile fra le complicanze oculari della malattia.

Recenti proiezioni stimano che nel mondo, a causa della sempre maggiore prevalenza di obesità e dei mutamenti socio-economici, più di 370 milioni di persone siano affette da diabete mellito1, e che entro il 2030 almeno 429 milioni di persone saranno affette dalla malattia 2. Ulteriori proiezioni stimano

inoltre che nella popolazione globale affetta da diabete mellito, circa un terzo dei soggetti presenti segni di retinopatia, e che fra questi in almeno un terzo dei casi sia presente uno stadio avanzato di retinopatia (definita come proliferativa o come edema maculare), tale da compromettere la vista3. Negli Stati Uniti almeno il 40% delle persone con diabete mellito di tipo 2 e l’86% con diabete mellito di tipo 1 presenta segni di retinopatia diabetica. Ancora negli USA, in un ampio studio di popolazione su soggetti con diabete mellito di tipo 1 (996) e di tipo 2 (1360) iniziato nel 1979 (Wisconsin Epidemiologic Study of Diabetic Retinopathy, WESDR), il tasso di incidenza a 10 anni di retinopatia risultava essere del 74%, mentre nella popolazione con segni di retinopatia già all’ inizio dello studio, il 64% sviluppò un grado più avanzato di retinopatia ed il 17% sviluppò retinopatia di tipo proliferante. Il 10% circa dei soggetti con diabete mellito di tipo 1 ed il 25% con diabete mellito di tipo 2 svilupparono a 10 anni dall’ inizio dello studio edema maculare clinicamente significativo4. Dati disponibili dal follow-up a 25 anni dall’inizio dello studio indicano come nella coorte dei soggetti con diabete mellito di tipo 1, quasi tutti

(4)

4

abbiano sviluppato retinopatia nel tempo (97%), con 43% di retinopatia proliferativa e 29% di edema maculare. In contrasto con i dati del follow-up a 10 anni dall’inizio dello studio, i dati di follow-up degli ultimi 15 anni hanno evidenziato per la prima volta una riduzione significativa del tasso di incidenza annuale e di progressione della retinopatia 5.

Infatti, nel WESDR il tasso annuale di progressione della retinopatia diabetica e di incidenza di retinopatia proliferante, edema maculare clinicamente significativo e deficit severo della vista (acuità visiva di 20/200 o inferiore nell’ occhio peggiore) risultava maggiore nei primi 12 anni dello studio (diagnosi di malattia nel periodo 1980-1992) che negli ultimi 13 (diagnosi di malattia nel periodo 1994-2007). Risultava, inoltre, una più bassa prevalenza di retinopatia proliferante (9% più bassa) e di deficit visivo severo (4% in meno) nei soggetti con diagnosi di diabete nel periodo più recente dello studio rispetto ai primi 12 anni 6.

Fig.1. WESDR: dati del follow-up.

Questo dato non è peraltro del tutto nuovo; in un precedente studio condotto su soggetti con diabete mellito di tipo 1 diagnosticato fra il 1965 ed il 1984 in Danimarca, fu osservato per la prima volta un declino nell’ incidenza di complicanze oculari di grado avanzato. Il tasso di incidenza cumulativa di retinopatia proliferante ed edema maculare a 20 anni dalla diagnosi risultò infatti maggiore (rispettivamente 31% vs 19% e 13% vs 7%) nei soggetti con

(5)

5

malattia diagnosticata nel periodo 1965-1969 rispetto a quelli con diagnosi nel periodo 1979-1984 7. Inoltre nella stessa popolazione venne osservato dagli

autori un miglioramento significativo nell’acuità visiva dei soggetti con diagnosi più recente di diabete mellito. Questi cambiamenti nell’epidemiologia della retinopatia diabetica vennero attribuiti al migliorato controllo metabolico e pressorio dei soggetti con diagnosi di malattia in anni recenti.

Il Limpoking Diabetes Complications Study 8 ha esaminato l’incidenza di

retinopatia laser-trattata dopo 20 anni di malattia in una popolazione affetta da diabete mellito di tipo 1 diagnosticato tra il 1961 e il 1984. Gli autori riportarono una riduzione significativa dell’incidenza cumulativa di retinopatia laser-trattata dal 47% nel gruppo con diagnosi avvenuta nel periodo 1961-1965 al 24% in quello con diagnosi nel periodo 1971-1975. Non fu invece osservata una riduzione significativa nell’incidenza di retinopatia non proliferante fra i 2 gruppi.

I pochi dati disponibili in Italia mostrano che nella provincia di Torino nel 1995 l’incidenza di cecità secondaria al diabete mellito era di circa 2 casi/100.000 abitanti/anno e la retinopatia diabetica era causa del 13% dei casi di grave deficit visivo 9. In provincia di Viterbo, nel periodo 2002-2003, la retinopatia

risultava causa di cecità nel 15% dei casi, insieme al glaucoma e dopo la maculopatia degenerativa 10. Da un’ indagine più recente condotta fra i membri dell’ Unione Italiana Ciechi, cause principali di deficit visivo risultavano miopia grave (11.78%), degenerazione maculare senile (11%), cataratta (8.9%), glaucoma (8.3%), retinopatia diabetica (8.2%) e retinite pigmentosa (6.96%)

11.

Nonostante siano ormai numerosi in letteratura reports su una presunta minore severità e frequenza di retinopatia nell’era moderna degli analoghi rapidi dell’ insulina, pochi sono gli studi di popolazione che forniscono informazioni sul diabete mellito di tipo 1 a partire dalla diagnosi per un periodo di tempo di almeno 20 anni, come il WESDR. E’peraltro verosimile che esistano differenze diagnostiche e di classificazione della retinopatia tali da rendere piuttosto disomogenei i risultati degli studi epidemiologici in letteratura. In questo senso di grande importanza è risultato il Wisconsin Diabetes Registry

(6)

6

Study, studio di follow-up e di popolazione su una coorte di 305 soggetti con diagnosi di diabete mellito di tipo 1 estrapolata dalla medesima area geografica di studio del ben noto WESDR 12. Nello specifico, questo studio ha fornito

l’opportunità di:

1) evidenziare eventuali cambiamenti di prevalenza e severità della retinopatia fra periodi diversi in una stessa area geografica e con i medesimi metodi di valutazione della retinopatia,

2) valutare se tali cambiamenti fossero imputabili a modifiche nell’autogestione della malattia.

I soggetti di questa popolazione, arruolati tra il 1987 ed il 1992, sono stati seguiti per un periodo di follow-up di 20 anni, e la retinopatia è stata valutata mediante fotografia digitale stereoscopica in sette campi e classificata, come nel WESDR, in accordo ai criteri della Airlie House Classification of Diabetic Retinopathy and the Early Treatment Diabetic Retinopathy Study severity scale, modificata per il WESDR. A 20 anni dall’esordio di malattia, molti soggetti esaminati presentavano segni di retinopatia, che risultava tuttavia meno frequente e meno severa rispetto alla coorte del WESDR con stessa durata di malattia (92%, 95% CI 89-95 vs 97%, 95% CI 96-99). Solo nel 10% dei soggetti (95% CI 7-14) si evidenziava una forma proliferante rispetto al 36% (95% CI 32-40) del WESDR. In entrambe le popolazioni un minore grado di educazione ed una maggiore durata di malattia venne osservata nel gruppo di pazienti con grado di retinopatia avanzato, e ad un grado non avanzato di retinopatia si associavano valori significativamente più bassi di HbA1c ed un migliore autocontrollo del diabete (inteso come numero giornaliero di glicemie capillari misurate dai pazienti). I valori di pressione arteriosa e l’uso di farmaci antipertensivi risultavano entrambi significativamente maggiori nel grado avanzato di retinopatia. L’analisi statistica evidenziava inoltre come nel modello di regressione logistica per i 3 gradi di retinopatia (assente-lieve, moderata, severa), il grado avanzato di retinopatia fosse più frequente nell’ era WESDR che in quella del più recente WDRS (OR 3.3, 95% CI 2.5-4.3). Aggiustando per età, sesso, durata di malattia ed anni di educazione, il valore di OR si riduceva a 3.0 (95% CI 2.2-4.0). Includendo nel modello di

(7)

7

regressione anche i valori medi di HbA1c, il valore di OR si riduceva a 2.2 (95% CI 1.6-3.0). L’uso di terapia insulinica intensiva (CSII o multiniettiva), il dosaggio insulinico giornaliero ed il grado di autocontrollo glicemico non risultavano associati ad un grado avanzato di retinopatia se nel modello era inserito il valore medio di HbA1c, mentre includendo i valori medi di pressione arteriosa nel modello il valore di OR risultava solo debolmente ridotto (da 3.0 a 2.9)13 .

In letteratura si ipotizza che questo trand in miglioramento nello sviluppo di complicanze oculari del diabete mellito rispetto ai 30 anni passati, possa essere almeno in parte riconducibile ad un miglioramento del controllo metabolico medio della popolazione diabetica di tipo 1. Uno scarso controllo glicemico era del resto assai comune nella popolazione con diabete mellito di tipo 1 30-40 anni fa, epoca in cui il cardine della terapia era costituito da insuline umane caratterizzate da scarsa riproducibilità di effetto ed incompleta insulinizzazione nelle 24 ore. Inoltre, in tale epoca la tecnologia disponibile offriva poche possibilità in termini di autocontrollo glicemico (era disponibile soltanto il dosaggio della glicosuria come strumento di autocontrollo, il dosaggio di HbA1c ancora non era routinario), e le evidenze sul rapporto tra stretto controllo glicemico e minore rischio di complicanze risultavano ancora poco chiare in letteratura. Fu lo studio controllato randomizzato di intervento Diabetes Control and Complications Trial (DCTT), pubblicato nel 1993, a dimostrare per la prima volta in maniera univoca che uno stretto controllo glicemico riducesse il rischio relativo di sviluppare retinopatia diabetica in una popolazione con diabete mellito di tipo 1; inoltre i dati del follow-up (Epidemiology of Diabetes Interventions and Complications, EDIC) mostrarono che, dopo l’interruzione del regime intensivo di intervento, l’effetto protettivo di un controllo glicemico più stretto sullo sviluppo di retinopatia si mantenesse nel tempo nel gruppo di intervento malgrado una graduale convergenza dei valori di HbA1c dei due gruppi di studio (terapia convenzionale ed intensiva), portando al concetto di” legacy effect” o “memoria metabolica”14 . E’ verosimile che ottenere un

controllo glicemico stretto all’esordio della malattia abbia un effetto protettivo sullo sviluppo e sulla progressione di retinopatia, indipendentemente dai valori

(8)

8

medi di HbA1c raggiunti. E’ del resto assai probabile che la maggiore disponibilità di tecnologia nell’epoca contemporanea abbia avuto un impatto significativo nell’ottenimento di un controllo glicemico più stretto rispetto al controllo ottenibile 30 anni fa, grazie soprattutto alla disponibilità di strumenti per un autocontrollo glicemico intensivo e costante e per una più accurata stima del controllo metabolico a breve periodo.

(9)

9

Fig.3. Complicanze micro e macrovascolari del diabete mellito.

FATTORI DI RISCHIO DELLA RETINOPATIA DIABETICA Iperglicemia e durata di malattia

Gli studi epidemiologici hanno chiaramente dimostrato gli effetti di iperglicemia cronica, durata di malattia ed ipertensione arteriosa su incidenza e progressione della retinopatia e dell’ edema maculare nel diabete mellito. Già dai primi dati del WESDR fu evidente come l’incidenza di retinopatia aumentasse in maniera pressoché lineare con i livelli di emoglobina glicosilata (HbA1c) in tutti i gruppi di pazienti, e come i valori stessi di HbA1c all’inizio dello studio fossero significativamente associati allo sviluppo e alla progressione di retinopatia dopo 10 anni 15.

Il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) ha confermato il ruolo impotante del compenso glico-metabolico nell’ influenzare lo sviluppo e la progressione di retinopatia nel diabete mellito di tipo 1. Il DCCT è stato un

(10)

10

ampio studio controllato, prospettico e randomizzato condotto in Nord America e finalizzato a dare risposte in modo chiaro e definitivo sul rapporto tra iperglicemia e complicanze micro vascolari nel diabete mellito di tipo 1; in particolare gli autori si interrogarono se una quasi normoglicemia indotta da una terapia insulinica intensiva fosse in grado di prevenire l’insorgenza di complicanze microangiopatiche e di rallentare il peggioramento delle stesse quando già presenti all’inizio dello studio. Nello studio, svoltosi tra il 1985 e il 1993 e coinvolgente 1441 soggetti con diabete mellito di tipo 1 seguiti per un periodo mediano di 6.5 anni, i pazienti sono stati randomizzati in gruppi di trattamento convenzionale (1-2 iniezioni giornaliere di insulina con obiettivi glicemici convenzionali per l’epoca) ed intensivo (3-4 iniezioni giornaliere d’insulina associate a dieta ed attento automonitoraggio glicemico con obiettivo di ottenere glicemie e valori di HbA1c prossimi alla normalità). Nel gruppo in trattamento intensivo risultò un rischio relativo di sviluppare retinopatia ridotto del 76% rispetto al gruppo in trattamento convenzionale, mentre il rischio relativo di progressione della retinopatia era ridotto del 54%. Il miglioramento in termini di rischio e prognosi di retinopatia risultò indipendente da età, sesso, durata di malattia, grado di retinopatia iniziale, neuropatia, nefropatia e valori di HbA1c, e non fu trovato un valore soglia di HbA1c per l’insorgenza di retinopatia 16.

(11)

11

Lo studio EURODIAB è stato invece condotto in 23 centri europei ed ha coinvolto 1200 soggetti con diabete mellito di tipo 1 con durata media di malattia di 14 anni. Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad esame fotografico del fondo oculare, ed i risultati interpretati secondo modalità di classificazione comuni a tutti i centri. La prevalenza media di retinopatia è risultata essere del 46%, e l’incidenza di retinopatia in un gruppo di 760 soggetti della coorte originaria, seguito per 7 anni con la stessa metodologia, è risultata essere del 56%. L’incidenza di retinopatia aumentava esponenzialmente con l’aumento dell’ HbA1c senza, anche in questo caso, l’identificazione di un valore soglia.17 Lo studio UKPDS, altro grande trial di intervento condotto su una ampia popolazione di pazienti con diabete mellito di tipo 2, ha allo stesso modo dimostrato in modo inequivocabile il ruolo del controllo metabolico nello sviluppo e nella progressione di retinopatia 18.

Ipertensione arteriosa

Ipertensione arteriosa e diabete mellito sono frequentemente associati, specialmente nel contesto della sindrome metabolica. La prevalenza di ipertensione arteriosa nella popolazione con diabete mellito di tipo 2 risulta più alta rispetto alla popolazione generale. Da precedenti indagini epidemiologiche emergeva che all’età di 40 anni circa il 32% dei pazienti con diabete mellito di tipo 2 presentasse segni di ipertensione arteriosa, e la proporzione aumentava a 47% all’ età di 60 anni 19.

Lo studio UKPDS ha chiaramente dimostrato come un controllo pressorio di tipo intensivo (<180/85 mmHg) riduca l’incidenza di tutti gli end-points micro vascolari presi in considerazione (emovitreo, fotocoagulazione Laser, cecità ed insufficienza renale) rispetto al trattamento di tipo convenzionale (<180/105 mmHg), ed una riduzione mediana di 10 mmHg della pressione arteriosa sistolica e di 5 mmHg di quella diastolica risultava comportava una riduzione del 37% del rischio di microangiopatia 20. Per quanto riguarda la retinopatia

nello specifico, lo stesso gruppo di studio UKPDS ha messo in relazione controllo pressorio ed incidenza di retinopatia in uno studio clinico

(12)

12

randomizzato controllato che ha coinvolto 1148 soggetti ipertesi del Regno Unito randomizzati in un gruppo di terapia intensiva ed in uno di terapia convenzionale antipertensiva. Dopo 4.5 anni dalla randomizzazione vi era un numero ridotto di tutte le lesioni retiniche nel gruppo in trattamento intensivo, ed il numero di pazienti con progressione di retinopatia e necessità di Laser-terapia era significativamente ridotto (RR 0.53 con p<0.001 e RR 0.75 con p=.0.03 rispettivamente) nel gruppo intensivo.

I dati in letteratura tuttavia non sono univoci, per es. lo studio Appropriate Blood Pressure Control in Diabetes (ABCD) non ha dimostrato una riduzione significativa del rischio di progressione di retinopatia e neuropatia nel braccio in trattamento intensivo (diastolica < 75 mmHg) rispetto al braccio di trattamento moderato (diastolica fra 80 e 89 mmHg).

E’ stato ipotizzato anche un ruolo dell’attivazione del sistema renina angiotensina nell’eziopatogenesi della retinopatia indipendentemente dall’insorgenza di ipertensione arteriosa. Nell’ EURODIAB Controlled Trial of Lisinopril in Insulin Dependent Diabetes (EUCLID), una popolazione di pazienti con diabete mellito di tipo 1 non ipertesa e normoalbuminurica (85%) o microalbuminurica (15%) veniva randomizzata a trattamento con lisinopril vs placebo, e nel gruppo di trattamento fu osservata una riduzione significativa del rischio di progressione della retinopatia, indipendentemente dai livelli di albuminuria. Tale effetto tuttavia potrebbe essere riconducibile ad ipertensione misconosciuta in partenza ed al migliore grado di controllo metabolico di partenza nel gruppo di pazienti in trattamento 21.

Dislipidemia

La dislipidemia è stata proposta come un ulteriore fattore di rischio nello sviluppo e nella progressione della retinopatia, tuttavia i risultati degli studi sono contrastanti, ed il ruolo del profilo lipidico rimane ancora poco chiaro nello sviluppo di questa complicanza. In alcuni studi trasversali i parametri tradizionali dell’ assetto lipidico (colesterolo totale, LDL, HDL e trigliceridi) sono risultati associati allo sviluppo di retinopatia, non in altri. 22 23 24 Dall’analisi dei

(13)

13

dati del DCCT emerse un ruolo predittivo del rapporto colesterolo totale/HDL e colesterolo LDL nello sviluppo di edema maculare ed essudati duri, e concentrazioni ematiche maggiori dei suddetti parametri si associarono ad un maggiore rischio di retinopatia, tuttavia l’associazione perdeva di significatività statistica controllando per HbA1c. Inoltre, dati dello studio Fenofibrate Intervention and Event Lowering in Diabetes Study (FIELD) hanno mostrato un ruolo protettivo del fenofibrato, un comune farmaco ipolipemizzante, nella progressione di retinopatia e nel rischio di Laser-terapia in una popolazione con diabete mellito di tipo 2. Tale beneficio risultava peraltro indipendente dai livelli dei parametri di profilo lipidico, facendo ipotizzare un ruolo protettivo del fenofibrato direttamente a livello retinico 25.

Recentemente la ricerca ha puntato l’attenzione su di una possibile relazione fra apolipoproteine e retinopatia. L’apolipoproteina A1 (apoA1) è elemento costituente nel veicolare HDL in circolo, mentre l’apolipoproteina B (apoB) è presente nelle particelle VLDL, IDL, LDL e lipoproteina(a), ed il livello di entrambe non risente dei livelli post-prandiali dei parametri lipidemici tradizionali. Poiché apoA1 riflette principalmente l’accumulo di grasso tissutale, mentre apoB è espressa a livello retinico nei soggetti diabetici, esse potrebbero giocare un ruolo nella fisiopatologia retinica 26.

Altro

Sebbene il valore medio di HbA1c rimanga il più importante fattore di rischio di sviluppo e progressione di retinopatia nel diabete mellito di tipo 1, analisi post-hoc dello studio DCCT avrebbero evidenziato che HbA1c ha un impatto dell’ 11% sul rischio complessivo di sviluppare retinopatia. D’altro canto i valori medi di pressione arteriosa, HbA1c e colesterolo totale messi insieme giustificavano solamente un 9-10% del rischio di retinopatia nel WESDR 27. E’

verosimile quindi che altri fattori di rischio siano coinvolti nella patogenesi della retinopatia. Risultati di studi epidemiologici hanno suggerito un ruolo dei fattori etnici nel rischio di sviluppare retinopatia, con una maggiore predisposizione di afro-americani, ispanici e sud-asiatici rispetto alla popolazione caucasica. Dati

(14)

14

estrapolati da studi di aggregazione familiare e dal DCCT avrebbero mostrato una debole familiarità, indipendentemente dalla componente ambientale, nel rischio di sviluppare retinopatia, e a tale proposito una recente metanalisi avrebbe posto l’attenzione su determinati geni (per es. polimorfismi del gene dell’ aldoso reduttasi) potenzialmente implicati.

Nei soggetti con diabete mellito di tipo 1 è noto come pubertà e gravidanza contribuiscano al peggioramento di una retinopatia preesistente, ma non è chiaro se a causa di fattori ormonali. Recentemente è stato ipotizzato anche un ruolo di marcatori di infiammazione e disfunzione endoteliale. I dati in letteratura non sono comunque univoci al riguardo dei fattori elencati 28.

(15)

15

FISIOPATOLOGIA DELLA RETINOPATIA DIABETICA

Le moderne conoscenze sui meccanismi fisiopatologici che sottendono lo sviluppo della retinopatia nel diabete mellito sono in costante divenire. La retinopatia rappresenta la più frequente delle complicanze microangiopatiche nel diabete mellito, e l’espressione più tipica del danno vascolare a livello di microcircolo è rappresentata da alterazioni morfo-strutturali e funzionali che, attraverso vari meccanismi, conducono a occlusione del letto capillare, alla riduzione della perfusione tissutale e quindi per ultimo al danno ischemico dell’organo interessato. A livello istologico, tipico elemento di danno microangiopatico è considerato l’ispessimento della membrana basale vascolare, riconducibile sia ad una abnorme permeabilità della parete che ad un eccesso di sintesi o difetto di degradazione delle fibre di collageno della parete vasale stessa. Infine l’aumentata tendenza all’adesione di piastrine e leucociti alla parete, unita ad una condizione di ipercoagulabilità caratteristica del diabete mellito, favorirebbero la formazione di microtrombi e l’occlusione dei piccoli vasi.

(16)

16

Fig.5. Danno endoteliale mediato dall’iperglicemia.

I grandi studi clinici di intervento condotti fino al momento attuale hanno identificato nell’ iperglicemia cronica un fattore determinante nella genesi della microangiopatia e dell’aterosclerosi dei grossi vasi.

La vulnerabilità dei vasi capillari all’azione dell’iperglicemia è legata al fatto che le cellule endoteliali, diversamente da quanto accade per altri tipi cellulari, sono liberamente permeabili al glucosio, che raggiunge all’interno della cellula concentrazioni non lontane da quelle extracellulari. Questa incapacità della cellula endoteliale di regolare il trasporto intracellulare di glucosio, fa si che la parete endoteliale subisca alla lunga un danno conseguente al contenuto cellulare di glucosio. Questa caratteristica è comune nelle cellule endoteliali (della retina e degli altri organi), nelle cellule mesangiali glomerulari e nelle cellule di Schwann dei nervi periferici, motivo per cui reni e nervi periferici sono al pari della retina bersagli della microangiopatia diabetica.

(17)

17

Sono quattro le ipotesi più accreditate per spiegare i meccanismi biochimici della gluco-tossicità:

1) glicazione non enzimatica delle proteine 2) attivazione della via dei polioli

3) attivazione delle isoforme della proteina kinasi C (PK-C) 4) attivazione della via dell’esosamina.

Glicazione e formazione degli AGE

La glicazione è una reazione di condensazione non enzimatica che avviene tra uno zucchero riducente, come il glucosio, ed i gruppi amminici liberi di proteine, acidi nucleici o composti lipidici. Sebbene altri zuccheri presentino una maggiore attitudine a costituire legami crociati, la glicazione non enzimatica è esaltata in presenza di iperglicemia in maniera proporzionale all’ aumento della concentrazione di glucosio nel sangue e nell’interstizio 29. Il processo di

glicazione, conosciuto anche come reazione di Maillard, è una modificazione delle proteine in vivo dovuta alla creazione di un legame covalente fra il glucosio ed i gruppi amminici delle proteine. Il primo prodotto della reazione è un composto labile (base di Schiff) che successivamente, attraverso un rimaneggiamento intramolecolare, si trasforma in una chetoamina più stabile ma ancora parzialmente reversibile (prodotto di Amadori). La base di Schiff si forma in tempi relativamente brevi (da minuti a ore) ma la reazione è interamente reversibile con la normalizzazione delle concentrazioni di glucosio. Il passaggio successivo al prodotto di Amadori è assai più lento (giorni), tuttavia il processo è ancora parzialmente reversibile, ma con una velocità minore a quella della sua formazione, pertanto persistendo l’aumentata esposizione al glucosio si assiste ad un accumulo di prodotto di Amadori nei tessuti, e alla successiva trasformazione in prodotti irreversibili denominati AGE o prodotti avanzati della glicazione. Gli AGE sono molecole complesse e solo in parte conosciute, la cui proprietà è quella di determinare legami crociati fra catene proteiche contigue. A livello extracellulare la formazione degli AGE

(18)

18

incide profondamente sulla struttura e sulla funzione della matrice extracellulare e della membrana basale capillare. Creando legami crociati fra molecole contigue di proteine con lenta velocità di turnover (collageno, laminina, elastina etc.), gli AGE rendono le proteine più resistenti alla proteolisi rallentandone ulteriormente il riassorbimento e producendo una espansione della matrice extracellulare 30.

Inoltre gli AGE circolanti sono in grado di modificare profondamente la funzione cellulare interagendo con recettori specifici, il più studiato dei quali è RAGE. L’attivazione di RAGE, espresso sulla membrana cellulare, comporta una seria di eventi quali attivazione di NADPH ossidasi con formazione conseguente di ROS, l’attivazione della via MAP-kinasica con attivazione del fattore di trascrizione NF-kB, che a sua volta induce l’espressione di geni bersaglio per endotelina-1, ICAM-1, VCAM-1, E-selectina, VEGF ed altri fattori coinvolti nell’infiammazione e nella migrazione ed adesione alla parete endoteliale delle cellule pro infiammatorie. Gli AGE riducono inoltre la disponibilità e l’attività dell’ ossido nitrico endoteliale, favorendo così la vasocostrizione vascolare 31.

Attivazione della via dei polioli

Un secondo meccanismo biochimico attraverso cui l’iperglicemia potrebbe indurre un danno microvascolare è l’attivazione della via dei polioli, una via alternativa alla glicolisi, tramite cui il glucosio intracellulare viene trasformato dapprima in sorbitolo e poi in fruttosio. L’enzima chiave di questa via metabolica è l’aldoso-reduttasi, dotato di una bassa affinità per il glucosio. In condizioni di iperglicemia protratta l’esochinasi, enzima chiave della glicolisi, viene rapidamente saturato ed il glucosio viene metabolizzato dall’aldoso-reduttasi nel rispettivo poliolo, il sorbitolo. La via metabolica dei polioli è rappresentata in svariati tessuti umani, fra cui retina, nervi, glomeruli renali e cristallino, tessuti caratterizzati da una libera permeabilità al glucosio, il cui ingresso all’interno delle cellule non è mediato dai trasportatori GLUT4 ed è quindi insulino-indipendente. L’aldoso-reduttasi ha normalmente la funzione di ridurre le aldeidi tossiche ai rispettivi alcol inattivi, tuttavia il glucosio, quando

(19)

19

presente in concentrazioni abnormi di glucosio, diventa esso stesso substrato per l’enzima 32.

Sono vari i meccanismi che sono stati proposti per spiegare il danno tissutale indotto dall’attivazione della via dei polioli. L’accumulo di sorbitolo potrebbe determinare uno stress osmotico intracellulare, oppure un eccessivo consumo di NADPH, cofattore coinvolto nell’attività dell’ aldoso reduttasi ed allo stesso tempo indispensabile per la rigenerazione di glutatione ridotto (GSH), cui compete la funzione di neutralizzare i radicali liberi dell’ossigeno. Un’ ulteriore ipotesi fa riferimento all’aumentato rapporto NADH/NAD+, derivato dall’attività della sorbitolo deidrogenasi, con conseguente inibizione della gliceraldeide-fosfato-deidrogenasi, enzima chiave della glicolisi 33.

Attivazione della via della proteina-chinasi C

L’enzima proteina-chinasi C (PKC), nelle sue varie isoforme tissutali, rappresenta un importante crocevia nei meccanismi che conducono alla microangiopatia diabetica. La PKC è attivata dall’iperglicemia attraverso l’esaltazione della sintesi di diacilglicerolo (DAG), prodotto a partire dalla scissione dell’1-6-fruttosio-difosfato nella via glicolitica. Inoltre l’inibizione della gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, indotta dall’aumentato rapporto NADH/NAD+, aumenterebbe la disponibilità di gliceraldeide-3-fosfato per la sintesi di DAG. Tra gli effetti imputati all’aumentata attivazione di PKC ed ipoteticamente coinvolti nella patogenesi della microangiopatia, ricordiamo la ridotta espressione di eNOS e l’aumentata espressione di fattori favorenti la cascata infiammatoria, la sintesi di collageno e fibronectina (TGF-beta), la fibrinolisi (PAI-1) e la produzione di specie reattive dell’ossigeno.

Attivazione della via dell’esosamina

Una ulteriore interpretazione della patogenesi del danno vascolare nel diabete mellito fa riferimento all’attivazione della via metabolica della esosamina.

(20)

20

Il fruttosio-6-fosfato, prodotto in eccesso per maggiore disponibilità di glucosio, viene sottratto alla via gli colitica, dando origine alla glucosamina-6-fosfato, a sua volta convertita in UDP-N-acetilglucosamina. Quest’ ultimo prodotto avrebbe la proprietà di indurre la glicazione di alcuni fattori trascrizionali nucleari, che così modificati indurrebbero l’espressione genica di TGF-alfa, TGF-beta e PAI-1 32.

Ipotesi di un meccanismo patogenetico unico

Nel 2001 Brownlee ha elaborato una teoria patogenetica secondo cui i quattro meccanismi descritti sopra potrebbero derivare da un unico processo indotto dall’iperglicemia: una eccessiva produzione di anioni superossidi a livello mitocondriale. Il superossido è infatti uno dei radicali liberi di ossigeno che, prodotti per effetto dell’iperglicemia, può indurre molteplici danni a livello cellulare. Alla base di questa ipotesi vi è l’idea che le varie vie metaboliche implicate nell’insorgenza della microangiopatia prima elencate, derivino da una incapacità di utilizzazione dell’eccesso di energia prodotto dal surplus glicemico con conseguente disfunzione della struttura mitocondriale fisiologicamente deputata alla produzione energetica a livello cellulare. In sintesi, in base alle conoscenze di fisiologia e biochimica si può affermare che la produzione di ATP a livello della catena mitocondriale interna sia il risultato dell’accoppiamento dei processi ossidativi con la fosforilazione di ADP. Se a livello della membrana mitocondriale interna si accumula gradiente protonico sotto forma di NAD+ per produzione di energetica superiore al suo consumo, l’energia necessaria per spingere i protoni contro un gradiente crescente aumenta sempre di più fino ad una soglia oltre la quale il trasferimento di elettroni all’interno del complesso enzimatico III viene bloccato. Secondo questa teoria, l’eccesso di elettroni a monte della via viene quindi trasferito al coenzima Q, che a sua volta cederebbe gli elettroni accumulati all’ossigeno molecolare, generando così un sovraccarico di anioni superossido a livello mitocondriale. Brownlee ipotizza che la sovraproduzione mitocondriale di ROS danneggi i filamenti di DNA con conseguente attivazione dell’ enzima riparatore Poli-A-Polimerasi (PARP); da

(21)

21

ciò deriverebbe un accumulo di polimeri di ADP-ribosio sulle proteine nucleiche, fra cui la gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, che risulterebbe così inibita nella propria attività enzimatica. Dalla inibizione dell’enzima deriverebbe accumulo di gliceraldeide-3-fosfato e dei composti a monte della glicolisi, quali fruttosio-6-fosfato e glucosio. Ne risulterebbe per ultimo l’attivazione delle quattro vie metaboliche sopra menzionate e l’innesco della cascata di eventi già ricordati che condurrebbero al danno microangiopatico caratteristico della malattia diabetica 32.

Fig. 6. Ipotesi di Brownlee su un meccanismo unificante di patogenesi della microangiopatia diabetica.

(22)

22

STORIA NATURALE E CLASSIFICAZIONE DELLA RETINOPATIA DIABETICA

La retinopatia diabetica rappresenta una tipica espressione della microangiopatia diabetica che interessa tipicamente arteriole precapillari, capillari e venule della retina, e riconosce come momento eziopatogenetico tutti i meccanismi appena descritti.

Fig.7. Microangiopatia diabetica.

La retina è infatti irrorata da una densa rete capillare che soddisfa alla elevata domanda di glucosio e ossigeno della sua componente nervosa, metabolicamente molto attiva. Nei capillari retinici le cellule endoteliali sono caratterizzate dalla presenza di giunzioni intercellulari particolarmente strette, che costituiscono assieme alla membrana basale parte integrante della barriera emato-retinica. Queste caratteristiche funzionali della retina sono profondamente influenzate dall’ esposizione cronica ad un mezzo ricco di glucosio. Infatti uno dei primi eventi nella genesi della retinopatia è rappresentato dalla perdita dei periciti per apoptosi, con conseguente minore

(23)

23

solidità della parete capillare e ridotta capacità regolatoria del flusso sangiugno. Successivamente, per incremento della quota glicoproteica e riduzione nel contenuto di proteoglicano-eparansolfato, la membrana basale subisce un incremento di spessore ed una maggiore permeabilità. Contemporaneamente l’iperglicemia cronica produce un danno endoteliale con disgregazione delle giunzioni intercellulari e rottura della barriera emato-retinica.

La maggiore permeabilità e la ridotta resistenza della parete capillare giustificano la comparsa di tutte quelle modificazioni retiniche visibili all’oftalmoscopia che caratterizzano la retinopatia diabetica in stadi iniziali, quali emorragie, microaneurismi, essudati, che sono in genere reversibili con un miglioramento del controllo metabolico. Ove invece si mantenga protratta nel tempo l’esposizione ad elevate concentrazioni di glucosio possono intervenire occlusioni trombotiche dei capillari retinici favorite da modificazioni emocoagulative tipiche del diabete mellito in fase di non compenso, e mediate dall’ aumento del PAI-1 e dalla ridotta capacità fibrinolitica delle cellule endoteliali. La conseguente formazione di aree ischemiche è la premessa per l’avvio di processi di neovascolarizzazione attivati dal rilascio da parte delle cellule endoteliali di fattori indotti dal danno ipossico, quali FGF (Fibroblast Growth Factor), che ha la capacità di stimolare la proliferazione di cellule endoteliali, e VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) dotato di potente attività mitogena. La neovascolarizzazione retinica è l’elemento distintivo della retinopatia proliferante ed una delle cause maggiori di cecità. Altro aspetto di particolare gravità, anch’esso legato alle alterazioni morfo-funzionali capillari della retina, è rappresentato dall’ edema a livello maculare.

La retinopatia diabetica viene distinta in due stadi: non proliferante e proliferante. Tale classificazione, pur nella sua semplicità, ha una sua precisa base sia anatomo-patologica (nella forma non proliferante le lesioni sono contenute nell’ ambito del tessuto retinico, mentre nella proliferante invadono il corpo vitreo) che fisiopatologica, come appena mostrato. Tale classificazione consente inoltre di tenere ben distinti due quadri clinici differenti sia dal punto di vista terapeutico che prognostico.

(24)

24

All’osservazione del fondo oculare si possono identificare le seguenti lesioni: microaneurismi, emorragie di varia forma o dimensione, essudati duri, noduli cotonosi, anomalie intravascolari retiniche (IRMA), irregolarità di calibro venoso, edema retinico e proliferazione fibro-vascolare, la cui comparsa identifica la forma proliferante. La retinopatia non proliferante viene distinta in tre stadi di crescente gravità: lieve, moderata e grave o pre-proliferante sulla base della numerosità e gravità delle lesioni riscontrate. La forma lieve è caratterizzata dalla presenza di rari microaneurismi ed emorragie; l’incremento numerico di tali lesioni, associato eventualmente alla comparsa di essudati duri, definisce il quadro di moderata gravità; lo stadio non proliferante grave è caratterizzato dalla coesistenza di numerosi microaneurismi, noduli cotonosi, emorragie retiniche, anomalie di calibro venoso ed IRMA.

La retinopatia proliferante è invece caratterizzata dallo sviluppo di vasi neoformati (neovascolarizzazione), che rappresentano un tentativo di supplire alla ridotta perfusione retinica. I neovasi presentano una parete costituita da solo endotelio e, pertanto, sono fragili e tendenti al sanguinamento, causando spesso emorragie pre-retiniche ed endovitreali. Le neovascolarizzazioni possono essere localizzate a livello della retina e/o della papilla ottica e si accompagnano di solito ad una impalcatura di tipo fibroso che prende inserzione sul piano retinico ed all’ interno del corpo vitreo. La contrazione di tale tessuto può essere causa secondaria di distacco retinico. Fra le forme di retinopatia proliferante viene definita ad alto rischio la forma in cui le neovascolarizzazioni hanno grandi dimensioni (>1/3 dell’ area papillare) e/o associate a fenomeni di sanguinamento pre-retinico. Una ulteriore grave conseguenza della ridotta perfusione retinica è lo sviluppo di neovasi a livello del segmento anteriore dell’ occhio (iride ed angolo della camera anteriore), con conseguente comparsa rispettivamente di rubeosi iridea e glaucoma neovascolare.

Sia la retinopatia non proliferante che la retinopatia proliferante possono essere complicate da un danno della parte centrale della retina, la macula, di tipo edematoso e/o ischemico, con conseguente grave compromissione delle funzioni visive, in particolare dell’acuità visiva e della percezione dei colori.

(25)

25

L’edema maculare diabetico colpisce maggiormente i pazienti con diabete mellito di tipo 2, e costituisce attualmente la principale causa di handicap visivo secondario al diabete mellito. La mancata riduzione della capacità visiva non è segnale di microangiopatia diabetica assente, in quanto la sintomatologia soggettiva può mancare anche negli stadi avanzati di retinopatia, se non vi è contemporaneo interessamento della macula.

E’ stato identificato un quadro a maggiore rischio di danno visivo, definito edema maculare clinicamente significativo, caratterizzato da:

 ispessimento retinico entro 500 micron dal centro della macula;

 essudati duri localizzati entro 500 micron dal centro della macula, associati ad ispessimento della retina;

 aree di ispessimento retinico ampie almeno un diametro papillare a distanza pari o inferiore ad un diametro papillare dal centro della macula. Questa definizione è tuttora utilizzata per dare indicazione al trattamento foto coagulativo. Con l’introduzione dell’ OCT e della terapia antiangiogenetica, è preferibile distinguere ad oggi una forma di edema maculare centrale, ossia coinvolgente il centro della fovea con esame clinico e/o OCT, da una forma non centrale.

(26)

26

Grado Lesioni Implicazioni cliniche

Assente Nessuna lesione Basso rischio di progressione

Lieve Microaneurismi Basso rischio di progressione

Moderata Microaneurismi e/o emorragie, essudati Rischio moderato di progressione

Severa

Numerose emorragie e/o essudati (+20) in tutti i quadranti oppure dilatazioni venose, anomalie vascolari intraretiniche

(IRMA)

Alto rischio di progressione

Proliferante Neovasi, emorragie preretiniche/endovitreali Indicazione alla fotocoagulazione urgente

Maculopatia

Ispessimento retinico e/o essudati entro 500 mcm dal centro della macula, ispessimento retinico di dimensioni

superiori al diametro del disco ottico

Alto rischio di deficit visivo Necessità di terapia specifica

(27)

27

DIAGNOSTICA DELLA RETINOPATIA DIABETICA

L’ esame del fundus oculi mediante oftalmoscopia diretta da parte di personale esperto consente generalmente una adeguata valutazione di una condizione di retinopatia, sebbene idealmente l’esame dovrebbe essere effettuato mediante biomicroscopia con lampada a fessura per una esatta definizione diagnostica. Gli studi in letteratura hanno dimostrato che la fotografia del fundus oculi mediante retinografo, interpretata da personale esperto, presenta una elevata sensibilità (61-90%) e specificità (85-97%) 34.

Al momento attuale l’angiografia retinica con fluoresceina (FAG) rappresenta un esame di secondo livello, generalmente di pertinenza specialistica, nella diagnostica della retinopatia, sebbene abbia rappresentato per alcuni decenni l’esame cardine nella diagnostica retinica. L’ angiografia retinica rappresenta attualmente il gold standard per il riconoscimento di aree focali di ischemia retinica, rappresentate come aree di ridotta perfusione, specialmente se a livello periferico, ed aree di ischemia in regione maculare.

Negli ultimi anni è emersa l’importanza della tomografia a coerenza ottica nella diagnostica della maculopatia diabetica. L’esame ha il significato di una biopsia funzionale della retina, in quanto fornisce immagini tridimensionali ad alta risoluzione dello spessore retinico e rappresenta attualmente il gold standard diagnostico dell’ edema maculare, nonché uno strumento indispensabile nel follow-up dei pazienti in trattamento. L’esame fornisce inoltre preziose informazioni riguardo ad alterazioni morfo-strutturali della retina (trazioni vitreo-maculari, membrane epiretiniche) ad alto rischio per distacco retinico e suscettibili di correzione chirurgica 35.

In particolari situazioni cliniche esistono ulteriori esami utili in ambito specialistico a caratterizzare una retinopatia a fini prognostici e/o terapeutici. L’ecografia oculare trova indicazione nei casi in cui la visualizzazione del fondo oculare sia resa difficoltosa dalla opacità dei mezzi diottrici (cataratta, emorragie endovitreali) o per definire meglio i rapporti anatomici tra corpo vitreo e retina.

(28)

28

La microperimetria e l’elettroretinografia sono indicate per valutare la funzionalità retinica in rapporto alla presenza di lesioni. L’ iridografia può essere infine utile per una diagnosi precoce di neovascolarizzazione dell’ iride e per avere informazioni indirette sulla microangiopatia retinica nei casi in cui non sia possibil l’esame diretto del fondo oculare.

(29)

29 Fig.11. Caso di retinopatia non proliferante.

(30)

30

Fig.12. Caso di retinopatia proliferante con IRMA e neovasi a livello di papilla ottica.

(31)

31

SCREENING DELLA RETINOPATIA DIABETICA

L’efficacia della terapia in corso di retinopatia diabetica è strettamente correlata alla tempestività del trattamento. Inoltre, la sintomatologia visiva può essere scarsa o assente anche in presenza di gravi alterazioni a livello retinico tali da poter compromettere in breve tempo la capacità visiva. Per tale motivo l’adozione di programmi di screening risulta fondamentale per ridurre i casi di grave compromissione visiva correlati al diabete mellito.

Per screening si intende una procedura diagnostica semplice, poco costosa, di facile esecuzione ed applicabile ad un’intera popolazione in grado di identificare quadri clinici abbastanza gravi da richiedere un adeguato trattamento. L’esecuzione dello screening della retinopatia rappresenta la procedura con migliore rapporto costo/benefici nota in letteratura medica 36 , e laddove

impiegato in Islanda 37 , Svezia38 e Gran Bretagna39 40 ha permesso di evidenziare una netta riduzione dell’ incidenza di nuovi casi di cecità secondaria a diabete mellito.

Lo screening della retinopatia diabetica ha lo scopo di identificare precocemente lesioni che indichino presenza di retinopatia ad alto rischio di perdita della vista e lesioni caratteristiche della forma non proliferante avanzata ad alto rischio di evoluzione verso una forma proliferante.

L’ individuazione delle forme lievi e moderate di retinopatia non è un obiettivo primario dello screening, ma rappresenta comunque un valido strumento per individuare pazienti che non siano a rischio immediato di evoluzione verso forme avanzate ma che richiedano comunque un follow-up.

La tabella seguente indica la periodicità dello screening nei vari casi, come stabilito dalle linee guida nazionali di screening della retinopatia diabetica SID-AMD redatte dal Gruppo di studio sulle complicanze oculari del diabete.

(32)

32

Tab.1. Adattamento delle linee guida del gruppo di studio SID/AMD sulle complicanze oculari del diabete mellito (2013).

Diagnosi presuntiva Azione

Assenza di RD Screening a 24 mesi

RD non proliferante lieve Screening a 12 mesi

RD non proliferante moderata Screening a 6-12 mesi

RD non proliferante grave

(pre-proliferante) Visita specialistica entro 3 mesi

Sospetto edema maculare Visita specialistica entro 3 mesi

RD proliferante/oftalmopatia avanzata/edema maculare

clinicamente significativo

Visita specialistica urgente

Lo screening può essere eseguito mediante una o più delle seguenti metodiche:

 oftalmoscopia (diretta e/o indiretta)

 biomicroscopia mediante lampada a fessura

 fotografia a colori o in bianco e nero del fondo oculare.

L’oftalmoscopia è poco costosa ed eseguibile con uno strumento facilmente trasportabile, ma richiede l’impiego di personale esperto ed opportunamente addestrato, e non consente l’archiviazione dei dati. La biomicroscopia con lampada a fessura permette una analisi più accurata del polo posteriore della retina, ma ha costi elevati e non consente l’archiviazione dei dati ottenuti. La fotografia con retinografo permette invece di ottenere immagini di buona qualità e fornisce una documentazione archiviabile. I costi sono più alti rispetto all’oftalmoscopia, ma consente l’impiego di personale tecnico o infermieristico

(33)

33

per l’esecuzione, riservando l’interpretazione delle immagini a personale medico.

Fig.13. Procedure di screening della retinopatia mediante oftalmoscopio diretto e biomicroscopia con lampada a fessura.

Fig.14. Retinografo non stereoscopico per retinografia a colori digitale.

TERAPIA SISTEMICA DELLA RETINOPATIA DIABETICA

Le più recenti linee guida nazionali ed internazionali sulla gestione delle complicanze oculari del diabete mellito hanno messo in risalto l’importanza del controllo glicemico e della pressione arteriosa nella prevenzione dell’insorgenza e/o della progressione di retinopatia41. Rimane tuttavia ancora non del tutto

chiaro quali siano i target glicemici e pressori per una effettiva prevenzione della retinopatia nella popolazione diabetica, e quali i farmaci più efficaci a tale scopo 42.

(34)

34

Come già sottolineato, l’iperglicemia cronica si presume sia il primum movens di una cascata di eventi che innesca un danno microangiopatico. Diverse osservazioni epidemiologiche fecero osservare una stretta relazione tra livelli di HbA1c ed incidenza di retinopatia 43 44 . Queste osservazioni sono state successivamente confermate in due grandi trials di intervento. Nel DCCT, come già ricordato, 1441 soggetti con diabete mellito di tipo 1 furono randomizzati a ricevere un trattamento insulinico intensivo o convenzionale. Dopo follow-up mediano di 6.5 anni, il trattamento intensivo comportava una riduzione di incidenza di retinopatia del 76% (CI 95% 62-85%), ed una riduzione di progressione del 54% (CI 95% 39-66%) 45.

Lo studio UKPDS, che ha randomizzato 3867 soggetti con diagnosi recente di diabete mellito di tipo 2 in terapia antidiabetica convenzionale o intensiva, ha mostrato nel gruppo in trattamento intensivo una riduzione degli end-points microvascolari del 25% (CI 95% 7-40%), ed una riduzione del trattamento Laser retinico del 29% rispetto al gruppo in trattamento convenzionale 46. Queste prime osservazioni sono state successivamente confermate in altri studi

47 48.

Le analisi post-hoc dello studio DCCT hanno peraltro dimostrato come, nonostante una graduale e progressiva equalizzazione dei valori di HbA1c dopo il termine dello studio nei due bracci di trattamento, il tasso di progressione della retinopatia nel gruppo in trattamento intensivo si mantenesse comunque significativamente ridotto rispetto al gruppo in trattamento convenzionale, enfatizzando l’importanza di ottenere uno stretto controllo glicemico proprio ad inizio di malattia 49 50.

Questo concetto è supportato da risultati di altri studi prospettici randomizzati, in cui i partecipanti in terapia ipoglicemizzante intensiva presentavano incidenza di retinopatia avanzata più bassa a 10 anni di follow-up rispetto ai partecipanti in terapia convenzionale 51.

Ottenere uno stretto controllo metabolico nel diabete mellito di tipo 1 comporta due importanti effetti avversi. Il primo è il rischio di un iniziale peggioramento della retinopatia. Nel DCCT questo rischio era stimato al 13.1% nel gruppo in terapia intensiva vs 7.6% nel gruppo in terapia convenzionale, senza tuttavia

(35)

35

compromettere la capacità visiva, ed era reversibile entro 18 mesi dall’inizio del trattamento 52 . Osservazioni simili sono riportate in altri studi 53 . I

partecipanti con peggioramento della retinopatia avevano livelli di HbA1c in partenza significativamente più alti ed una velocità di riduzione di HbA1c nei primi sei mesi maggiore.

Il secondo effetto avverso da tenere in considerazione è rappresentato dal rischio di ipoglicemia e cheto acidosi 54. Una metanalisi di 14 studi prospettici

randomizzati, incluso lo studio DCCT, ha indicato un rischio di ipoglicemia tre volte superiore nel trattamento intensivo ed un rischio di cheto acidosi del 70% più elevato. Il rischio di acidosi era peraltro esclusivamente associato alla terapia con microinfusore 55.

Per quanto riguarda il trattamento dell’ipertensione arteriosa, gli studi epidemiologici non sono concordi nel dimostrare un ruolo della pressione arteriosa come fattore di rischio primario nell’incidenza e nella progressione della retinopatia diabetica 56 57 58.

Nel FIELD Study, come già ricordato, il gruppo di partecipanti in trattamento con fenofibrato presentava un minore rischio di necessità di Laser-terapia retinica, sebbene non fosse specificato né il grado di retinopatia dei partecipanti né il tipo di trattamento Laser impiegato. Lo studio peraltro non era stato concepito per valutare l’impatto della terapia ipolipemizzante sul rischio di retinopatia.

In un altro studio di intervento (Collaborative Atorvastatin Diabetes Study CARDS) effettuato su 2830 pazienti con diabete mellito di tipo 2, è stato osservato che la terapia con atorvastatina non riduceva significativamente il rischio di progressione di retinopatia 59 60.

(36)

36

SCOPO DELLA TESI

Obiettivo della tesi è stato valutare eventuali differenze di prevalenza di retinopatia diabetica e dei fattori di rischio in due popolazioni di soggetti affetti da diabete mellito di tipo 1 afferenti al nostro centro a 10 anni di distanza.

MATERIALI E METODI Disegno dello studio

Sono stati esaminati retrospettivamente due gruppi di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1 afferenti agli ambulatori della UO di Diabetologia e malattie metaboliche dell’ AOUP, rispettivamente dal Gennaio 2002 al Dicembre 2003 (Gruppo B totale 402 soggetti) e dal Gennaio 2012 al Dicembre 2013 (Gruppo A totale 516 soggetti). Per ogni paziente sono stati estrapolati i dati anamnestici, clinico-fisici e laboratoristici dal data-base della cartella informatizzata in uso presso il nostro centro (sistema Eurotuch My-Star). La diagnosi di diabete mellito di tipo 1 è stata effettuata in accordo con i criteri della World Health Organization.

Per ogni soggetto venivano analizzati: emoglobina glicosilata (HbA1c), profilo lipidico (colesterolo totale, HDL, trigliceridi e colesterolo LDL calcolato secondo equazione di Friedewuald), rapporto albuminuria/creatininuria (A/C). Venivano inoltre valutati dati anamnestici, pressione arteriosa ed indice di massa corporea (BMI).

Le misurazioni dei parametri emato-chimici sono state eseguite da campioni ematici prelevati a digiuno e da campione spot di urine presso laboratorio analisi centralizzato con analizzatore automatico Roche (Milano). Il dosaggio di colesterolo totale e trigliceridi veniva effettuato con procedure enzimatiche; il colesterolo HDL con metodo omogeneo (Roche, Milano). HbA1c è stata misurata mediante HPLC (Menarini-Diagnostici, Italia), le concentrazioni urinarie di albumina e creatinina secondo metodo immunotorbidimetrico (Roche Modular, Milano). Il rapporto A/C è stato utilizzato per definire i

(37)

37

soggetti normoalbuminurici e non normoalbuminurici (A/C<2.5 mg/mmol per gli uomini, <3.5 mg/mmol per le donne). La misurazione della pressione arteriosa era effettuata al mattino in posizione seduta dopo almeno 5 minuti di riposo come media di 2 misurazioni differenti. Il BMI era calcolato dalle misurazioni di altezza e peso corporeo, ricavati rispettivamente con bilancia e stadiometro standardizzati.

Valutazione della retinopatia diabetica

Tutti i pazienti presi in esame nelle due differenti popolazioni venivano esaminati con due fotografie retiniche non stereoscopiche per ogni occhio (campo nasale e campo temporale) con retinografo TOPCON TRC-NW100. La

stadiazione della retinopatia è stata effettuata utilizzando il metodo di classificazione ideato e validato da S.Aldington ed altri per lo studio EURODIAB (Tab 2), prendendo in considerazione l’occhio peggiore 61.

Tab.2 Classificazione della retinopatia utilizzata nello studio in accordo con il metodo di Aldington validato per lo studio EURODIAB.

Retinopatia Grado Livello

Assente 0

Non proliferante Lieve Moderato Severo

1 2 3 Proliferante e/o

Laser-trattata

4

Analisi statistica

Le due coorti di pazienti sono state descritte utilizzando la statistica descrittiva, esprimendo le variabili continue come media e deviazione standard e le variabili nominali come frequenza in percentuale. La retinopatia diabetica è

(38)

38

stata stratificata dividendo i pazienti in 5 gruppi: retinopatia assente (grado 0), non proliferante lieve (grado 1), non proliferante moderata (grado 2), non proliferante severa (grado 3) e avanzata (Laser-trattata e/o proliferante, grado 4). L’analisi statistica dei dati è stata eseguita utlizzando il software Statview (SAS Institute; Cary, NC).

(39)

39

RISULTATI

La tabella sottostante (Tab.3) riassume le caratteristiche cliniche dei due gruppi di pazienti esaminati.

Tab.3. Caratteristiche delle due popolazioni esaminate.

Caratteristiche GRUPPO B (2002-2003) GRUPPO A (2012-2013) p

Numero 402 516

Maschi 222 (55.2%) 278 (53.9%) NS Età (anni) 37.5±11.7 42.6 ±12.9 <0.0001

Durata malattia (anni) 16.7±11.3 19.9±12.5 <0.0001

HbA1c media (%) 8.0±1.3 7.8±1 0.01 CSII 5 (1%) 90 (17.4%) <0.0001 BMI (Kg/m²) 24.3±3.3 25.3±3.8 <0.0001 PAS (mmHg) 131.7±65.8 126±22.6 NS PAD (mmHg) 78.0±10.2 75±31.3 NS Ipertensione arteriosa 28 (8.0%) 49 (9.5%) NS Col TOT (mg/dl) 194.7±36.6 188.3±33.6 0.007 Col LDL (mg/dl) 118.0±32.9 109.2±27.5 <0.0001 Col HDL (mg/dl) 60.5±15.0 62.0±14.7 NS TG (mg/dl) 96.1±54.9 90.5±53.0 NS Uso ACE inibitore/sartanico 26 (18.2%) 111 (21.5%) NS Uso statine 22 (6.3%) 104 (20.2%) <0.0001 A/C (mg/mmol) 32.7 2.2 0.002

Nel Gruppo A abbiamo osservato valori medi di età, durata di malattia e BMI significativamente maggiori, mentre è risultato significativamente più basso il valore medio di HbA1c, colesterolo LDL calcolato e totale. I soggetti del gruppo A, inoltre, facevano maggiore uso di terapia insulinica in infusione continua con microinfusore (CSII) e di statine. Tra i due gruppi non c’erano differenze

(40)

40

statisticamente significative caratteristiche simili per quanto riguarda sesso, uso di ACE inibitori/sartanici, pressione arteriosa, colesterolo totale, HDL e trigliceridi.

Per quanto riguarda la retinopatia, nella coorte di pazienti seguiti fra il 2012 ed il 2013 (Gruppo A) , il 39% presentava segni di retinopatia; nei pazienti seguiti tra 2002 e 2003 (gruppo B), segni di retinopatia erano evidenti nel 41% dei pazienti, senza differenza significativa rispetto al gruppo A (χ²=2.62, p n.s.).

0

10

20

30

40

50

60

70

80

%

assente

Presente

Gruppo A

Gruppo B

Figura 15: Prevalenza di retinopatia nei due gruppi.

Inoltre, tra i soggetti con segni di retinopatia, nel gruppo B è stato osservato un maggiore numero di casi di retinopatia avanzata (proliferante e/o laser-trattata) ed un minore numero di casi di retinopatia non proliferante (lieve-moderata-severa) rispetto al gruppo A (χ²=11, p=0.02).

(41)

41

0

10

20

30

40

50

60

70

80

%

Grado 1

Grado 2

Grado 3

Grado 4

Gruppo A

Gruppo B

* * * *

* P=

0.02

Fig.16. Stratificazione gravità della retinopatia nei due gruppi.

In entrambi i gruppi, i soggetti affetti da retinopatia presentavano età e durata di malattia maggiori, ed i valori di HbA1c media, colesterolo totale ed LDLc significativamente più alti. I soggetti con retinopatia presentavano inoltre, in entrambi i gruppi, livelli di BMI significativamente più elevati. Abbiamo osservato infine una correlazione fra ipertensione arteriosa, uso di statine e retinopatia in entrambi i gruppi, mentre soltanto nel gruppo A la presenza di retinopatia correlava con l’uso di ACE inibitore/sartanico in terapia cronica (Tab.4).

(42)

42

Tab.4. Caratteristiche delle due popolazioni esaminate e differenze tra sottogruppi con e senza retinopatia diabetica.

Gruppo A Gruppo A p Gruppo B Gruppo B p Caratteristiche RD assente RD presente RD assente RD presente

Numero 313 203 237 110 Maschi 166 112 NS 136 (61%) 86 (39) NS Età (aa) 39.3±12.2 47.6±12.4 <0.0001 34.0±10.6 42.5±11.5 <0.0001 Durata malattia (aa) 15.4±11.1 27±11.3 <0.0001 11.5±9.2 24±9.9 <0.0001 HbA1c media (%) 7.6±1 8.2±1 0.0001 7.9±1.3 8.3±1.2 0.005 PAS (mmHg) 124.2±20.6 129±25.3 0.02 129.3±44.6 135±21.5 NS PAD (mmHg) 76.1±52.1 73.4±11.7 NS 76.3±9.8 80.2±10.4 0.0009 BMI (Kg/m²) 24.7±3.4 26.3±4.2 <0.0001 23.7±3.2 25.2±3.4 <0.0001 Col TOT (mg/dl) 186.7±36.2 190.9±29 NS 189.1±37.0 202.7±34.6 0.0003 Col LDLc (mg/dl) 107.3±27.8 112.2±26.7 0.05 113.0±32.6 125.4±32 0.0002 Col HDL (mg/dl) 62.7±14.5 60.8±14.9 NS 60.7±15 60±14.8 NS TG (mg/dl) 84.7±48.8 99.5±57.8 0.002 95.3±55.3 97.2±53.2 NS Ipert art 17 (35%) 32 (65%) <0.0001 11 (39%) 17 (61%) 0.02 ACE inib/sartanici 36 (32%) 75 (68%) <0.0001 11 (42%) 15 (58%) NS Statine 50 (48%) 54 (52%) 0.003 8 (36%) 14 (64%) 0.01

(43)

43

Tab.5. Caratteristiche e differenze tra i due gruppi nei soggetti con retinopatia diabetica. Caratteristiche GRUPPO A (2012-2013) GRUPPO B (2002-2003) Differenza fra i gruppi (P) Maschi 112 (55%) 86 (52%) NS Età (anni) 47.6±12.4 42.5 ±11.5 <0.0001

Durata malattia (anni) 27±11.3 24±9.9 0.009

HbA1c media (%) 8.1±1.0 8.2±1.2 NS CSII 39 (19%) 2 (1%) <0.0001 BMI (Kg/m²) 26.3±4.2 25.2±3.4 0.008 PAS (mmHg) 129.0±25.3 135±21.5 0.02 PAD (mmHg) 73.4±11.7 80.2±10.4 <0.0001 Ipertensione arteriosa 32 (16%) 17 (12%) NS Col TOT (mg/dl) 190.9±29 202.7±34.6 0.005 Col LDLc (mg/dl) 112.2±28.9 125.4±32 <0.0001 Col HDL (mg/dl) 60.8±14.9 60.0±14.8 NS TG (mg/dl) 99.5±57.8 97.2±53.2 NS Uso ACE inibitore/sartanico 75 (37%) 15 (23%) 0.04 Uso statine 54 (27%) 14(23%) 0.002 A/C (mg/mmol) 32.7 2.2 0.002

(44)

44

Stratificando i due gruppi di pazienti secondo la durata media di malattia (<10 anni, tra 10 e 20 anni, > 20 anni) è stato inoltre osservato un maggiore numero di casi di retinopatia nel gruppo B con durata di malattia > 20 anni (χ²=4.4, p=0.03) e 10-20 anni (χ²=8.3, p=0.004) rispetto al gruppo A, mentre non vi era differenza significativa tra i due gruppi nei pazienti con durata di malattia < 10 anni. Inoltre, nei soggetti con retinopatia nel gruppo di durata di malattia > 20 anni e tra 10 e 20 anni, la prevalenza di retinopatia avanzata era significativamente più alta nel gruppo B rispetto al gruppo A (rispettivamente 35% vs 28%, p=0.02 e 6% vs 3%, p=0.02). Anche in questo caso non vi era differenza significativa nei due gruppi di pazienti con una durata di malattia < 10 anni (p=0.4).

0

10

20

30

40

50

60

70

80

%

< 10 aa

10-20 aa

> 20 aa

Gruppo A

Gruppo B

* *

Fig.17. Prevalenza di retinopatia secondo intervalli di durata di malattia (in anni).

Figura

Fig.  6.  Ipotesi  di  Brownlee  su  un  meccanismo  unificante  di  patogenesi  della  microangiopatia diabetica
Figura 15: Prevalenza di retinopatia nei due gruppi.

Riferimenti

Documenti correlati

Use of all other works requires consent of the right holder (author or publisher) if not exempted from copyright protection by the

Una volta verificati i criteri di inclusione nello studio e il fallimento della somministrazione iniziale della ORS, dopo adeguata informazione e prima della randomizzazione

Dopo aver esaminato le tematiche citate, ho ritenuto importante affrontare l’evoluzione della comunità, tra società e persona, mitopoiesi e società, l’uomo borghese (e

Inoltre, sono risultati aumentati alcuni indicatori dell’immunità acquisita e innata nei due gruppi di intervento rispetto al gruppo placebo a 3 mesi rispetto ai valori di base,

I risultati, dopo 20 settimane di trattamento e un anno di follow-up su 135 pazienti di 10-17 anni, hanno eviden- ziato che il gruppo CBT + amitriptilina presentava 4 o meno crisi

meningioma, the most exact differ- ential diagnosis ranges between extraventricular neuro- cytoma and DNT, clear cell ependymoma, oligoden- droglioma, and papillary

conférence intergouvernementale entre Londres et Dublin; et un conseil britannique- irlandais (ou Council of the Isles) avec la participation de la République d’Irlande, l’Irlande

Ai fini della nostra ricerca in origine di questa tesi, sfrutteremo anche quel poco che ci viene passato dall’autore su questo tema, il quale riconosce che “l’esperienza estetica”