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CAPITOLO 4. SANTA CROCE E SAN BONAVENTURA DEI LUCCHESI

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CAPITOLO 4.

SANTA CROCE E SAN BONAVENTURA DEI LUCCHESI

4.1 Dalla chiesa di San Nicola alla chiesa di Santa Croce e San Bonaventura

L’iscrizione “TEMPL. S. CRUCIS ET S. BONAV. NAT. LUCEN.”, posta nell’architrave del portale d’ingresso della chiesa della Nazione lucchese (fig. 30), serba memoria della precedente titolazione al santo cappuccino Bonaventura. Infatti, l’edificio chiesastico fu edificato dai Cappuccini alla metà degli anni Settanta del Cinquecento e fu la loro sede conventuale sino al 1631, quando i religiosi si trasferirono nel nuovo complesso di via Veneto.

Durante gli anni del pontificato di Niccolò V, all’ordine minoritico francescano fu affidata, per volontà dello stesso pontefice, la chiesa di San Nicola, sita ai piedi del versante settentrionale del Quirinale, in quella parte di città lasciata a orti, vigne e uliveti.

«Dell’antica chiesa non una memoria ci è pervenuta, né a me è riuscito finora rintracciarla, e questo lo dobbiamo al massimo disprezzo in cui sono tenute queste memorie al momento dei restauri». Con queste parole Vincenzo Forcella negli anni Settanta dell’Ottocento denunciava, nella premessa al testo in cui venivano trascritte le iscrizioni presenti nella chiesa dei Lucchesi, la scarsità di fonti relative a San Nicola, il nucleo originario su cui sorsero successivamente le chiese di San Bonaventura e di Santa Croce della Nazione lucchese.

Della chiesa primitiva, si interessò per la prima volta il padre cappuccino Edoardo da Alençon, storico dei conventi del proprio ordine; a lui si deve sia l’identificazione dell’antica cripta posta al di sotto dell’odierno coro sia l’ipotesi dell’orientamento in direzione dell’attuale piazza di Trevi della chiesa originaria.1 Poiché i vincoli vigenti

non consentono di effettuare sopralluoghi nei sotterranei di Santa Croce e San Bonaventura, non è possibile fornire in questa sede un riscontro critico di quanto appena esposto. E’ comuque possibile far risalire il suo periodo di fondazione al

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Basso Medioevo, dato che la chiesa di “San Nicolao de Trivio”2 si trova così

menzionata per la prima volta nel catalogo di Cencio Camerario (1192). La datazione è confortata, anche se con una differenza di circa duecento anni, dai risultati degli studi condotti da Da Alençon e, successivamente, da Angela Negro, soprintendente ai Beni artistici di Roma, secondo i quali l’assetto murario e l’apparato decorativo a fresco risalgono ai secoli XIV-XV.3 Queste opere potrebbero essere state realizzate

sul nucleo originario risalente a un periodo precedente.

Fu solo nel 1536 che i Cappuccini si trasferirono in San Nicola, lasciando così il loro convento di Sant’Eufemia, posto nelle vicinanze della chiesa di Santa Pudenziana. Secondo quanto si legge negli Annali dell’Ordine, compilati dal frate Domenico da Isnello, nel momento in cui si insediarono nella chiesa di San Nicola, i Cappuccini non apportarono a questa alcuna modifica.4 La struttura esistente rimase inalterata

per circa quarant’anni, precisamente fino al 1575, quando i frati disposero di un terreno adiacente alla chiesa, donato loro il 31 gennaio di quell’anno da Marcaantonio Colonna, 5 grazie all’intercessione della sorella Vittoria e della moglie Giovanna

d’Aragona, entrambe protettrici del predetto Ordine. A questa concessione ne fece seguito un’ulteriore, avvenuta il 23 novembre 1587 per volontà di Ascanio Colonna, figlio del summenzionato Marcantonio. I Cappuccini, per assecondare il volere di

2 L’appellativo seguente la dedicazione a San Nicola è stato fatto risalire al nome del rione dove si trovava l’antica chiesa sino al XIV secolo, come risulta, ad esempio, dai cataloghi di Parigi (ca. 1230) e di Torino (ca. 1320), nei quali la chiesa è menzionata rispettivamente “s. Nicolaus de Curte Trivii” ed “Ecclesia sancti Nicolai de Trivio”. Invece negli elenchi delle chiese di Roma stilati nel XV secolo emerge un cambiamento di denominazione in de Pontis, come risulta dal catalogo di Signorili (1425), o in de Porcis, come scrisse Volterrano nel “Volumen rerum antiquarum basilacae SS. XII Apostolorum” (1454). Secondo alcuni studiosi si dovrebbe al cognome di una famiglia dimorante nei pressi della chiesa la nuova denominazione (Vichi1964,p. 16). Nel XVI secolo anche quest’ultima denominazione subì una corruzione, e così accanto alla chiesa di San Nicola comparve in porcilibus. Anche in questo caso gli studiosi hanno offerto spiegazioni differenti che rimangono nel campo delle ipotesi. Sino agli studi di Adinolfi, per alcuni studiosi l’appellativo si riferiva al mercato di suini che si teneva sin dall’antichità nelle vicinanze della chiesa (Vichi 1964, p. 16). Gli studi condotti da Hülsen hanno dimostrato però come il forum suarium fosse lontano da San Nicola e pertanto l’ipotesi interpretativa precedentemente riportata cadde. Allo stato attuale degli studi, risulta la più accreditata l’ipotesi avanzata da Adinolfi, per il quale la denominazione dipendeva dal cognome di una famiglia che aveva assunto potere nel quartiere (Adinolfi, II, pp. 312-313). Questa ipotesi sembrerebbe accreditata da quanto riportò Stefano Infessura nel “Diario della città di Roma”. Infatti, lo studioso cita un certo Bernardo Porcio o Porchio da Treio come caporione di Trevi nel 1477.

3 Da Alençon 1908.

4 «[…] fu tenuta per alcun tempo nel modo che si trovava […]»: AFMC, Annali, t. I, p. 209. Il documento, parzialmente trascritto in Vichi 1964, p. 23, è riportato in Appendice C, doc. 34.

5 «[…] et […] confini di larghezza di palmi trentasei et di lunghezza cinquant’uno et mezzo che calcolati insieme fanno in tutto la misura et capacità di canne Diciotto et mezzo et pal(mi) quattro […]»: AFMC, Conventi chiusi, San Bonaventura, fasc. 1bis. Il documento è riportato in Appendice C, doc. 35.

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Gregorio XIII, diedero inizio proprio nel 1575 alla costruzione di un nuovo convento, nel quale visse fra Felice da Cantalice6, e all’ampliamento della chiesa che

fu dedicata a San Bonaventura.7 I lavori furono portati a termine nel giro di cinque

anni, e così il 12 marzo 1580 la chiesa fu consacrata dal vescovo di Milo Bartolomeo Doria. Secondo quanto riporta Vichi, i frati si servirono dell’area su cui sorgeva la precedente chiesa per costruire il coro di San Bonaventura.8 Da quanto afferma lo

studioso è possibile giungere a due conclusioni: la chiesa primitiva era di dimensioni modeste e fu notevolmente ampliata con i lavori successivi alla donazione di Colonna.

La salita al soglio pontificio di Urbano VIII segnò un momento di svolta nella storia dei Cappuccini e, indirettamente, in quella della comunità lucchese dimorante in Roma. Poco dopo la sua elezione, il pontefice concesse all’Ordo Fratrum Minorum

Capuccinorum, al quale apparteneva il fratello Antonio, il privilegio di poter realizzare

un nuovo complesso monastico. Il 16 marzo 1624, anno in cui fu eletto cardinale di Sant’Onofrio, Antonio pose la prima pietra del nuovo convento sito in via Veneto, mentre sette mesi dopo (4 ottobre) fu lo stesso Urbano VIII a porre la prima pietra dell’adiacente chiesa dedicata all’Immacolata Concezione. Il trasferimento dei Cappuccini nella nuova sede avvenne il 22 maggio 1631, stesso giorno in cui il papa promulgò il breve In supereminenti, col quale concedeva alla comunità lucchese – magistralmente elogiata – sia il vecchio complesso di San Bonaventura (chiesa, coro, sacrestia e parte del convento9) sia la facoltà di fondare, al posto del convento dei

Cappuccini, un ospedale nazionale per la cura dei poveri infermi.10

E’ probabile che i Lucchesi, venuti a conoscenza del prossimo trasferimento dei Cappuccini, abbiano ancora prima del 1631 convinto il pontefice a concedere loro la

6 Il frate cappuccino, conosciuto anche come “frate Deogratias”, fu amico di san Carlo Borromeo e san Filippo Neri. Il 18 maggio 1587 spirò e il suo corpo fu seppellito nell’odierna cappella del Crocifisso, dove riposò fino al 27 aprile 1631, quando fu traslato nel nuovo complesso dei Cappuccini. 7 Gregorio XIII volle che la chiesa e il convento fossero ingranditi e che fossero intitolati a San Bonaventura, del resto lo stesso pontefice aveva voluto nel 1580 la costruzione del palazzo del Quirinale. Ciò potrebbe spiegare come avesse voluto adeguare la zona circostante alla nuova costruzione. Un’altra spiegazione sembra possibile, dato che il pontefice aiutò l'ordine dei Cappuccini a costruire delle proprie case anche fuori dall’Italia, ma questo rientra nella sua politica che agevolò la creazione di seminari. Vichi 1964, p. 23.

8 Vichi 1964, p. 24.

9 La maggior parte del vecchio convento dei Cappuccini fu ceduta al Vaticano e i suoi locali vennero destinati a uso della famiglia pontificia. Questa notizia è riportata in Titi 1763, p. 312.

10 ASL, Opera pia dei lucchesi in Roma, Istromenti, vol. 1, cc. 1rv. Il documento, citato in Vichi 1964, p. 30, è riportato in Appendice C, doc. 36.

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facoltà di acquisire la chiesa di San Bonaventura. Questa ipotesi sembra supportata dall’inserimento nella pianta di Roma di Maggi, edita nel 1626, della scritta “S. Crucis”, quest’ultima posta nella piazza adiacente all’allora chiesa cappuccina (fig. 31). Come si è già detto nell’introduzione, con il breve Pastoris Aeterni del 25 giugno 1631, papa Barberini concesse alla Nazione lucchese il privilegio di congregarsi sotto la protezione della Santa Croce, la reliquia venerata a Lucca.

4.2 “Templum Sanctae Crucis Nationis Lucan(ae)”

Per dotare la propria comunità di una chiesa nazionale, Alessandro Cantoni, ricco giurista lucchese operante a Roma, “obbligò” i suoi quattro eredi universali ed esecutori testamentari, i connazionali Bartolomeo Bernardini, Carlo Carli, Marco Antonio Franciotti11 e Giovan Battista Spada, ad acquistare «[…] un sito in Roma

sopra il quale si debba fabricare una Chiesa nella facciata della quale ò nell’Architrave della Porta à lettere grande si pongano queste precise parole Templum Sanctae Crucis Nationis Lucan(ae) […]»12. Come si evince dal testamento di Cantoni, redatto

il 9 novembre 1626 e ricompilato il 3 febbraio 1627, i suddetti Lucchesi avrebbero dovuto attuare tale disposizione entro vent’anni dalla morte dello stesso giurista, pena la cessione della somma prevista alla Confraternita piemontese del Santissimo Sudario.

Poco più di un mese dopo la promulgazione della bolla In supereminenti, precisamente il 26 giugno 1631, Urbano VIII impose ai Lucchesi un censo di 4.000 scudi da versare al depositario della Camera Apostolica, Marcello Sacchetti, in modo da

11 L’ecclesiastico Marco Antonio Franciotti, appartenente a un’antica famiglia lucchese di mercanti, conobbe Maffeo Barberini durante i suoi studi a Bologna. Una volta giunto a Roma, ospite del parente Giovan Battista Spada, avvocato concistoriale, divenne chierico di Camera, prefetto dell’Annona (1627) e auditore generale (1629) proprio per volere di Urbano VIII.

12 «Il resto della mia heredità voglio si investi in Roma in tanti luoghi di monti non vacabili, i frutti de quali con li frutti del Censo che si caveranno delli scudi 1250 che hò à Censo con Mons.re Androsilla, et li frutti del Censo delli scudi 500 che hò in Lucca con li SS.ri Gilioli si mettano al multiplico ove devano stare per spatio di Venti anni quali forniti se per prima non ci sarà chi faccia la Carità di fare la Chiesa per la Natione, et in tal caso d(ett)o Investimento con il suo multiplico voglio serva per Mantenim(en)to di detta Chiesa in perpetuo ma caso non ci sia chi prima faccio detta Chiesa voglio si compri un sito in Roma sopra il quale si debba fabricare una Chiesa nella facciata della quale ò nell’Architrave della Porta à lettere grande [sic] si pongano queste precise parole Templum Sanctae Crucis Nationis Lucan(ae) et non havendo tal Intitulatione voglio la mia heredità vada alla Compagnia della Natione Piemontese ch’è del Santissimo Sudario […]»: ASL, Opera pia dei lucchesi in Roma,

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diventare i legittimi detentori della chiesa. Solo due giorni dopo questa disposizione, nell’ufficio del notaio della Curia Valentino Valenti, fu stipulato l’atto di consegna dell’intero complesso (chiesa e parte del convento). La redazione del documento avvenne dopo la stima dei confini dei suddetti beni, il cui calcolo spettò al prefetto del Palazzo Apostolico, monsignor Fausto Poli, e al soprintendente alle Fabbriche della Camera Apostolica nonché frate-architetto, il cappuccino Michele da Bergamo, periti rispettivamente della comunità lucchese e dell’ordine minoritico francescano.13

Stando a quanto misero per iscritto i confratelli Giuseppe Bonanni, Bastiano Pagliari e Girolamo Martelli sin dal 24 maggio, il versamento del predetto censo sarebbe dovuta avvenire in due tempi diversi: quindici giorni dopo la presa di possesso della chiesa, del coro e della sacrestia di San Bonaventura da parte della Nazione lucchese sarebbero stati elargiti 3.000 scudi, mentre l’anno successivo i rimanenti 1.000.14

Le vicende che portarono la comunità lucchese presente a Roma a possedere un proprio luogo di culto furono seguite anche dalla madrepatria. Il 13 maggio 1631, alcuni giorni prima della promulgazione del già citato breve In supereminenti, a Lucca fu istituita una commissione, composta da sei consiglieri, che aveva il compito di vigilare sugli eventi, di riferire al Consiglio Generale in merito a essi e di studiare i provvedimenti necessari per sostenere, non solo economicamente, l’impresa romana. A causa della pestilenza che si diffuse quell’anno nella città toscana, la relazione stilata dai sei commissari fu letta soltanto il 16 aprile 1632. In quell’occasione la Balìa lucchese approvò le proposte avanzate dalla commissione, quali l’assegnazione alla chiesa di Santa Croce e San Bonaventura di 100 scudi annui per la celebrazione di tre messe quotidiane in suffragio della conservazione della pace e della libertà della Repubblica e la donazione alla Confraternita romana di una statua lignea del Volto Santo, copia di quella presente nel Duomo lucchese.

13 I due ecclesiastici ricevettero la qualifica di periti col breve Iustitiae et Aequitatis del 14 aprile 1631. 14 «Noi Giuseppe Bonanni, Bastiano Pagliari e Girolamo Martelli […] promettiamo di pagare al Ill.re S.r Marcello Sacchetti Depositario Generale di N. S.re scudi quattrom(il)a moneta da impiegarsi in qualche opera pia ad arbitrio di S. S.tà, e conforme al ordine che suo Chirografo ne darà; il qual pagam(en)to promettiamo fare in questa forma cioè scudi tremila m(one)ta 15 giorni doppo che la Natione Lucchese sarà in possesso della Chiesa, Choro, e sacristia di S. Bonaventura sotto m(on)te Cavallo […] et altri scudi mille un’anno doppo d(ett)o pagam(en)to, li q(ua)li pagamenti si fanno in contemplat(io)ne, et riguardo di quella parte di fabbrica et siti, che conforme al Breve spedito, e da spedirsi sarànno assegnati a d(ett)a Natione […]»: ASL, Opera pia dei lucchesi in Roma, Istromenti, vol. 1, c. 4r.

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Il 12 luglio 1631, giorno in cui ricorre la festività di san Paolino, patrono e – secondo la tradizione – primo vescovo di Lucca, la chiesa di Santa Croce e San Bonaventura fu officiata e consacrata dal lucchese Tegrimo Tegrimi, vescovo di Assisi. L’11 settembre di quello stesso anno, tre giorni prima della festa dell’Esaltazione della Croce, furono benedette le tre nuove campane, delle quali la più grande fu dedicata alla Santa Croce, la media a san Paolino e la più piccola a san Frediano. Da quanto emerge dai documenti di archivio e dalla storiografia di settore, il neoistituito sodalizio, al fine di aprire la chiesa il prima possibile, promosse in quel breve arco di tempo un solo intervento di modesta natura, ma di grande valore simbolico: la posa della già ricordata iscrizione “TEMPL. S. CRUCIS ET S. BONAV. NAT. LUCEN.” Il passo successivo che compirono i confratelli fu di affidare al lucchese Francesco Buonamici la realizzazione sia della pala raffigurante il Volto Santo, da porre al di sopra dell’altare maggiore (fig. 32), sia di un’incisione con la storia della Santa Croce. A questa risoluzione il sodalizio arrivò nelle prime due Congregazioni generali, datate 17 e 25 luglio 1631. Il pittore portò a termine le commesse nel giro di sei mesi, come si desume dal verbale della Congregazione Generale dell’11 gennaio 1632. Per queste fatiche l’artista fu compensato con 25 scudi, comprensivi la realizzazione dello scudo dipinto per la Confraternita, che veniva affisso sulla facciata, al di sopra del portale d’ingresso, il giorno della festa di Santa Croce (14 settembre). Sullo scudo erano visibili gli stemmi di Lucca, della Libertà e del casato del pontefice.

Ventiquattro anni dopo l’acquisto e la presa di possesso della vecchia chiesa di San Bonaventura, i Lucchesi si videro prospettare la possibilità di trasferirsi, a seguito di una permuta, nella vicina chiesa di Santa Maria in Trivio dei Crociferi. Infatti, nel 1656, Alessandro VII manifestò l’intenzione di acquisire la chiesa e gli annessi fabbricati della Nazione lucchese, al fine di inglobarli nel Palazzo Apostolico del Quirinale. La volontà del pontefice non ebbe seguito, e a causa della scarsità delle fonti, non è possibile indagare compiutamente i motivi che impedirono di perfezionare tale iniziativa.

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4.3 L’esaltazione della Croce Santa nella decorazione pittorica del soffitto della chiesa

Nella Congregazione Generale del 28 dicembre 1673, tenutasi nelle stanze dell’oratorio, fu «[…] presa resolut(ion)e di far la soffitta della nos(tra) Chiesa nationale à q(ue)sto eff(ett)o fù stabilito che si dovessero deputare alcuni da i Ssri Ill(ustrissimi) i q(ua)li habbino cura di far il calcolo di t(ut)ta la spesa, che sarà necess(a)ria con i vantaggi possibili, co(n) facoltà di eleggere l’artefice per detto lavoro, pattuire, e stabilir la spesa, farne contratti, quietanze, saldi, e t(ut)to ciò che secondo la loro prudenza si stimerà necess(a)rio et opportuno, e per tali deputati furono eletti li Ssri Abbate Boccella, Sebast(ia)no Giannini, Gio(vanni) Coli, Filippo Gherardi, e Jacopo Domenici. Fù vinto il partito co(n) t(ut)te le palle favorevoli eccetto tre del nò. Essendosi già l’Ecc.ma Republ(ic)a spontaneam(en)te essibita di concorrere alla spesa per scudi quattrocento dico scudi 400 L’em(inentissi)mo S(igno)r Card(ina)l Protett(or)e per scudi 50 Mons(igno)r Ill(ustrissi)mo Gover(nato)re per scudi 30. Si sono deputati li Ssri Abb(at)e Bernardini, Andrea Barbieri, e Dom(eni)co Talini per far la cerca tra t(ut)ti i Nazionali secondo le liste che li si daranno […]»15.

Dai documenti di archivio, risulta che i fondi raccolti ammontarono a 760.70 scudi.16

Gli artisti incaricati di realizzare il soffitto della chiesa furono i pittori Filippo Gherardi e Giovanni Coli, entrambi lucchesi ed entrambi confratelli del sodalizio romano, i quali, nell’arco di quattro anni (1673-1677), portarono a termine i partiti pittorici e la struttura lignea del soffitto della chiesa. Come si evince dai mandati di pagamento e dalle giustificazioni di spesa emessi dalla Confraternita, parteciparono a quell’impresa con la loro arte e professionalità il falegname Francesco Bevilacqua, il battiloro Giuliano Crivelli, l’indoratore Francesco Corallo, il mastro muratore Antonio Fabri, il tornitore Andrea Barbieri e il chiavaro Venanzio Matti.17

Sull’esaltazione della Santa Croce è incentrata la tematica delle tele che compongono il soffitto della chiesa della Nazione lucchese. Nei due ovali (4 x 3 m) posti in prossimità del portale d’ingresso è rappresentato il Volto Santo sorretto da un gruppo di angeli; nel reparto centrale, occupato da un riquadro ellittico irregolare

15 ASL, Opera pia dei lucchesi in Roma, Decreti dal 1654 al 1680, B XI, c. 131r.

16 Sulle personalità che contribuirono economicamente alla realizzazione di tale opera, sull’importo devoluto e sui tempi dei versamenti, si rimanda alla tav. 1.

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(7,50 x 4 m) è raffigurato l’imperatore Eraclio nell’atto di passare al di sotto di un arco romano – simbolo della porta di Gerusalemme – con la Croce sulle spalle. Assiste alla scena il patriarca di Gerusalemme Zaccaria che affianca l’imperatore bizantino; negli ultimi due ovali (4 x 3 m) posti in prossimità del presbiterio sono raffigurati in volo degli angioletti, alcuni dei quali recano i simboli della passione di Cristo, altri la Sacra Sindone.

Dato che i Lucchesi presero possesso di un luogo chiesastico preesistente, dall’impianto tipico dell’architettura cappuccina, non poterono che servirsi dell’apparato pittorico e decorativo per conferire all’edificio l’identità di una chiesa nazionale che potesse rappresentare la loro comunità. La visibilità di questa nuova identificazione iniziò, all’esterno, con la posa dell’iscrizione voluta da Cantoni e proseguì, all’interno, con la realizzazione del Volto Santo e della grandiosa opera di Coli e Gherardi.

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Tavola 1. CONTRIBUZIONE VOLONTARIA PER LA SOFFITTA DI SANTA CROCE E SAN BONAVENTURA

ANNO MESE GIORNO IMPORTO in scudi BENEFATTORE/I MESSO/I

1674 Marzo 2 50 Card. Spada Card. Spada

Giugno 2 30 100 30 Repubblica di Lucca Mons. Bottini Card. Spada Mons. Bottini Agosto 3 15 200 15.90 Repubblica di Lucca Alcuni nazionali Card. Spada Benedetto Carrara Settembre 15 113.70 50 Repubblica di Lucca Card. Buonvisi Card. Spada Abate Paolucci Dicembre 14 18 40 6 25 Card. Buonvisi Bartolomeo Consucci Cesare Massei Abate Bernardini Bartolomeo Consucci Abate Bernardini

1675 Gennaio 18 5 Alcuni nazionali Benedetto Carrara

Agosto 24 30 Alcuni nazionali Don Vincenzo Giovannini

Settembre 6 21 25 20 24 Arcivescovo Guinigi Mons. Boccella Alcuni nazionali

Don Giacomo Leoni/e Don Giacomo Leoni/e Vincenzo Giovannini Abate Jacomo Bernardini

1676 Gennaio 12 3 Priore Vincenzo Torre Don Giacomo Leoni/e

Ottobre 11 4.10 Alcuni nazionali Domenico Talini

Dicembre 4 1 Bartolomeo Poli Bartolomeo Poli

1677 Agosto 29 6 1.70 1.05 4 5 . 25 Due nazionali Alcuni nazionali Domenico Talini Alessandro Bertolla Domenico Spada Benedetto Carrara Benedetto Carrara Domenico Talini Alessandro Bertolla Jacomo Bernardini TOT 760.70

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Tavola 2. RETRIBUZIONE AGLI ARTISTI IMPEGNATI NELLA REALIZZAZIONE DELLA SOFFITTA DI SANTA CROCE E SAN BONAVENTURA

ANNO MESE GIORNO IMPORTO in scudi MAESTRANZE

1674 Febbraio 12

28

25 50

Francesco Bevilacqua Giovanni Coli e Filippo Gherardi

Marzo 12 28 25 30 Francesco Bevilacqua Francesco Bevilacqua

Aprile 16 50 Francesco Bevilacqua

Maggio 2 50 Francesco Bevilacqua

Giugno 21 50 Francesco Bevilacqua

Luglio 7 70 Francesco Bevilacqua

Dicembre 14 15.20

15

Giovanni Coli e Filippo Gherardi Giovanni Coli e Filippo Gherardi

1675 Gennaio 15 20 Giovanni Coli e Filippo Gherardi

Febbraio 2 61.82 Francesco Bevilacqua

Marzo 19 26.40 Giovanni Coli18

Maggio 19

22

20 50

Giovanni Coli e Filippo Gherardi Giovanni Coli e Filippo Gherardi

1676 Gennaio 16 214

176.70

Giuliano Crivelli19

Francesco Corallo

Marzo 2 9.85 Antonio Fabri

Giugno 10 3.50 Andrea Barbieri

1677 Maggio 17 11.92 Antonio Fabri

Luglio 4 3.40

137.88 46 68.85

Venanzio Matti Giovanni Coli e Filippo Gherardi

Giacomo Domenici Giuliano Crivelli TOT 1230.52

18 Dati per comprare l’oro per indorare la soffitta della chiesa.

19 Il battiloro fu pagato per il materiale da lui dato in tutto 28 migliara e 6 libretti a ragione di 7 . 60 scudi il migliaro.

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4.4 Gli interventi più significativi compiuti nell’ultimo decennio del Seicento

Il deterioramento delle murature della chiesa, dovuto alle frequenti infiltrazioni di acqua piovana che discendeva dal colle Quirinale, portò i confratelli a promuovere lavori di risanamento dell’intero edificio a cominciare dal 1692. In concomitanza a ciò, gli stessi confratelli, su iniziativa del loro protettore, il cardinale Francesco Buonvisi, decisero di avviare opere di abbellimento dell’interno della chiesa e il rifacimento della facciata.

Un anno dopo l’inizio dei lavori, lo scultore Francesco Baratta realizzò in stucco le statue (2 m) dei santi patroni di Lucca, Paolino e Frediano, che furono collocate entro delle nicchie ricavate nella controfacciata (fig. 33): rispetto al portale d’ingresso, san Paolino è posto a destra mentre san Frediano a sinistra. Il primo vescovo di Lucca, colto nell’atto di predicare, protende il braccio destro verso la folla e reca nella mano sinistra un libro. Al di sotto delle suddette statue, ancora oggi visibili nel loro alloggio originario, furono posizionate una lapide commemorativa e un monumento funebre. Nell’ordine appena indicato sono collocate, sottostanti la statua di san Paolino, la targa posta a ricordo dei detti lavori20 e la lapide sepolcrale di monsignor Fatinello Fatinelli († 1719), mentre, al di sotto della statua di san Frediano, sono visibili la lapide marmorea posta a ricordo dei restauri che, come si vedrà nel paragrafo successivo, l’architetto Virginio Vespignani condusse durante gli anni del lungo pontificato di Pio IX Mastai Ferretti (1846-1878), e il sepolcro di monsignor Fabio Guinigi († 1691), che lo scultore Domenico Guidi realizzò nel 1692 su commissione di Lelio Guinigi, nipote del defunto arcivescovo di Ravenna.

Nel 1694 furono realizzati i quattro coretti lignei – ancora oggi visibili – posti tra le cappelle laterali, uno dei quali era adibito ad alloggio per l’organo, come testimonia l’incisione ottocentesca di Lorenzo Bandoni (fig. 34).

L’abbellimento dell’interno della chiesa interessò anche le sei cappelle laterali. Si fecero carico della loro decorazione le famiglie gentilizie che le detennero in

20 Una lapide muraria posta alla destra dell’ingresso così recita: “TEMPLVM /M / SVB· VETERI· S· BONAVENTURAE· TITVLO· DICATVM / VRBANI· VIII· PONT· MAX· BENEFICIO / LVCENSIBVS· TRADITVM / ATQ· AVGVSTISSIMO· CRVCIS· NOMINE· INSIGNITVM / EIVSDEM· NATIONIS· RELIGIO / IN· ELEGANTIOREM· FORMAM / RESTITVIT / ANNO· MDCXCIII”. Una lapide posta all’interno della chiesa menziona il 1693 come l’anno della fine dei lavori, ma dai documenti d’archivio, secondo quanto aveva già notato Gabrielli Rossi, nel 1695 i lavori erano ancora in corso e in quell’anno non era ancora compiuta la facciata.

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patronato. La cappella di san Bonaventura, posta a cornu Evangeli, mantenne la dedicazione assunta con i Cappuccini. In questo sacello della famiglia Pierleoni, si trova posta la pala d’altare di autore ignoto21 raffigurante l’Assunta tra i santi Girolamo e Bonaventura.

Nella cappella centrale di sinistra, dedicata a Maria Assunta, è collocata una tela, anche questa di autore incerto, in cui è rappresentato Cristo nell’atto di incoronare la Vergine. Partecipano alla scena i dodici Apostoli, inginocchiati e collocati sullo sfondo. Come ricordato dalle epigrafi latine, in questo sacello vi sono anche i sepolcri di tre nazionali lucchesi: monsignor Filippo Buonamici,22 fratello del latinista

Castruccio, il cardinale Lorenzo Prospero Bottini23 e l’avvocato concistoriale

Alessandro Buttaioni24.

Tra questa cappella e quella contigua del Crocifisso, quest’ultima posta a sinistra dell’ingresso, si trova un passaggio arcato al di sopra del quale è visibile il cenotafio del pittore Stefano Tofanelli, il cui ritratto si deve al fratello Agostino, quest’ultimo seppellito nella chiesa di San Marco25 a Roma. La cappella del Crocifisso fu fondata

da Andrea Chiarelli e da don Giovanni Lucchesi, i quali vi fecero costruire, mentre erano ancora in vita, i loro sepolcri. Questo fu il sacello in cui riposarono le spoglie di

21 Secondo Titi e Lazzareschi, l’autore della pala d’altare della cappella di san Bonaventura andrebbe cercato tra un artista appartenente alla scuola di Domenichino. Vedi Lazzareschi 1933, p. 58; Titi 1763, p. 313.

22L’epigrafe di Buonamici così recita: “PHILIPPO BONAMICIO CIV. LUCENSI / OB SUA DÊ PATRIA APUD S. SEDEM MERITA INTER PATRICIOS ADLECTO / AD EPISTOLIS LATINIS SUMMORUM PONTIFICIUM / CLEMENTIS XIV ET PII VI / CANONICO LATERANENSI ET PRAELATO DOMESTICO / SCRIBENDI ELEGANTIA EDITIS INGENII OPERIBUS CLARO / IN DEUM PIETATE IN AMICOS FIDE CARITATE IN SUOS EXIMIO / MICHAEL CASTRUCCIUS ANTONIUS FRATRUM FILIJ ET HAEREDES G. A. M. PP,/ ANNOS NATUS LXXV MENSES IX DIES VIII / OBIIT DIE XII NOVEM. MDCCLXXX”.

23 Il monumento funebre di Bottini così recita: “HEIC SITUS EST APUD MAIORES SUOS / LAURENTIUS PROSPER BOTTINIUS LUCENSIS / DIACONUS CARDINALIS S. HADRIANI QUI MULTIS MUNERIBUS E RE PUBLICA GESTIS / NEC SECUNDIS ELATUS NEC ADVERSIS INFRACTUS / IN IPSO SENIO NUNQUAM NON ACTUOSUS / AMOREM OMNIUM LAUDEMQUE PROMERUIT / PIUS VIXIT ANN. LXXXI. M. V. D. VIII / PRIMO HONORIS SUI ANNO NONDUM ADSOLUTO / BREVIS MORBI VI PRAEREPTUS DECESSIT / IIII IDUS AUGUSTI AN. MDCCCXXVIII / LAURENTIUS FELIX BOTTINIUS MARCHIO / PATRUO OPTIME MERITO AC DESIDERATISSIMO / PONI CURAVIT”.

24 Sulla lastra tombale di Buttaioni, si trova la seguente iscrizione: “ALEXANDRO CAIETANIO / F. BUTTAONIO / QUI IN PONTIFICIO CONCISTORIO / ADVOCATUS SACRAE BASILICAE / VATICANAE CANONICUS FIDEI / PROMOTOR ET PII PAPAE SEPTIMI / QUOAD ILLE VIXIT CAUSSARUM / AUDITOR ITEM A D. N. LEONE XII / P. M. AUDITOR DENUO ELECTUS / CONFIRMATUSQUE DUM SIBI AD / ALTIORES HONORUM GRADUS / VIRTUTE AC LABORIBUS ADITUM / APERUISSIT DECESSIT PRIDIE / NONAS APRILES MDCCCXXVI”.

25 L’epitaffio di Agostino Tofanelli reca la seguente iscrizione: “AUGUSTINO TOFANELLIO EQ./ ARTIS PICTORIAE SCIENTISSIMO IN COLLEGIO URBANO SODALIUM LUCANORUM / PRAEPOSITO MUSEI CAPITOLINI / VIII VIR. MONUMENTIS ANTIQUATIS SERVANDIS COGNOSCENDIS / QUI PROBUS FRUGALIS PIUS VIXIT ANNOS LXIV / DECESSIT IMPROVISO EXITU PRIDIE KAL. AUG. MDCCCXXXIV / PARENTI OPTIMO DESIDERATISSIMO / ALEXANDER TOFANELLIUS CUM LACRIMIS”.

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san Felice da Cantalice prima della traslazione nella chiesa dell’Immacolata Concezione.

La cappella di san Raffaelle, posta a cornu epistulae, deve la dedicazione al summenzionato Agostino Tofanelli. Infatti, il pittore lucchese ottenne dalla Confraternita il permesso di poterla dedicare al santo omonimo del figlio prematuramente scomparso. Lo stesso artista dipinse la pala posta al di sopra dell’altare26, in cui sono raffigurati l’arcangelo, il figlio giovinetto e il vecchio Tobia.27

L’erezione della cappella centrale di destra, dedicata alla Concezione28, fu

commissionata da Frediano Castagnori all’architetto Simone Costanzi. L’abbellimento pittorico è di mano di Biagio Puccini, Francesco del Tintore e Domenico Maria Muratori. Il primo realizzò la pala d’altare con la Concezione della

Vergine (1701), il secondo il quadro laterale a olio (1,70 x 2,50 m) in cui il vescovo di

Lucca Frediano è colto nell’atto di deviare il corso del Serchio, uno dei miracoli compiuti in vita dal santo, il terzo dipinse la tela (1,70 x 2,50 m) in cui è raffigurato Lorenzo Giustiniani, primo patriarca di Venezia e santo lucchese, nell’atto di benedire una donna che viene così liberata dai suoi rapitori. Completa l’architettura del sacello la cupola ovale, decorata con putti di stucco bianco su fondo nero, sormontata da una piccola lanterna cilindrica a quattro luci. Numerose similitudini intercorrono tra questa cappella e quella adiacente dedicata a santa Zita, la prima posta alla destra dell’ingresso. Infatti, nei detti sacelli la fattura della coppia di finte porte laterali è la stessa (fig. 35); anche i marmi utilizzati, ricchi nella loro qualità e nella loro varietà cromatica, sono gli stessi.

La cappella di santa Zita, precedentemente dedicata ai Santi Apostoli, fu concessa in patronato nel 1692 a monsignor Fatinello Fatinelli, secondo quanto richiesto dallo stesso nel mese di luglio di quell’anno.29 Come si legge nell’epigrafe sepolcrale di

26 Sull’altare della cappella di san Raffaele veniva esposto il Volto Santo.

27 Prima di quest’opera vi era esposta una tela con la Madonna e il Bambino in braccio.

28 La cappella era stata per alcuni anni dei Buonvisi e in quel periodo era posto sull’altare una tela con Gesù al tempio di Pietro Testa. Il quadro, rinnovata la cappella, venne deposto in Sacrestia, successivamente nella cappella degli Apostoli e nel 1746 venne venduto per 300 scudi.

29 «[…] Adi 6 Lug(li)o 1692 Fù tenuta la Cong(regazio)ne Secreta […] nella sud(dett)a Cong(regazio)ne fù approvato che si portasse nella Cong(regazio)ne Gen(era)le l’instanza fatta dal S.re Avocato [Fatinello] Fatinelli n(ost)ro p(rim)o Guard(ian)o di ottenere la prima Cappella nell’ingresso della Chiesa à mano destra, per ritenerla in propria Cappella, et erigerla in Titulo di S. Zita n(ost)ra S.ta Nationale con facoltà di farci ornamenti, Depositi, e sepoltura à suo arbitrio […]»: ASL, Opera pia dei

lucchesi in Roma, Decreti e deliberazioni delle Congregazioni generali e segrete, vol. 33, c. 73r. Nella

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Fatinelli, di cui si è già accennato, i lavori furono compiuti nel 1695. Lazzaro Baldi fu incaricato di realizzare la pala d’altare che raffigura santa Zita che disseta un povero, mentre Lorenzo Ottoni scolpì un paio di putti che sorreggono la Croce, posti al di sopra dell’altare. L’ingresso al sacello è segnato da due grossi pilastri marmorei. Al di sopra della balaustra marmorea vi è una cancellata di ferro battuto – in parte bronzato – tardo seicentesca, nella quale è inserito lo stemma della famiglia Fatinelli. Nelle pareti laterali si trova la coppia di due finte porte marmoree, una chiusa e l’altra semi aperta, quest’ultima permette il passaggio tra questa cappella e quella della Concezione. La cornice delle pareti funge da appoggio alla copertura, voltata a botte e decorata a cassettoni dorati con rose in rilievo. Al centro della volta s’innalza una piccola cupola, sorretta da otto colonnine, le quali servivano, secondo Gabrielli Rosi, «a rendere elegante questa opera così fastosa e severa»30.

Su di un alto basamento si apre l’unico portale d’ingresso, sormontato da una cimasa semicircolare al di sopra della quale si apre una finestra rettangolare con cornice in rilievo, al quale si giunge per una scalinata. La facciata è a un solo ordine, il corpo centrale è tripartito verticalmente da quattro pilasti piani. Nel mezzo vi è il portale d'ingresso. I pilastri del corpo centrale, terminanti con un capitello corinzio, reggono una trabeazione liscia su cui s’imposta il timpano triangolare, all’interno del quale si trova lo stemma della città di Lucca. Le due ali laterali sono delimitate da due paraste piane che terminano con un capitello dorico sul quale è appoggiata la trabeazione liscia al di sopra della quale, nella parte esterna, ci sono due volute spezzate. La fattura è semplice, regolare, equilibrata, armoniosa, non risente degli eccessi barocchi. I lavori conclusivi, avvenuti nel 1696, riguardarono il restauro del quadro del Volto Santo di Buonamici, affidato al pittore Luca Bartolomei, e la messa in posa da parte di Antonio Barsotti degli elementi in travertino della facciata e della scalinata, realizzati entrambi dallo scalpellino Marcello Berger. Secondo Vichi, a ultimazione del cantiere, della chiesa dei Cappuccini non rimasero che la tribuna e qualche espressero favorevomente ruguardo a tale richiesta: «Item nella med(esim)a Cong(regazio)ne [generale del 26 luglio 1692] fù proposto il decreto fatto nell’ult(im)a Cong(regazio)ne segreta circa la concessione da farsi al S.re Avocato [Fatinello] Fatinelli come in d(ett)o Decr(et)o, e fù applaudita, et approvata tal concessione à viva voce, e fu data autorità à Mons.re Ill.mo Bottini Govern(ator)e, e M.re Ill.mo [cardinale Orazio] Spada di stipulare à loro benepl(acit)o il Contratto di d(ett)a Concess(ion)e col med(esim)o S.re Avoc(ato) Fatinelli»: ASL, Opera pia dei lucchesi in Roma, Decreti e

deliberazioni delle Congregazioni generali e segrete, vol. 33, c. 73r.

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muro.31 In realtà, come si è riscontrato dai documenti archivistici, San Bonaventura

rimase pressoché inalterata nel suo assetto murario.

Dalla letteratura di settore emerge un quadro incerto circa la paternità di questi lavori. Infatti, accanto ai nomi di Matthia de Rossi e Filippo Gherardi compaiono spesso, e in maniera del tutto arbitraria, le qualifiche di architetto e direttore dei lavori di Santa Croce dei Lucchesi. Tra coloro che hanno sostenuto la tesi secondo la quale De Rossi sia stato il progettista di questa fabbrica, bisognerebbe ricordare almeno la posizione di Anna Menichella, autrice della prima monografia dell’artista. Secondo la studiosa, le analogie stilistiche (stessa semplicità lineare, stessa disposizione dei pilastri e stessi “riccioli aperti verso l’alto”32 – le volute – delle ali laterali) che

intercorrono tra la facciata della chiesa dei Lucchesi (fig. 36) e quella di San Francesco a Ripa (fig. 37), quest’ultima opera33 accertata dell’allievo prediletto di

Bernini, sarebbero la prova del ruolo ricoperto dallo stesso De Rossi. Tuttavia, l’ipotesi avanzata da Menichella non trova riscontri archivistici. Infatti, dai Decreti e

deliberazioni delle Congregazioni generali e segrete del sodalizio risulta che i due disegni

giunti al vaglio dei confratelli presenti alla Congregazione generale del 29 maggio 1692 erano di mano di Sebastiano Giannini, l’uno, e di Gherardi, l’altro. 34 Come è

specificato nel documento, la gravità – da intendersi come importanza – della scelta da effettuare, prevedeva un’ulteriore disamina, rinviata alla Congregazione segreta del 26 luglio dello stesso anno. Anche se in nessuna delibera viene fatta menzione della risoluzione a cui giunse il sodalizio, è possibile ipotizzare che sia stato scelto il disegno di Gherardi, colui che in quegli anni ricopriva l’incarico di guardiano della

31 Vichi 1964, p. .17

32 Secondo Menichella, la fattura delle volute sarebbe la firma derossiana, dato che si ritrova anche nelle facciate di Santa Rita da Cascia presso l’acquedotto Vergine e di Santa Galla degli Odescalchi; quest’ultima oggi non più visibile. Vedi Menichella 1981.

33 Tra il 1681 e il 1685 De Rossi riedificò parzialmente la summenzionata chiesa per volontà di Giovanni Battista Rospigliosi. Sull’intervento derossiano in San Francesco a Ripa vedi Menichella 1981.

34 «Adi 29 Maggio 1692 […] Fù proposto l’ornam(en)to della Chiesa per augumentare il culto divino, e si sono veduti due disegni, uno fatto dalla b(u)o(na) me(moria) del Sig.r Sebast(ian)o Giannini, e l’altro dal S.r Filippo Gherardi et essendo questa materia assai grave, e che richiede matura refless(ion)e per portarsi poi digerita alla Cong(regazio)ne Gene(ra)le, s’è pregato Mons.re Ill.mo Spada, assieme con il S.re Avocato [Fatinello] Fatinelli à compiacersi di presentarsi l’incommodo d’esami: pare bene con l’assistenza, e parere del S.r Filippo Gherardi la materia e dire il loro sentim(en)to, conforme con la loro somma pertinenza giudicheranno, quale, come s’è dettò, si riferirà alla med(esim)a Cong(regatio)ne Gen(era)le.»: ASL, Opera pia dei lucchesi in Roma, Decreti dal 1680 al 1705, vol. 33, c. 70v.

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fabbrica e colui che, assieme al cardinale Orazio Filippo Spada e a Fatinello Fatinelli, aveva “autorità assoluta di far perfettionare d(ett)o Ornam(en)to”35.

Dunque, l’attribuzione degli interventi tardo-seicenteschi all’artista lucchese rimane un dato non ancora pienamente accertabile, ma fortemente indiziario, mentre quella a De Rossi è senz’altro da escludere. A supporto di tale ipotesi si potrebbe anche aggiunge che nei documenti d’archivio non compare mai il nome di Matthia e che nella prima biografia dell’artista romano, scritta da Leone Pascoli, non viene fatta alcuna menzione della chiesa di Santa Croce e San Bonaventura.

4.5 Il XIX secolo: gli ultimi restauri e la cessione della chiesa

Tra il 1858 e il 1863 Virginio Vespignani, conosciuto soprattutto per la sua pratica di restauratore di edifici sacri, intervenne nella chiesa di Santa Croce e San Bonaventura, per la quale aveva chiesto di essere l’architetto nazionale. Gli interventi riguardarono il rifacimento del pavimento, ridorando gli stucchi, gli ornati e gli intagli, rendendo simmetriche le cappelle, creando la calotta e facendo affrescare la volta della tribuna. Già un secolo prima dell’intervento di Vespignani i confratelli avevano promosso un intervento di restauro, consistente nell’altare maggiore. Nel 1736 l’architetto Giovanni Antonio Perfetti, coadiuvato da Piccioni e Fiani, riprogettò l’altare che fu decorato di marmi e il presbiterio fu dipinto da Raffaele Soavi con scene raffiguranti la passione di Cristo. Il 12 dicembre 1745 l’arcivescovo di Tarso celebrò la consacrazione dell’altare alla Santa Croce e ai santi Pancrazio, Abbondio e Aurelia.

35 «Adi 26 Luglio 1692 Fù tenuta la Cong(regazio)ne Gen(eral)e nel n(ost)ro solito Oratorio […] Essendosi […] proposto doversi fare l’ornam(en)to della n(ost)ra Chiesa, secondo il Progetto fattone dall’Em.mo Sig. Card.e [Francesco] Buonvisi Protettore prima della sua partenza, è stato à viva voce approvato che si debba il med(esim)o fare speditam(en)te, e che la sopraintendenza s’intenda data à Mons.re Ill.mo [Orazio Filippo] Spada, [al] S.re Avocato [Fatinello] Fatinelli, e [al] Sig.r Filippo Gherardi, quali habbiano autorità assoluta di far perfettionare d(ett)o Ornam(en)to, pregando la loro Pietà à voler continuare con il loro affetto nella sopraintendenza sudetta, e sia in loro facoltà di spendere il necessario per d(ett)a Fabrica conforme il disegno da regolarsi à loro arbitrio, impiegando per il d(ett)o effetto quello che verrà contribuito dalla generosità, e pietà del sud(dett)o Em.mo S.r Card.le n(ost)ro Protett(o)re e dalla Seren(issi)ma repub(blic)a n(ost)ro Principe Clementiss(i)mo, e da gl’altri fratelli, e Benefattori, quali sono tutti pregati à concorrere ad un’opera di tanto decoro della n(ostr)a Natione, e per quello che mancasse habbiano facoltà di prevalersi degl’Avanzi dell’Entrata, che possino cavarsi detratto il necess(ari)o mantenim(en)to delle spese ordin(at)e.»: ASL, Opera pia dei

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Sotto l’altare fu deposto, in un’urna marmorea, ciò che rimaneva delle spoglie mortali di Sant’Aurelia.

Secondo Lazzareschi nel compiere l’incarico affidatogli, Vespignani, “ispirandosi agli esempi del soffitto e delle cappelle della Concezione e di santa Zita, seppe felicemente congiungere la sfarzosa e festosa armonia del più elegante ed aggraziato barocco alla raccolta pace del luogo solitario e silente”36.

Circa trent’anni dopo i lavori compiuti dall’architetto romano, a causa di una crisi interna al sodalizio lucchese,37 la chiesa di Santa Croce e San Bonaventura smise di

essere officiata e rimase chiusa sino al 1895, quando la Società di Maria Riparatrice38

la prese in enfiteusi assieme all’annesso edificio. L’1 giugno 1946, con l’affrancazione del canone enfiteutico dei suddetti locali da parte delle religiose, la storia del sodalizio lucchese, che il 25 luglio 1907 era diventato Opera pia39, e della propria chiesa

nazionale giunse al suo epilogo.

36 Lazzareschi 1933, p. 59.

37 Nel 1735 la Repubblica Lucchese dovette aiutare la comunità romana a causa dei “disordini che sarebbero avvenuti nell’amministrazione della Comunità” (Lazzareschi 1933, pp. 54-55). Fin dall’11 aprile 1704 la Repubblica ebbe la consuetudine di soccorrere i propri connazionali, attraverso l’elargizione di annui 120 scudi. Questa donazione venne soppressa il 4 febbraio 1799 con la fine del libero governo. Solo nel 1818 fu ripristinata per volontà della duchessa Maria Luisa di Borbone e fu mantenuta in vigore anche dopo che lo Stato Italiano inserì l’Opera pia nel Libro del Debito Pubblico. 38 La Societé de Marie Reparatrice è stata fondata da Emilie d'Oultremont (Liegi, 1818 - Firenze, 1878) l’1 maggio 1857 a Strasburgo, dove in quello stesso giorno fu aperta la prima casa dell’Ordine. Dopo la morte della fondatrice, conosciuta come Mère Marie de Jésus, il corpo della stessa fu trasferito a Roma, dove riposa nella cappella della Concezione nella chiesa di Santa Croce e San Bonaventura, oggi Casa Madre dell’Ordine.

39 Il 18 giugno 1915, poco più di un mese prima dell’approvazione dello Statuto dell’Opera pia dei Lucchesi a Roma (4 luglio), il confratello Renato Paoli propose di donare i documenti del sodalizio – a eccezione di quelli risalenti al trentennio precedente – all’Archivio di Stato di Lucca. Il 5 aprile dell’anno successivo tale richiesta fu accolta favorevolmente e così il 10 giugno 1916 avvenne il trasferimento delle carte nella città Toscana, dove ancora oggi si trovano.

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