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CAPITOLO I La legge Gozzini come risposta del legislatore ai problemi legati all'ordine e la sicurezza all'interno del carcere

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CAPITOLO I

La legge Gozzini come risposta del legislatore ai problemi legati all'ordine e la sicurezza all'interno del carcere

1.1 La situazione previgente, nel contesto applicativo dell'abrogato art. 90 o.p.

La riforma carceraria avvenuta con legge 26 luglio 1975, n. 354, ancora oggi in vigore con alcune modifiche, ha avuto origine in un contesto caratterizzato da grandi mutamenti sociali, economici ed istituzionali1

e, sebbene abbia avuto tra i suoi maggiori meriti quello di superare "la cupa asprezza repressiva"2 del regolamento Rocco del 1931 (R. D. 18

luglio 1931, n.787) ha tuttavia trascurato sicuramente il problema della presenza, nell'ambiente carcerario, di detenuti refrattari ad un trattamento rieducativo. É vero infatti che la legge in oggetto è stata

1 Cfr. I. CAPPELLI, Il carcere controriformato, in AA. VV., Il carcere dopo le

riforme, a cura di Magistratura democratica, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 11, ss.; A.

MARGARA, Carceri: riflessioni sulla possibilità della riforma fra le esigenze di

sicurezza e quelle di progresso, in Questione Giustizia, n. 1/1982, pp. 33, ss.

2 T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare: ordine e sicurezza negli

istituti penitenziari all'approdo della legalità, in AA.VV., Ordinamento penitenziario tra riforma ed emergenza, a cura di V. GREVI, Padova, Cedam, 1994, p.151.

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emanata in conformità all'art. 27, 3 comma, della Costituzione e, dunque, per la prima volta, si è cercato di esplicitare in che cosa consista e come si attui il trattamento rieducativo cui la pena deve tendere, ma è altrettanto vero che non può esserci una risposta indistinta ed univoca in materia. Di ciò ci si rese ben presto conto già a partire dai primi primi anni post riforma; infatti la mutata ed accresciuta composizione della popolazione detenuta, con la presenza da un lato di soggetti dalla spiccata capacità a delinquere e dall'altro di soggetti altrettanto pericolosi, fortemente politicizzati, "programmaticamente orientati a scardinare il sistema penitenziario3", aveva dimostrato sin da

subito come gli strumenti offerti dalla Legge penitenziaria non consentissero di gestire efficacemente le situazioni prospettatesi. Infatti, se pur non mancano del tutto, nel quadro normativo della riforma, riferimenti alle esigenze dell'ordine e della sicurezza ed alla loro "necessaria connessione con l'eseguibilità del trattamento penitenziario"4, in realtà essi appaiono molto confusi ed approssimativi,

da non permettere una sicura determinazione dei presupposti e del limiti di un eventuale regime differenziato. Ad esempio l'art. 32 del Regolamento d'esecuzione5 prevede che i detenuti il cui comportamento

richieda "particolari cautele, anche per la tutela dei compagni da

3 L. CESARIS, Commento all'art. 14 bis o.p., in V. GREVI, G. GIOSTRA, F. DELLA CASA, Ordinamento penitenziario commentato, Padova, Cedam, 2011, p. 183. 4 T. PADOVANI, op. cit., p. 152.

5 D. P. R. 29 aprile 1976, n. 431, più volte modificato e successivamente confluito nel D. P. R. 30 giugno 2000, n. 230.

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possibili aggressioni e sopraffazioni" siano "assegnati ad appositi istituti o sezioni dove sia più agevole adottare le suddette cautele"; tuttavia la norma tace su quali però questi comportamenti siano, o le cautele in questione da adottare o, infine, come debbano esser strutturati gli istituti atti ad assicurarle. Altre norme poi fanno riferimento all'ordine, alla disciplina ed alla sicurezza, ma in modo altrettanto poco chiaro e non sistematico; ne è un esempio l'art 102 dello stesso Regolamento che, disciplinando la differenziazione degli istituti penitenziari, si limita a rinviare "ai criteri indicati nel 2 comma dell'art 14 della legge"; quest'ultimo articolo, a sua volta, è dedicato ai criteri di assegnazione dei detenuti e, senza riferirsi espressamente ad esegenze di ordine e sicurezza, richiama tuttavia i criteri stabiliti per i trasferimenti dal 1 e 2 comma dell'art 426 dell'ordinamento

penitenziario. Dunque è chiaro che, stando così il quadro normativo, era impossibile definire quali fossero i detenuti sottoponibili ad un regime diverso da quello ordinario, proprio perchè determinato da esigenze superiori di ordine e sicurezza. In dottrina si è dunque osservato come l'intero meccanismo fino ad allora previsto si risolveva, di fatto, in una delega in bianco alla discrezionalità amministrativa che, essendo indefinita nei presupposti e nei parametri, risultava poi

6 "I trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dello istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie".

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incontrollabile nei risultati7.

Le lacune che la legge di riforma presentava erano inoltre tanto più gravi se si considera che, in quegl'anni, le sempre maggiori proteste per le condizioni nelle carceri erano sfociate in numerose rivolte interne che, a loro volta, avevano provocato "un'incessante emorragia di evasioni"8. A tale problema si cercò di ovviare avvalendosi dell'ultima

previsione della legge del 1975, l'art. 90 o.p., peraltro non prevista nell'originario testo dell'ordinamento penitenziario, ma introdotta successivamente, nel corso dei lavori in sede redigente della Commissione giustizia della Camera9; tale disposizione prevedeva che

l'allora Ministro di grazia e giustizia, in presenza di "gravi ed eccezionali motivi di sicurezza", avesse "facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione in uno o più stabilimenti penitenziari, per un tempo determinato, delle regole di trattamento e degli istituti" previsti dalla legge penitenziaria, che potessero porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza". I requisiti di legittimità di tale provvedimento sospensivo avrebbero dovuto, però, esser tassativi: sia per quanto riguardava l'autorità competente alla sua emanazione, l'allora Ministro di grazia e giustizia; sia per il vincolo temporale di validità, limitato alla sola situazione di disturbo; sia infine circa il

7 T. PADOVANI, op. cit., p. 153.

8 G. NEPPI MODONA, Ordinamento penitenziario, in Digesto delle discipline

penalistiche, vol. IX, Utet, Torino, 1995, p. 52.

9 Cfr. G. LA GRECA, Documenti per una riflessione sugli istituti di <<massima

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contenuto del provvedimento, che poteva avere solo carattere sospensivo e non sostitutivo (poteva cioè sospendere temporaneamente - stante il carattere "eccezionale" dell'istituto in questione - le regole ordinarie in un determinato istituto, ma non sostituirle).

Questo potere doveva poi esser esercitato nel rispetto di due corollari: il provvedimento di cui all'articolo 90 o.p. avrebbe permesso di sospendere solo quei diritti garantiti dall'ordinamento penitenziario, senza invece poter comprimere quelli costituzionalmente garantiti e indipendenti dallo stato di detenzione (ad esempio: alimentazione, salute ecc.) ed, inoltre, suddetti diritti avrebbero potuto essere sospesi soltanto con riferimento a quegl'aspetti del trattamento penitenziario che si ponessero in effettivo contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza10.

Tuttavia l'indeterminatezza della formula dell'art. 90 o.p., data dalla genericità dei suoi presupposti applicativi e dalla mancanza di indicazioni precise sulle regole di trattamento e sugli istituti di cui poteva esser sospesa l'applicazione, unita all'attribuzione della decisione in capo ad un'autorità politica, sollevò la preoccupazione che l'art. 90 potesse essere usato arbitrariamente da parte del potere esecutivo, il quale, di fatto, poteva sospendere l'applicazione della

10 Cfr. T. PADOVANI, Ordine pubblico e ordine penitenziario: un'evasione dalla

legalità, in AA.VV., Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario, a cura di V.

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legge del 1975 senza alcun controllo parlamentare11. Un ulteriore

profilo oscuro che interessava l'art. 90 era inoltre legato al fatto che in esso non era previsto alcun tipo di controllo giurisdizionale capace di tutelare i diritti del detenuto eventualmente interessato dal provvedimento del Ministro12.

Tuttavia, nonostante le perplessità e le numerose discussioni circa il testo dell'articolo 90 o.p., esso rimase per lo più inapplicato fino al maggio del 1977, quando, con un decreto interministeriale13 a firma di

Francesco Paolo Bonifacio (l'allora Ministro di grazia e giustizia), di concerto col Ministro della difesa e quello degli interni, rispettivamente Vito Lattanzio e Francesco Cossiga, venne attribuito ad ufficiale superiore dei carabinieri, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, "il coordinamento per la sicurezza esterna degli istituti penitenziari14",

normalmente di competenza del corpo di polizia penitenziaria. In realtà

11 Cfr. G. NEPPI MODONA - L. VIOLANTE, Poteri dello Stato e sistema penale:

corso di lezioni universitarie, Torino, Tirrenia-Stampatori, 1978, p. 487. In questo

senso anche T. PADOVANI, ult. op. cit., p. 289: "I poteri ministeriali in tema di ordine e sicurezza risultano [...] così indefiniti ed indefinibili, e talmente eccentrici rispetto al baricentro della legalità che, una volta rimosse formalmente le barriere frapposte al rispetto delle regole e degli istituti sospesi, l'esercizio di tali poteri potrà dar vita ai più diversi assetti istituzionali".

12 Cfr. M. GHENGHINI, Sicurezza degli istituti penitenziari. Diritti soggettivi ed

interessi legittimi del detenuto e loro tutela, in C.S.M., Diritto penitenziario e misure alternative, suppl. al n. 1-2, Roma, 1979, p. 93.

13 Decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 maggio 1977; lo stesso giorno della pubblicazione di questo decreto il Ministro della giustizia diramò una circolare rivolta agli ispettori e ai direttori dei penitenziari, ove "si raccomandava la più ampia collaborazione con il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, agevolandone i compiti, specie fornendo ogni necessaria informazione circa la sicurezza, l'ordine e la disciplina all'interno degli istituti"(Circolare n. 2419/4873). Tale decreto sarebbe dovuto scadere al 31 dicembre 1980, ma fu poi successivamente prorogato al 31 dicembre 1982 (con D. M. 25 novembre1980) ed, ancora, al 31 dicembre 1984 (con D.M. 29 dicembre 1982).

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poi tale decreto finiva con l'investire anche la sicurezza interna, dal momento che consentiva al generale anche di "effettuare visite presso gli istituti penitenziari" (art. 2), per l'espletamento delle funzioni attribuitegli, ed imponeva ai direttori degli istituti "di dare immediata comunicazione delle disposizioni adottate per il mantenimento della sicurezza, dell'ordine e della disciplina all'interno degli istituti"(art. 3). In tal modo i due fronti della sicurezza venivano perseguiti congiuntamente, anche se poi i risultati che ne scaturirono furono tutt'altro che convincenti. Di certo comunque Dalla Chiesa rendendosi conto dell'importanza strategica delle carceri nella lotta alla criminalità, soprattutto di tipo politico, comiciò a ristrutturare alcuni istituti penitenziari, per renderli più idonei ad ospitare e controllare soggetti che si rendevano ostili nei confronti dell'istituzione carceraria: si erano in tal modo venuti a creare gli "istituti di massima sicurezza" e, con essi, a delineare uno speciale regime differenziato15. Il generale

visitava, sceglieva e disponeva; già a metà del luglio del 1977 vennero approntati alla nuova disciplina cinque istituti sui quali, inizialmente, venne mantenuto il massimo riserbo; poi, ovviamente, i luoghi si seppero: Favignana, Asinara, Cuneo, Fossombrone, Trani. Successivamente vennero poi considerati "carceri speciali" tutti quegli istituti ove trovava applicazione l'art. 90, peraltro con scelta rimessa esclusivamente al generale Dalla Chiesa.

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A voler riassumere gli aspetti più critici che hanno riguardato l'applicazione dell'art. 90 o.p. in primo luogo troviamo sicuramente i suoi presupposti; essi, anzichè prospettarsi come isorgenza eccezionale, dipendevano addirittura da scelte discrezionali dell'amministrazione. In secondo luogo, i decreti ministeriali non si limitavano affatto a "sospendere" le regole di trattamento, ma ne delineavano di nuove, costituendo quindi un regime di sicurezza del tutto svincolato da parametri normativi. Infine tali decreti, proprio perchè costituivano la risposta ad esigenze del tutto normali di ogni circuito penitenziario, eludevano la rigorosa temporaneità stabilita dall'art 90 o.p. stesso16.

Così divenivano sempre più estesi e fondati i dubbi circa la sua legittimità17 e, parallelamente, anche le richieste di normalizzazione

delle carceri18, nonchè di giurisdizionalizzazione del sistema19, in

quanto, come autorevolmente sostenuto in dottrina, "la garanzia offerta dalla definizione normativa risulterebbe incompleta se la sua osservanza fosse sottratta al vaglio del giudice20". Infatti

nell'ordinamento così costituito la magistratura non aveva alcun potere di intervento21, con conseguente violazione degli articoli 25, 2 comma e

16 Cfr. T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p.154. 17 Cfr. I. CAPPELLI, op. cit., pp. 29 e ss.

18 A. MARGARA, op. cit., p.44. 19 Cfr. M. GHENGHINI, op. cit., p. 93 20 T. PADOVANI, ult. op. cit., p. 156.

21 Infatti le scarse segnalazioni fatte dai magistrati di sorveglianza nell'esercizio del loro potere-dovere di controllo cadevano regolarmente nel vuoto. Su questa vicenda cfr. Trib. Sorv. Milano, ordine di servizio 24 gennaio 1983, Giud. Maisto e Trib. Sorv. Avellino, ord. 11 dicembre 1982, Giud. Abbate, in Foro italiano, 1983, II, c. 473, ss., con commento di G. LA GRECA, Documenti per una

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13, 2 e 4 comma della Costituzione (principio della riserva della giurisdizione in materia penale).

Le vicende sopra esposte si sono poi concluse con l'intervento del Parlamento che, con legge 10 Ottobre 1986, n. 663, da un lato ha provveduto ad abrogare esplicitamente l'art. 90 o.p., anche se poi ne ha, prima facie, trasfuso il contenuto nel nuovo art. 41bis22, all'epoca

composto da un unico comma; dall'altro, ha introdotto, dopo l'art. 14 o.p., gli artt. 14bis, 14ter e 14quater, che impongono di verificare caso per caso la pericolosità dei detenuti nei confronti dei quali attuare un regime di privazione della libertà più rigoroso, stavolta però nel rispetto di garanzie e limiti fissati nelle norme stesse.

1.2 Profili di novità rispetto alla legge 354/1975...

Dal punto di vista dei motivi ispiratori e degli impulsi politici sottostanti alle scelte legislative, la legge Gozzini si configura certamente "come un luogo di sintesi" e "di reciproca compensazione delle tensioni, delle polemiche, della dialettica ideologica e gestionale dei precedenti dieci anni nel mondo delle carceri". Inoltre è stata anche un "significativo momento di approdo di quella riforma in itinere

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dell'ordinamento penitenziario che aveva preso le mosse dalla legge 354/1975". Infatti quest'ultima sicuramente è stata "una legge di ampio respiro23", tra le più avanzate in campo europeo, ma, a causa del

particolare contesto storico in cui si era trovata ad operare, era praticamente inevitabile che si verificasse un divario notevole tra la legge scritta e le sue possibilità di concreta attuazione; perchè si era dimostrata lacunosa? "C'era stato, semplicemente, l'impatto tra legge di riforma e realtà sociale"24; divario che poi si era ulteriormente ampliato

a seguito degli sviluppi politico-sociali, di cui al paragrafo precedente. Per ovviare a questa complessa situazione e definire quindi, in primo luogo, la problematica della sicurezza in carcere in termini di maggior chiarezza, il 19 luglio 1983 ed il 2 gennaio 1984 venivano comunicati alla presidenza del Senato due disegni di legge proponenti entrambi l'abrogazione dell'art. 90 o.p. e la sua sostituzione con altre norme ritenute maggiormente garantiste. Più precisamente il primo disegno, il numero 23, di iniziativa dei senatori Gozzini, Napoleoni, Ossicini, Ulianich e Anderlini, proponeva una regolamentazione (con conseguente istituzionalizzazione) degli istituti e delle sezioni a maggior indice di sicurezza, specificandone le caratteristiche ed i presupposti di assegnazione. Il secondo, il numero 423, di iniziativa dei senatori Marchio, Filetti e Giangregorio, proponeva più che altro una

23 V. GREVI, Introduzione, in AA. VV., L'ordinamento penitenziario dopo la

riforma, Cedam, Padova, 1988, pp. 3-4.

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rivisitazione dell'art. 90 o.p., prospettandone un'applicazione circoscritta nel tempo e subordinata all'accertamento, in concreto, della gravità e delle condotte tenute dal detenuto, dunque in una prospettiva maggiormente individualizzata. I due disegni di legge venivano successivamente unificati dalla Commissione giustizia del Senato e comunicati alla Presidenza, nella nuova formulazione, il 29 maggio 1986. Bisogna comuque sottolineare che un ruolo rilevante nell'elaborazione finale del testo della legge è da attribuire ai magistrati di sorveglianza. Infatti, durante i lavori preparatori in Parlamento venne richiesta, da parte del Ministro della giustizia, l'audizione di un gruppo di magistrati di sorveglianza, la cui presenza fu molto importante per una proposta complessiva di riforma dell'ordinamento penitenziario. Il risultato finale ottenuto con l'emanazione della legge 663/1986 da' perciò l'impressione di essere un compromesso fra le richieste dei magistrati e le intenzioni del Governo25.

Nel testo unificato, il problema della differenziazione dei detenuti per ragioni di sicurezza veniva affrontato in una duplice dimensione: individuale, con la previsione di un nuovo istituto, la sorveglianza particolare, costituente un trattamento differenziato ad personam ed illustrato nei primi tre articoli della legge26;

25 Cfr. E. SOMMA, Palingenesi, razionalizzazione e << sperimentazione >> della

novella penitenziaria del 1986, in Legislazione penale, 1987, pp. 79 ss.

26 V. infra nei capitoli che seguiranno l'esposizione dettagliata del nuovo istituto, confluito negli artt. 14bis, 14ter, 14quater della l. 354/1975.

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collettiva, con l'attribuzione al Ministro della giustizia della facoltà di sospendere le normali regole di trattamento in quegli istituti ove si fossero verificate rivolte o altre situazioni di emergenza, secondo le nuove indicazioni contenute nell'art. 10 della legge27, che ha

espressamente abrogato il vecchio art. 90 dell'ordinamento penitenziario.

In questo modo, con la previsione parallela di suddetti trattamenti, la problematica della sicurezza in carcere risultava disciplinata in modo completo. "Una scelta di questo tipo probabilmente aveva ed ha una ratio garantista, poichè ciò che si voleva in primo luogo frenare era l'estrema latitudine dei poteri conferiti all'amministrazione, che sfuggivano a qualsiasi controllo da parte degli altri poteri dello Stato e che pertanto potevano tradursi in interventi di eccesivo rigore o ingiustificatamente diversificati tra i detenuti28". Infatti con la

previsione normativa, negli artt. 14bis e ss. della legge 354/1975, del nuovo istituto della "sorveglianza particolare" il legislatrore del 1986 ha inteso riportare la materia della sicurezza in carcere al rispetto di alcune norme costituzionali, largamente disattese, invece, alla luce della prassi istaurata negli anni precedenti: all'art 3, secondo cui il principio di differenziazione in nessun caso può tradursi in trattamenti

27 V. infra §3.

28 Così L. R. RUSSO, La sorveglianza particolare e la regolamentazione della

sospensione delle normali regole del trattamento, in G. FLORA, Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario, Giuffrè, Milano, 1987, p. 26.

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di disuguaglianza ingiustificata; all'art. 13, secondo cui tutte le restrizioni alla libertà personale, dichiarata "inviolabile" dal medesimo articolo, vanno regolamentate con legge; all'art. 27, 3 comma, secondo cui "le pene non possono mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità".

Suddetta ratio comportava anche, come "condizioni minime di effettività", non solo "la previsione legislativa delle tipologie di pericolosità dei detenuti", per identificare in concreto quei comportamenti da assoggettare a misure più restrittive, ma anche "la determinazione del contenuto" di queste ultime, "allo scopo di evitare un trattamento di inammissibile durezza", nonchè, infine, "l'assoggettabilità al controllo giurisdizionale delle scelte dell'amministrazione29".

Dunque se pur è vero che la Legge Gozzini è ricordata soprattutto come legge di deistituzionalizzazione delle carceri, poichè senza dubbio ha ampliato "le opportunità di esenzione, in tutto o in parte, dall'esecuzione penitenziaria stessa", anche attraverso la previsione di nuovi istituti tendenti a favorire un alleggerimento delle singole esperienze penitenziarie (come i "permessi-premio", di cui all'art. 9 della legge stessa) - e sui quali, chiaramente, in questa sede non è possibile soffermarsi -, questa, in realtà è solo "una delle due anime

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individuabili" in essa30. Infatti, non di meno, tale legge ha analizzato e

disciplinato l'altro aspetto rilevante in materia: quello appunto attinente ad un'idea di differenziazione trattamentale non più unicamente sulla base del meccanismo facente leva sulle assegnazioni ed i trasferimenti, peraltro secondo logiche del tutto rimesse all'arbitrio dell'amministrazione, quali quelle che si erano avute in passato; bensì differenziare anche e soprattutto attraverso provvedimenti individualizzati ad hoc, quali appunto quelli di cui ai nuovi articoli 14bis e seguenti. Ciò essenzialmente ha significato porre l'attenzione sull'individuazione di quello che può configurarsi come il trattamento più adeguato in relazione alle peculiarità proprie di ogni singolo soggetto, valutando anche quelli che possono considerarsi comportamenti sintomatici di una certa pericolosità e che, pertanto, ne possano giustificare un trattamento più rigoroso. Pericolosità, peraltro, da valutare non secondo il paramentro della "pericolosità sociale", rilevante sul piano del diritto penale sostanziale31, bensì alla luce di

quelle che sono ora le indicazioni scaturenti dal nuovo testo dell'art. 14bis o.p.; tali parametri32saranno rilevanti soprattutto sotto il profilo

dei comportamenti interni all'ambiente del carcere, in quanto espressivi di atteggiamenti gravemente antitetici rispetto alle "condizioni minime"

30 V. GREVI, Introduzione, op. cit., pp. 6-7.

31 Nozione, ex art. 203 c.p., rilevante ai fini dell'applicazione delle misure di sicurezza.

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individuate dal legislatore come necessarie per la realizzazione delle finalità del trattamento rieducativo33. L'insieme di questi comportamenti

sono indicati, convenzionalmente, in termini di "pericolosità penitenziaria". In questo modo la legge Gozzini ha enucleato la figura del detenuto pericoloso sotto il profilo penitenziario, salvo poi allargarne i contorni con riguardo a "precedenti comportamenti" del medesimo soggetto, sia nell'ambiente carcerario, sia nello stato di libertà34". Una volta delimitata, così, l'area dei detenuti potenzialmente

destinatari del regime di sorveglianza particolare, la nuova legge si è anche preoccupata di circondarne "di garanzie i contorni", secondo il principio di legalità, creando in tal modo un regime "assolutamente inedito per il nostro sistema"35. Ne infatti emersa una disciplina

articolata ed attenta non solo ai presupposti, oggettivi e soggettivi, insieme alla procedura amministrativa di adozione del relativo provvedimento (art. 14bis o.p.), ma anche ai meccanismi di controllo giurisdizionale dello stesso (art. 14 ter), ed ancora, ai suoi limiti, sotto il profilo dei possibili contenuti (art. 14 quater).

Riassumendo, possiamo affermare che "due sono state le linee direttrici lungo cui si è mossa la riforma penitenziaria, avviata nel 1975 e portata ad ulteriore sviluppo con la legge in esame: da un lato, la linea garantista della legalità e giurisdizionalizzazione dell'esecuzione

33 Ex art. 1 o.p. e art. 2 DPR 230/2000. 34 V. art 14bis, 5 comma, o.p.

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penitenziaria, che trae origine dalla acquisita consapevolezza che la consistenza effettiva della pena detentiva è quella assunta nel momento esecutivo (con la conseguenza di considerare anche quest'ultimo nell'ambito applicativo dell'art 25, 2 comma della Costitizione); dall'altro lato, la linea della differenziazione dell'esecuzione penale"36,

in un'ottica più spiccatamente individualizzata.

1.3 ... e di continuità.

Abbiamo osservato come la Legge Gozzini, per quanto attiene alla problematica dell'ordine e la sicurezza, si sia preoccupata di rimediare alle carenze che presentava legge 354/1975, da un lato introducendo il regime di sorveglianza particolare; dall'altro, abrogando l'art. 90 o.p., dato l'uso distorto ed incontrollato che se ne era fatto in passato. Ma all'abrogazione di suddetto articolo ha corrisposto anche l'inserimento di una nuova disposizione, l'art. 41bis37, che "sembra riprodurre

36 F. C. PALAZZO, Commento all'art. 1 della l. 1O ottobre 1986, n. 663. Modifiche

alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in Legislazione penale, 1987, p. 102.

37 "In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve esser motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto".

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surrettiziamente il contenuto dell'art. 90 o.p., rendendone così, almeno in apparenza, poco significativa l'eliminazione"38. Se poi analizziamo

più nello specifico le due disposizioni, invece notiamo che alcune differenze esistono.

In primo luogo, quella più evidente ed anche più significativa, attiene alla collocazione delle stesse nell'ambito della Legge penitenziaria: infatti mentre l'art. 90 era contenuto nelle "disposizioni finali e transitorie", la nuova norma risulta inserita nel capo IV del titolo I, dedicato al "regime penitenziario". Se, dunque, "la precedente sistemazione suggeriva l'idea di una norma di chiusura destinata a subordinare alle esigenze di ordine e sicurezza l'intero impianto della riforma", quella attuale "sembra implicare una dimensione meno pervasiva39", posto che è collocata subito dopo la disciplina dei mezzi

coercitivi (art. 41 o.p.). L'art. 41bis, 1 comma, o.p. sembra allora configurarsi quale strumento capace di influire nei confronti di una collettività, quando l'azione sul singolo non sia possibile o sufficiente; al pari, quindi, di quell'insieme di strumenti offerti dal regime disciplinare e dall'uso dei mezzi coercitivi, nei confronti però di un singolo detenuto40.

In secondo luogo la nuova disposizione, rubricata come "situazioni di emergenza" (anzichè "esigenze di sicurezza"), risulta maggiormente

38 T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 157. 39 T. PADOVANI, Ibidem, p. 160.

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determinata per quanto riguarda i presupposti che devono sussistere perchè il Ministro possa esercitare il suo potere: si richiedono infatti "casi eccezionali di rivolta o altre gravi situazioni di emergenza", in luogo dei "gravi ed eccezionali motivi di ordine e sicurezza" dell'art. 90, poi non meglio specificati. "Una formula certo più connotata in termini di consistenza obiettiva e quindi più adeguata alla stessa ratio dell' art. 90 o.p.41", se si considera che, per l'appunto, quest'ultimo

avrebbe dovuto costituire lo strumento per ovviare a situazioni improvvise e non controllabili con i mezzi ordinari. Pertanto, ricorrendone le condizioni descritte nella norma, il Ministro della giustizia potrà sospendere "nell'istituto interessato o in parte di esso" (mentre la vecchia formulazione si riferiva ad "uno o più stabilimenti penitenziari42") l'applicazione delle normali regole di trattamento.

Va comunque notato che, essendo la finalità del provvedimento sospensivo pur sempre il ripristino dell'ordine e della sicurezza, le due disposizioni, nonostate la diversa formulazione letterale, in parte corrispondono: la durata del provvedimento rimane infatti piuttosto discrezionale, poichè il legislatore si è limitato a sancire che essa sia

41 T. PADOVANI, Ibidem, p. 159.

42 T. PADOVANI, Ibidem, p. 160, osserva come "la modifica terminologica era certo opportuna, visto che il termine << stabilimento >>, utilizzato dal regolamento Rocco sulla scia di una tradizione ottocentesca di derivazione francese, è stato sostituito, nella legge del 1975, dal più moderno << istituto >>. Ma, in sostanza, la sospensione circoscritta ad una parte soltanto dell'istituto carcerario, ora espressamente riconosciuta, era già invalsa nella prassi applicativa dell'art. 90 [...], mentre la sospensione estesa a più istituti, ora non espressamente contemplata dall'art. 41bis, potrebbe esser facilmente ottenuta, ove la situazione lo richiedesse, mediante la pluralità di decreti".

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"strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto" (in luogo del "periodo determinato, strettamente necessario", ex art. 90).

Dunque, a parte la diversa formula e collocazione del nuovo art. 41bis o.p., rispetto all'art. 90, sostanzialmente possiamo affermare che, mediante la sua previsione nella Legge penitenziaria, si è voluto mantenere nel sistema penitenziario un meccanismo capace di ovviare a situazioni emergenziali di tipo eccezionale, da potersi applicare ad una collettività indistinta; laddove invece, nei confronti del singolo detenuto "pericoloso" si può adottare un provvedimento ad hoc, di cui all'art. 14bis della stessa legge. In sostanza, con la riforma di cui alla Legge Gozzini si è inteso evidenziare il fatto che il provvedimento ministeriale di sospensione delle regole ordinarie è un aspetto che rimane; ma nel momento in cui si sopprime l'art. 90 e si introducono gli artt. 14bis e seguenti, si è inteso limitarne l'ambito di operatività: tale provvedimento sarà esperibile dal Ministro solamente a fronte di situazioni che, all'interno dell'istituto, rendono ingestibile l'istituto stesso, e per un periodo corrispondentemente limitato. Soltanto in questo contesto il Ministro sarà legittimato ad utilizzare questo potere; al contrario, quando si tratta di gestire detenuti che di per sè rifiutano l'offerta trattamentale, cioè che come singoli pongono ostacoli all'attività ordinaria all'interno dell'istituto, lo strumento da utilizzare sarà il regime di sorveglianza particolare, di cui agli artt. 14bis e seguenti della legge 354/1975.

(20)

Dunque ciò che di nuovo ha portato la Legge Gozzini è stato soprattutto l'approccio in una duplice prospettiva al problema della sicurezza penitenziaria: "individuale" da un lato; "collettiva" e "residuale" (in quanto "eccezionale") dall'altro43.

Un aspetto che invece suddetta legge non ha contribuito a disciplinare compiutamente ha riguardato la realtà degli istituti e delle sezioni a custodia rinforzata. In proposito si è osservato come l'originario progetto Gozzini abbia rappresentato "il maius, prevedendo l'istituzionalizzazione delle carceri speciali e la disciplina da attuarsi in esse", mentre "le norme della novella del 1986, invece, il minus"44; ed

ancora, che il regime di sorveglianza particolare probabilmente fosse stato concepito dal legislatore quale "connotato assorbente", dal momento che la Legge Gozzini non ha provveduto a regolamentare gli istituti di massima sicurezza45. In particolare suddetta "carenza lascia

parecchio dubbiosi: istituti del genere già esistono di fatto ed è scarsamente realistico [...] pensare che vengano, sempre di fatto eliminati46". In pratica le caratteristiche del circuito differenziato di

massima sicurezza, quali quelle specificatesi nella prassi applicativa precedente alla Legge Gozzini, non sono mutate con l'entrata in vigore di quest'ultima; ed infatti si è osservato come in definitiva si sia "in

43 Cfr. L. R. RUSSO, op. cit, pp. 50-51; T. PADOVANI, ult. op. cit., pp. 160-161. 44 Così A. BERNASCONI, La sicurezza penitenziaria tra prassi amministrative e

controllo giurisdizionale, in L'Indice penale, 1990, p. 151.

45 Cfr. E. SOMMA, op. cit., cit. p. 95. 46 Così E. SOMMA, ivi.

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presenza di un regime che, se da un lato ha subito alcune attenuazioni, dall'altro configura un tipo di << trattamento >>, negli istituti e nelle sezioni di massima sicurezza, comunque nettamente differenziato da quello attuato negli istituti ordinari. Resta la separazione tra due circuiti e la vigenza delle procedure, per il passaggio dall'uno e dall'altro, di << classificazione >> e << declassificazione >>; rimane un sistema di massima sicurezza che ha le stesse caratteristiche che ha sollecitato il legislatore: una disciplina esclusivamente amministrativa poco nota e verificabile, una separazione tra istituti di massima sicurezza e istituti ordinari, un sistema di << entrata-uscita >> incontrollato e incontrollabile47". Dunque se ne deve concludere che tale

sopravvivenza sia del tutto indipendente dalla presenza del regime di sorveglianza particolare, poichè "queste due realtà sottendono fenomenologie ontologicamente diverse48". Con la novella del 1986 si è

in sostanza dato all'amministrazione uno strumento in più, seppur giurisdizionalizzato, quale quello appunto ex artt. 14bis e ss. o.p., ma, accanto a questo, permane pur sempre la possibilità di ricorrere ad un circuito di carceri speciali, tramite il ricorso a mezzi peraltro "ordinari", quali la normativa penitenziaria mette a disposizione in tema di assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli

47 A. BERNASCONI, op. cit., p. 152. 48 A. BERNASCONI, Ibidem, p. 153.

(22)

internati49, di trasferimenti50 e, a livello regolamentare, di assegnazione

e raggruppamento per motivi cautelari51, contro cui non è previsto alcun

controllo giurisdizionale.

1.4 Legge Gozzini come "anticipatrice" della c.d. legislazione d'emergenza: cenni.

Per quanto la Legge Gozzini sia stata a lungo criticata, negli anni seguenti la sua entrata in vigore, da quanti sostenevano che avesse aperto ancora di più le porte del carcere, in realtà abbiamo visto come questo sia un aspetto parziale della legge stessa; infatti essa è intervenuta tanto sulla decarcerizzazione, tanto sul profilo del regime interno, disciplinando le ipotesi che possono giustificare un regime carcerario ancora più rigoroso rispetto a quello ordinario. É proprio da quest'ultima visuale che la legge Gozzini segna un po' la prima tappa del percorso che porterà all'introduzione del 2 comma dell'art. 41bis52,

49 Cfr. art. 14 o.p. 50 Cfr. art. 42 o.p.

51 Cfr. art. 32 DPR 230/2000.

52 Avvenuta con art. 19 del D. L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992 n. 356. Originariamente era stata pensata quale disposizione a tempo: infatti l'art. 29 del medesimo D. L. ne aveva delimintato l'operatività "trascorsi 3 anni dall'entrata in vigore della legge di conversione" del decreto stesso; l'efficacia della stessa è tuttavia stata prorogata più volte, fino alla definitiva stabilizzazione nell'ordinamento, con l. 279/2002.

(23)

cioè del c.d. "carcere duro". Prima tappa in due sensi: da un lato, infatti, ha introdotto materialmente nella legge 354/1975 l'art. 41bis, 1 comma; dall'altro, ha introdotto uno speciale regime di rigore, in relazione ad una determinata tipologia di soggetti che risultino particolarmente pericolosi per l'ambiente carcerario, di cui agli artt. 14bis e seguenti. Nel complesso, è comunque una legge che sicuramente ha reso esplicita l'intenzione del legislatore di procedere alla differenziazione in fase esecutiva, palesando il fatto che in determinati casi si possano adottare provvedimenti che rendano il carcere anche più duro e rigoroso, mentre in altri, provvedimenti più tipicamente risocializzanti. Alla base di questa differenziazione, o meglio, "suo metodo costitutivo, necessario e sufficiente53", è il sistema dei premi e delle punizioni, di sanzioni

positive (incentivanti) e sanzioni negative (di neutralizzazione).

Quest'idea di differenziare il regime carcerario sarà poi particolarmente valorizzata soprattutto a partire dalla c.d. "legislazione d'emergenza" dei primi anni Novanta54, anche se, in antitesi alla riforma operata dalla

legge Gozzini, essa è nota soprattutto come periodo della "controriforma"; con tale termine si è inteso sottolineare infatti una produzione normativa di colore complessivamente opposto rispetto alla

53 A. BERNASCONI, op. cit., p. 155.

54 Rif. al D. L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 203/1991 recante "Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa", ed al D. L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 356/1992 e contenente "Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa".

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legislazione precedente, ritenuta da molti troppo "garantista" ed ingiustificatamente benevola rispetto alla popolazione detenuta55.

Dunque, attraverso i vari interventi normativi che si sono poi succeduti nel tempo, il legislatore mostra sempre più la "totale disaffezione nei confronti di una sanzione penale che sia finalizzata, in primo luogo, alla rieducazione e al reinserimento sociale dell'autore del fatto-reato" e, parallelamente, la pena "acquista via via una sua precisa entità retributiva: essa diviene puramente afflittiva e punitiva, mentre un trattamento davvero alternativo viene riservato non a chi abbia mostrato rilevanti e positivi progressi nel corso del programma di recupero e risocializzazione in fase esecutiva, bensì nei confronti di coloro che divengono i collaboratori privilegiati della giustizia56". Tale inversione

di tendenza, rispetto al legislatore del 1986, essenzialmente si è avuta per ovviare a quelle situazioni particolarmenti allarmanti poste in esser, a partire dagli anni Novanta, dal nuovo pericolo dilagante in società: la criminalità organizzata, soprattutto di stampo mafioso. Infatti, a fronte di numerosi attacchi contro le istituzioni statali, culminati con la strage di Capaci il 23 maggio 1992, ci si rese conto che gli strumenti offerti dall'ordinamento penitenziario, così come questo si presentava fino ad allora, erano inidonei a fronteggiare il nuovo fenomeno eversivo.

55 In questo senso B. GUAZZALOCA, Differenziazione esecutiva e legislazione

d'emergenza in materia penitenziaria, in Dei delitti e delle pene, n. 3/1992, pp.

123, ss.; G. MOSCONI, La controriforma carceraria, in Dei delitti e delle pene, n. 2/1991, pp. 141, ss.

(25)

Dunque, se già nel 199157 "viene accentuata la differenziazione del

trattamento, prevedendosi per un verso un sistema volto ad assicurare a chi si pente un trattamento penitenziario differenziato e particolarmente favorevole e per l'altro un sistema speculare a questo, caratterizzato da rigore estremo, dal divieto di fruizione di ogni beneficio penitenziario per chi non cessasse i collegamenti con l'organizzazione criminale di appartenenza", nel 1992 il legislatore "non pago di questo sistema58" ha

ulteriormente riformato la materia penitenziaria, introducendo nell'art. 41bis quel 2 comma citato ad inizio paragrafo. Questo è relativo ad un'ipotesi peculiare di sospensione delle regole trattamentali, poichè prevede la "facoltà" per il Ministro della giustizia, anche a richiesta del Ministro dell'interno, "quando ricorrono gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica", "di sospendere in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'art. 4bis, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti" previsti dall'ordinamento penitenziario "che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza".

Al di là dei problemi che la nuova previsione ha posto59 e tralasciando

57 Rif. all'introduzione con D. L. 152/91 dell'art. 4bis o.p., modificato più volte ed oggi rubricato come "Divieto di concessione di benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti"; dell'art. 58ter, concernente le "Persone che collaborano con la giustizia"; dell'art. 58quater, "Divieto di concessione di benefici".

58 L. CESARIS, Commento all'art. 41bis, in Ordinamento penitenziario commentato, a cura di V. GREVI, G. GIOSTRA, F. DELLA CASA, Padova, Cedam, 2011, cit. p. 454.

59 Per un'analisi v. A. MARTINI, Commento all'art. 19 del D.L. 8 giugno 1992, n.

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anche i vari interventi correttivi che si sono avuti in materia60, rispetto

ai quali, in questa sede, è possibile soltanto accennare, qui conta sottolineare soprattutto quella che è stata la portata innovativa generale della nuova disposizione suddetta. Infatti, nonostante quest'ultima, nelle intenzioni del legislatore, fosse considerata una mera reintroduzione temporanea del vecchio art. 90 o.p.61, in realtà essa sottende una ratio

molto diversa, per comprendere la quale è necessario analizzare brevemente l'articolo. Inanzitutto a legittimare il provvedimento ex art. 41bis, 2 comma sono "gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica": dunque, per la prima volta, si fa riferimento ad elementi del tutto estranei all'ambiente carcerario, ma che comunque vadano ad incidere sulla gestione dei detenuti. In particolare, si presume siano eventi che abbiano determinato un grosso allarme sociale e compromesso l'ordine e la sicurezza pubblica; il riferimento alle stragi mafiose di quegl'anni appare perciò implicito62.

Inoltre, va notato come si tratti di un provvedimento riferito non alla totalità dell'istituto o ad una sua sezione, ma ad uno o più detenuti, individuati peraltro secondo il rinvio ai "delitti di cui al comma 1 dell'art. 4bis"; dunque, grosso modo, ci si riferisce ai detenuti per reati legati alla criminalità organizzata o comunque eversiva. Si configura,

60 V. le varie pronunce di legittimità che si sono avute in materia a partire dal 1993 (sent. n.349) e che ne hanno specificato meglio contenuti, garanzie e limiti. 61 Cfr. La Nota illustrativa del Ministro della giustizia , in Guida normativa, 1992, f.

113, p. 40.

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quindi, quale provvedimento ad personam, ma adottabile non in presenza di un comportamento rimproverabile tenuto all'interno del carcere ed ascrivibile a quel determinato soggetto, "giacchè se così fosse la disposizione si rivelerebbe inutile, bastando allo scopo l'art. 14bis o.p."; nè in situazioni di ingovernabilità dell'intero istituto penitenziario, "giacchè in tal caso si imporrebbe l'adozione del provvedimento di cui al 1 comma dell'art. 41bis o.p.63". Potrà invece

esser adottato unicamente tenendo conto di comportamenti tenuti all'esterno del carcere, nei confronti di uno o più detenuti, individuati però soltanto in riferimento alla natura del reato (particolarmente grave) loro ascritto.

L'intento diretto del legislatore del 1992 è stato perciò quello di spezzare ogni legame tra il carcere ed il mondo esterno, allo scopo di isolare gli appartenenti ad organizzazioni criminali per indebolire la loro posizione. Tuttavia, annullando le potenzialità criminogene di alcuni soggetti, mediante il provvedimento sospensivo di cui si tratta, il legislatore ha mirato anche a ridurre la tensione e l'allarme sociale e, per il futuro, a prevenire il compimento di atti eversivi64. In tal modo la

funzione custodialistica del carcere ne è uscita sicuramente rinforzata e, parallelamente, il regime in esame è stato considerato anche quale utile strumento "deterrente nei confronti degli associati ancora in libertà65".

63 A. MARTINI, ivi.

64 Cfr. L. CESARIS, ult. op. cit, p. 454.

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La novità è di estrema importanza, posto che costituisce, nel suo complesso, un altro regime differenziato in peius, che si viene ad aggiungere a quelli già disciplinati nella legge penitenziaria, ossia la sorveglianza particolare di cui agli artt. 14bis e ss. e la sospensione delle regole trattamentali in caso di rivolta, ex art. 41bis, 1 comma.

le modalità dell'esecuzione delle sanzioni penali, Giuffrè, Milano, 9 ed., 2010, p.

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CAPITOLO II

Il regime di sorveglianza particolare: nuovo regime di rigore individualizzato, nel rispetto del principio di legalità

2.1 I presupposti della sorveglianza particolare, tra valutazioni attuali...

Come anticipato, con legge 663/1986 veniva introdotto nell'ordinamento penitenziario il regime di sorveglianza particolare, disciplinato agli artt. 14bis e seguenti e collocato, subito dopo l'art. 14 della legge66, nel capo III, dedicato alle "modalità del trattamento". Già

quest'ultimo dato rende evidente quella che è stata la ratio sottostante alla scelta del legislatore: il nuovo regime si configura quale forma di trattamento individualizzato, da affiancarsi al modello di differenziazione degli istituti accolto dall'impianto originario

66 Art. che regola "l'assegnazione, il raggruppamento e le categorie dei detenuti ed internati". Su tale collocazione cfr. E. FASSONE, T. BASILE, G. TUCCILLO,

Commento all'art. 1 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, in La riforma penitenziaria: commento teorico pratico alla l. 663/1986, Jovene, Napoli, 1987, p.

103, nt. 1, secondo i quali in tal modo "non è escluso l'intento di rimarcare il carattere di eccezione rispetto alla trafila seguita per il trattamento di tutti i detenuti, ben poco selezionati se non in situazioni eccezionali[...]".

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dell'ordinamento67. Il legislatore si è inoltre preoccupato di fissare

normativamente quelli che sono i presupposti oggettivi e soggettivi del nuovo regime in esame, confermando la ratio "garantista" della Legge Gozzini68.

In particolare, i presupposti applicativi della sorveglianza particolare sono individuati nell'art. 14bis in relazione a comportamenti ritenuti offensivi dell'ordine e della sicurezza negli istituti penitenziari e, come tali, sintomatici di una certa pericolosità penitenziaria, da valutare in chiave prognostica69. Inoltre tali presupposti risultano descritti "in una

duplice prospettiva70":

"attuale", con riferimento a quelle condotte tenute in corso di detenzione ed oggetto di immediata valutazione, di cui al 1 comma dell'art. 14bis, lettere a), b), c);

"potenziale", con riferimento a condotte anteriori all'ingresso in istituto, identificate in "precedenti esperienze penitenziarie", ovvero "in altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà", di cui al 5 comma del

67 V. Art. 64 o.p.: "I singoli istituti devono essere organizzati con caratteristiche differenziate in relazione alla posizione giuridica dei detenuti e degli internati e alle necessità di trattamento individuale o di gruppo degli stessi".

68 L. R. RUSSO, op. cit., p.27.

69 Cfr. T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., pp. 165, ss. L'autore rileva come gli elemeni sintomatici risultino indicati al 1 ed al 5 comma dell'art.14bis o.p., mentre la loro valutazione prognostica, pur non essendo espressamente menzionata, è immanente alla natura del provvedimento, la cui adozione è sempre discrezionale (v. a conferma di ciò l'utilizzo del verbo "possono", anzichè "debbono", nella formula legislativa).

(31)

medesimo articolo71.

Procedendo ad un'analisi più sistematica, inanzitutto, trattandosi di un regime esecutivo differenziato, l'art. 14bis o.p. specifica quali sono i soggetti che vi potranno esser sottoposti: "i condannati, gli internati e gli imputati". Se nei confronti dei primi due soggetti non sussistono particolari problemi interpretativi, in quanto comunque risultano ristretti in carcere sulla base di uno specifico titolo detentivo, invece la previsione degli "imputati" suscita qualche perplessità; infatti nei loro confronti dovrebbe valere, come noto, la presunzione di non colpevolezza ex art. 27, 2 comma, della Costituzione. La spiegazione tuttavia, secondo la dottrina, può ravvisarsi nella circostanza che le misure predisposte in regime di sorveglianza particolare non hanno carattere punitivo, bensì "preventivo-cautelare72", in rapporto a

comportamenti gravemente disfunzionali rispetto alle esigenze di ordine e sicurezza penitenziaria; per cui "l'esclusione aprioristica degli imputati non avrebbe avuto né fondamento né ragione73".

Passando poi all'esame delle condotte contemplate nell'art. 14bis o.p., preliminarmente bisogna sottolineare che i comportamenti del soggetto, per poter giustificare il regime in questione, debbono presentare "se non il carattere dell'abitualità, almeno quello di una certa reiterazione74", in

71 V. infra §2.2.

72 Cfr. T. PADOVANI, ult. op. cit, p. 162; L. CESARIS, Commento all'art. 14bis, cit., p. 185.

73 T. PADOVANI, ivi, cit. Nello stesso senso L. R. RUSSO, p. 36.

74 F. C. PALAZZO, op. cit., cit., p. 106. Cfr. anche L. R. RUSSO, op. cit, p. 30; L. CESARIS, ult. op cit. p. 185.

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modo tale cioè da esluderne l'occasionalità ed episodicità. In questo senso depone non solo l'uso costante del plurale nell'indicazione legislativa dei presupposti, ma anche la stessa ratio della norma, "prospettando la necessità di una valutazione prognostica di carattere personologico75". Venendo ad un'analisi più dettagliata, si nota come i

vari presupposti di cui al 1 comma siano indicati con "diversi gradi di determinatezza76":

alla lettera a) si fa riferimento a quei soggetti che "con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti"; trattasi di una fattispecie piuttosto indeterminata, in quanto formulata non attraverso la descrizione dei singoli comportamenti in questione, ma mediante un richiamo ai risultati offensivi che questi provocano.

Per quanto riguarda, in particolare, il concetto di "ordine" negli istituti, si fa riferimento a quello che è il normale svolgimento della vita quotidiana in carcere, alla luce delle varie norme di comportamento e di organizzazione risultanti non solo dalla Legge penitenziaria e dal relativo Regolamento d'esecuzione, ma anche dai singoli regolamenti interni dei vari istituti, nonchè dalle direttive delle diverse autorità penitenziarie. Perciò, perchè una condotta possa dirsi lesiva dell'ordine,

75 F. C. PALAZZO, ivi, cit.

76 Così F. C. PALAZZO, ivi, cit.; conf. B. BOCCHINI, Carceri e sistema

penitenziario, in Digesto delle discipline penalistiche, Aggiornamento, vol. III,

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occorrerà che essa si concretizzi in un comportamento capace di incidere con una certa estensione sulla regolarità della vita carceraria: o in quanto si risolva nell'impedire oggettivamente il rispetto delle regole da parte degli altri compagni (come un comportamento ostruzionistico in lavori di gruppo o a catena; schiamazzi tali da impedire il riposo dei compagni, con conseguenti comportamenti di insofferenza ecc.), o in quanto consista in fatti di istigazione o sobillazione diffusa a violare le norme interne, oppure, infine, qualora si tratti di comportamenti che rivelino un'irriducibile incapacità di adeguarsi alle regole della comunità carceraria. In sostanza, non basterà la semplice violazione episodica della norma da parte del soggetto77.

Per quanto riguarda, invece, il concetto di "sicurezza", si fa riferimento da un lato a quelle condotte che "attentano all'incolumità78" dei vari

soggetti interni al carcere (siano questi appartenenti all'amministrazione, oppure al resto della popolazione detenuta), nonchè all'integrità di cose mobili ed immobili di loro pertinenza e, dall'altro, a quei comportamenti che pregiudicano l'interesse all'effettiva esecuzione della pena detentiva, "annientato ovviamente dall'evasione, ma pregiudicato anche da tutto ciò che possa illegittimamente sopprimere il carattere segregante del carcere79". Inoltre, stante il fatto

che nella formulazione della lettera a) si utilizza specificamente il verbo

77 Cfr. F. C. PALAZZO, op. cit., p. 106. 78 L. CESARIS, ult. op. cit., p. 185. 79 F. C. PALAZZO, op. cit, cit., p. 106.

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"compromettere" in relazione alla sicurezza, probabilmente bisogna dedurne che debbono esser compresi nell'applicazione del regime in esame non solo ipotesi già consumate, ma anche quelle che posso determinare situazioni di pericolo per la sicurezza interna ed esterna (come ad esempio potrebbero esserlo rapporti personali epistolari o colloqui che siano sintomi inequivoci di un proposito di evasione)80.

Passando alla formula della lettera b), questa appare immediatamente ben più determinata rispetto alla precedente81, posto che richiama

coloro "che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati", di qualunque genere esse siano purchè, ovviamente, lecite. Dunque è una previsione che attiene esclusivamente al profilo della sicurezza interna del carcere e, poichè da essa emerge con chiarezza il comportamento vietato la cui realizzazione comporta l'applicazione del regime in oggetto, è anche di più facile inquadramento rispetto alla precedente lettera a)82. Tuttavia una

precisazione: anche questa ipotesi deve esser valutata prognosticamente; dunque, pur non escludendosi a priori la valenza negativa anche di un singolo episodio, di norma dovrà esser la

80 Cfr. F. C. PALAZZO, ibidem, p. 107. In particolare l'autore rileva come altrimenti l'istituto in esame "perderebbe il suo ruolo di strumento a carattere preventivo[...] e si rivelerebbe aggiuntivo rispetto a meccanismi sanzionatori penali o disciplinari".

81 In tal senso F. C. PALAZZO parla addirittura di un "eccesso di determinatezza", poichè al requisito della condotta violenta o minacciosa ne viene aggiunto uno ulteriore, individuato quale risultato di quella stessa condotta e consistente nell'effettivo impedimento delle attività degli altri detenuti o internati; cfr. ibidem, p. 109.

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reiterazione dei comportamenti e l'insofferenza verso le regole vigenti in carcere ad evidenziare la necessità del regime di sorveglianza particolare83.

Venendo infine alla lettera c), questa si riferisce a quei soggetti che "nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti". Va notato, dunque, come anche questa previsione sia abbastanza indeterminata, così come la lettera a), ma per ragioni diverse rispetto a quest'ultima. Mentre infatti la lettera a), col suo generico richiamo ad una situazione di pericolo per le esigenze finalistiche dell'ordine e della sicurezza degli istituti, costituisce in definitiva una c.d. norma di scopo84 ed assolve funzione

sostanzialmente sussidiaria rispetto alle altre ipotesi85, la lettera c) fa

riferimento non a comportamenti determinati, ma ad un fenomeno di natura psicologica, come tale difficilmente accertabile: "lo stato di soggezione"86. Ciò che quindi quest'ultima previsione si propone di

83 Cfr. T. PADOVANI; ult. op. cit., p. 166; L.CESARIS, ult. op. cit., p. 186. 84 Cfr. F. C. PALAZZO, cit., p. 107.

85 Cfr. T. PADOVANI, ult. op. cit., p. 167.

86 Secondo l'interpretazione della Suprema Corte "la condizione del detenuto che nella vita penitenziaria si avvale dello stato di soggezione degli altri nei suoi confronti deve esser affermata in termini di certezza, non potendo esser desunta da generiche affermazioni di pericolosità fondate sui reati di cui il detenuto è stato riconosciuto colpevole o per i quali si procede nei suoi confronti, cui si può fare riferimento per una più completa comprensione della sua personalità, ma che non possono assumere rilevanza decisiva ai fini dell'adozione del regime di sorveglianza particolare" (Corte di Cassazione, Sez. I, 11 giugno 1987, Mambro, in Foro italiano, 1988, II, cit. p. 152). In sostanza, viene accolto il principio secondo cui le situazioni legittimanti la sorveglianza particolare devono esser verificate con riferimento "a fatti e circostanze specifici inerenti il comportamento del detenuto all'interno degli istituti di pena"(Corte di Cassazione, Sez. I, 11 giugno 1987, Mambro, in Foro italiano, 1988, II, cit. p 159). Contra v. Tribunale di sorveglianza di Roma, ord. 29 aprile 1987, Piunti, in Foro italiano, 1988, II, p. 153: "Il fondamento del regime di sorveglianza particolare va ravvisato nella

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evitare è che si creino all'interno del carcere quelle forme di sudditanza di alcuni detenuti nei confronti di altri, che fanno sì che poi si crei una convivenza carceraria dominata da intimidazioni e sopraffazioni: infatti il detenuto che si avvale di uno stato di soggezione sfrutta la sottomissione di altri reclusi nei suoi confronti, creandosi in tal modo una posizione di preminenza che sicuramente non giova all'ordine dell'istituto. Quindi, stante il fatto che con la previsione di cui alla lettera c) del 1 comma dell'art. 14bis o.p. il legislatore ha inteso semplicemente "stigmatizzare87" comportamenti assai diffusi

nell'ambiente carcerario, evitando cioè di tipizzare condotte che evidentemente saranno molteplici e riscontrabili per lo più sulla base del comportamento del soggetto sottomesso, in dottrina si è ritenuto che tale previsione sia in realtà "una species particolarmente marcata dell'ampio genus delle condotte che turbano l'ordine degli istituti ai sensi della lettera a)88" del medesimo articolo.

2.2 ... e potenziali.

ʻʻpericolosità penitenziariaʼʼche deve esser presente ed attuale ma non desumibile necessariamente da manifestazioni e comportamenti attuali e recenti, potendo tale giudizio [...] poggiare su fatti anteriori e pregressi, trattandosi di valutare la permanenza nel soggetto di una certa capacità e probabilità di comportamento". 87 Così L. CESARIS, ult. op. cit., p. 186.

(37)

Accanto alle ipotesi descritte nel 1 comma dell'art. 14bis o.p. che, in generale, legittimano il regime di sorveglianza particolare per comportamenti tenuti durante la detenzione, nel 5 comma è prevista anche la possibilità di adozione di tale regime fin dal momento di ingresso in istituto. In particolare, il legislatore prende in considerazione due ipotesi:

la prima postula la possibilità che condannati, internati ed imputati siano sottoposti alla sorveglianza particolare "sulla base di precedenti comportamenti penitenziari";

la seconda, inerente sempre ai medesimi soggetti, invece presuppone "altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà".

Ciò che emerge in primo luogo dalla disposizione suddetta è l'estrema latitudine della stessa, la quale appare così vaga ed indeterminata nei suoi riferimenti che si è parlato di una "vera e propria caduta verticale di determinatezza89" rispetto agli altri presupposti applicativi del regime

di sorveglianza particolare. Inoltre va notato come, in entrambe le fattispecie che la norma contempla, il legislatore abbia ritenuto di dover prescindere dall'attualità della condotta lesiva dell'ordine e della sicurezza, optando invece per lo strumento della presunzione90; in

pratica, allo scopo di prevenire il verificarsi in carcere di azioni violente

89 F. C. PALAZZO, op. cit. ,p. 108. 90 Cfr. L. R. RUSSO, op. cit., p. 32.

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o comunque non conformi alle regole, il detenuto viene assoggettato alla sorveglianza particolare "sin dal momento di ingresso in istituto91",

ma sulla base di condotte tenute prima di questo momento. É chiaro perciò che i comportamenti in questione non assumeranno un valore sintomatico reale, perchè non si riferiscono a condotte in effettivo contrasto con l'ordine e la sicurezza penitenziaria, ma meramente presuntivo, in quanto da essi si desume che, nella nuova condizione, il soggetto si porrà in contrasto con le predette esigenze92.

Venendo ad un'analisi più approfondita delle ipotesi contemplate nel 5 comma dell'art. 14bis o.p., inanzitutto è opportuno chiarire cosa s'intenda per "precedenti comportamenti penitenziari": secondo la dottrina si deve far riferimento alle condotte legittimanti il regime differenziato secondo quanto stabilito al 1 comma del medesimo articolo, così da far "conservare omogeneità ed equilibrio alla norma93".

Tuttavia è rinvenibile una differenza: soltanto l'ipotesi delineata nel 5 comma dell'articolo "sembra viziata da un implicito giudizio negativo nei confronti dei soggetti che siano già stati incarcerati94", dando quasi

per scontato il perdurare della loro pericolosità, anche a distanza di 91 Quanto al significato di quest'inciso, L. CESARIS, In margine all'art. 14bis

comma 5 ord. penit., in Cassazione penale, I, 1989, Giuffrè, p. 156, nota come in

realtà esso "non indichi altro che il termine iniziale, a partire dal quale è sempre possibile per l'amministrazione penitenziaria applicare il regime di sorveglianza particolare", in quanto "non è sempre detto che già all'atto dell'incarcerazione sia già nota la pericolosità del soggetto o siano già stati valutati gli elementi che potrebbero dal luogo al provvedimento di sorveglianza[...]".

92 Cfr. T. PADOVANI, op. cit., p. 168.

93 L. CESARIS, ult. op. cit., p. 156. Nello stesso senso anche F. C. PALAZZO, op. cit., p. 108 e L. R. RUSSO, op. cit., p. 33.

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anni, e negando, al contempo, un eventuale ripensamento sui comportamenti passati95. In sostanza, a carico di questi soggetti

finirebbe con il valere una presunzione di pericolosità e, soprattutto, di non rieducabilità. Tuttavia è necessaria una precisazione: i precedenti comportamenti in questione non devono esser di molto antecedenti alla nuova incarcerazione96, per evitare un giudizio prognostico arbitrario da

parte dell'amministrazione, la quale è comunque tenuta a motivare in modo preciso le proprie scelte97.

Quanto poi all'altra ipotesi, imperniata sugli "altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dall'imputazione, nello stato di libertà", già ad una prima lettura si può immediatamente cogliere l'indeterminatezza che la contraddistingue: in particolare da un lato l'aggettivo "concreti" è pletorico e quasi inutile, in quanto tutti i comportamenti non possono che esser tali e, dall'altro, l'uso dell'aggettivo "altri" sembrerebbe lasciar troppo spazio alla discrezionalità dell'amministrazione penitenziaria circa la valutazione delle condotte che potrebbero legittimare la sottoposizione al regime

95 A tal proposito cfr. Trib. Sorv. Roma, ord. 20 marzo 1987, Senzani, in

Giurisprudenza di merito, 1988, p. 1113, in cui si legittima l'applicazione del

regime di sorveglianza particolare "qualora risultino accertate la mancanza di una evoluzione dell'atteggiamento del detenuto nei confronti delle istituzioni e l'esasperazione di un comportamento conflittuale e sovvertitore".

96 In tema, L. R. RUSSO, op. cit., p. 34, precisa l'importanza di circoscrivere i <<precedenti comportamenti penitenziari>> ad esperienze piuttosto vicine nel tempo, così che la sorveglianza particolare diminuisca man mano che la precedente condotta presa come riferimento in chiave prognostica si allontana nel tempo.

(40)

differenziato98. Queste condotte, peraltro, non sono legate

all'imputazione99: ciò significa che, per individuarne i contenuti,

sicuramente non si dovrà far riferimento alla natura del reato; nè però la norma dice oltre. La dottrina ha perciò ipotizzato100, per tentar di darle

senso, di far leva o sugli elementi a conoscenza dell'autorità giudiziaria, così come indica lo stesso 5 comma dell'art. 14bis, nella sua ultima parte101; o sugli elementi espressi nella seconda parte dell'art. 133 c.p.

per la determinazione della capacità a delinquere; o sui rapporti ed informative di polizia; ancora, sulle relazioni dei servizi sociali. In proposito si è peraltro ritenuto che la pericolosità penitenzaria non sia desumibile soltanto "da manifestazioni e comportamenti attuali e recenti, potendo poggiare [...] su fatti anteriori e pregressi [...]102".

Tuttavia è chiaro che, in assenza di indicazioni legislative in merito, la disposizione di cui al 5 comma de quo può prestarsi ad applicazioni eterogenee di situazioni uguali, dal risultato diverso e contrastante, proprio perchè non risultano sufficientemente tipizzate le condotte

98 Cfr. L. CESARIS, ult. op. cit., p. 156.

99 F. C. PALAZZO, op. cit., p. 108, rileva a riguardo che se ciò "vale a spezzare opinabili collegamenti presuntivi tra titolo criminoso e regime speciale, lascia peraltro intendere che -entrando in istituto dalla libertà- la sorveglianza particolare può fondarsi su << comportamenti >> ritenuti significativi anche se non costituenti reati, e quindi può raggiungere anche soggetti responsabili di reati privi di qualunque componente di violenza".

100Cfr. L. CESARIS, ult. op. cit., p. 156; Id., Commento all'art. 14bis, cit., p. 188. Sul tema v. anche L. R. RUSSO, op. cit., p. 34.

101"L'autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all'amministrazione penitenziaria che decide sull'adozione dei provvedimenti di sua competenza".

102 Cfr. Tribunale di sorveglianza di Roma, ord. 29 aprile 1987, Piunti, in Foro

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