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CAPITOLO 1 Introduzione

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Introduzione

Il rischio sismico degli edifici industriali esistenti è un tema di grande attualità specialmente a causa degli eventi sismici che di recente ne hanno evidenziato le criticità e le pericolose conseguenze. Basti pensare alle sostanze radioattive riversate in acqua a causa dell’incendio innescatosi nei reattori della centrale nucleare di Fukushima, durante il terremoto del Giappone del 2011, o all’incendio divampato nella raffineria di petrolio di Izmit dopo il collasso di una ciminiera, durante il terremoto della Turchia del 1999, o ancora alle difficoltà economiche e sociali causate dal crollo di numerosi capannoni industriali, durante il terremoto dell’Emilia del 2012.

Il rischio sismico di una costruzione è direttamente legato alla pericolosità sismica del luogo, alla vulnerabilità della struttura e all’esposizione. Quest’ultima è la misura del danno che comporterebbe un collasso della struttura. Se di per sé la sua valutazione è complessa per le civili costruzioni, dove il danno può essere misurato in termini di perdite di vite umane e/o di perdite economiche dovute al danno stesso, la determinazione degli effetti del collasso di una struttura industriale non si può limitare alla sola valutazione di questi aspetti ma deve contemplare anche gli effetti che possono riguardare l’ambiente esterno e le persone non direttamente colpite dal sisma. Inoltre gli edifici industriali sono progettati in funzione delle condizioni di funzionamento dei macchinari e degli impianti ivi contenuti, il cui danneggiamento potrebbe comportare costi di riparazione o di mancata produzione spesso superiori al valore dell’edificio stesso.

Oltretutto gli stabilimenti industriali sono caratterizzati dalla presenza di strutture, apparecchiature, materiali e processi diversi per ogni impianto e la valutazione del rischio associato agli eventi natural-tecnologici (NaTech) deve quindi essere eseguita caso per caso, determinando la probabilità di accadimento di un evento accidentale, quale quello sismico, con determinate caratteristiche, stabilendo la vulnerabilità della struttura nei confronti di tale evento e considerando infine tutti i possibili scenari di effetti domino.

Lo studio e la messa a punto di tecniche di protezione sismica degli edifici industriali ricopre quindi un ruolo importante nella prevenzione del rischio sismico associato agli eventi NaTech.

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8 L’interesse nei riguardi di questo argomento è in crescente sviluppo ed è in quest’ottica che nel presente lavoro di tesi è stata analizzata la vulnerabilità sismica di un edificio industriale con struttura in acciaio che presenta notevoli dimensioni, sia in pianta che in altezza, e una importante massa posizionata ad una significativa altezza dal suolo. Per studiare il comportamento di questa tipologia di struttura nei confronti dell’azione sismica propria di zone ad alta sismicità, in accordo con lo scopo della più ampia ricerca in cui questa tesi è collocata, l’edificio è stato estrapolato dal suo reale contesto geografico e la sua posizione è stata ipotizzata in una zona ad alta sismicità, ed in particolare a Reggio Calabria. Successivamente è stato studiato un intervento di adeguamento sismico mediante l’utilizzo di controventi dissipativi.

L’edificio industriale oggetto del presente studio è la struttura di sostegno dei filtri dei gas prodotti all’interno dell’acciaieria 2 dello stabilimento ILVA di Taranto. Si tratta di una struttura a telaio realizzata con elementi in acciaio, che supporta un sistema di condutture e di filtri che permettono di sottrarre le polveri metalliche ai gas di scarico e di convogliarle, attraverso le tramogge e i nastri trasportatori, all’interno dei sili adiacenti. La struttura rientra nel più ampio sistema di filtraggio che comprende, oltre ai filtri, il gasdotto, la ciminiera e la struttura di supporto dei silos.

La complessità della struttura ha richiesto particolare attenzione nella fase di conoscenza e modellazione. Inoltre la volontà di eseguire analisi dinamiche non lineari ha reso necessaria una drastica semplificazione del modello, con la conservazione della sola struttura di supporto e con la sostituzione della sovrastruttura con elementi ausiliari che non comportassero modifiche rilevanti nel comportamento globale della struttura e locale degli elementi principali.

Infatti, per compiere l’analisi della vulnerabilità dell’edificio sono state eseguite delle analisi dinamiche incrementali IDA (Incremental Dynamic Analysis) che consistono in una serie di analisi Time History non lineari, eseguite utilizzando come input per l’azione sismica degli accelerogrammi naturali registrati durante degli eventi sismici, nelle tre direzioni principali, e scalati per intensità crescente. In questo modo è stato possibile determinare la risposta della struttura nei confronti di livelli crescenti dell’azione sismica e valutare il decadimento della rigidezza e della resistenza strutturale che si verifica durante un evento sismico.

Considerando i risultati ottenuti nelle analisi è stato messo a punto un intervento di protezione sismica passiva. L’adeguamento proposto si basa sull’utilizzo di controventi

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9 dissipativi autocentranti che sono stati disposti e dimensionati in modo da ottenere un miglioramento delle qualità antisismiche.

Ripetendo le suddette analisi sulla struttura adeguata è stato possibile dimostrare l’efficacia dell’intervento, valutare il miglioramento del comportamento globale e il livello di intensità sismica raggiungibile dalla struttura, dopo l’adeguamento, senza che la crisi degli elementi sopraggiunga.

Il lavoro di tesi svolto rientra nel più ampio progetto di ricerca, finanziato dalla Commissione Europea, denominato PROINDUSTRY (Seismic PROtection of INDUSTRial plants by enhanced steel based Systems) coordinato dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa in collaborazione con altre università europee e alcune importanti aziende, tra cui ILVA S.p.A.. Lo scopo della ricerca è quello di studiare e mettere a punto sistemi di protezione antisismica innovativi per edifici industriali esistenti e di nuova progettazione.

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CAPITOLO 2

Rischio sismico delle strutture industriali

Gli ingenti danni riportati dagli edifici industriali durante gli ultimi importanti eventi sismici, come il collasso dei reattori nucleari e di molte strutture di supporto dei serbatoi di stoccaggio (figura 2.2) durante il terremoto di Tohoku (Giappone, 2011) o quello della ciminiera della raffineria Tupras (Turchia, 1999) che provocò una serie di catastrofici incendi (figura 2.1), hanno mostrato quale sia il rischio che corrono tali strutture a causa dei terremoti. Infatti per un edificio industriale il rischio sismico non è correlato solamente al numero di perdite umane o al danno occorso alla struttura, ma anche ad altri effetti come la perdita economica derivante dal blocco della produzione e dai danni agli accessori, ai macchinari e ai materiali.

Questi danni spesso comportano costi maggiori rispetto al danno economico associato al danneggiamento della struttura stessa e possono causare il rilascio di sostanze pericolose all’esterno, con tutti gli effetti domino possibili, come accaduto nel terremoto in Giappone (2011) dove fuoriuscirono dalla centrale nucleare di Fukushima centinaia di tonnellate di acqua radioattiva, oppure danni socio-economici che interessano la società quando viene messo in crisi un intero settore.

In questi casi si parla di eventi NaTech (Natural-Technological Event) ovvero di situazioni dove la correlazione tra rischio sismico, riguardante un evento naturale, e rischio tecnologico, presente nelle strutture industriali, può portare al verificarsi di catastrofi ambientali ed economiche.

Figg. 2.1, 2.2 - Da sinistra a destra: terremoto di Izmit (Turchia) incendio alla raffineria Tupras, 1999; terremoto di Tohoku (Giappone) incendi o nel porto di Chiba, 2011.

Per una corretta valutazione del rischio sismico delle strutture industriali è necessario quindi considerare non solo i danni alla struttura e agli occupanti della stessa, ma anche la

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11 salvaguardia dell’ambiente e la prevenzione dei danni economici e sociali. Per fare un’analisi del rischio sismico in tali impianti si devono quindi individuare tutti i pericoli e tutti i possibili scenari dovuti all’azione di un sisma.

2.1 Rischio sismico

Nell’introduzione al capitolo è stato spesso utilizzato il termine rischio sismico parlando dei danni che possono verificarsi a seguito di una scossa; è infatti possibile definire il rischio sismico come la misura dei danni, dovuti ad eventi sismici, attesi in un dato intervallo di tempo. Tali danni possono riguardare più aspetti e la loro misura può essere eseguita sia in termini di perdite di vite umane, di crolli di edifici che di perdite economiche.

Un sisma può provocare maggiori o minori danni in funzione di tre caratteristiche che si combinano tra loro, che sono il livello di sismicità del sito, il grado di resistenza delle costruzioni e la quantità e l’uso dei beni esposti. Il rischio sismico è quindi determinato dalla combinazione della pericolosità, della vulnerabilità e dell’esposizione.

La pericolosità sismica di un territorio è rappresentata dalla frequenza e dalla forza dei terremoti che lo interessano, ovvero dalla sua sismicità. Viene definita come probabilità che in una data area ed in un certo intervallo di tempo si verifichi un terremoto che superi una soglia di intensità, magnitudo o accelerazione di picco (Pga) di interesse. La pericolosità sismica sarà tanto più elevata quanto più probabile sarà il verificarsi di un terremoto di elevata magnitudo, a parità di intervallo di tempo considerato. La pericolosità è una caratteristica del territorio, viene valutata per mezzo della storia sismica e rappresentata per mezzo delle mappe di pericolosità sismica (figura 2.3).

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12 La vulnerabilità sismica è la propensione di una struttura a subire un danno di un determinato livello, a fronte di un evento sismico di una data intensità. Le conseguenze di un terremoto infatti dipendono anche dalle caratteristiche di resistenza delle costruzioni alle azioni di una scossa sismica e dalla destinazione d’uso dell’edificio stesso. Quanto più un edificio è vulnerabile (per tipologia, progettazione inadeguata, scadente qualità dei materiali e modalità di costruzione, scarsa manutenzione), tanto maggiori saranno le conseguenze.

La quantità di beni esposti al rischio, ovvero la possibilità di subire la perdita di vite umane, un danno economico o un danno ai beni culturali è definita esposizione. Ad incidere sull’esposizione non è solo la quantità di beni che si trovano in una zona, ma anche la loro resistenza all’azione sismica e la loro destinazione d’uso, ovvero il numero di persone che vi lavorano o abitano, il numero di macchinari presenti o la quantità di materiale stoccata.

2.2 Rischio sismico industriale

I recenti eventi sismici (in particolare Turchia 1999, Giappone 2011, Italia 2012) mostrano quali possono essere gli effetti del cedimento di strutture industriali, sull’ambiente, sull’economia e sulla salute delle persone rimaste in vita. Per tali impianti non si devono considerare soltanto i danni in termini di vite umane ma anche in termini ambientali, produttivi e socio-economici. Infatti la presenza sul territorio di stabilimenti industriali, che utilizzano o detengono sostanze chimiche per le loro attività produttive, espone la popolazione e l’ambiente circostante al rischio industriale.

Gli effetti sulla salute umana in caso di esposizione a sostanze tossiche, rilasciate nell’atmosfera durante l’incidente, variano a seconda delle caratteristiche delle sostanze, della loro concentrazione, della durata d’esposizione e dalla dose assorbita. Gli effetti sull’ambiente sono invece legati alla contaminazione del suolo, dell’acqua e dell’atmosfera.

Ridurre il rischio industriale a livelli sufficientemente bassi è indispensabile per prevenire danni alla salute delle persone e all’ambiente. Il problema è molto complesso a causa dell’eterogeneità dei luoghi in cui le strutture sono inserite e dell’estrema varietà degli impianti industriali in termini della tipologia strutturale, del tipo di lavorazione e delle materie impiegate e prodotte.

Per aumentare il livello di sicurezza, andando a diminuire il rischio, si devono individuare tutti i possibili scenari di catastrofe causati dal cedimento della struttura e degli

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13 impianti a seguito di eventi sismici. La prevenzione degli eventi NaTech è quindi di fondamentale importanza.

2.2.1 Gli eventi NaTech

Le catastrofi naturali possono comportare un rischio che non è determinato soltanto dalle conseguenze dirette su persone o strutture, ma anche dalla serie di effetti a catena che potrebbero svilupparsi in un impianto industriale, come il rilascio di sostanze pericolose, l’interruzione di energia elettrica o di altri servizi.

Si definiscono NaTech (Natural-Technological event) gli eventi naturali catastrofici che comportano il rischio di innescare incidenti tecnologici.

L’impatto di un sisma su un impianto industriale può infatti comportare il rilascio di ingenti quantità di prodotti pericolosi, che implicano il rischio di sviluppo di incendi ed esplosioni, dispersioni tossiche e inquinamento. Inoltre si può avere un contemporaneo black-out di servizi di sicurezza e mitigazione, con conseguente aumento della gravità degli effetti.

Non si deve inoltre tralasciare la possibile perdita economica derivante dal blocco della produzione di un impianto industriale, che può essere temporaneo oppure, nel peggiore dei casi, permanente e può riguardare singole attrezzature o l’intero processo. Per un’azienda è infatti importante la salvaguardia dei macchinari e dei prodotti, al fine di non subire danni economici rilevanti.

Sono diversi i tipi di impianto industriale che possono subire danni a seguito di un terremoto. Un rapporto del BARPI1 (Bureau for Analysis of Industrial Risks and Pollutions), un

ente del Ministero dello Sviluppo Sostenibile francese, ha analizzato 86 incidenti industriali causati da terremoti con una magnitudo Mw maggiore di 6, avvenuti tra il 1964 e il 2011. Nello studio, è stata eseguita una classificazione degli incidenti in base al settore industriale (automobilistico, produzione di energia, metallurgia, cancelleria, raffinerie, trattamento di prodotti chimici, ecc.) o secondo la tipologia delle attrezzature (forni, condutture o tubazioni, serbatoi, unità di processo, edifici e strutture, ecc.).

Secondo tale rapporto la maggior parte degli incidenti industriali avviene nello stoccaggio di prodotti petrolchimici e nelle raffinerie (27%), nell’industria agroalimentare (22%), negli impianti chimici (12%), negli impianti di produzione di energia (9%) e nell’industria metallurgica (6%) (figura 2.4). Per quanto riguarda le diverse tipologie di attrezzature

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14 contenute negli impianti industriali, le unità di stoccaggio e di trasporto sembrano essere le più sensibili agli effetti del terremoto. Infatti le prime rappresentano il 38% (28% per i serbatoi a pressione atmosferica e il 10% per quelli sotto pressione), mentre le tubazioni il 19% dei casi totali (figura 2.5).

Fig. 2.4 - Incidenti industriali per settore (Bureau for Analysis of Industrial Risks and Pollutions).

Fig. 2.5 - Incidenti industriali per attrezzatura danneggiata (Bureau for Analysis of Industrial Risks and Pollutions).

Anche altri studi2 sugli incidenti tecnologici hanno dimostrato che i serbatoi e le

tubazioni sono le strutture più vulnerabili, inoltre hanno evidenziato una sottostima dei possibili effetti a cascata, come il rischio di rilascio di materiali pericolosi. Altre indagini3

2 Campedel et al., 2011; Balluz et al., 2004. 3 Antonioni et al., 2009. 27% 22% 12% 6% 9% 24% Stoccaggio di prodotti petrolchimici e raffinerie Industria agroalimentare Impianti chimici Industria metallurgica Produzione d'energia Altri 28% 10% 19% 43% serbatoi atmosferici serbatoi a pressione tubazioni altri

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15 mostrano che i terremoti provocano gli incidenti più gravi e portano alla conclusione che, nell’ 80,3% degli incidenti indotti da terremoti, sono coinvolti serbatoi atmosferici con tetto galleggiante.

Un altro lavoro svolto4, in cui sono stati analizzati 242 incidenti in impianti industriali

che hanno avuto luogo tra il 1960 e il 2003, conferma le osservazioni precedenti; indica che le strutture più colpite sono le raffinerie di petrolio (47,9%), i terminali e le stazioni di pompaggio (26,4%) e gli impianti petrolchimici (25,7%). Queste strutture possiedono infatti un gran numero di serbatoi e di tubazioni. Inoltre è stato mostrato che l'85% degli incidenti porta ad incendi ed esplosioni, alla fuoriuscita di liquidi infiammabili e all'emissione di gas e liquidi tossici.

I recenti eventi sismici hanno causato considerevoli danni agli edifici industriali, con interessamento in alcuni casi dell’ambiente circostante e delle persone che vi vivevano o lavoravano. Di seguito sono stati analizzati tre diversi eventi sismici e le loro conseguenze sulle strutture industriali:

 Izmit (Turchia), 1999:

Il terremoto di Izmit (capitale della provincia di Kocaeli) ha interessato numerose strutture industriali; per questo motivo è una risorsa preziosa per la valutazione dei danni a questi impianti. Molti di questi impianti industriali furono costruiti tra il 1960 e il 1970 secondo le normative sismiche europee o americane e, per questo motivo, sono assimilabili alle strutture industriali europee e americane della stessa epoca.

Ingenti danni si sono verificati nella raffineria di petrolio Tüpras, costruita nel 1983, a seguito di vari incendi durati cinque giorni. Il primo grande incendio divampò a causa del crollo di una ciminiera alta 115m (figura 2.6 e 2.7), le cui macerie resero impossibile l’intercettazione delle valvole di alimentazione del forno; il secondo si innescò nella zona di stoccaggio, dentro a quattro serbatoi di nafta, fu provocato dalle scintille prodotte dallo sfregamento del tetto scorrevole dei serbatoi con le guarnizioni metalliche e si estese agli altri serbatoi rapidamente. Dopo il sisma la fornitura elettrica fu interrotta e i generatori diesel si rivelarono insufficienti per l’utilizzo delle pompe antincendio; inoltre i serbatoi d’acqua, privi di copertura, persero buona parte del loro contenuto durante il sisma, a causa dell’oscillazione del liquido.

4 Chang e Lin, 2006.

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Figg. 2.6 e 2.7 - Collasso della ciminiera sulle unità di produzione, raffineria Tüpras (Gardner et al., 2001).

L'impianto petrolchimico Petkim, costruito tra il 1965 e il 1975, ha subito accelerazioni massime di 0,32g. I danni registrati hanno riguardato principalmente tre delle torri di raffreddamento costruite in legno ed una costruita in cemento armato, le cui colonne di sostegno sono state danneggiate (figura 2.8).

Fig. 2.8 - Collasso di tre torri di raffreddamento con struttura in legno nell’impianto petrolchimico Petkim (PEER, 2000).

Nella fabbrica di fertilizzanti IGSAS, la cui costruzione fu terminata nel 1977, il danno principale si è verificato nella struttura, con telaio a pareti in cemento armato, che ospitava attrezzature di lavorazione, serbatoi, tubazioni, una caldaia e un reattore. I danni riguardavano i collegamenti trave-colonna e furono causati da una inadeguata progettazione dal punto di vista sismico.

L’impianto di produzione Enerjisa forniva energia elettrica a diverse aziende nei dintorni. Durante il terremoto una caldaia a vapore a recupero subì lo sfilamento della sua fondazione a causa delle scadenti saldature d'angolo. Anche altre connessioni dei componenti dei sistemi di generazione furono state danneggiate.

Nell’impianto di produzione di lampadine fluorescenti Bastas non si sono verificati particolari danni strutturali ma la chiusura dello stabilimento si è resa comunque

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17 necessaria per i danni subiti dalla fornace del vetro, montata su un telaio che subì uno spostamento di 35mm durante il sisma, a causa di un ancoraggio mancante; nella fornace si è verificata la fusione involontaria di ottone e la sua successiva solidificazione ha portato alla distruzione di componenti chiave della fornace stessa.

Gli impianti del settore automobilistico nei pressi di Izmit subirono principalmente danni ai componenti non strutturali. Infatti nei vari stabilimenti le strutture non subirono ragguardevoli danni, mentre si registrarono molteplici danneggiamenti ai condotti, alle attrezzature e a macchinari che in alcuni casi erano basilari nell’impianto e la cui sostituzione si è resa necessaria prima del ritorno alla produzione.

Si può concludere che durante questo sisma le unità più vulnerabili sono state quelle di grandi dimensioni, soprattutto in elevazione, mentre le strutture di più piccole dimensioni si sono rivelate meno suscettibili a danni importanti. Un motivo potrebbe essere il fatto che la maggior parte delle strutture erano situate nelle zone costiere, dove le condizioni del terreno tendono ad amplificare il contenuto a lungo periodo del terremoto.

Un'ulteriore osservazione riguarda i collegamenti in acciaio e cemento armato, non progettati adeguatamente (figure 2.9 e 2.10), che hanno subito danni nonostante la bontà degli elementi strutturali primari. I danni, nonostante non riguardassero sempre le unità principali di produzione, hanno spesso causato l’impossibilità di riavvio di quest’ultimi con conseguente costoso arresto delle lavorazioni.

Figg. 2.9 e 2.10 - Cedimenti delle connessioni non progettate adeguatamente dal punto di vista sismico (PEER, 2000).

 Tohoku (Giappone), 2011:

Il Giappone è uno stato caratterizzato da un’elevatissima pericolosità sismica e, per riuscire a diminuire il rischio sismico, il paese ha sviluppato un buon livello di progettazione antisismica degli impianti industriali. Il terremoto di Tohoku è stato caratterizzato da diverse scosse; due giorni prima dell’evento principale, ci sono state

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18 quattro scosse premonitrici con una magnitudo da 6,0 a 7,3 e sono state misurate molte scosse di assestamento nelle quattro settimane successive. Questo terremoto ha provocato, nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi, il più grande incidente nucleare dopo Chernobyl; centinaia di tonnellate di acqua radioattiva fuoriuscirono dalla centrale e si riversarono in mare (figura 2.11).

Fig. 2.11 - Danni ai reattori della centrale nucleare di Fukushima Daiichi dopo le esplosioni causate dal sisma.

Dopo la missione del 2011 a Tokyo e nella regione di Tohoku, per valutare i danni a seguito del terremoto dell’11 Marzo 2011, il ministero dell’ecologia, dello sviluppo sostenibile e dell'energia francese ha pubblicato un rapporto5 dove vengono mostrati gli

incidenti più importanti occorsi nei vari settori industriali. I danni che si sono verificati hanno portato a perdite di milioni di euro, a danni ambientali, a interruzioni dei processi produttivi e a persone ferite o morte.

Nelle centrali termoelettriche, nell’industria chimica, petrolifera e petrolchimica, sono stati riportati incidenti agli impianti di stoccaggio e distribuzione, come la rottura delle linee di fornitura di carburante, lo spostamento di serbatoi a causa dello tsunami, danni a serbatoi causati dallo “sloshing” del liquido, perdita di tenuta di serbatoi a causa degli effetti termici e della liquefazione del suolo.

In particolare, nel porto di Chiba, il collasso della struttura di supporto di un serbatoio sferico e la conseguente rottura del collegamento con la tubazione, ha causato perdite di

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19 GPL con conseguenti incendi ed esplosioni; sono stati distrutti 17 serbatoi e sono bruciate circa 5300 tonnellate di GPL (figura 2.12).

Fig. 2.12 - Incendio nel porto di Chiba causato dalla rottura del supporto di un serbatoio sferico.

Nella raffineria di petrolio JX Nippon nel porto di Sendai, i danni hanno riguardato la copertura galleggiante dei serbatoi, a causa dello “sloshing”, e il distaccamento di alcuni serbatoi dalle fondamenta, per lo tsunami dovuto alla scossa. Inoltre un reattore catalitico fessurato, le cui gambe erano già state indebolite dai detriti dello tsunami, è crollato durante le scosse di assestamento. Alla raffineria di petrolio Cosmo si è sviluppata una nuvola di GPL che si è poi innescata in un punto caldo di un’unità vicina con conseguenti intensi incendi.

L’industria siderurgica Giapponese ha subito notevoli danni agli impianti che hanno in molti casi causato l’interruzione della produzione.

 Emilia (Italia), 2012:

Il sisma dell’Emilia Romagna di maggio del 2012 di magnitudo Mw 5.8, ha messo in evidenza la vulnerabilità sismica delle strutture industriali Europee. Il terremoto del 20 maggio aveva già causato gravi danni a diversi edifici ed impianti industriali e la seconda scossa del 29 maggio, che ha interessato molti edifici già indeboliti, ha incrementato i danneggiamenti.

In questa regione dell’Italia, considerata zona sismica a partire dal 2003, soltanto gli edifici e le strutture più recenti sono state progettate con le dovute considerazioni

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20 antisismiche. Le strutture industriali subirono pesanti danni soprattutto a causa della mancata cura dei dettagli dei collegamenti negli edifici costruiti con elementi prefabbricati (figura 2.13) e per la mancata attenzione e progettazione di elementi accessori come le scaffalature interne dei depositi (figura 2.14).

Fig. 2.13 - Crollo di edificio industriale con struttura in C.A. prefabbricato in Emilia.

Durante tale evento, oltre alla perdita di vite umane e al crollo di edifici di interesse storico e sociale, vi fu un arresto dell’attività produttiva della zona, con conseguenti danni socio-economici. Furono colpite sia unità di produzione che unità di deposito con la perdita di attrezzature e prodotti. Non si ebbero invece effetti importanti sull’ambiente.

Secondo la relazione inviata alla commissione UE, i danni all’attività produttiva dell’intera zona colpita dagli eventi sismici, ammontavano a circa 5 miliardi e 237 milioni di €6. Infatti in tale area erano presenti circa 66.000 attività produttive, per 270.000 addetti;

in particolare vi erano e vi sono tuttora distretti produttivi di rilevanza internazionale (biomedicale, tessile, abbigliamento, agroalimentare), dove l’interruzione della produzione ha causato una riduzione delle esportazioni a livello nazionale.

6 Regione Emilia Romagna, 2012;

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Fig. 2.14 - Crollo di scaffalature nei depositi di stagionatura dei formaggi.

2.2.2 Analisi del rischio sismico

Il rischio è solitamente espresso come prodotto della probabilità di accadimento per la magnitudo del danno atteso.

Per gli eventi NaTech, è preferibile esprimere il rischio come: = ( , , )

Ovvero come una funzione della probabilità p associata all’evento naturale di determinata intensità (la pericolosità sismica per un evento sismico), della vulnerabilità V delle apparecchiature critiche o dell’intera struttura e dell’esposizione E, ossia l’estensione prevista dei danni (numero di persone colpite, beni, infrastrutture o servizi coinvolti).

Le metodologie di calcolo del rischio NaTech, in riferimento agli eventi sismici, comportano quindi i seguenti passaggi:

1. In funzione di un valore assegnato della PGA, stabilire la probabilità che un evento sismico generi un’accelerazione di picco al suolo superiore a tale valore, nell’arco di un periodo di tempo determinato (generalmente legato alla vita della costruzione o dell’impianto);

2. In funzione della PGA, stimare i danni provocati su ogni apparecchiatura critica, ovvero descrivere la curva di fragilità7;

7 Campedel et al. 2008;

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22 3. Per ogni apparecchiatura critica, stimare le conseguenze del danno;

4. Identificare tutte le possibili combinazioni di eventi concatenati e le relative probabilità di accadimento (effetti domino);

5. Stimare i danni associati alle combinazioni di eventi e valutazione della vulnerabilità dell’impianto;

6. Stimare il rischio RNT associato al sisma con una determinata pericolosità, che provoca

un effetto di magnitudo E, per un dato impianto con vulnerabilità V.

Analisi di questo tipo necessitano di molte informazioni, non sempre ottenibili velocemente dai tecnici progettisti, come la definizione delle curve di fragilità legate al sisma per le diverse apparecchiature.

2.2.3 Riferimenti normativi per le strutture industriali

I riferimenti normativi ad oggi in vigore (Norme Tecniche per le Costruzioni ed Eurocodici), non contengono informazioni specifiche per gli impianti industriali per l’applicazione delle metodologie di analisi sopra esposte.

Nella normativa italiana, la procedura di individuazione degli stati limite dovuti all’azione sismica, nell’applicazione agli edifici industriali, è discutibile. Di seguito si riporta la definizione di Stato Limite Ultimo e Stato Limite di Esercizio fornita dalla normativa italiana al paragrafo 2.1:

“Sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): capacità di evitare crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possano compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali, ovvero mettere fuori servizio l’opera”.

“Sicurezza nei confronti di stati limite di esercizio (SLE): capacità di garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio”.

Secondo la norma, sotto l’effetto delle azioni sismiche, il rispetto nei confronti dello Stato Limite Ultimo, si considera conseguito qualora siano soddisfatte le verifiche relative al solo SLV e il rispetto nei confronti dello Stato Limite di Esercizio, qualora siano rispettate le verifiche relative al solo SLD.

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23 “Stato Limite di salvaguardia della Vita (SLV): a seguito del terremoto la costruzione subisce rotture e crolli dei componenti non strutturali ed impiantistici e significativi danni dei componenti strutturali cui si associa una perdita significativa di rigidezza nei confronti delle azioni orizzontali; la costruzione conserva invece una parte della resistenza e rigidezza per azioni verticali e un margine di sicurezza nei confronti del collasso per azioni sismiche orizzontali”.

Lo Stato limite di Salvaguardia della Vita (SLV) viene definito al paragrafo 3.2.1 delle NTC: “Stato Limite di Danno (SLD): a seguito del terremoto la costruzione nel suo complesso, includendo gli elementi strutturali, quelli non strutturali, le apparecchiature rilevanti alla sua funzione, subisce danni tali da non mettere a rischio gli utenti e da non compromettere significativamente la capacità di resistenza e di rigidezza nei confronti delle azioni verticali ed orizzontali, mantenendosi immediatamente utilizzabile pur nell’interruzione d’uso di parte delle apparecchiature”.

Se si considerano le probabilità di superamento associate agli stati limiti considerati, si può sostenere che, secondo la normativa, per qualsiasi edificio i danni alla struttura siano, in termini di rischio, più gravosi di quelli alle attrezzature. Infatti per lo SLD occorre riferirsi, nell’individuazione dell’azione sismica, ad una probabilità di superamento del 63%, mentre per lo SLV ad una probabilità di superamento del 10%. Tuttavia la normativa specifica che:

“Qualora la protezione nei confronti degli stati limite di esercizio sia di prioritaria importanza, i valori di PVR forniti in tabella devono essere ridotti in funzione del grado di

protezione che si vuole raggiungere”.

In questo modo, quando si ritiene che i danni alle attrezzature comportino un rischio elevato (fuoriuscite pericolose o effetti a catena), paragonabile a quello derivante da danni strutturali, è possibile andare ad eseguire l’analisi del rischio sulle attrezzature con un’azione sismica più gravosa.

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CAPITOLO 3

Metodi di mitigazione del rischio sismico

La mitigazione del rischio sismico si rende necessaria ogni qual volta esso superi determinati valori, oltre i quali non è possibile fornire l’agibilità per una determinata destinazione d’uso.

Inoltre si può procedere ad una riduzione del rischio sismico anche in assenza di tale situazione, in modo da ottenere maggiore sicurezza per le persone che vi abitano o lavorano e per i macchinari o le attrezzature degli impianti industriali.

3.1 Adeguamento e miglioramento sismico

A seconda del livello del rischio sismico che si vuole ottenere in seguito alla mitigazione, si può parlare di adeguamento sismico o di miglioramento sismico. Gli interventi di adeguamento sono definiti come il complesso di opere necessarie a rendere l’edificio atto a resistere alle azioni sismiche con livelli di sicurezza maggiori o uguali a quelli richiesti dalle norme vigenti. Gli interventi di miglioramento sono invece il complesso delle opere necessarie a rendere l’edificio atto a resistere alle azioni sismiche con livelli di sicurezza maggiori rispetto alla struttura esistente, ma comunque minori rispetto ai livelli di sicurezza richiesti dalle norme vigenti.

Maggiori indicazioni provengono dalla Circ. n. 617 del 2 febbraio 2009 “Istruzioni per l’applicazione delle norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008”, nella quale al paragrafo C8.4.1 viene trattato l’intervento di adeguamento descrivendolo nei seguenti termini:

“[…] La valutazione della sicurezza, nel caso di intervento di adeguamento, è finalizzata a stabilire se la struttura, a seguito dell’intervento, è in grado di resistere alle combinazioni delle azioni di progetto contenute nelle NTC, con il grado di sicurezza richiesto dalle stesse”.

La Circolare afferma che qualora si ricada in un intervento di adeguamento è necessario fare in modo che essa possa sopportare il terremoto di progetto e tutte le altre azioni previste per quella categoria di edificio. L’adeguamento corrisponde al raggiungimento di un preciso e determinato target prestazionale individuato dalla normativa.

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25 Per gli interventi di miglioramento, invece, non si ha l’obbligo di raggiungere un target prestazionale predefinito, ma bensì solamente migliorare le prestazioni a partire dall’attuale livello definito dallo stato di fatto. La suddetta Circolare, al paragrafo C8.4.2, definisce l’intervento di miglioramento:

“La valutazione della sicurezza per un intervento di miglioramento è obbligatoria […] ed è finalizzata a determinare l’entità massima delle azioni, considerate nelle combinazioni di progetto previste, cui la struttura può resistere con il grado di sicurezza richiesto”.

Nel primo caso si afferma di dover accertare la resistenza alle combinazioni delle azioni di progetto contenute nelle NTC, mentre nel secondo caso esclusivamente il dover determinare l’entità massima delle azioni a seguito dell’intervento. Confrontando lo stato di fatto con quello post-intervento, le modifiche apportate devono comunque garantire un miglioramento della condizione globale della struttura. Infatti, sempre nel paragrafo C8.4.2, viene riportato:

“Ovviamente la variazione dovrà avvenire in senso migliorativo, ad esempio impegnando maggiormente gli elementi più resistenti, riducendo le irregolarità in pianta e in elevazione, trasformando i meccanismi di collasso da fragili a duttili”. Dunque, si afferma che il livello prestazionale successivo all’intervento deve essere superiore al livello prestazionale della costruzione nel suo stato di fatto, sebbene non vi sia comunque nessun valore da raggiungere.

3.2 Tecniche di protezione sismica

Gli interventi di adeguamento o miglioramento sismico sono entrambi tesi alla riduzione del rischio sismico, che è il risultato di tre fattori combinati tra loro: pericolosità, vulnerabilità e esposizione. La pericolosità sismica è legata al territorio ed è quindi una componente non modificabile del rischio negli interventi sull’esistente. La modifica dell’esposizione comporterebbe un trasferimento di attività, persone e beni e in molti casi è una soluzione non percorribile.

Ne deriva che l’unica possibilità di mitigazione del rischio sismico si concretizza con la riduzione della vulnerabilità sismica. Essa dipende dalle caratteristiche meccaniche e geometriche ed è generalmente valutata mediante il rapporto tra la domanda associata all’azione sismica e la corrispettiva capacità. Per la riduzione della vulnerabilità si possono

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26 quindi mettere in atto due tipologie di intervento. La prima è rivolta alla riduzione della domanda di prestazione, la seconda all’aumento della capacità di prestazione della struttura.

La riduzione della domanda può essere raggiunta mediante diverse metodologie di intervento che possono essere:

 Incremento della rigidezza;  Riduzione della massa;  Isolamento sismico;

 Dissipazione di energia sismica;

L’incremento della rigidezza della struttura si traduce in una riduzione del periodo proprio della struttura che, a sua volta, implica la riduzione della richiesta sismica in termini di spostamento, ma non di accelerazione (figura 3.1). Per incrementare la rigidezza della struttura esistono vari metodi, tra cui la sostituzione o l’inserimento di controventi o l’aggiunta di nuovi telai. Per aumentare la rigidezza occorre comunque andare ad aumentare il peso della struttura con un riflesso negativo sull’entità dell’azione sismica.

Fig. 3.1 - Effetti dell’incremento della rigidezza sulle accelerazioni e sugli spostamenti.

La riduzione della massa può essere un metodo di adeguamento efficace e poco oneroso. Tale intervento comporta una riduzione del periodo proprio di oscillazione della struttura, delle forze di inerzia e della domanda di spostamento. Tale strategia può essere messa in atto mediante la sostituzione di componenti strutturali con altri ugualmente resistenti ma più leggeri, con l’eliminazione o la sostituzione di componenti non strutturali ed impianti o con il cambio della destinazione d’uso, con una che preveda sovraccarichi accidentali minori. In molti casi questa soluzione rimane inapplicabile e rimane di marginale importanza.

L’isolamento sismico si basa sulla strategia di riduzione della domanda in maniera globale che viene realizzata abbattendo drasticamente l’energia trasmessa dal suolo all’intera

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27 struttura. Il moto del terreno viene infatti disaccoppiato da quello della struttura per mezzo degli isolatori sismici, che consistono in una sconnessione lungo l’altezza della struttura. In questo modo la struttura risulta essere suddivisa in due parti: la sottostruttura, rigidamente connessa al terreno, e la sovrastruttura.

La dissipazione dell’energia sismica permette alla struttura di dover subire un’azione sismica ridotta rispetto al caso di risposta elastica della struttura. Infatti una costruzione adeguatamente dettagliata può sviluppare una serie di risposte post-elastiche in grado di garantire un’adeguata dissipazione di energia, in modo da resistere al terremoto in modo più vantaggioso.

Per mettere in atto le tecniche di protezione sopra descritte, si utilizzano dei sistemi che hanno la funzione di ridurre la domanda prestazionale. Essi possono essere suddivisi in tre categorie in base al loro funzionamento:

 Sistemi attivi;  Sistemi semi-attivi;  Sistemi passivi.

I sistemi attivi sfruttano un complesso di sensori, che controllano lo stato dinamico della struttura, e un calcolatore che processa i dati e calcola le forze da applicare nei vari punti in cui sono collocati gli attuatori. In questo modo è possibile coprire una banda di frequenza sismica molto ampia e si riesce anche a mitigare le pulsazioni dovute al vento. Tuttavia il sistema è molto complesso da progettare e costoso da realizzare e funziona soltanto in presenza di energia elettrica.

I sistemi semi-attivi utilizzano dispositivi che sono in grado di variare la propria risposta meccanica in funzione della velocità o degli spostamenti, che vengono controllati non a livello globale ma solamente a livello dei dispositivi. L’apporto di energia in questo caso è ridotto.

I sistemi passivi impiegano dispositivi con un comportamento meccanico dipendente soltanto dalle proprie caratteristiche fisico-meccaniche. Il loro funzionamento non richiede l’apporto di energia elettrica ma la risposta all’azione sismica non è adattiva.

Tra i sistemi di protezione sismica quelli passivi sono i più utilizzati perché la loro progettazione è più semplice, il costo è più contenuto e hanno un’affidabilità maggiore dato

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28 che non utilizzano sorgenti esterne di energia e sfruttano meccanismi e materiali stabili nel tempo.

I sistemi passivi più utilizzati sono quelli di isolamento sismico e di dissipazione dell’energia sismica. In alcuni casi le due tecniche di protezione possono anche essere accoppiate installando dispositivi di natura diversa in modo da sfruttare entrambe le potenzialità.

3.3 Sistemi di isolamento sismico

L’isolamento sismico necessita dell’utilizzo di particolari apparecchi di appoggio, caratterizzati da un’elevata deformabilità trasversale e da un’elevata rigidezza in direzione verticale, in modo da garantire la continuità strutturale e la trasmissione dei carichi verticali al terreno.

Fig. 3.2 - Principio di funzionamento dell’isolamento sismico (Di Carluccio et al., 2007).

La sottostruttura subisce un’accelerazione vicina a quella del terreno, mentre la sovrastruttura, grazie all’elevata deformabilità, deve sopportare un’accelerazione notevolmente ridotta (figura 3.2).

Gli spettri di risposta presentano infatti una forte amplificazione per periodi propri inferiori al secondo, tipici delle usuali strutture fisse alla base. L’aumento di deformabilità si traduce in un aumento del periodo proprio della struttura e in una conseguente riduzione dell’azione sismica trasmessa (figura 3.3).

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29 L’aumento del periodo comporta anche l’incremento degli spostamenti, che sono tuttavia concentrati nel sistema di isolamento che deve essere progettato in modo che gli spostamenti dell’edificio siano compatibili con i valori di fine corsa dei dispositivi (figura 3.3). La sovrastruttura invece si comporta quasi come un corpo rigido e subisce spostamenti relativi di interpiano molto contenuti.

Fig. 3.3 - Effetti dell’isolamento sismico sulle accelerazioni e sugli spostamenti.

Per mettere in atto la strategia dell’incremento del periodo si utilizzano dispositivi a comportamento quasi elastico per abbattere le accelerazioni sulla struttura. Dal punto di vista energetico, la riduzione degli effetti sulla struttura è dovuta all’assorbimento, nei dispositivi di isolamento, di gran parte dell’energia sismica in ingresso, sotto forma di energia di deformazione.

Esiste un’altra strategia da poter mettere in atto, sempre consistente nella limitazione della forza, dove si utilizzano dispositivi rigidi od elastici con comportamento perfettamente plastico o comunque fortemente non lineare. Anche questi dispositivi comportano una limitazione della forza sismica trasmessa alla sovrastruttura.

La riduzione degli spostamenti di interpiano, così come la limitazione delle forze trasmesse alla sovrastruttura, comportano un aumento della protezione del contenuto strutturale e non strutturale e permettono di garantire la piena funzionalità dell’edificio, anche a seguito di un violento terremoto. Questo si traduce in indubbi vantaggi di tipo socio-economico quando l’isolamento riguarda edifici che devono rimanere sempre operativi, come gli ospedali e i centri per la gestione delle emergenze, oppure strutture il cui contenuto ha un valore di gran lunga superiore a quello della struttura stessa o che comporta rischi ambientali.

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30 I dispositivi di isolamento sismico più comuni sono:

 Isolatori elastomerici:

o Isolatori in gomma a bassa dissipazione (Low Damping Rubber bearing - LDRB); o Isolatori in gomma con nucleo in piombo (Lead Plug Rubber Bearing - LRB); o Isolatori in gomma ad alta dissipazione (High Damping Rubber Bearing -

HDRB);

 Isolatori a scorrimento:

o Isolatori a scorrimento a superficie piana; o Isolatori ad attrito con superficie sferica.

3.3.1 Isolatori elastomerici

Gli isolatori elastomerici basano il loro comportamento sulla deformazione della gomma impiegata (figura 3.4). Sono caratterizzati dall’alternanza di strati di elastomero e lamierini di acciaio solidarizzati mediante processi di vulcanizzazione a caldo (figura 3.6). La presenza dei lamierini consente la limitazione della deformabilità verticale. Gli spessori dei vari strati sono molto ridotti, in genere gli strati di elastomeri variano tra 5 e 20 mm mentre i lamierini hanno spessori variabili tra i 2 e i 3 mm. I lamierini sono stati introdotti per evitare che l’elevata deformabilità della gomma provocasse una rotazione sull’asse orizzontale, come accadeva nei primi isolatori installati, del tipo non armato.

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31 Gli isolatori elastomerici a basso smorzamento possono essere ottenuti sia con gomma naturale che con neoprene. Il comportamento esibito è sostanzialmente elastico al crescere della deformazione, con uno smorzamento dell’ordine del 2 - 4 % (figura 3.5).

Figg. 3.5 e 3.6 - Diagramma tipico degli isolatori elastomerici a basso smorzamento e sezione dell’isolatore (FIP Industriale).

Questo tipo di isolatori presenta molti vantaggi, tra i quali un processo di produzione semplice e con costi ridotti e proprietà meccaniche che non risentono delle variazioni di temperature e degli effetti del tempo. Per contro hanno lo svantaggio di consentire uno smorzamento ridotto e l’elevata deformabilità permette spostamenti rilevanti anche sotto l’azione del vento.

Gli isolatori elastomerici con inserto in piombo furono inventati in Nuova Zelanda nel 1975 e sono stati usati diffusamente in Nuova Zelanda, Giappone e Stati Uniti. Tali dispositivi sono simili ai LDRB, ma contengono uno o più inserti di piombo in un foro posto al centro dell’isolatore (figura 3.8). La funzione dell’inserto è quella di dissipare energia mediante lo snervamento.

Il comportamento deriva dalla combinazione di quello dei due materiali che lo formano, ovvero del comportamento elastico lineare tipico degli appoggi elastomerici e di quello elasto-plastico del nucleo in piombo. Ne deriva un legame costitutivo forza-spostamento di tipo bilineare (figura 3.7).

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Figg. 3.7 e 3.8 - Diagramma tipico degli isolatori elastomerici con nucleo in piombo e sezione (FIP Industriale).

Lo smorzamento viscoso equivalente associato ai cicli di isteresi del dispositivo è compreso tra il 15% ed il 35%. Inoltre, rispetto agli isolatori in gomma a bassa dissipazione, risulta essere maggiore anche la rigidezza a causa della rigidezza alle azioni taglianti dell’inserto in piombo.

Gli isolatori elastomerici ad elevato smorzamento consentono di avere uno smorzamento sufficiente ad eliminare la necessità di dispositivi ausiliari e costituiscono quindi un sistema completo. Lo smorzamento ottenibile varia tra il 10% ed il 20%.

Rispetto agli isolatori a basso smorzamento, la rigidezza iniziale è maggiore e questo consente ai dispositivi di rispondere meglio anche ai carichi di esercizio orizzontali, come il vento. Dopo il primo tratto la rigidezza decresce e rimane costante per un certo tratto, dopo il quale si presenta un aumento della rigidezza che consente di evitare deformazioni eccessive (figura 3.9).

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33 Nella figura 3.9 è possibile osservare che il tratto iniziale si manifesta per deformazioni taglianti minori del 20%. Quando le deformazioni a taglio sono comprese tra il 20% e il 120% il modulo si mantiene basso e costante. Per deformazioni elevate il modulo cresce grazie al processo di cristallizzazione della gomma, che si accompagna alla dissipazione di energia.

3.3.2 Isolatori a scorrimento

Gli isolatori a scorrimento con superficie piana possono essere unidirezionali (applicati generalmente nei ponti) o multidirezionali (utilizzati negli edifici).

Nella loro forma più semplice sono costituiti da due dischi di diverso diametro che scorrono l’uno sull’altro. I materiali più impiegati sono l’acciaio lucidato inossidabile ed il PTFE (Teflon) che hanno la caratteristica di poter sviluppare una bassa resistenza d’attrito.

Il coefficiente di attrito dinamico è funzione di alcuni aspetti, come la temperatura e l’usura, che non permettono di stabilirlo in fase di progetto con un certo margine di sicurezza; per questo motivo la dissipazione di energia per attrito viene solitamente trascurata e si utilizzano dispositivi lubrificati.

Gli isolatori a scorrimento con superficie piana vengono impiegati spesso con la presenza di elementi in grado di aumentare la rigidezza iniziale, fornire capacità dissipative e capacità ricentrante.

Il comportamento meccanico degli isolatori a scorrimento a superficie piana è descritto nella figura 3.10 e, nella figura 3.11, è riportata la curva taglio spostamento di quelli con elementi dissipativi.

Figg. 3.10 e 3.11 - Comportamento meccanico degli isolatori a scorrimento a superficie piana senza elementi dissipativi (sinistra) e con elementi dissipativi (destra).

Gli isolatori a scorrimento con superfici di scorrimento curve incorporano la funzione ricentrante e dissipativa, senza l’aggiunta di altri elementi. La funzione ricentrante è data

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34 ovviamente dalla superficie curva, la quale consente di far tornare in posizione il dispositivo quando cessa l’azione esterna. Il carico verticale, infatti, dà luogo ad una componente nella direzione tangenziale alla superficie sferica, consentendo al dispositivo di riaccentrarsi. La funzione dissipativa è dovuta alla superficie non lubrificata.

La scelta della curvatura non è casuale, perché ad essa è legata la rigidezza del dispositivo e, quindi, il periodo di vibrazione della struttura isolata. All’aumentare del raggio di curvatura si riduce la rigidezza del dispositivo ed aumenta il periodo proprio T.

Lo smorzamento viscoso equivalente aumenta all’aumentare del periodo (quindi all’aumentare della curvatura) e del coefficiente di attrito. Tuttavia l’attrito non può essere troppo elevato altrimenti il sistema si blocca prima di poter tornare al centro, così come il periodo, per non avere una rigidezza iniziale troppo bassa. Per questi motivi il massimo smorzamento che si può ottenere è intorno al 20%.

Fig. 3.12 - Comportamento meccanico degli isolatori a scorrimento a superficie curva.

Un’ulteriore alternativa è caratterizzata dalla presenza di due superfici di scorrimento anziché una, in modo da ottenere uno spostamento doppio con la stessa azione laterale. Un esempio è riportato nella figura 3.13. Nel caso in cui le superfici abbiano un coefficiente di attrito diverso il dispositivo comincia a scorrere sulla superficie che offre minore resistenza, per poi mettersi in moto anche sull’altra.

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35

Fig. 3.13 - Isolatore a scorrimento a doppia superficie curva di scorrimento.

3.3.3 Esempi di installazioni in ambito industriale

A causa della necessità di intervento sulle fondazioni, gli isolatori sismici sono per lo più utilizzati nelle nuove costruzioni. Tuttavia recentemente sono state adottate nuove tecniche che permettono l’installazione negli edifici esistenti, mediante il taglio delle colonne o, per gli edifici in muratura, con la creazione di una sottofondazione rigida sulla quale disporre i dispositivi (figura 3.14).

Fig. 3.14 - Posa in opera di un isolatore elastomerico in un edificio esistente.

L’utilizzo in ambito industriale degli isolatori sismici è molto diffuso per la protezione di serbatoi di stoccaggio di gas naturali liquefatti e per la protezione sismica dei reattori delle centrali nucleari.

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36 Un esempio di utilizzo nei serbatoi di stoccaggio è quello dello stabilimento della Perù LNG di Pampa Melchorita (figura 3.15 e 3.16), in questo caso sono stati isolati due grandi serbatoi di gas naturale liquefatto in calcestruzzo armato. Ciascun serbatoio ha una capacità di 130mila metri cubi di stoccaggio ed è supportato da 256 isolatori a superficie di scorrimento curva. La struttura si trova in una zona ad alta sismicità, con terremoti registrati fino alla magnitudo 8, e l’uso dei dispositivi di protezione ha permesso di ridurre le dimensioni della struttura e di conseguenza i costi di realizzazione.

Figg. 3.15 e 3.16 - Isolatori installati alla base di un serbatoio nello stabilimento della Perù LNG (EPS, Inc.).

Un esempio di installazione di isolatori sismici su un edificio industriale esistente è quello del serbatoio di gas naturale liquefatto nello stabilimento della Versalis (ENI) di Mantova (figura 3.17 e 3.18). Il serbatoio di GNL è situato in una regione ad alta sismicità e per migliorare il livello di sicurezza sono stati utilizzati isolatori a scorrimento. In questo modo sono stati ottenuti dei risparmi rispetto alle altre soluzioni di adeguamento e un livello prestazionale maggiore. L’intervento è stato realizzato senza l’interruzione del funzionamento del serbatoio e gli isolatori sono stati installati nelle colonne di calcestruzzo armato dopo la rimozione di una piccola sezione di ciascuna colonna.

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3.4 Sistemi di dissipazione dell’energia sismica

La dissipazione dell’energia sismica è basata sulla capacità della struttura di generare meccanismi duttili. Il comportamento inelastico nelle travi, nei controventi o negli altri elementi strutturali consente di dissipare una discreta quantità dell’energia introdotta dal sisma, in modo da trasmettere azioni sismiche ridotte (figura 3.19), ma comporta un danneggiamento strutturale. Tuttavia tale fattore può essere eliminato o ridotto se l’energia viene dissipata in appositi dispositivi che lavorano in parallelo col sistema principale, che in questo caso ha l’onere di resistere ai soli carichi verticali. In questo modo, vista la riduzione dei danni al sistema resistente principale, vengono ridotti notevolmente i costi degli interventi post-sismici, che si concentreranno sulla sostituzione dei dissipatori eventualmente danneggiati.

Fig. 3.19 - Principio di funzionamento dei dissipatori sismici (Di Carluccio et al., 2007).

Anche dal punto di vista degli spostamenti di interpiano, i sistemi di dissipazione permettono di ridurre la risposta dell’edificio, proporzionalmente al livello di smorzamento, con il risultato di ottenere minori richieste in termini di deformazione per i singoli elementi strutturali e non strutturali (figura 3.20). Quest’ultimo aspetto non è trascurabile visti gli elevati costi di riparazione che possono interessare gli elementi non strutturali anche a seguito di eventi sismici di bassa o moderata entità.

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Fig. 3.20 - Effetti della dissipazione di energia sulle accelerazioni e sugli spostamenti.

Rispetto ai sistemi di isolamento, l’energia sismica entra inalterata nella struttura e, per essere dissipata, devono verificarsi delle deformazioni. Per questo motivo i sistemi dissipativi sono meno efficaci sulla riduzione degli spostamenti di interpiano rispetto ai sistemi di isolamento. Ciò nonostante questa tecnica risulta essere particolarmente utile in tutti quei casi in cui l’isolamento sismico non sia applicabile o sia sconsigliato. In particolare negli edifici esistenti, realizzare un sistema di isolamento, che implicherebbe un intervento sulle fondazioni, non sempre è conveniente e l’adeguamento mediante sistemi dissipativi è una buona alternativa.

I dispositivi di dissipazione dell’energia sismica sono suddivisibili in base al loro principio di funzionamento:

 Dissipatori funzionanti in reazione alla velocità del moto;  Dissipatori funzionanti in reazione allo spostamento del moto;  Dissipatori funzionanti per attrito.

Nella prima categoria rientrano i dispositivi fluido-viscosi che, grazie alla forza di attrito dinamico dei fluidi siliconici, si oppongono al moto sismico con una forza proporzionale alla velocità dello spostamento.

Reagiscono invece in funzione dello spostamento che subiscono, tutti quei dispositivi che sfruttano le capacità di plasticizzarsi alternativamente di materiali come l’acciaio. In questa categoria rientrano i dissipatori isteretici in acciaio, i dissipatori visco-elastici e i controventi dissipativi.

Gli altri dispositivi sfruttano l’attrito che si crea tra due superfici, che permette la dissipazione di energia sotto forma di calore. Alcuni di essi si servono dell’attrito elettromagnetico.

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3.4.1 Dissipatori viscosi fluido-dinamici

La dissipazione viscosa avviene mediante dispositivi che rispondono alle forze applicate in maniera proporzionale alla velocità di applicazione. Tale comportamento è ottenuto sfruttando la reazione a compressione e alla laminazione di un fluido siliconico contenuto in un pistone che, nel passaggio attraverso la valvola di laminazione, dissipa energia sotto forma di calore (figura 3.21).

Fig. 3.21 - Schema di funzionamento di un dissipatore viscoso fluido-dinamico (Alga SPA).

Questi dispositivi presentano una bassa resistenza alla deformazione, quando i carichi sono applicati in maniera molto lenta, tale resistenza aumenta al crescere della velocità del moto.

I dissipatori viscosi possono anche avere comportamento ricentrante, ottenuto mediante una forza di precarico applicata al pistone, che permette di riacquisire la posizione di riposo una volta terminata l’azione sismica. Inoltre il precarico è utile nel contrastare le azioni orizzontali di esercizio come il vento (figura 3.22).

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3.4.2 Dissipatori visco-elastici

La dissipazione visco-elastica dà luogo ad una forza smorzante dipendente dalla velocità di applicazione delle azioni con, in aggiunta, una componente elastica dipendente dallo spostamento (figura 3.24).

Figg. 3.23 e 3.24 - Dissipatore viscoelastico e relativo comportamento meccanico (FIP Industriale).

I dissipatori visco-elastici sono generalmente costituiti da uno o più strati in mescola elastomerica ad alto smorzamento, interposti a piatti in acciaio (figura 3.23). Sono utilizzati come componenti di controventi dissipativi in edifici intelaiati. L’analisi di questo tipo di dissipatori è la più complessa, dato che richiede di studiarne le proprietà in funzione del livello di deformazione, della frequenza e della temperatura.

3.4.3 Dissipatori isteretici in acciaio

La dissipazione isteretica avviene generalmente mediante snervamento dell’acciaio, che può sopraggiungere per flessione, taglio o sforzo assiale. Gli elementi dissipativi in acciaio hanno una forma opportuna, progettata per garantire un comportamento ciclico stabile, e vengono disposti in maniera tale che il metallo possa deformarsi per gli spostamenti che subisce la struttura (figura 3.25).

Questi dispositivi possono essere utilizzati per proteggere ponti, generalmente con elementi a pioli lavoranti a taglio, o per proteggere edifici, nella forma di controventi dissipativi soggetti a sforzo assiale o come elementi di collegamento (link) dei controventi eccentrici, che funzionano prevalentemente a flessione, taglio o flessione e taglio a seconda delle loro dimensioni.

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Fig. 3.25 - Comportamento meccanico dei dissipatori isteretici.

Quella dei controventi dissipativi (figura 3.26), è una soluzione che offre particolari vantaggi nelle strutture intelaiate. In questo caso, rispetto all’utilizzo degli isolatori, aumenta la rigidezza dell’edificio, con conseguente aumento della forza sismica trasmessa, ma ciò nonostante gli sforzi dovuti al sisma sono veicolati sugli smorzatori e la struttura viene protetta sia dagli eccessivi sforzi, che dagli eccessivi spostamenti di interpiano. Inoltre l’intera struttura vede aumentare non solo la propria rigidezza ma anche la propria resistenza e la propria capacità di smorzamento.

Fig. 3.26 - Dissipatori isteretici nella forma di controventi dissipativi installati nella scuola di Largo Madonna a Pescara (Studio MAPI).

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42 Rispetto agli isolatori non richiedono particolari tecniche di installazione e sono stati largamente utilizzati nell’adeguamento sismico di edifici esistenti anche con struttura in calcestruzzo armato.

Una tecnologia particolare di utilizzo dei controventi dissipativi è quella degli smorzatori metallici a instabilità impedita (Buckling Restrained Brace, BRB), che non sono altro che aste di controvento rivestite con un tubo di acciaio, che non entra in compressione e trazione ma che impedisce lo sbandamento laterale dell’elemento compresso (figura 3.28).

Fig. 3.28 - Controventi dissipativi ad instabilità impedita (Nippon Steel).

Nel caso di applicazione di forze cicliche, il controvento possiede una capacità di plasticizzazione in compressione, paragonabile a quella in trazione ed è quindi in grado di recuperare la deformazione subita in trazione (figura 3.29).

Fig. 3.29 - Comportamento nei confronti di azioni cicliche di controventi tradizionali (sinistra) e controventi a instabilità impedita (destra) (Nippon Steel).

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3.4.4 Esempi di installazione in ambito industriale

La tecnica di protezione che prevede l’istallazione di dissipatori dell’energia sismica, possiede una maggior facilità di messa in opera, rispetto alla tecnica di isolamento sismico, sia per quanto riguarda gli edifici di nuova costruzione, che per gli edifici esistenti. Tuttavia maggiori difficoltà sono riscontrabili negli interventi riguardanti costruzioni con struttura in C.A. o muratura e interessano i collegamenti tra dissipatori e struttura. Per le strutture con telaio portante in acciaio, queste difficoltà sono limitate e la messa in opera risulta essere agevole.

L’utilizzo in ambito industriale dei dissipatori sismici è molto diffuso, come per gli isolatori, per la protezione di serbatoi di stoccaggio (figura 3.30) e, più in generale, per tutte quelle strutture industriali a rischio, che non possono subire elevati spostamenti totali, a causa della loro funzionalità o del loro inserimento in un complesso di strutture. In quest’ultimo caso l’utilizzo di isolatori è sconsigliato o per lo meno è attuabile soltanto in compagnia di dissipatori.

Generalmente, per gli edifici industriali, i dissipatori sismici più utilizzati sono i controventi dissipativi. Con essi è possibile aumentare la rigidezza della struttura, limitare gli spostamenti totali e aumentare la capacità dissipativa che, oltretutto, sarà concentrata negli smorzatori, con conseguente protezione delle membrature della struttura.

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3.5 Dispositivi di protezione autocentranti

I dispositivi di protezione sismica passivi non sono dotati di attuatori o sensori per il monitoraggio dello stato della struttura e hanno il grosso svantaggio di poter presentare delle deformazioni residue una volta che il sisma ha esaurito la propria azione.

La salvaguardia dell’integrità della struttura ci impone di utilizzare dispositivi che consentono la riduzione degli spostamenti di interpiano residui. Infatti tali spostamenti, se eccessivi, possono:

 Ridurre drasticamente la capacità portante della struttura nei confronti dei carichi verticali, facendo insorgere nelle colonne effetti indesiderati del secondo ordine (P-Δ);  Aumentare la vulnerabilità della struttura nei confronti delle scosse successive.

In presenza di tali rischi occorre intervenire sulla struttura per non perdere la sua funzionalità, con costi di riparazione elevati. Inoltre gli interventi di riparazione non sempre sono attuabili e, in questo caso, si va in contro alla perdita definitiva della funzionalità dell’edificio.

Per il problema delle deformazioni residue occorre quindi che i dispositivi antisismici abbiano la capacità di ricentraggio. Questa qualità viene raggiunta per mezzo di meccanismi che hanno una posizione di riposo centrale raggiunta ogni volta che l’azione sismica si interrompe. Dispositivi di questo tipo hanno un caratteristico diagramma forza-spostamento a bandiera e per questo motivo sono denominati “flag-shaped device” (vedi figura 3.31).

Fig. 3.31 - Diagrammi forza-spostamento di dispositivi tradizionali (sinistra) e dispositivi autocentranti (destra) (Christopoulos et al., 2002).

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45 Tale diagramma mostra che, per sollecitazioni nulle, le deformazioni sono nulle. Inoltre è possibile notare che l’area racchiusa dal grafico, pari all’energia dissipata, è inevitabilmente minore rispetto a quella di un dissipatore tradizionale.

3.5.1 Capacità di ricentraggio dei dissipatori sismici tradizionali

La norma europea EN 15129-2009 propone un approccio energetico per valutare la capacità di ricentraggio dei sistemi dissipativi. Secondo tale approccio, un sistema di protezione possiede una sufficiente capacità di ricentraggio, quando la componente di energia dissipata per il comportamento elastico Es, e quindi reversibile, è pari almeno ad un quarto

dell’energia dissipata per il comportamento plastico Eh (vedi figura 3.32).

Fig. 3.32 - Curva caratteristica di un dispositivo di dissipazione.

Tenendo conto che i dissipatori possiedono una curva caratteristica che può essere approssimata ad una curva bilineare, è possibile valutare l’effettiva capacità ricentrante con la seguente disequazione:

− 3 2( − 1) Dove:

 è pari al rapporto tra la rigidezza del ramo post-elastico e la rigidezza del ramo elastico;

 è il fattore di duttilità, pari al rapporto tra l’allungamento finale e quello in corrispondenza della fine del tratto elastico.

Si osserva quindi che la capacità di ricentraggio è governata dalla pendenza del ramo post-elastico della curva caratteristica e dal valore del fattore di duttilità.

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3.5.2 Steel Self-Centering Device “SSCD”

I dispositivi di dissipazione isteretici tradizionali, anche nel caso in cui la capacità di ricentraggio sia garantita dall’approccio energetico appena esposto, non possono sempre assicurare la capacità di ricentraggio. Infatti il ricentraggio può essere impedito da fattori esterni alla struttura e occorre applicare delle forze attive per riportare la struttura nella posizione di riposo centrale.

Per questa funzione sono stati ideati i dispositivi ricentranti e il loro studio è oggetto di un crescente interesse. I primi esempi di strutture autocentranti risalgono a tempi antichi e sfruttano il peso proprio delle strutture per garantire l’assenza di spostamenti residui. Tuttavia è solo negli ultimi anni che tali sistemi si stanno sviluppando e iniziano ad essere impiegati nelle strutture civili.

Per fornire capacità autocentrante ai dispositivi di dissipazione sono utilizzati generalmente due metodi; il primo metodo si basa sulle caratteristiche meccaniche di alcune leghe a memoria di forma, in particolare sulla loro super-elasticità, mentre il secondo fa affidamento su degli elementi di precarico che, una volta esaurita l’azione sismica, riportano la posizione in quella di partenza. Tra i due metodi, il primo non fornisce una soddisfacente capacità dissipativa e viene utilizzato quando è richiesto soltanto un aumento di rigidità, accompagnato dal bisogno di ricentraggio.

L’utilizzo di elementi di precarico in combinazione con elementi dissipativi appositamente dimensionati, permette di ottenere sia buone capacità dissipative che una ottima capacità di ricentraggio.

Sulla base di questo principio, è stato proposto (Christopoulos et al. 2008) un dispositivo autocentrante dissipativo composto da due elementi di controvento, collegati tra loro da elementi post-tesi di ricentraggio e da un sistema di dissipazione dell’energia, in modo che il movimento relativo tra le due parti permetta di dissipare energia e in modo che gli elementi post-tesi riescano ad applicare una forza che riporti i due elementi alla posizione originale (vedi figura 3.33).

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Fig. 3.33 . Schema di dissipatore autocentrante (Christopoulos et al., 2008).

Questo sistema di dissipazione può essere utilizzato sia con elementi di dissipazione che agiscono in risposta alla velocità, che con elementi che agiscono in risposta agli spostamenti o con una combinazione dei due sistemi.

Nell’ambito del progetto STEELRETRO (soluzioni in acciaio per l’adeguamento di sismico di costruzioni esistenti) è stato messo a punto, dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa insieme con l’ILVA S.p.A, un dispositivo autocentrante innovativo che si basa sullo schema proposto da Christopoulos. Il sistema proposto unisce un apparato dissipativo isteretico con uno di pretensione per il ricentraggio. L’elemento, rappresentato in figura 3.34, è realizzato completamente in acciaio e il sistema dissipativo è costituito da fusibili, in acciaio dolce, facilmente sostituibili in caso di danneggiamento.

Fig. 3.34 - Elementi che compongono lo SSCD sviluppato dall’Università di Pisa.

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