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Capitolo 2

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Capitolo 2

La figura del p.m. nel codice di procedura penale del

1989.

2.1. Cenni storici. Dal Codice del 1865 al Codice Rocco.

L’analisi del principio di precostituzione del giudice naturale, affrontata nel precedente capitolo, ha portato a concludere che esso non sia applicabile al p.m.

Saranno quindi da ricercare altrove disposizioni, costituzionali e non, che concorrono a descrivere la figura del p.m. nel sistema giuridico italiano; in particolare, la posizione ricoperta nell’ordinamento giudiziario, l’organizzazione degli uffici di procura e le funzioni che è chiamato ad esercitare.

Per rendere più comprensibile l’argomento, è apparso opportuno effettuare una premessa di carattere storico.

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23 Il c.c.p. entrato in vigore nel 1989 si contraddistingue per la netta cesura con il precedente Codice Rocco del 1930. Si è trattato del punto di arrivo di un percorso di riforma iniziato all’indomani della fine del regime fascista, e proseguito in maniera tortuosa per oltre quarant’anni, caratterizzato da molte pause e ripensamenti.

Il Codice Rocco si pose a sua volta come risultato di una evoluzione dei precedenti codici post-unitari1.

Nel Codice del 1865 i poteri del p.m. erano limitati, specie quelli incidenti sulla libertà personale dell'inquisito, di formare prove utilizzabili poi nella fase del giudizio e di determinare le modalità di svolgimento del processo penale.

Il vero motore del processo era il giudice istruttore; vigeva infatti come regola, che l'unica istruzione esperibile (nei procedimenti per reati di competenza della Corte di assise) fosse quella svolta dal giudice istruttore, al quale il p.m. doveva trasmettere gli atti non appena ricevuta la notizia di reato. Il p.m. poteva svolgere indagini solo se l'imputato fosse stato sorpreso in flagranza di reato, o se

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M. Scaparone, voce Pubblico Ministero, in Enciclopedia del diritto,vol.XXXVII, Milano, Giuffrè Editore, 1988, pp.1094-1111.

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24 questo fosse stato commesso all'interno di una casa e il capo famiglia avesse chiesto al procuratore del Re di provvedere all’accertamento.

Nei procedimenti per reati di competenza del tribunale, il ruolo del p.m. era leggermente più incisivo, dato che poteva evitare l'istruzione del giudice, facendo citare l'imputato attraverso il rito della citazione diretta o della citazione direttissima, ma i suoi poteri erano comunque limitati.

Il p.m., inoltre, aveva il potere di iniziativa nel procedimento disciplinare contro i giudici, mentre il Ministro della Giustizia aveva la facoltà di irrogare ai giudici la sanzione disciplinare dell'ammonizione.

La posizione del p.m. nell’ordinamento istituzionale dell’epoca era delineata dal R.D. 6 Dicembre 1865, n°2626, riguardante l’ordinamento giudiziario del Regno.

L'art. 130 stabiliva: « Le funzioni del pubblico ministero presso la Corte d'Appello e presso la Corte di Cassazione, sono esercitate da procuratori generali presso i tribunali civili e correzionali, da procuratori del re. » Era stabilito, inoltre, che i procuratori generali compissero la loro funzione personalmente o per mezzo di avvocati

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25 generali, o si servissero di sostituti procuratori generali aggiunti, mentre i procuratori del re le esercitavano personalmente o per mezzo di sostituti, o aggiunti giudiziari.

L’art.129 stabiliva:« Il p.m. è il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria, ed è posto sotto la direzione del Ministro della Giustizia ». Tale norma era di chiara derivazione napoleonica (legge francese del 27 gennaio 1801 2). L’art.146,1° attribuiva al P.G. presso la Corte d’ Appello di esercitare nel proprio distretto azione direttiva ed una superiore vigilanza sugli ufficiali del p.m.. Tale potere fu riconfermato dalle successive leggi di ord. giud., ma non dal R.D. n° 12/1941.

Il Ministro della Giustizia provvedeva alle nomine e alle promozioni dei magistrati requirenti, ai loro trasferimenti e alle loro dispense dal servizio, irrogava le sanzioni dell’ ammonizione e della censura. Dal 1901 i poteri di nomina del P.G. della Cassazione e dei P.G. delle Corti d’ Appello, furono trasferiti al Consiglio dei Ministri, mentre con l.24 luglio 1908, n°438, i magistrati requirenti

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M. Nobili, Accusa e burocrazia. Profilo storico-costituzionale, in Pubblico Ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma, a cura di G.Conso, Bologna, Zanichelli, 1979, pp.91 e 100.

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26 potevano essere dispensati solo con decreto reale, su proposta del ministro della giustizia con parere di una commissione.

Nel codice del 1913, nonostante posizioni contrarie, si mantenne la figura del p.m. come strumento del governo per influenzare l’amministrazione della giustizia. Al p.m. vennero ridotti i poteri di limitare la liberta personale dell’inquisito, di formare prove utilizzabili nella fase del giudizio e di determinare le modalità di svolgimento del processo. I procuratori avevano il compito di enunciare ai magistrati giudicanti le aspettative del Governo in ordine all’amministrazione della giustizia penale, attraverso relazioni lette alle assemblee degli uffici giudiziari e nelle conclusioni dei singoli procedimenti. Si attribuiscono maggiori poteri al p.m. nella fase istruttoria: la citazione diretta viene sostituita con l’ istruzione sommaria, che si configura come unica esperibile per i reati di competenza del tribunale, alternativa all’istruzione formale per quelli di competenza della Corte d’Assise. Il p.m., nel corso dell'udienza aveva il potere di indurre l'intervento del giudice istruttore per la spedizione del mandato e il successivo interrogatorio dell'imputato, nonché per lo svolgimento degli esperimenti giudiziari, di perizie, di

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27 perquisizioni domiciliari, di ricognizioni e per l'esame dei testimoni sentiti a futura memoria.

La centralità della fase istruttoria venne mantenuta nel Codice del 1930. Focalizzando l’attenzione sul p.m., è possibile notare come il nuovo codice avesse realizzato, rispetto al precedente del 1913, “ una vera e propria esplosione dei poteri processuali del p.m., del resto in conformità delle esigenze di un regime autoritario che aveva interesse ad assicurare al potere esecutivo la più ampia possibilità di influire direttamente sulla gestione dei singoli procedimenti. “ 3

In particolare, i redattori del codice avrebbero inteso restituire al p.m. “ il suo genuino ruolo di parte del processo penale” 4, eliminando la commistione tra ruoli propri della parte e ruoli del giudice (istruttore) che era stata realizzata in capo al p.m. con il Codice del 1913.

Viene mantenuta la distinzione tra istruttoria formale e sommaria, e quest’ultima diviene alternativa alla prima anche per i reati di competenza del tribunale. Nell’ istruttoria formale, il p.m. aveva il

3

M. Scaparone, voce Pubblico Ministero, op. cit., p.1097. 4

Relazione del Guardasigilli al progetto preliminare di un nuovo c.c.p., in Lavori preparatori del c.p. e del c.c.p., VIII, Roma, 1929, p.21.

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28 diritto di: presenziare a qualsiasi atto istruttorio; prendere visione in ogni momento del fascicolo (art.303); imporre al giudice istruttore il c.d. supplemento istruttorio (art.370); essere sentito dal giudice istruttore prima dell’adozione di qualsiasi decisione, senza avere vincoli di termine per la presentazione delle conclusioni, potendo così paralizzare la prosecuzione e la definizione dell’istruzione formale (artt. 76 e 369).

Nell’istruzione sommaria i poteri del p.m. erano ancora più marcati, a cominciare dal potere di decidere se ricorresse o meno uno dei casi indicati dall’art.389, che ne giustificavano l’avvio; tale decisione non era soggetta a controllo giurisdizionale o a declaratoria di nullità. Poteva ordinare la cattura dell’imputato, deliberare sugli ulteriori svolgimenti della custodia preventiva e compiere qualsiasi atto apparisse conferente all’accertamento della verità, con l’obbligo di trasmettere gli atti al g.i. per la trasformazione dell’istruzione quando la necessità di indagini fosse risultata incompatibile con la snellezza e brevità dell’i. sommaria.

Il p.m. aveva il potere di archiviare autonomamente, senza il consenso del g.i., le notizie di reato che avesse ritenuto infondate

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29 (art.74,3°); proporre appello incidentale, qualora fosse stato proposto appello da parte del solo imputato, senza che operasse il divieto di reformatio in peius (art.515,2°); revocare la propria impugnazione sollevata contro provvedimenti giurisdizionali (art.206).

Le parti private non potevano ricusare il p.m.(art.73).

A livello organizzativo, la struttura era evidentemente gerarchica. Il P.G. presso la C. d’Appello aveva il potere di vigilare sulla speditezza e la regolarità dell'istruzione formale (art.298), nonché il potere, utile quando il g.i. fosse apparso sul punto di prendere iniziative particolarmente invise al pubblico ministero, di richiamare gli atti e di rimettere l'istruzione alla sezione istruttoria (art.234,2°). Egli inoltre, informato dai procuratori del Re di ogni notizia di reato pervenuta ai loro uffici e dei provvedimenti da essi adottati al riguardo (art.233), poteva sostituirsi a costoro nel promuovere l'istruzione preliminare o sommaria (art.234,1°) da essi già iniziata, o avocarla a se (art.234,1° e art.392,3°). Qualora il p.m. avesse avuto il diritto di impugnare un provvedimento giurisdizionale impugnabile da parte del procuratore del Re, poteva proporre appello nonostante l'impugnazione o l'acquiescenza di quest'ultimo.

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30 Analogamente a quanto previsto dall’art.129 R.D. 2626/1865, l’art.69 del R.D. 30 Gennaio 1941, n°12 (Ordinamento giudiziario) stabiliva:«Il p.m. esercita , sotto la direzione del ministro di grazia e giustizia, le funzioni che la legge gli attribuisce». Quindi il p.m. non rappresentava più l’Esecutivo nei processi, ma costituiva sempre uno strumento per la prevenzione e la repressione dei reati e il perseguimento degli obiettivi di politica criminale determinata dal Governo.

Pur nella consapevolezza che nessun sistema processuale abbia storicamente realizzato uno dei modelli teorici individuati dalla dottrina (accusatorio e inquisitorio), possiamo ritenere che il processo penale disegnato dal c.p.p. del 1930 presenti molti degli elementi tipici del ‘modello inquisitorio’5

, i cui connotati tipici possono essere così riassunti: centralità della fase istruttoria, durante la quale viene svolta l’attività di raccolta delle prove, al di fuori di ogni tipo di controllo; segretezza delle indagini; nessun limite all’ammissibilità delle prove; prevalenza della forma scritta su quella

5

G.D.Pisapia, I soggetti del nuovo codice di procedura penale: profili generali ( Relazione svolta all’incontro di studi ‘ I soggetti del nuovo codice di procedura penale:incontro tra magistrati e avvocati’, Roma, 23-26 febbraio 1989; testo dal sito Internet del CSM), p.14.

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31 orale; scarsa attenzione per le esigenze della difesa e spazi notevolmente ristretti per la partecipazione del difensore agli atti di istruzione. Per l’esattezza, si può parlare di sistema ‘misto’ con prevalenza degli aspetti inquisitori.

2.2. La difficile esistenza del Codice Rocco nel nuovo ordinamento costituzionale.

Con la caduta del regime fascista, venne avvertita l’esigenza di espungere dal sistema processuale penale gli elementi più marcatamente inquisitori, simbolo dello Stato totalitario.

L’ Assemblea Costituente si presentò come sede naturale per discutere quale sarebbe stata la posizione del p.m. nel nuovo assetto istituzionale.

Ripresero a contrapporsi due diverse concezioni, sviluppate nel periodo liberale: il modello francese e il modello italiano6

. Il primo si

6

R. Garofalo, Indipendenza del p.m., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1919, p. 2.

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32 caratterizzava per la sottoposizione del p.m. al ministro della Giustizia; il secondo invece, considerando il p.m. come organo giudiziario, ne postulava la soggezione soltanto alla legge e l’indipendenza dall’Esecutivo. In realtà, già prima del referendum istituzionale vi furono degli interventi legislativi mirati a modificare singole norme del codice e dell’ord. giud. Il D.lgs.lgt. 14 Settembre 1944, n°288 soppresse il potere di archiviazione autonomo del p.m., ristabilendo il controllo del giudice sul mancato esercizio del potere giurisdizionale (art. 74,3°); successivamente, il R.D.lgs 31 Maggio 1946, n°511 relativo alle guarentigie della magistratura, attuò l’affrancamento del p.m. dal potere esecutivo: nell’art 69 ord.giud. la parola ‘direzione’ venne sostituita con ‘vigilanza’; fu abolito il potere del C.d.M. di collocare i P.G. a disposizione, in aspettativa e a riposo per motivi di servizio, e quello del Ministro della Giustizia, di trasferire di sede per motivi di servizio qualsiasi magistrato del p.m.. Residuò soltanto il potere ministeriale di trasferire d’ufficio il magistrato per menomato prestigio o nel caso in cui si fosse verificata una ipotesi di incompatibilità previste agli artt. 16,18 e 19 l.ord. giud., dopo aver chiesto il parere del CSM, che era obbligatorio

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33 per i casi riguardanti magistrati requirenti, vincolante per quelli giudicanti.

Benché fosse predominante l’idea di escludere totalmente qualunque forma di dipendenza del p.m. dal potere esecutivo, si registrarono anche posizioni contrarie; un esempio è la proposta avanzata da Giovanni Leone 7

in favore di un ritorno alla figura del p.m. come rappresentante del Governo nel processo. Alla fine si affermò una posizione di compromesso, per cui il p.m. avrebbe fatto parte della Magistratura, ma apparentemente godendo di garanzie diverse rispetto a quelle dei giudici: mentre questi ultimi sono “soggetti soltanto alla legge” (art.101, 2°) e godono direttamente delle garanzie di inamovibilità e distinzione solo per funzioni (art. 107, 1° e 3°), il p.m. “gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario” (art. 107, 4°), e perciò delle garanzie di cui all'art. 107, 1° e 3°, se e solo se esse siano a lui estese dalle norme ordinarie (art. 108). Questa lettura limitativa è stata suggerita ad esempio da un autore, secondo il quale, per dare senso proprio alla disposizione contenuta nell’art.107,4° sarebbe

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34 necessario riconoscere al legislatore ordinario la facoltà di disciplinare il p.m. senza essere vincolato al rispetto delle disposizioni precedenti, le quali fissano garanzie per i giudici 8

. Peraltro, in dottrina l’opinione prevalente è invece nel senso di estendere alla magistratura inquirente l’applicazione delle norme costituzionali poste a garanzia dell’indipendenza esterna 9

; depone a favore di tale opinione la considerazione che il sistema delle garanzie costituzionali dettate per i magistrati non può essere spezzato, e reso appannaggio esclusivo di quelli esercenti funzioni giudicanti, solo per dare un senso compiuto all’art.107,4°. In ogni caso, il problema della posizione del p.m. nel quadro istituzionale venne procrastinato ad un momento successivo, tanto che la VII disposizione finale della Costituzione prevedeva l’adozione di una nuova legge di ordinamento giudiziario, che ad oggi non è ancora stata approvata.

2.3. I primi progetti di riforma. 8

A. Pizzorusso, Per un collegamento fra organi costituzionali politici e P.M., in Pubblico ministero e azione penale, op. cit., p.32.

9

V. Pacileo, Pubblico Ministero. Ruolo e funzioni nel processo civile e penale, Torino, Utet giuridica, 2011, pp.4-5, con richiami ad altri autori.

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35 Il 2 gennaio 1945 fu istituita dal Guardasigilli del Governo di unità nazionale, Tupini, una commissione ministeriale incaricata di «studiare le riforme da apportare al codice vigente». Ad essa si pose un’alternativa: il ritorno al codice del 1913 o la redazione di uno nuovo. Scartata la prima ipotesi, il nuovo Guardasigilli Togliatti precisò che la commissione avrebbe dovuto dapprima eliminare le disposizioni che più marcatamente si connotavano per l’impronta fascista, e successivamente redigere un nuovo codice. Nel 1949 venne presentato un ‘Progetto di modificazioni per l'aggiornamento del Codice di procedura penale’, che non ebbe un sèguito .

L’approvazione della Costituzione aveva stigmatizzato il carattere antidemocratico del c.p.p., le cui norme contrastavano con numerosi principi quali l’inviolabilità della difesa, il giudice naturale, l’indipendenza della magistratura, la presunzione di non colpevolezza, tanto che alcuni autori si riferirono a tali incompatibilità usando le espressioni «garantismo indagatorio» o

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36 «soave inquisizione».10 In Parlamento venne presentata nel marzo 1952 una proposta di legge di ‘Aggiornamento del Codice di procedura penale’, che riprendeva il Progetto del 1949, mentre nel novembre dello stesso anno il Guardasigilli Zoli, presentò un d.d.l. governativo. I due provvedimenti furono coordinati in un unico testo, approvato nel marzo 1953 dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati. I lavori si arrestarono per la fine della legislatura. Nuovamente presentati, i provvedimenti dettero vita alla legge 18 giugno 1955, n°517, nonché ai decreti presidenziali 8 agosto 1955, n°666 e 25 ottobre n°932, che innovarono circa 130 articoli del testo. La l. 24 marzo 1958, n°195 demandò al CSM l’amministrazione del rapporto d’impiego di tutti i magistrati; gli unici due casi nei quali permaneva una influenza dell’Esecutivo sui magistrati erano il potere del ministro della giustizia di promuovere l’azione disciplinare (art. 107,2° cost.) e quello del CSM di conferire incarichi direttivi solo ai magistrati proposti da una sua commissione di concerto con il ministro della giustizia (art 11,3°della l. 195/1958).

10

G.D. Pisapia, I soggetti del nuovo codice di procedura penale, op. cit., p.16.

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37 Nel 1962, il ministro di Grazia e Giustizia Gonella istituì una commissione, presieduta da Francesco Carnelutti, che diede vita ad una Bozza di Codice di procedura penale (conosciuta come progetto Carnelutti). Il progetto, che non si limitava ad aggiornare il vecchio codice ma ne proponeva uno nuovo e completamente diverso, era fortemente innovativo, poiché introduceva un processo di tipo accusatorio incentrato sul dibattimento. Tuttavia la commissione non fu più riunita a causa delle dimissioni del Governo e il progetto fallì.

Nel 1963, venne seguita per la prima volta la tecnica della delega legislativa al Governo per la riforma di tutti i codici, attraverso il progetto Bosco; giova appena ricordare che per la prima volta (art.5, lett.a) si fece un esplicito riferimento al sistema accusatorio. Nel 1965 venne proposto dal ministro Reale un nuovo d.d.l. delega per la riforma del solo codice di procedura penale: esaminato dalla Commissione Giustizia della Camera nel corso del 1966, il testo si arenò per la fine della legislatura. Ripresentato con qualche modifica nel settembre 1968, dopo un lungo iter parlamentare non poté essere approvato a causa dello scioglimento anticipato della legislatura.

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38 I progetti di riforma degli anni’60 e ’70, accomunati dagli sfortunati destini cui approdarono, non furono però vani. Ogni proposta, attraverso i vari passaggi parlamentari, in Assemblea e nelle commissioni, arricchiva la precedente di principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa: si pensi che il progetto Bosco del 1963 conteneva 13 punti, mentre il ddl approvato dal Senato nel 1971 ne conteneva 76. Veniva così a delinearsi in maniera sempre più precisa quale sarebbe stato l’assetto del futuro sistema processuale penale, almeno nelle intenzioni del legislatore.

A rendere evidente l’esigenza di una riforma radicale ed organica dell’intero codice contribuì in maniera rilevante la Corte Cost., entrata in funzione nel 1956, la quale rilevò numerosi contrasti tra il codice e la nuova Costituzione. Renderemo qui conto della più significative, in particolare quelle pronunce riguardanti il diritto di difesa dell’imputato nella fase istruttoria e la figura e il ruolo del p.m.11, poiché si tratta di aspetti tra loro collegati. Sul primo punto,

11

Per completezza si ricordano qui le pronunce già esaminate nel Cap. 1: C. Cost., sent. 88/1962 sull’istituto della proroga; id., sent. 110/1963 sul potere del Procuratore generale presso la Corte di appello , con provvedimento insindacabile, prima della sentenza o del decreto di citazione, di rimettere l'istruzione alla Sezione

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39 sono emblematiche due pronunce del 1965: la Corte Cost., smentendo apertamente un indirizzo interpretativo costante della Corte di Cassazione 12

, ritenne applicabili gli artt.304/bis-ter-quater (relativi alla partecipazione del difensore agli atti istruttori, introdotti dalla l. 517/1955) anche all’istruttoria sommaria, dapprima attraverso una sentenza interpretativa di rigetto: “La corte ritiene che qualche motivo di dubbio possa risolversi solo nel senso dell’interpretazione più larga, sia perché è in tal modo assicurata piena osservanza al precetto dell’art. 24 della Costituzione, sia perché la maggiore possibile estensione conferita al diritto di difesa, in armonia, s’intende, con le altre fondamentali esigenze del processo, costituisce il maggior presidio per l’autorità ed il prestigio delle sentenze dei giudici 13

”; successivamente, considerando che la giurisprudenza di legittimità e quella di merito non si erano adeguate a quella interpretazione, la Corte dichiarò l’incostituzionalità dell’art.

istruttoria; id., sent. n°32/1964, con la quale viene dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 392,3° nella parte in cui consentiva al P.G. di rimettere la causa alla Sezione istruttoria; id., sent. n°123/1971 che rende sindacabile dal giudice istruttore l’istanza di supplemento istruttorio avanzata dal p.m.,sia per la rilevanza delle prove richieste che per l’ammissibilità.

12

Cass., S.U., 17 maggio 1958, Fumagalli, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1958, p.881.

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40 392,1° “nella parte in cui, estendendo alla istruzione sommaria le norme stabilite per l'istruzione formale solo ‘in quanto sono applicabili’, autorizza ad escludere che anche nell'istruzione sommaria debbano avere applicazione le disposizioni degli artt. 304 bis, ter, quater, poste a garanzia del diritto di difesa” 14

.

Pochi anni più tardi, la Corte ebbe modo di chiarire la posizione del p.m. nel processo, con una pronuncia nella quale dichiarò parzialmente incostituzionale l’art.304/bis, perché escludeva il diritto del difensore dell’imputato a partecipare all’interrogatorio 15

. La Corte definisce il p.m. un ”Magistrato appartenente all'ordine giudiziario, collocato come tale in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, egli non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge: persegue, come si usa dire, fini di giustizia.”. Pur non potendo considerarlo parte in senso stretto, egli è tuttavia portatore di un interesse, che sebbene sia generale, è senza dubbio contrapposto a quello dell’imputato. La Corte quindi

14

C. Cost., sent. 16 giugno 1965, n°52. 15

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41 rilevò che p.m. da una parte, e imputato e difensore dall’altra , sono i poli di un rapporto dialettico tra i quali realizzare il contraddittorio, e che:” Una volta accertato che pubblico ministero ed imputato sono contrapposti protagonisti nel processo, occorre ricordare che.. il diritto di difesa è, in primo luogo, garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico – professionale.”. La Corte specificò che il diritto di difesa non debba riferirsi necessariamente ad ogni momento e atto processuale. Nel “verificare se l'interrogatorio dell'imputato, valutato nell'economia dell'intera istruttoria, abbia un rilievo tale da comportare che l'assenza del difensore e la presenza del pubblico ministero realizzino una grave menomazione del diritto di difesa”, si sostenne che l’interrogatorio sia allo stesso tempo mezzo di prova e mezzo di difesa ( l’art 368,2° obbligava il giudice ad invitare l’imputato a discolparsi e ad indicare le prove in suo favore); perciò la Corte dichiarò illegittimo l’art. 304/bis, 1° poiché l’esclusione del difensore dal partecipare all’interrogatorio “non può non menomare gravemente il diritto di difesa.” Successive pronunce hanno ribadito che il p.m. sia da considerare organo del potere giudiziario, portatore

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42 di un interesse generale 16, e ciò legittima una disparità di trattamento con la difesa 17

.

2.4. Il progetto di riforma del 1974-1978.

Il ministro Gonella diede un impulso al conferimento della delega, presentando, in data 5 ottobre 1972, un d.d.l. che riportava esattamente l’art.2 (principi e criteri direttivi) dell’ultimo testo approvato dalla Camera al termine della precedente legislatura, al fine di usufruire della procedura abbreviata prevista dai regolamenti

16 C.Cost., sent 22 giugno 1971, n°136.

17 C. Cost., sent. n° 190/1970 ” La peculiare posizione istituzionale e la

funzione assegnata al primo ovvero esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia e di rilievo costituzionale possono giustificare una disparità di trattamento..”; id., sent. 27 marzo 1974,

n°93” Va peraltro posto in rilievo che questa conclusione non comporta la

conseguenza che i poteri processuali del pubblico ministero debbano sempre ed in ogni caso essere pari a quelli dell'imputato e del suo difensore ” ; id., sent. 16 luglio 1971, n°136 “Ciò detto, rileva ancora che i maggiori termini concessi al pubblico ministero per proporre impugnazione trovano giustificazione razionale nella strutturazione stessa dell'organo di accusa in ufficio, il quale, per attendere, tra le altre incombenze, all'esame delle sentenze che pervengono a quell'organo dalle magistrature della circoscrizione, ha evidentemente bisogno di un maggior termine di quanto non occorra all'imputato per decidere intorno al suo personale ed unico interesse.”

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43 parlamentari. Il d.d.l., venne definitivamente approvato il 28 marzo 1974; la legge n° 108 venne promulgata il 3 aprile 1974, con entrata in vigore il successivo 11 maggio, mentre il Governo avrebbe avuto a disposizione due anni per l’emanazione del codice.

Il 18 ottobre 1974 venne istituita con d.m. Giustizia una commissione, presieduta da Gian Domenico Pisapia, incaricata di redigere il testo del nuovo codice; questa sarebbe stata affiancata da una commissione mista, composta da parlamentari, magistrati, docenti universitari, avvocati e membri di nomina governativa, con funzione consultiva, dovendo esprimere il proprio parere sul complesso degli articoli relativi ad ogni singolo istituto e da ultimo sul testo completo. Fu probabilmente questo meccanismo di doppio controllo ad intralciare l’esercizio della delega da parte del Governo, al punto da rendere necessario prorogare il termine originario per tre volte consecutive, l’ultima delle quali con l.1° agosto 1978, n°438. Quell’anno, la commissione consultiva aveva espresso un parere complessivo sul progetto preliminare elaborato dalla commissione redigente. Ad esso non fece tuttavia seguito un testo definitivo di codice.

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44 L’art. 2, prima parte l.108/74 fissava un compito ben preciso per il legislatore delegato: “..attuare i principi della Costituzione e ad adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale….attuare nel processo penale i caratteri del sistema accusatorio”.

Questa disposizione non deve trarre in inganno, circa la natura e il contenuto della delega: il Governo non era libero di individuare liberamente quali fossero i caratteri del sistema accusatorio, poiché la previsione di numerosi principi e criteri direttivi evidenziava come il Parlamento non avesse abdicato alla sua funzione primaria, ma al contrario come si fosse impegnato ad indicare gli aspetti salienti del nuovo processo penale. Molti dei punti contenuti all’art.2 sono tipici del modello accusatorio: la parità dell’accusa e della difesa nel partecipare ad ogni stato e grado del procedimento; il riconoscimento e la tutela delle libertà dell’imputato e del difensore; l’adozione del metodo orale; il diritto dell’imputato a farsi assistere dal difensore nell’interrogatorio. Altri invece rimarcano il legame con i sistemi processuali passati, come l’esercizio dell’azione civile in sede penale

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45 e, soprattutto, la sopravvivenza della tradizionale figura del giudice istruttore. Ancora una volta, i propositi di una riforma radicale del codice erano stati in parte traditi, realizzando un sistema ancora una volta misto, ma con prevalenza di elementi accusatori18.

Nella Relazione della commissione redigente al progetto preliminare del 1978, sono riassunti i motivi che hanno condotto a mantenere la fase istruttoria, e le preoccupazioni sorte sul punto a partire dal d.d.l. Reale19. L’intenzione di realizzare un processo ‘accusatorio’ passava attraverso il potenziamento della fase dibattimentale, nella quale si deve svolgere l’attività di ricerca e formazione della prova, nel contraddittorio tra le parti e il giudice. L’esigenza di semplificare lo svolgimento del processo, e quindi di eliminare gli atti inutili, rendeva difficile l’esistenza della fase istruttoria, almeno di quella formale, giacché in essa veniva svolta la medesima attività di ricerca della prova, propria del dibattimento. Per rendere possibile la coesistenza delle due fasi, si preferì

18

Parere dell’Avvocatura generale dello Stato sul Capo I del progetto preliminare del 1978, in Il nuovo codice di procedura penale dalle leggi delega ai decreti delegati, a cura di G.Conso-V. Grevi-G. Neppi Modona, vol.I, Cedam, Padova, 1989, p.989.

19

Relazione della commissione redigente al progetto preliminare del 1978, in Il nuovo codice di procedura penale, op.cit., pp.983-988.

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46 restringere l’intervento del g.i. alla sola raccolta di materiale probatorio utile a decidere se rinviare a giudizio o prosciogliere l’imputato. Sintomatica la previsione di due appositi Titoli, il II e il III del Libro II, per la disciplina dei mezzi di prova e di ricerca della prova, per distinguerli dagli atti di istruzione, che sono nel Titolo II, Capo I, del Libro VII, a sottolineare che la fase istruttoria è eventuale, in linea con il punto 42 della delega. Inoltre sono stati semplificati e snelliti gli atti istruttori, mentre è stata prevista la facoltà per p.m. e difensori delle parti di partecipare ad ogni atto istruttorio, di indicare elementi di prova (punto 46), prendere visione di ogni verbale istruttorio (punto 47).

Per quanto riguarda nello specifico la figura del p.m.,venne tralasciata la possibilità di eliminare l’organizzazione gerarchica dell’ufficio del p.m., ritenuta da molte parti necessaria per affrancare definitivamente il p.m. da ogni influenza del potere esecutivo. Il governo optò per un rinvio a successiva riforma dell’ordinamento giudiziario. Anche la commissione redigente ha evitato di disciplinare l’organizzazione dell’ufficio del p.m., limitandosi alle sue funzioni, tanto che solo l’art. 60 si preoccupa di garantire

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47 l’indipendenza del p.m. nell’esercizio delle su funzioni nel dibattimento.

Altro aspetto fondamentale era l’esigenza che il p.m. non dovesse essere giurisdizionalizzato 20: così furono eliminati il potere di limitare la libertà personale (punto 32) e venne limitata la rilevanza probatoria degli atti di indagine preliminare da lui compiuti(punto 34) alle sole determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale. Venne confermata l’esclusione di ricusare il p.m., non sono ammessi conflitti tra p.m. e giudice (che prima era previsto a livello giurisprudenziale dalla Cassazione 21); risoluzione dei conflitti tra p.m. all’interno della organizzazione dello stesso organo. Sono esclusi i conflitti sorti successivamente perché assorbiti nel problema della competenza del giudice, mentre non sono disciplinati quelli positivi, poiché insorgono in sede di udienza preliminare come conflitti di competenza, infine non sono previsti conflitti tra mag dello stesso ufficio perché la loro risoluzione spetta al capo dell’ufficio. La commissione consultiva proponeva che fossero i

20

Relazione commissione redigente, in Il nuovo codice di procedura penale,op cit., p.254.

21

Cass., 11 marzo 1964, Cass. pen. mass. , 1965, p.549; Cass., 9 novembre 1971, Cass. pen. mass., 1973, p.149.

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48 giudici presso i quali i magistrati in conflitto esercitano le loro funzioni a sollevarlo davanti alla cassazione e sarebbe rispettoso dei diritti delle future parti processuali, alle quali non è indifferente che le i.p. siano svolte presso un ufficio anziché l’altro22, ma è considerato troppo macchinoso e rischierebbe di vanificare la fase delle i.p.

2.5. La legge delega n°81del 1987.

Il 31 ottobre 1979, scaduta la proroga per l’esercizio della delega, venne presentata dal Guardasigilli Morlino un d.d.l. per l’emanazione del nuovo c.c.p., il quale stabiliva di fatto un’ulteriore proroga (fino al 30 aprile 1981) per l’approvazione definitiva del c.c.p. La relazione di accompagnamento al ddl, conteneva però la volontà di revisionare anche alcuni punti della l.108/74, in particolare quelle riguardanti il potenziamento delle indagini preliminari del p.m.

22

Relazione commissione consultiva, in Il nuovo codice di procedura penale, op. cit., p.266; Parere Corte cassazione, op. cit., p.267, che parla di caso analogo a quello previsto dall’art 31 del progetto ( conflitto di giurisprudenza e di competenza tra giudici).

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49 rispetto alla fase istruttoria, il processo pretorile, le impugnazioni, le misure di coercizione personale, l’intervento della difesa nella fase delle i.p.23

. Nel 1983 venero presentati tre proposte di legge di iniziativa parlamentare e un ddl governativo, tra ottobre e dicembre vennero esaminati congiuntamente dalla Commissione Giustizia della Camera; di fatto era riproposto il d.d.l. già approvato dalla stessa nella precedente legislatura nel 1982. La Camera approvò la legge n°81 il 4 febbraio 1987, pubblicata in G.U. il 16 febbraio ed entrata in vigore il 31 marzo successivo. Nei 105 punti indicati nell’art.2, si sottolineava la necessità di eliminare quelle disposizioni che in maniera equivoca potevano far ritenere che fosse stata mantenuta l’istruzione formale, benché si parlasse di atti di istruzione, che potevano svolgersi per un periodo di dieci mesi, prorogabile di altri tre. Era impensabile che tale previsione fosse compatibile col modello accusatorio: le prove formate con gli atti di istruzione, sebbene nel contraddittorio con la difesa, andavano a condizionare la fase dibattimentale; per contro le i.p. del p.m. erano limitate a 30 giorni, rendendo di fatto obbligatoria la fase

23

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50 dell’istruzione anche per casi di media gravità. Si espresse la necessità di mantenere le sole i.p. del p.m., finalizzate alla ricerca e all’assicurazione delle fonti di prova, le cui risultanze non potranno essere usate in dibattimento, e poiché obiettivo del Governo era realizzare un processo celere e garantista a fronte della crescete criminalità comune e politica, venne previsto l’istituto dell’incidente probatorio, che consentiva la formazione della prova al di fuori del dibattimento, nel contraddittorio tra accusa e difesa, dinanzi a un giudice terzo. Senza dubbio la novità più importante riguardò l’eliminazione del giudice istruttore, e la modifica della figura del p.m., che venne privato dei poteri istruttori e di formazione della prova. Egli e l’imputato possono chiedere ammissione di mezzi di prova nel dibattimento o l’incidente probatorio. Il suo ruolo primario è quello di svolgere le indagini preliminari, al fine di decidere in ordine all’esercizio dell’azione penale; tale attività è sottoposta a controllo del giudice ogni volta vada ad incidere sui diritti costituzionali dell’indiziato.

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51 2.6. Il codice del 1989.

2.6.1. Il p.m. come parte (pubblica) del procedimento.

Il 22 settembre 1988 venne emanato il DPR n. 447, entrato in vigore il 24 ottobre 1989.

Il p.m. assunse il ruolo di parte, accogliendo l’indirizzo già tracciato dalla Corte Cost. e confermato nei vari progetti di riforma succedutisi. Come riportato nella Relazione al progetto preliminare, “al pubblico ministero va riconosciuta per intero e senza concessioni ad ibridismi di sorta, la posizione di ‘parte’. Il che comporta la più netta distinzione tra quest'organo e il giudice, in modo da porre fine a quel fenomeno di reciproca trasmissione di caratteri tra i due soggetti che costituisce una delle note di fondo più negative del sistema processuale penale vigente. Si tratta, in sostanza, di sfuggire alla giurisdizionalizzazione del pubblico ministero, per un verso sottraendogli poteri che debbono essere riservati al giudice (e su questo piano già la legge-delega ha indicato scelte

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52 precise, escludendo per il pubblico ministero poteri limitativi della libertà personale dell'imputato e contenendo in limiti assai ristretti la rilevanza probatoria degli atti di indagine preliminare compiuti dallo stesso), e, per un altro verso, costruendo la figura del pubblico ministero non già sulla falsariga di quella del giudice, ma in modo che sia rispettata la sua natura di parte.” 24

Il concetto di parte deve però essere specificato. Esso non riceve una definizione normativa, anche se dal raffronto degli artt. 208 e 209 c.c.p. si deduce che sono parti l'imputato, la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, in quanto portatori di interessi individuali propri. Questa correlazione tra qualità di parte e natura particolare dell’interesse che viene fatto valere nel processo, difficilmente può giustificare l’estensione di essa al p.m., il quale è chiamato a svolgere una funzione pubblica, come indicato dall’ art. 73 ord. giud.« veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, etc.»

24

Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in GU 24 ottobre 1988, n. 250, suppl. ord. n 2, p 22. Si veda anche C. Cost., ord. n° 249/1990.

(32)

53

In tal senso giova ricordare che la Corte Cost., dopo l’entrata in vigore del nuovo c.c.p., ha riaffermato quanto già sostenuto in passato, e cioè che “ nel nuovo processo penale è sancita la qualità di parte del p.m., per quanto a tutela dell’interesse generale all’osservanza della legge.”25, e ciò “non comporta che, sul piano

strutturale ed organico, il p.m. sia separato dalla Magistratura costituita in ordine autonomo ed indipendente. …il ruolo del p.m. non è quello di mero accusatore, ma pur sempre di organo di giustizia..”26

La giurisprudenza di legittimità si è espressa in modo abbastanza uniforme sulla questione. La Sezioni Unite hanno chiarito che:” Il ricorso non è però ammissibile in quanto proposto avverso il provvedimento di una parte processuale, il P.M. e non avverso una decisione del giudice….sono soggetti a impugnazione solo i provvedimenti del giudice. E, in giurisprudenza, è consolidato il principio per cui gli atti di parte, quali quelli del P.M., non sono annoverabili, nella categoria del provvedimento abnorme la quale

25

C. Cost., sent. 26 giugno-13 luglio 1990, n°333. 26

C. Cost., sent. 28 gennaio-15 febbraio 1991, n°190. Nello stesso senso, id., sent. 24-26 marzo 1991, n°313; id., sent. 23 aprile-2 maggio 1991, n°190; id., ord. 26 marzo-11 aprile 1997, n°96.

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54 comprende solo i provvedimenti aventi natura giurisdizionale e, quindi, i provvedimenti dotati di uno specifico contenuto giurisdizionale. Di tal che non è configurabile l'abnormità degli atti e dei provvedimenti delle parti processuali.

Va perciò ribadito I'orientamento per il quale i provvedimenti del P.M., in quanto provenienti da una parte processuale non hanno natura giurisdizionale, e, come tali non possono essere inquadrati nella categoria degli atti abnormi, quale che sia il tasso della loro patologia.” 27

In due occasioni la Cassazione ha manifestato un indirizzo contrastante con quello sopra citato, nel senso di limitare la figura del p.m. a parte, seppure pubblica, del processo e non ad organo di giustizia, preposto all’esatta osservanza della legge, compreso il potere di impugnare provvedimenti giurisdizionali 28

. Tuttavia, tale indirizzo è stato abbandonato perché contrastante col dato normativo

27

Cass., S.U., 11 luglio 2001, Chirico, Cassazione penale, 2002, p.933. Nello stesso senso, Cass. 23 settembre 2008, Sbravati, Guida al diritto, 2008, 50,120.; id, 23 febbraio 1998, Berlusconi, Cassazione penale,1998, p. 3375, dove si attribuisce al p.m. la veste di organo di giustizia.

28

Cass., 25 giugno 1990, Curatolo, Foro it.,1990, II, 558-559; id., 25 aprile 1990,Viola, Foro it., 1990, II, p 595 (in ordine all’interesse ad impugnare del p.m.).

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55 ( art. 73 ord. giud.) 29 e con una pronuncia della Corte Cost., nella quale il potere di impugnazione del p.m. è ricondotto tra i generali doveri che competono al p.m. in relazione alle funzioni ad esso demandate, come risultano delineate nelle norme di ord. giud.30

La qualità di parte del p.m. è stata da ultimo riaffermata anche nella Costituzione, dopo che la l. cost. 23 novembre 1999, n°2, ha introdotto i principi del cd. ‘giusto processo’ nell’art.111 cost., il cui 2° comma, prima parte prevede :«Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale.» Senza dubbio la qualità di parte del p.m. è sui generis, come ha avuto modo di chiarire la Corte Cost.31:“Anche dopo la novella costituzionale, resta pertanto pienamente valida l’affermazione – costante nella giurisprudenza anteriore della Corte (ex plurimis,sentenze n. 98 del 1994, n. 432 del 1992 e n. 363 del 1991; ordinanze n. 426 del 1998, n. 324 del 1994 e n. 305 del 1992)

29

Cass., S.U., 23 giugno 1993, n°6203; id., 24 marzo 1995, Boido; id., 14 ottobre 2004, Pisano, Guida al diritto, 2005, n°9, pp.100-101. In esse si specifica però che l’esercizio del potere di impugnazione del p.m. corrisponde ad un interesse ‘concreto ed attuale’, a differenza che nel processo civile, dove il PG presso la Cassazione può impugnare anche solo per riaffermare principi di diritto violati( art.363 cpc)

30

C. Cost, sent. 5 aprile 1995, n°280. 31

C. Cost, sent. 24 gennaio 2007, n°26, oltre alle altre richiamate nella medesima.

(35)

56 – secondo la quale, nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: potendo una disparità di trattamento «risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza, sia dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, sia dalla funzione allo stesso affidata, sia da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia» (ordinanze n. 46 del 2004, n. 165 del 2003, n. 347 del 2002 e n. 421 del 2001).”

Pertanto, la ‘condizione di parità’ tra le parti non si traduce in perfetta simmetria delle medesime, poiché “Alterazioni di tale simmetria – tanto nell’una che nell’altra direzione (ossia tanto a vantaggio della parte pubblica che di quella privata) – sono invece compatibili con il principio di parità, ad una duplice condizione: e, cioè, che esse, per un verso, trovino un’adeguata ratio giustificatrice nel ruolo istituzionale del pubblico ministero, ovvero in esigenze di funzionale e corretta esplicazione della giustizia penale, anche in vista del completo sviluppo di finalità esse pure costituzionalmente rilevanti; e, per un altro verso, risultino comunque contenute –

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57 anche in un’ottica di complessivo riequilibrio dei poteri, avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili in fasi del procedimento distinte da quelle in cui s’innesta la singola norma discriminatrice avuta di mira (si vedano le sentenze n. 115 del 2001 e n. 98 del 1994) – entro i limiti della ragionevolezza.”

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