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I PREZZI PREDATORI E L’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO

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Capitolo II

I PREZZI PREDATORI E L’ANALISI

ECONOMICA DEL DIRITTO

Nei Paese europei a metà del XX secolo venivano introdotte, sotto la spinta dei padri fondatori delle comunità europee, le prime leggi antimonopolistiche e tanto il legislatore quanto la giurisprudenza si preoccuparono di inserire e consolidare nel diritto antitrust la condanna dei prezzi predatori come pratiche di concorrenza sleale, materia non priva di difficoltà tecniche tali da richiedere l’aiuto degli economisti. Dall’altra parte dell’oceano invece, prendeva avvio un vero e proprio dibattito scientifico su questa materia, destinato a gonfiarsi di anno in anno sino all’autentica esplosione nella seconda metà degli anni ‘70. Il prezzo predatorio rappresentava e continua a rappresentare il paradigma dei comportamenti escludenti1.

Ricostruire tale dibattito non è agevole. La ricchezza di problematiche del tema, le differenti discipline di provenienza dei singoli autori e i differenti interessi che ognuno di essi mirava a tutelare ha aperto moltissimi fronti di discussione, dando luogo ad una letteratura sterminata.

Questo secondo capitolo, alla luce del crescente rilievo attribuito all’impiego dell’analisi economica per stabilire ciò che le leggi antitrust dovrebbero proibire, tenta di analizzare le pratiche di predatory pricing dal punto di vista squisitamente economico (nei limiti del

1

N. Giocoli, Predatory Pricing in Antitrust Law and Economics. A Historical Perspective, Routledge Taylor & Francis Group, 2013

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possibile data l’intrinseca natura giuseconomica del tema), ricostruendo tale dibattito scientifico apertosi negli anni ‘50.

Il primo paragrafo, seguendo la definizione classica di prezzo predatorio, vuole introdurci al discorso, illustrando il meccanismo di funzionamento di tale comportamento strategico.

La successiva sezione, composta dal secondo e dal terzo paragrafo, partendo dagli studi della Scuola di Chicago, mira a verificare se il predatory pricing sia pratica effettivamente esistente nella realtà o sia piuttosto una sorta di creatura mitologica originata da una cultura giuridica affetta da populismo. L’ultima sezione del capitolo, corrispondente all’ultimo paragrafo, presuppone una risposta affermativa a questa prima domanda e ne costituisce il prosieguo logico, ovvero quali sono i criteri per poter definire se un prezzo è predatorio o semplicemente frutto di un mercato concorrenziale.

2.1 L’approccio tradizionale

2

Attraverso l’approccio economico classico ai prezzi predatori è possibile comprendere con maggiore facilità in cosa consistono concretamente le strategie di prezzo predatorio, quali sono i presupposti atti a giustificare e far acquisire senso a tali pratiche predatorie e come esse vengono effettivamente poste in essere dalle imprese. L’utilizzo dei prezzi predatori come strumento volto ad eliminare i concorrenti o i potenziali concorrenti potrebbero non risultare sempre profittevoli ed in alcuni casi potrebbe essere preferibile utilizzare strategie alternative.

Secondo la definizione tradizionale, e forse eccessivamente semplicistica, fornita dagli studi economici sui prezzi predatori, questi possono essere illustrati come una strategia unilaterale, in cui un’impresa vende un determinato bene o servizio ad un prezzo

2

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inferiore al proprio costo medio e marginale, al fine di eliminare la concorrenza, sia quella effettiva che quella potenziale3, e ottenere maggiori profitti nel lungo periodo4. Questa definizione di prezzi predatori implica alcune importanti considerazioni: in primo luogo, l’impresa predatrice o leader deve avere a differenza della preda la possibilità di sopportare nel breve periodo delle perdite, in quanto vende i propri prodotti ad un prezzo inferiore al costo medio e marginale; ed in seconda battuta, l'esistenza di un sufficiente potere di mercato da parte del predatore che possa ragionevolmente garantirgli di aumentare i prezzi una volta che il rivale sia stata guidato fuori dal mercato, con il fine di ottenere profitti maggiori nel lungo periodo.5

Alla radice di tale modello ‘classico’6 di predatory pricing troviamo due ipotesi relative alla struttura dei costi del leader e della preda.

La prima ipotesi è che i costi del leader siano tali da poter soddisfare la domanda addizionale derivante dalla riduzione del prezzo mediante un incremento dell’offerta a costi medi costanti.

La seconda ipotesi è che i costi della preda siano invece tali per cui un incremento dell’offerta possa essere ottenuto soltanto a costi medi crescenti.

Supponiamo per semplicità che il mercato sia inizialmente in condizioni di equilibrio di lungo periodo di tipo concorrenziale, ovvero con un prezzo di mercato PC pari al minimo

del costo medio di lungo periodo CMeTLP, per ipotesi identico ad entrambe le imprese (si

veda la figura 1).

3 Nonostante molti economisti (a partire dai modelli elaborati dalla Scuola di Harvard, quali il ‘signal

jamming’ e i ‘reputation model’) ritengano che il comportamento strategico possa essere rivolto non solo verso imprese già presenti sul mercato (‘exclusionary behavior’), ma anche nei confronti di potenziali imprese intenzionate ad entrarvi (‘entry prevention’), assumendo che ai fini del diritto antitrust non vi sia alcuna differenza tra escludere un rivale già esistente o un potenziale tale, la giurisprudenza ha mostrato una certa reticenza nell’accettare ed emettere condanne per tale seconda categoria di fattispecie. Per una trattazione più estesa dell’argomento si veda: H. Hovenkamp, Antitrust policy after Chicago, Michigan Law Review, Vol. 84, 1985, pp. 260 ss.

4

D. L. Kasermanand, J. W. Mayo, Government and Business: The Economics of Antitrust and Regulation, New York Dryden Press, 1995, p. 128;

5

Utilizzando l’espressione di M. Motta si avrà: «sacrifice of profits in the short run and higher profits in the long run». M. Motta, Competition Policy. Theory and Practice, Cambridge University Press, 2004, p. 412.

6 Con modello ‘classico’ di predatory pricing si fa riferimento al modello dominante elaborato e condiviso

da diverse generazioni di economisti industriali e giuseconomisti a partire dagli ultimi due decenni del XIX secolo e rimasto sostanzialmente indiscusso fino alla fine degli anni ‘50. Tale modello affonda le proprie radici nel pensiero economico neoclassico.

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In tale equilibrio la domanda di mercato al prezzo PC è QC, il leader produce QC - qC e

l’impresa rivale qC. A partire da tale situazione il leader mette in atto la strategia di

prezzo predatorio fissando il prezzo al livello Ppred < CMeTLP.

Figura 1

7

________________________________________________________________________

________________________________________________________________________ La preda è per ipotesi price-taker8 nel mercato dominato dal laeder e quindi dovrà adeguarsi al nuovo prezzo stabilito dal leader. La curva di offerta della preda è il tratto della curva di costo marginale di breve periodo CMBP al di sopra del minimo della curva

di costo medio variabile. Dato il nuovo prezzo Ppred la preda ridurrà il proprio output

lungo la curva di offerta CMBP, passando da QC a Qpred. Così facendo, però, la preda subirà

una perdita su ogni unità venduta in misura pari alla differenza tra il costo medio di

7

Il grafico e la relativa spiegazione è tratto da N.Giocoli, Impresa, concorrenza, regole, Giappichelli, 2009.

8 Con impresa ‘price-taker’ si fa riferimento a quell’impresa che non ha possibilità di fissare o influire sul

prezzo di un bene o servizio che produce, a causa della presenza di condizioni di mercato che rendono impossibile o irrilevante qualsiasi strategia per tentare di fissare o modificare il prezzo stabilito da altri. In questo caso il prezzo è stabilito dall’impresa dominante.

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breve periodo CMeTBP ed il prezzo predatorio Ppred. Le perdite totali della preda, quindi,

saranno:

Perdite preda = (CMeT

BP

– P

pred

)q

pred

Dalla Figura 1 si evince che la perdita unitaria della preda è il segmento JM, mentre quella complessiva ALJM.

Anche il leader modifica il proprio output per effetto di Ppred. Al posto di QC-qC, ora il

leader produce Qpred-qpred, dove Qpred è la quantità domandata dal mercato al prezzo Ppred,

ovviamente maggiore di QC. In pratica, il leader aumenta la propria offerta per

soddisfare la maggiore domanda, compensando al contempo la riduzione dell’offerta della preda. Naturalmente anche il leader subisce una perdita su ogni unità venduta pari alla differenza tra il suo costo medio marginale di breve periodo, per ipotesi costante pari a c, ed il prezzo predatorio Ppred. La perdita totale del leader quindi è:

Perdite del leader = (c – P

pred

)(Q

pred

– q

pred

)

Anche in questo caso vedendo la Figura 1 si evince che su ogni unità venduta il leader perde una somma pari al segmento AB, mentre la perdita totale è l’area JKGH.

Confrontando le due aree ALMJ e JKGH, si osserva che le perdite del predatore sono superiori a quelle della preda.

Tuttavia, solo il leader ha la possibilità di sopportare tali perdite, in quanto si suppone che esso sia in possesso di risorse finanziarie sufficienti (‘deep pocket’) derivanti o dalla sua attività in altri mercati o dall’accumulo di extraprofitti9 negli anni precedenti.

Nel primo caso si ipotizza che il leader godi di posizione dominante in due o più mercati che possono differire tra loro o per collocazione geografica o sul piano merceologico

9 L'extraprofitto è il ricavo netto addizionale determinato dalla differenza tra il prezzo e il costo medio di

produzione e consiste in un eccedenza sul profitto normale. Ovviamente nel caso in cui un’impresa goda di sufficienti quote di mercato essa avrà la capacità di praticare prezzi superiori ai costi medi e marginali. Si veda Infra paragrafi 1.2 e 1.3.

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(ovvero il leader è un’impresa multiprodotto) e quindi possa trasferire gli extraprofitti di tali mercati alla produzione nella quale pone in essere la strategia predatoria; nel secondo caso invece si ipotizza che il leader che operi in un solo mercato abbia goduto di posizione dominante e quindi di extraprofitti per un tempo abbastanza lungo da permettergli di accumulare i fondi necessari alla predazione.

Dall’altro lato si suppone che la preda non goda degli stessi vantaggi illustrati per il

leader (‘small pocket’) e quindi sarà costretta ad uscire dal mercato.

Il leader, una volta eliminata la concorrenza, può tornare a godere della posizione di vantaggio, sia essa di monopolio o di dominio del mercato, che gli permette di imporre un prezzo maggiore di quello che vi sarebbe in un mercato concorrenziale, garantendogli degli extraprofitti.

La strategia dei prezzi predatori, quindi deve essere scissa in due fasi, con risultati economici esattamente opposti:

 la fase di predazione, in cui il predatore per espellere la preda dal mercato vende i propri prodotti sottocosto (Ppred < CMeTLP) e subisce quindi delle perdite;

 la fase di recupero, in cui il predatore, eliminata la concorrenza o mantenuta la posizione di vantaggio in quel mercato, ha capacità di influire sul prezzo ottenendo extraprofitti e recuperando, quindi, quanto perso durante la fase di predazione.

Come indica la rappresentazione grafica (Figura 2) la dimensione intertemporale svolge un ruolo cruciale nelle strategie di predatory pricing, in quanto la strategia risulterà profittevole e quindi conveniente se i profitti della fase di recupero saranno sufficientemente elevati da compensare le perdite subite durante la fase di predazione. La profittabilità della pratica di prezzi predatori volti ad eliminare la concorrenza dipenderà abbastanza intuitivamente dalle perdite totali della fase predatoria, dai profitti della fase di recupero e dal tasso di sconto.

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Figura 2

________________________________________________________________________

________________________________________________________________________ Con riguardo al primo aspetto, un ruolo decisivo è giocato dalla struttura dei costi della preda. Se la preda ha sostenuto per entrare nel mercato ingenti sunk costs sarà indotta a resistere più a lungo, proprio perché tali costi non sarebbero recuperabili in caso di cessazione dell’attività e quindi si tramuterebbero in pure perdite. Maggiori saranno i costi irrecuperabili maggiore sarà il periodo di resistenza della preda e quindi maggiori le perdite che l’impresa leader dovrà sostenere.

Invece a determinare i profitti della fase di recupero un ruolo importante è giocato dalle barriere all’entrata che potrebbero esserci nel mercato in questione. Nel caso in cui non esistono ostacoli all’ingresso di nuove imprese, il rischio per il leader è quello che ogni qualvolta il prezzo venga aumentato la preda o nuovi rivali entrerebbero nel mercato. In altre parole, in presenza di un mercato contendibile10, il leader non beneficerà mai

10

Un mercato può essere definito contendibile se vengono soddisfatte alcune condizioni: in primo luogo le imprese che vogliono entrare in questo mercato non devono essere svantaggiate rispetto a quelle che già vi operano. Questo vuol dire che i nuovi entranti devono aver accesso alle medesime tecnologie e informazioni, agli stessi prezzi degli input disponibili per le aziende già sul mercato. Più in generale, non vi devono essere barriere all’entrata. In secondo luogo non vi devono essere sunk costs, costi non recuperabili, né costi di uscita dal mercato stesso. Infine, è necessario che il periodo di tempo che occorre a una nuova azienda per entrare nel mercato sia inferiore a quello che le imprese già presenti possono impiegare per adeguare i propri prezzi. Per una trattazione più dettagliata sull’argomento: W. J. Baumol, Contestable markets: An uprising in the theory of industry structure, Journal of Reprints for Antitrust Law &

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abbastanza a lungo di extraprofitti derivati dalla posizione di vantaggio di cui godrà durante la fase di recupero, in quanto questa sarà eccessivamente breve precludendo il recupero delle perdite sostenute durante la fase predatoria, dato che nel momento in cui fissi prezzi superiori a quelli di concorrenza vi sarebbero imprese pronte a entrare fissando prezzi lievemente inferiori a quelli delle imprese già presenti, togliendo loro tutto il mercato e gli extraprofitti.

Infine un altro importante elemento da prendere in considerazione nel determinare la profittabilità della strategia di prezzo predatorio è il tasso di sconto11. Infatti al crescere del tasso di sconto aumenta il peso delle perdite sostenute nella fase predatoria rispetto ai profitti della fase di recupero.

Figura 3

________________________________________________________________________

________________________________________________________________________ Dal punto di vista del benessere sociale, così come la Figura 3 rende graficamente evidente, almeno nel breve periodo, ovvero nella fase di predazione, i consumatori traggono beneficio dalla strategia del prezzo predatorio. Ciò è dovuto al fatto che il bene

Economics, Vol. 14, Num. 1, 1983, p. 457; W. J. Baumol, J. C. Panzar, R. D. Willig, Contestable markets and the theory of industry structure, New York, 1988.

11

Il tasso di sconto riflette il valore relativo che un individuo attribuisce al consumo futuro rispetto al consumo corrente.

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o servizio oggetto di predatory pricing verrà venduto ad un prezzo più basso ed in quantità maggiore.

Tuttavia, una volta terminata la fase di predazione e cominciata la fase di recupero il benessere dei consumatori diminuirà drasticamente a vantaggio del benessere delle imprese.

Il benessere sociale totale invece non sarà massimo né nel breve periodo né nel lungo periodo. Ciò è dovuto al fatto che, nel lungo periodo avremo un mercato di concorrenza imperfetta in cui l’impresa dominante fissa un prezzo lontano del costo marginale12, e nel breve periodo, nonostante i prezzi di vendita dei prodotti siano particolarmente bassi generando maggiori benefici per i consumatori, questi sono inferiori alla riduzione dei benefici che subiranno le imprese.

Per quanto semplicistico e riduttivo, tale approccio economico ai prezzi predatori è stato condiviso da economisti industriali e, soprattutto, ha rappresentato negli Stati Uniti d’America la base per i giudici nell’applicazione delle norme antitrust volte a punire le strategie predatorie, per quasi un secolo.

Possiamo riassumere le ipotesi di base del predatory pricing come segue: vi sia un’impresa dominante nel mercato, che tale impresa, a differenza dell’impresa oggetto di predazione, abbia ‘deep pocket’ e che abbia una struttura di produzione in grado di soddisfare una domanda aggiuntiva che segue il taglio dei prezzi a costi medi costanti. Date tali ipotesi, la strategia di prezzo predatorio consta di due fasi, una fase predatoria ed una fase di recupero. La strategia può essere vantaggiosa solo quando il leader guadagna extraprofitti in fase di recupero abbastanza grandi da compensare le perdite subite durante la fase predatoria. In sostanza il comportamento predatorio si configura come un vero e proprio investimento, ovvero come un costo che il leader sostiene oggi con il fine di ottenere maggiori profitti domani. Si tratta di un investimento teso a creare o conservare potere di mercato13.

12

Si veda Infra paragrafo 1.3.

13

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Tuttavia la riuscita della strategia di predazione dipenderà dalla più o meno contendibilità del mercato in cui opera e dal tasso di sconto.

Infine, dal punto di vista del benessere dei consumatori, la pratica dei prezzi predatori prevede un breve periodo in cui aumenta il surplus dei consumatori, seguito da un periodo relativamente lungo, in cui il leader, godendo di posizione dominante, aumenterà i prezzi in detrazione al benessere dei consumatori. Nonostante, nel breve periodo aumenti il benessere dei consumatori, il benessere sociale totale non verrà mai massimizzato nelle fasi di predazione.

Illustrando le ipotesi di base, il meccanismo economico e le finalità della strategia di prezzo predatorio alla luce dell’approccio classico è possibile vedere in trasparenza alcuni evidenti limiti insiti a tali strategie predatorie poste in essere dalle imprese.

2.2 La posizione della Scuola di Chicago

Aaron Director, fondatore della Scuola di Chicago, nei primi anni ‘50 dello scorso secolo, sviluppa la tesi, interamente fondata sulla teoria neoclassica dei prezzi, secondo cui il predatoy pricing non può esistere in un mondo di agenti razionali.

Nonostante non vi siano molte pubblicazioni che riportino il nome di Aaron Director, egli ha incoraggiato un gran numero di studiosi giuridici ed economici della Scuola di Chicago ad indagare, anche attraverso l’analisi di casi giurisprudenziali, le ipotesi e le teorie alla base delle più importanti dottrine antitrust.

Il più grande apporto in materia di politiche della concorrenza attribuibile a Director fu proprio quello sulla questione dei prezzi predatori.

L’intuizione di Director, secondo cui le strategie di predatory pricing sono irrazionali, danno avvio ad un’intensa letteratura volta a sviluppare per iscritto il quadro teorico da cui si possono derivare le predizioni del fondatore della Scuola di Chicago.

La tesi è evidentemente rivoluzionaria, in quanto mette in discussione la stessa ragione d’essere di un argomento intorno cui si affannavano pletore di giuristi e mostra al

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contempo, la profondità dei mutamenti di prospettiva che gli strumenti di analisi economica possono imporre agli interpreti.

Le teorie economiche elaborate dalla Scuola di Chicago14 erano volte a dimostrare che l’applicazione di prezzi predatori, come scelta di comportamento strategico delle imprese, non è mai profittevole e dunque nessun imprenditore razionale la utilizzerebbe. Tali teorie, partendo proprio dai limiti che abbiamo individuato nel precedente paragrafo relativi alla fase di predazione e alla fase di recupero, sviluppano ragioni economiche in grado di sostenere tale tesi.

Il primo a mettere per iscritto e teorizzare in modo completo le tesi di Director fu John Seneca McGee, con un articolo del 195815 che rappresenta oggi un vero e proprio manifesto del pensiero della Scuola di Chicago in tema di antitrust, non solo per le conclusioni, ma soprattutto per il metodo scientifico con cui si tenta per la prima volta di affrontare l’argomento:

 viene costruito un modello teorico generale (teoria dei prezzi neoclassica);  a partire da tale modello viene formulata un’ipotesi di predazione universale ed

astratta;

 vengono confrontati i risultati teorici con i dati empirici emersi nell’ambito di un noto caso giudiziale avvenuto in precedenza16.

L’elaborato di McGee, concettualmente semplice, resterà per molti anni l’unica teoria coerente sui prezzi predatori. Solo nel momento in cui il dibattito sul predatory pricing esplode nel secondo lustro degli anni ‘70, la tesi di McGee largamente sostenuta della Scuola di Chicago verrà arricchita con nuovi argomenti, trovando i suoi più autorevoli e decisi sostenitori in Robert Heron Bork e Frank Hoover Easterbrook.

14

Solo A. R. Posner non sostenne le teorie della Scuola di Chicago pur facendone parte.

15

J. S. McGee, Predatory price cutting: The Standard Oil Case, Journal of Law and Economics, Vol. 1, 1958.

16

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2.2.1 (Segue). Il ragionamento di McGee

Alla base del ragionamento di McGee vi è l’idea che il leader che intenda monopolizzare o comunque mantenere la posizione di dominio in un determinato mercato sceglierà strategie alternative, che presuppongono periodi di vendite sottocosto molto più brevi rispetto a quelle necessarie per portare a termine una strategia di predatory pricing. Egli giunge alla formulazione dell’irrazionalità dei prezzi predatori proprio ponendo a confronto tale pratica con il mezzo di monopolizzazione per eccellenza, ovvero l’acquisizione del rivale17.

Il predatory pricing prevede, con il fine di annientare rivali che siano almeno parimenti efficienti18, un periodo di ingenti perdite finanziarie da parte dell’aspirante monopolista, il cui recupero sarà oltre che più o meno lontano nel tempo, anche non del tutto certo. Di fronte ad imprese con curve di costo più o meno simili il predatore dovrebbe condurre il prezzo addirittura sotto il costo variabile medio per costringere definitivamente i rivali ad abbandonare il campo19. Ad esempio, per un predatore che detenesse il 75% del mercato, ciò equivarrebbe ad affrontare già all’inizio della manovra perdite per tre volte superiori all’insieme dei rivali per il solo fatto di dover servire tre quarti dell’intero mercato. Tali perdite, così come è stato graficamente rappresentato nella Figura 1 e più dettagliatamente descritto nel precedente paragrafo, sono destinate ad ampliarsi con il progressivo abbandono dei concorrenti e con l’estendersi del dominio sull’intero mercato.

Ciò renderebbe addirittura autodistruttivo ogni tentativo di creazione o mantenimento di potere di mercato così concepito. La vittima, infatti, potrebbe agevolmente volgere a

17

Si tratta di una strategia che consiste nel non tentare affatto di eliminare l’impresa rivale dal mercato, ma anzi nel provare ad acquistarla ad un prezzo compreso tra un minimo pari al valore scontato dei profitti futuri della preda ed un massimo pari al valore scontato dai profitti ottenibili dal leader una volta che abbia incorporato l’impresa rivale.

18 Ovviamente i rivali devono essere parimenti o maggiormente efficienti in quanto i prezzi capaci di

eliminare imprese meno efficienti non possano considerarsi predatori, dato che tale eliminazione è esattamente uno dei risultati che si chiedono al gioco della concorrenza in un’economia di mercato.

19 Se l’aspirante monopolista applicasse prezzi inferiori ai costi totali ma comunque superiori ai costi

variabili medi, la preda resisterebbe molto più a lungo, rischiando di prolungare la fase di predazione per anni. J. S. McGee, Predatory price cutting: The Standard Oil Case, Journal of Law and Economics, Vol. 1, 1958, p. 140.

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proprio vantaggio la situazione, sospendendo il funzionamento degli impianti e costringendo così il predatore a sperperare le proprie risorse, per poi riprendere la produzione non appena quello, convinto di avere completato con successo la prima parte del suo piano (fase predatoria), iniziasse ad imporre nel mercato i prezzi monopolistici20 che costituiscono l’obbiettivo di tutta la manovra (fase di recupero). Le imprese bersaglio della pratica predatoria potrebbero, in altre parole, mettersi alla fonda, attendendo il necessario risalire dei prezzi per riemergere e rientrare in lotta con un avversario finanziariamente esausto.21

Con l’acquisizione del rivale, evidenzia McGee tutti questi problemi non sussisterebbero, perché l’aspirante monopolista assoggetterebbe subito al proprio controllo la forza produttiva dell’impresa soggetta ad acquisizione. L’ipotetico predatore, quindi, troverebbe molto più vantaggiosa tale strategia alternativa al predatory pricing e sarebbe disposto a pagare a chi cede la propria impresa un prezzo superiore al valore della stessa in un mercato concorrenziale, incorporando in quel prezzo parte del valore attualizzato degli extraprofitti monopolistici o di dominio del mercato che scaturiranno dall’operazione. In questo caso i prezzi predatori potrebbero essere utilizzati per deprimere il prezzo dell’azienda rivale in vista della sua acquisizione, ma essi sarebbero comunque caratterizzati da una temporaneità certa.

2.2.2 (Segue). Bork, Easterbrook e di nuovo McGee

Dopo poco più di vent’anni dall’articolo pubblicato da McGee anche altri due esponenti della Scuola di Chicago, spinti dall’amplio dibattito che si era generato sul tema, forniscono ulteriori motivazioni economiche con il fine di avvallare e dare sostegno alle tesi proposte dallo stesso McGee sull’irrazionalità dei prezzi predatori.

20

Con l’espressione ‘prezzi monopolistici’ si vuole includere, in questo caso, anche i prezzi che pur non essendo esclusivi di un monopolio sono comunque più elevati dei prezzi che vi sarebbero in caso di concorrenza, in quanto sono espressione di un mercato concorrenziale imperfetto.

21

In realtà vi sarebbe anche la possibilità sotto determinate condizioni dell’entrata nel mercato di nuovi rivali. Si veda Infra paragrafo 2.1, nota 3.

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Mentre Bork22 sostiene che il predatory pricing probabilmente non esiste, Easterbrook23 assume una posizione ancora più netta e radicale affermando nel 1981 che i prezzi predatori sono come i draghi: esiste un’estesa letteratura su di essi che li descrive in varie forme proprio perché nessuno li ha mai visti nel mondo reale. Lo stesso McGee pubblicherà un nuovo articolo ampliando quanto già aveva scritto alla fine degli anni ‘5024.

In questa nuova tornata di lavori sui prezzi predatori la Scuola di Chicago pone l’accento non tanto sulla maggiore proporzione di perdite che sosterrà il predatore rispetto alla preda, ma sulle diverse possibilità che hanno le vittime di resistere all’attacco predatorio, precludendo la possibilità al leader di portare a compimento la prima fase del suo piano strategico.

L’idea base degli economisti di Chicago è che la fase predatoria non avrà mai fine, dato che la resistenza della preda verrà continuamente finanziata o, direttamente, dai suoi clienti oppure dal mercato dei capitali.

Procedendo per gradi e partendo dalla prima ipotesi menzionata, si suppone che una reazione razionale dei clienti porrebbe decisivi ostacoli alla strategia di creazione o mantenimento di potere di mercato. Tutta la manovra posta in essere dall’impresa

leader dovrebbe fondarsi su una sorta di cooperazione inconsapevole di quest’ultimi che

acquistando i prodotti dal predatore dietro l’attrattiva del basso prezzo, favorirebbero irrazionalmente il loro futuro sfruttatore. Tuttavia, data la razionalità dei clienti, essi avrebbero tutto l’interesse ad evitare l’espulsione dal mercato della preda, dato che facendo altrimenti subirebbero nel lungo periodo un prezzo maggiore, con la conseguente riduzione del proprio benessere. I clienti, quindi troverebbero vantaggioso sostenere la preda attraverso l’acquisto dei suoi prodotti, in quanto soffrirebbero delle perdite solo nel breve periodo che verrebbero abbondantemente compensate nel lungo periodo.

22 R. H. Bork, The Antitrust Paradox, New York, Free Press, 1978. 23

F. H. Easterbrook, Predatory Strategies and Counterstrategies, University of Chicago Law Review, Vol. 48, 1981, pp. 263 ss.

24

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Se i clienti non prendessero iniziative di sorta, potrebbe essere l’impresa bersaglio a reagire, ricercando finanziamenti sul mercato dei capitali. Tale seconda possibilità elaborata dalla Scuola di Chicago parte dall’ipotesi, non presa in considerazione nel ‘58 da McGee, secondo cui la sospensione dell’attività di fronte alla campagna predatoria non fosse nella pratica attuabile25. L’impresa vittima di predazione, quindi, chiederebbe dei finanziamenti esterni che il mercato di capitali fornirebbe senza indugi. Nel tentativo di spiegare il motivo per il quale il mercato dei capitali sarebbe disponibile a finanziare la preda riprendiamo la tradizionale argomentazione del ‘deep pocket’, la quale assume che il leader possa sostenere le perdite grazie alle proprie maggiori riserve liquide derivanti dai sovraprofitti garantiti dalla posizione di monopolio goduta in altri mercati. L’assunto evidentemente è che tali riserve siano superiori in proporzione a quelle dei concorrenti.26 Un’impresa che progetta una campagna predatoria necessiterebbe riserve liquide sproporzionalmente più grandi (‘deep pocket’) di quelle della preda e, in un modo o nell’altro, dovrebbe pagarle. Le riserve liquide sono costose. Le riserve sono un costo, non un intrinseco vantaggio27. Occorre insomma spiegare perché si assume che, ciononostante, il finanziamento del predatore sia sensibilmente meno costoso del finanziamento esterno cui deve fare ricorso il concorrente; in assenza di una spiegazione, osservano gli autori qui considerati, deve presumersi che le imprese bersaglio possano ottenere a loro volta finanziamenti che le consentano di resistere. Infine possiamo assumere che l’irragionevolezza della strategia dei prezzi predatori sostenuta dalla Scuola di Chicago resta in piedi indipendentemente dalla contendibilità dei mercati. Secondo Bork, infatti, la facilità di entrata in un mercato è necessariamente simmetrica alla facilità di uscita dallo stesso. Se ci sono delle barriere all’entrata ciò implica, inevitabilmente, che vi siano difficoltà ad uscire dal mercato e ciò renderebbe la pratica di predatory pricing molto lunga e costosa, quindi poco plausibile come mezzo di monopolizzazione. Dall’altro lato, se è facile far uscire un’impresa dal mercato sarà

25

Ad esempio nel caso di mercati con ingenti sunk costs.

26 P. Giudici, I prezzi predatori, Giuffrè, 2000, p. 81. 27

Il riferimento è al concetto di costo-opportunità. L’uso di risorse patrimoniali, quali riserve o utili provenienti da altri mercati per finanziare le perdite in un mercato devono essere confrontate con l’impiego alternativo di quelle risorse.

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ugualmente facile per un’altra impresa entrare nel mercato una volta che il predatore aumenti i prezzi per recuperare le perdite che ha sostenuto, rendendo anche in questo caso alla luce delle motivazioni addotte dalla Scuola di Chicago il predatory pricing una pratica irrazionale.

Per la Scuola di Chicago, in conclusione, i prezzi predatori sono una pratica irrazionale. Anche a voler ammettere, tuttavia, che in talune particolari situazioni una strategia di predatory pricing possa essere un’efficace investimento in creazione di potere di mercato, la fattispecie avrebbe rilievo residuale e sarebbe comunque troppo difficilmente distinguibile da un fenomeno di sana concorrenza sui prezzi per giustificare il rischio di un errato intevento da parte dei giudici o delle autorità antitrust28. Una strategia di prezzo che imponga perdite all’impresa che la persegue, secondo i teorici della Scuola di Chicago, deve ritenersi implausibile per diverse ragioni:

 in una fase di guerra dei prezzi l’impresa con maggiori quote di mercato sopporta perdite più elevate del concorrente;

 la preda potrebbe sospendere temporaneamente, durante la fase di predazione, il funzionamento degli impianti, costringendo così il predatore a sperperare le proprie risorse, per poi riprendere la produzione non appena il leader iniziasse ad imporre nel mercato i prezzi che gli garantiscono extraprofitti (fase di recupero); anche se il concorrente esce dal mercato, i suoi asset possono essere utilizzati da

un’altra impresa e ciò pone l’impresa che fissa prezzi predatori davanti alla prospettiva di dovere continuamente intraprendere politiche analoghe, o comunque le impedisce di recuperare le perdite;

 i mercati finanziari o i clienti rimuovono le asimmetrie finanziarie a favore delle imprese di maggiori dimensioni;

28

Secondo Easterbrook, il comportamento che si considera predatorio è in grado di generare prezzi di vendita più bassi, un aumento della quantità offerta di prodotto, innovazione e altri vantaggi che generalmente vanno a beneficio del consumatore. Qualsiasi norma volta a proibire le pratiche di predatory pricing comporterebbe un elevato rischio di confondere i prezzi competitivi con quelli predatori, il quale condannerebbe il gioco della libera concorrenza. F. H. Easterbrook, Predatory Strategies and Counterstrategies, University of Chicago Law Review, Vol. 48, 1981, pp. 263 ss.

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 in ogni caso, è più vantaggioso per un’impresa acquisire il concorrente, piuttosto che escluderlo dal mercato con una costosa guerra dei prezzi.

2.3 Le critiche alla Scuola di Chicago

Il ragionamento adottato dalla Scuola di Chicago per affermare l’irrazionalità del

predatory pincing si fonda su tre presupposti cardine della teoria economica neoclassica:

 la trasparenza informativa del mercato, ossia la virtuale inesistenza di informazioni asimmetriche o incomplete;

 l’assenza di costi di transazione;

 la perfetta razionalità degli agenti, mossi soltanto dal desiderio di massimizzazione del profitto.

All’interno di tale modello astratto le conclusioni raggiunte si sono rilevate pressoché inattaccabili sul piano logico29. Tuttavia, allo stesso modo di quanto si è detto per la teoria tradizionale dei prezzi predatori, anche i modelli economici proposti dalla Scuola di Chicago appaiono troppo semplicistici. Essi sono basati su ipotesi di base eccessivamente restrittive ed ideali, difficilmente incontrabili nei mercati del mondo reale.

Con riguardo al primo presupposto, relativo alla completezza e trasparenza informativa, è facile osservare che, in ciascuna delle varie ipotesi prospettate per suffragare la tesi dell’irrazionalità dei prezzi predatori, vi è almeno un soggetto od un gruppo di soggetti pienamente informato su quanto sta accadendo: l’impresa bersaglio, che non si agita per quanto le succede intorno e si ritira quietamente pronta ad agire di rimessa; o l’impresa che ne rileva gli impianti per nulla intimorita dalla sorte del precedente proprietario; oppure i prestatori di capitale facilmente disponibili ad erogare finanziamenti in favore dell’obbiettivo dell’attacco; ovvero gli stessi clienti del predatore, che, consapevoli del rischio di diventare carnefici di se stessi si coordinano per favorire l’impresa o le imprese

29

(18)

che si oppongono ai piani di predazione volti ad acquisire o mantenere potere di mercato. Le informazioni cruciali su cui ciascuno di questi gruppi di agenti economici fonda il proprio comportamento, rendendo non profittevole il comportamento strategico predatorio, sono: la pari se non maggiore efficienza produttiva del bersaglio e l’imputabilità dei prezzi ai comportamenti del predatore.

Tuttavia risulta chiaro che tale condizione informativa è ipotizzabile solo in casi eccezionali. Difatti nella realtà, da un lato potrebbe apparire abbastanza plausibile, dato il fatto che il predatore sarebbe un’impresa già da tempo insediata nel mercato, che la preda sia meno efficiente del leader, dall’altro non è facile discernere dall’esterno se una discesa dei prezzi sia frutto di un attacco predatorio o una normale guerra di prezzi insita allo stesso processo concorrenziale30. Sicché, in assenza di simmetria informativa, risulta poco plausibile la possibilità per la preda di ottenere finanziamenti di soccorso da parte del mercato dei capitali o dei clienti del prodotto su cui si applica il prezzo predatorio e la possibilità per la stessa impresa o per nuove imprese di entrare nel mercato ogniqualvolta il presunto predatore rialzi i prezzi ai livelli profittevoli previsti da un mercato di concorrenza imperfetta.

Prendendo in considerazione il caso, secondo cui il finanziamento alla preda abbia origine dei clienti, sorge un’ulteriore problema. Anche se i clienti si rendessero conto di trovarsi coinvolti in un tentativo di epurazione predatoria di un produttore andrebbero risolti tutti i problemi di free riding31 e di azione collettiva che una risposta coordinata implica. In altre parole, pur assumendo che ciascun utilizzatore del prodotto fornito dal predatore riconosca la predazione ed avrebbe, quindi, interesse a bloccare l’azione, egli lo farebbe a patto che i propri concorrenti (gli altri utilizzatori di quel prodotto) si

30 L’abbattimento dei prezzi crea delle informazioni di cui i clienti possono avvalersi solo in una fase

successiva, cioè allorquando l’impresa eventualmente divenuta monopolista o dominante tentasse di rialzarli.

31 Comportamento degli individui che attuano strategie volte a conseguire un vantaggio privato,

risparmiando sul proprio contributo e cercando di avvantaggiarsi dell’apporto fornito dagli altri membri. Nel caso concreto il free riding si concretizzerebbe con l’acquistare i beni o servizi dal predatore, dato che li offre ad un prezzo più basso e non dalla preda, confidando nel fatto che la preda sopravvivrà grazie agli acquisti a prezzi alti degli altri clienti. Ovviamente in assenza di coordinazione tra le parti, tutti i clienti prestano uno sforzo subottimale, ovvero si comporterebbero da free rider, inducendo così il fallimento dell’iniziativa.

(19)

convincessero a fare altrettanto. Occorrerebbe, allora, trovare un patto mirato a coordinare i comportamenti negoziali in modo da soccorrere le imprese oggetto dell’attacco predatorio, patto tanto più difficile da raggiungere quanto numerosi siano gli utilizzatori e differenziati i loro interessi ed i loro rapporti negoziali con i produttori coinvolti nella guerra dei prezzi. E pure in presenza di un accordo esplicito comunque persisterebbe il problema di cheating32 tipico di ogni cartello.

Con riguardo al secondo presupposto, è facile osservare che non appena vengano presi in considerazione i costi di transazione, muta in modo piuttosto profondo il giudizio sulla facilità, per l’impresa oggetto dell’attacco, di sospendere momentaneamente la propria attività per lasciare che il predatore si sfoghi autodistruttivamente, e circa l’agevolezza di un acquisto dell’azienda predata da parte di nuovi entranti. Appare chiara la mancanza nell’analisi della Scuola di Chicago, di ogni considerazione sugli ostacoli, anche giuridici, che l’impresa deve affrontare per sospendere l’attività33, e sull’esistenza di barriere all’entrata costituite dalla necessità di ricostruire conoscenze e risorse necessariamente volatilizzate con la sospensione delle attività, quali la cessazione della pubblicità, la perdita di notorietà del marchio la dispersione delle risorse umane34.

Quanto al terzo presupposto, relativo alla perfetta razionalità degli agenti economici, esso si scontra con la presenza nel mondo reale, di comportamenti non perfettamente razionali, che introducono elementi di incertezza notevoli all’agio dei calcoli costi benefici che il modello di Chicago ascrive ai vari soggetti convolti dalla manovra predatoria.35

32 Letteralmente: imbrogliare. 33

Si pensi soltanto al problema dei rapporti con i dipendenti e con i sindacati.

34

P. Giudici, I prezzi predatori, Giuffrè, 2000, p. 85.

35 È ormai conoscenza acquisita che i managers delle grandi società di capitali non sempre pongono in

essere comportamenti tesi a massimizzare il profitto della società, ma potrebbero perseguire altri fini, quali, ad esempio fini di carattere personale. Inoltre, senza alcun riferimento a quanto detto nelle due righe precedenti, vi è ormai una consistente letteratura tesa a dimostrare che i soggetti economici non sempre si comportano secondo il modello di razionalità che sottende l’economia classica. Questa constatazione, esplorata dalla ‘behavioral economics’, ha portato ad investigare comportamenti come irrazionali asimmetrie nell’atteggiamento verso perdite o guadagni, o l’influenza di considerazioni equitative in decisioni che dovrebbero riguardare esclusivamente la sfera razionale. La branca interdisciplinare (psicologia cognitiva ed economia) che intende descrivere un modello biologico di decisioni in materia economica è la neuroeconomia, la quale mira a spiegare l’eterogeneità dei

(20)

Quanto rilevato non implica che i ragionamenti della Scuola di Chicago si rivelino sempre irrimediabilmente infondati. Implica piuttosto che la probabilità di esistenza e di successo di una pratica di prezzi predatori dipende fortemente dalla struttura del mercato preso in considerazione e dalla situazione informativa dei soggetti che vi operano.

La definizione analitica degli argomenti da opporre alle argomentazioni della Scuola di Chicago è frutto di un faticoso processo di eliminazione dei presupposti su cui si reggono tali modelli.

Lo stesso Richard Posner36, membro della Scuola di Chicago, critica la cieca ortodossia verso le tesi di Aaron Director mostrata dai sui discepoli, che con qualche disprezzo intellettuale ribattezza ‘chicagoniani cocciuti’. Secondo Posner è impossibile costruire una motivazione razionale per i prezzi predatori senza assumere asimmetrie nell’accesso al mercato dei capitali per finanziare il periodo di vendite sottocosto. Anche Oliver Wiliamson37, forse in modo leggermente più organico, partendo dall’esistenza di asimmetrie informative fa cadere le tesi della Scuola di Chicago giungendo alla conclusione secondo cui i prezzi predatori non sono irrazionali. Tuttavia, solo nei primi anni ‘80 con la compiuta formalizzazione di modelli economici fondati sulle tecniche di analisi della teoria dei giochi che le contro argomentazioni alla Scuola di Chicago assumono una precisa sistematicità scientifica.

In sostanza attraverso il ricorso alla moderna teoria dei giochi bayesiani38, si può dimostrare che l’impresa dominante può scongiurare l’ingresso o l’espansione sul

comportamenti osservati in situazioni nelle quali la scienza economica prevede invece un’omogeneità di comportamento.

36

Inoltre Posner, avanza un’ulteriore critica verso il ragionamento di McGee osservando che la sequenza argomentativa presentata da McGee nel ‘58 si basa sul presupposto che l’acquisizione del concorrente con fini monopolistici sia incondizionatamente lecita. Ma tale pratica è vietata dal diritto antitrust e quindi nella realtà i prezzi predatori possono tornare ad apparire una pratica razionale in mancanza di migliori alternative possibili. R. A. Posner, The Chicago School of antitrust analysis, University of Pennsylvania Law Review, Vol. 127, Num. 4, 1979, pp. 932-940.

37

O. E. Wiliamson, Predatoy pricing: a strategic and welfare analysis, Yale Law Journal, Vol. 87, 1977, pp. 284‑340.

38La teoria standard dei giochi assume che le caratteristiche del gioco siano conoscenza comune dei

giocatori. Tuttavia, questa assunzione non è sempre realistica. Nella teoria dei giochi, un gioco bayesiano è un gioco in cui le informazioni dei giocatori sulle caratteristiche degli altri giocatori (per esempio i loro payoff) sono incomplete. Ad introdurre la teoria bayesiana pubblicando tre articoli sull’argomento fu J. C.

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mercato dei concorrenti attraverso il predatory pricing. I prezzi predatori sono stati tra i primi modelli concettuali in cui sono state applicate le nuove tecniche e soluzioni della teoria dei giochi bayesiani con il fine di analizzare i giochi senza le ipotesi tradizionali di informazione perfetta e completa.

Il matematico tedesco Reinhard Selten, oltre a contribuire sul piano tecnico allo sviluppo della teoria dei giochi39 è stato responsabile con il celebre ‘chain store paradox’40 ad attirare l’attenzione dei ‘teorici dei giochi’ al caso dei prezzi predatori. I risultati raggiunti nel 1978 da Selten risultarono chiari: all’interno del mercato ideale neoclassico le strategie di predatory pricing sono logicamente inattaccabili, ma se tali estreme ipotesi poste alla base del mercato non sono soddisfatte, il predatory pricing acquista ragionevolezza.

Per quanto la materia sia ancora in costante evoluzione ed i risultati raggiunti siano ancora oggetto di verifiche ed approfondimenti, è oggi abbastanza pacifico tra gli economisti che in determinate situazioni di imperfezione ed asimmetria informativa i prezzi possano essere utilizzati strategicamente dalle imprese per influenzare a proprio

Harsanyi, Games with incomplete information played by Bayesian Players, I-III Part I. The Basic Model, Management Science Informs, Vol. 14, Num. 3, 1967, pp. 159-182.

39

Sviluppando il modello di Nash, Selten ha in seguito individuato i principi per distinguere il risultato di un gioco razionale da quello di un gioco non razionale e ha introdotto il fattore tempo nell'analisi delle strategie. Uno dei suoi contributi più importanti è stato quello di definire la perfezione del subgioco, come unico elemento rilevante di equilibrio di tutti i giochi dinamici. Selten ha anche proposto una nuova nozione di perfezione, detta perfezione della mano tremante, basata sull'introduzione del principio di credibilità in tutte le forme di gioco estensive: il presupposto è quello di eliminare le forme di equilibrio che implichino minacce o promesse non credibili. Si veda: R. Selten, Reexamination of the perfectness concept for equilibrium points in extensive games, International Journal of Game Theory, Vol. 4, Issue 1, 1975, pp. 25-55; J. C. Harsanyi, R. Selten, A general theory of equilibrium selection in games, Cambridge, 1988.

40

Il paradosso ipotizza, in breve, che un ‘chain store’ si cimenti di volta in volta con un nuovo entrante e che il numero di potenziali concorrenti sia predeterminato e noto. Il chain store deve decidere se abbattere i prezzi o se dare, piuttosto, spazio al nuovo entrante. Considerata isolatamente questa seconda scelta è conveniente, perché nell’immediato la prima porta a delle perdite o, comunque, a minori guadagni. Il paradosso si fonda su un argomento di induzione all’indietro (backward induction): si parte in altre parole dal fondo della sequenza, dall’atteggiamento dell’ultimo entrante. Costui sa che il chain store non ha alcun interesse a predarlo; dunque entra. Il penultimo entrante sa che il chain store in ogni caso non prederà l‘ultimo entrante, ne deduce pertanto, che il chain store non ha alcun vantaggio neppure a predare lui, perché ciò non servirebbe a nulla per scoraggiare il prossimo e ultimo ingresso e dunque entra; e così via, a ritroso, sino a giungere alla posizione del primo entrante che, serenamente, entra. La predazione non è perciò, paradossalmente, mai un’arma credibile per scoraggiare l’ingresso dei rivali. R. Selten, The chain-store paradox, Theory and Decision, Vol. 9, 1978.

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favore i comportamenti dei concorrenti, sino al punto di estrometterli dal mercato o impedire loro di accedervi.

L’uso dei prezzi in chiave strategica viene argomentato alla luce di tre principali gruppi di modelli economici: quelli definiti di reputazione, quelli di falsa segnalazione ed i modelli di long pursue, derivanti da asimmetria dell’informazione nel mercato del credito. Tali modelli ammettono, a differenza del modello ‘classico’ di predatory pricing, che una strategia di predazione basata sul prezzo non richieda come condizione necessaria una vendita sottocosto. Al contrario anche laddove i prezzi non siano inferiori ai costi, il comportamento predatorio può avere successo.

2.3.1 (Segue). I modelli di reputazione

Il più semplice tra i modelli in questione, ovvero il modello di reputazione, fu teorizzato nei primi anni ‘80 da P. Milgrom e J. Roberts41 e da D.M. Kreps e R. Wilson42. I due differenti articoli pubblicati da ciascuna coppia di autori, sono vicini non solo dal punto di vista fisico, in quanto separati da poche pagine all’interno della stessa rivista scientifica (Journal of Economic Theory), ma anche sul piano concettuale; forse l’unica differenza risiede nel fatto che l’articolo di Kreps e Wilson è contraddistinto da una maggiore tecnicità ed è meno politicamente orientato.

L’ipotesi su cui si fonda tale modello è che l’impresa monopolista o dominante operi su più mercati e che esista una qualche probabilità che essa sia un soggetto irrazionale che valuta la reputazione di ‘aggressivo’ più di ogni possibile vantaggio economico derivante dalla convivenza con i concorrenti. Si vuole dimostrare la fondatezza dell’idea secondo cui optare per una risposta aggressiva su un mercato possa portare all’impresa dominante benefici in termini di mancato ingresso sugli altri mercati.

L’elemento peculiare di questo approccio risiede nel fatto che anche un’impresa che trovi non profittevole (un’impresa debole) seguire una risposta aggressiva all’entrata,

41 P. Milgrom, J. Roberts, Predation, Reputation and Entry Deterrence, Journal of Economic Theory, Vol. 27,

1982, Num. 2, pp. 280-312.

42

D. M. Kreps, R. Wilson, Reputation and Imperfect Information. Journal of Economic Theory, Vol. 27, Num. 2, 1982, pp. 253-279.

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perché ad esempio non è più efficiente del concorrente, potrebbe seguire questa condotta, se in grado dopo un numero limitato di episodi di predazione di convincere gli altri possibili concorrenti ad astenersi dall’entrare, attendendosi un leader aggressivo. Il sacrificio di profitti sofferto inizialmente verrebbe recuperato una volta che l’entrata di nuovi concorrenti venga scongiurata nei mercati43.

Ovviamente l’impresa dominante che voglia costituirsi la reputazione di ‘aggressivo’ sarebbe costretta a predare sempre, con il fine di consolidare la propria reputazione e rendere credibile la minaccia nei confronti degli altri potenziali rivali44.

Il modello della reputazione non smentisce, pertanto, le tesi dell’irrazionalità del

predatory pricing, ma piuttosto, dà forma logica all’intuizione che in certe situazioni

possa essere razionale comportarsi irrazionalmente. Importa poco, infatti, chi sia l’obiettivo di un attacco predatorio o che l’aggressione non sia destinata a portare risultati positivi, se il predatore è un soggetto economico razionale sarà determinato ad estromettere il rivale dal mercato, costi quel che costi45.

2.3.2 (Segue). I modelli di segnalazione

Il secondo modello derivato dalla teoria dei giochi e teso a dimostrare, contrariamente a quanto sostenuto dai ‘chicagoniani’, l’esistenza e la razionalità dei prezzi predatori è il modello della falsa segnalazione.

Questo modello, nonostante non sia direttamente imputabile a Milgrom e Roberts affonda comunque le proprie radici nella svolta concettuale operata dai due autori nel loro articolo del 1982. Infatti, il modello di falsa segnalazione o, utilizzando l’originale espressione inglese, di ‘signal jamming’, elaborato da Drew Fudenberg e Jean Tirole46, parte dall’ipotesi secondo cui la caratteristica che rende le informazioni incomplete è

43 P. Barucci, C. Rabitti Bedogni, 20 anni di antitrust. L'evoluzione dell'Autorità Garante della Concorrenza e

del Mercato, Giappichelli, 2010, p. 685.

44

Se il leader smettesse di predare anche una sola volta, tutti gli altri operatori saprebbero con certezza che non si tratta di un fanatico predatore ed allora il chain store paradox tornerebbe ad essere valido.

45

P. Giudici, I prezzi predatori, Giuffrè, 2000, p. 95.

46

D. Fudenberg, J. Tirole, A ‘Signal-Jamming’ theory of predation, Rand Journal of Economics, Vol. 17, Num. 3, 1986 pp. 366-377.

(24)

l'esistenza di un mercato in cui il grado di efficienza del leader non è conosciuto, ma solo parzialmente osservabile sulla base di variabili che dipendono in larga parte dalle azioni poste in essere dal leader.

L’impresa che si accinge ad entrare in un nuovo mercato deve necessariamente valutare la propria futura efficienza comparata con quella dei rivali, per poter operare una decisione sull’entrare o meno nel mercato. Ciò deriva dal fatto che l’entrante si trova normalmente in una condizione di incompletezza e asimmetria informativa, ovvero non ha conoscenza, non solo delle funzioni produttive del rivale, ma neanche delle proprie, in quanto deve comunque passare un certo periodo di tempo affinché egli possa vincere la fedeltà degli acquirenti verso le imprese già insediate e discendere la curva d’esperienza47.

L'idea alla base del modello è che, nell’ipotesi realistica di informazione imperfetta, un soggetto economico razionale dotato di maggiore potere di mercato può tentare di scoraggiare un concorrente ad entrare o a rimanere in quel mercato manipolando le sue convinzioni. S’ipotizza che l’impresa dominante applichi ai propri prodotti un prezzo particolarmente basso con il fine di far credere ai rivali oggetto di predazione una propria superiore efficienza o per segnalare una saturazione del mercato.

Nel caso di un nuovo entrante nel mercato, la presenza di forti asimmetrie intertemporali relative alle funzioni di costo tra impresa leader e nuovo entrante può rendere più credibile il falso segnale. Il vantaggio temporale può essere costituito, per esempio, da un differenziale sul costo del finanziamento dipendente da fattori esogeni, quali ad esempio il fatto che l’impresa si sia stabilita nel mercato in un momento in cui gli investimenti erano proporzionalmente meno costosi rispetto al nuovo entrante.48 La predazione, quindi, sotto tali ipotesi piuttosto realistiche, può risultare un comportamento ragionevole e profittevole per il predatore, dato che attraverso una falsa segnalazione riesce a far credere al rivale che il mercato sia poco redditivo

47

P. Giudici, I prezzi predatori, Giuffrè, 2000, p. 95-97.

48

Cosa che può avvenire per motivi macroeconomici generali o per motivi di oscillazione ciclica del valore dei beni oggetto di investimento.

(25)

incoraggiandone l’uscita o scoraggiandone direttamente l’entrata49. Anche nell’ipotesi in cui il potenziale entrante non si faccia ingannare dal leader ed è quindi consapevole che la domanda è artificialmente bassa a causa delle pratiche predatorie, egli non è in grado di ottenere informazioni circa la domanda effettiva e quindi, in assenza di informazione, il potenziale entrante preferisce non entrare50.

2.3.3 (Segue). I modelli di long pursue

I diversi modelli elaborati nell’ambito della teoria dei giochi con riguardo al predatory

pricing comprendono anche una rigorosa formulazione del tradizionale argomento del

‘deep-pocket’51. Jean-Pierre Benoit ha dimostrato nel 198452, attraverso l’utilizzo della teoria dei giochi bayesiani, che le tradizionali argomentazioni basate sulla maggiore disponibilità di risorse economiche da parte del leader a sostegno della teoria dei prezzi predatori, le quali aveva subito feroci critiche, in particolare da McGee e dall’intera Scuola di Chicago, potrebbe rappresentare una solida base teorica a sostegno della ragionevolezza dei prezzi predatori, se eliminando le restrittive ipotesi della Scuola di Chicago si costruissero modelli che ammettano la sussistenza di informazioni incomplete53.

49 Tale conclusione fu raggiunta da Scharfstein nel 1984. Nel modello ‘manipolazione dei test del prodotto’

Scharfstein suppose che l’entrante introduce un nuovo prodotto su un segmento di mercato per vedere come reagirà la domanda; il leader reagirà attuando strategie predatorie volte a segnalare al competitor una domanda bassa, scoraggiandone l’entrata A. Scharfstein, A policy to prevent rational test-marketing predation, Rand Journal of Economics, Vol. 15, 1984, pp. 229-243.

50

Tale conclusione secondo cui, nonostante l’entrante sia consapevole della falsa segnalazione operata dal leader preferisce comunque non entrare in quanto non ha idea di quanto si discosti la falsa segnalazione dalla realtà fu elaborata da Fudenberg e Tirole: D. Fudenberg, J. Tirole, A ‘Signal-Jamming’ theory of predation, Rand Journal of Economics, Vol. 17, Num. 3, 1986 pp. 366-377.

51 Già nel 1966 Telser aveva pubblicato un articolo che può considerarsi precursore dei nuovi modelli

incentrati sui ‘deep pocket’. Si veda L. G. Telser, Cutthroat Competition and the Long Purse, Journal of Law and Economics, Vol. 9, 1966, pp. 259-77.

52 J. P. Benoit, Financially constrained entry in a game with incomplete information, Rand Journal of

Economics, Vol. 15, 1984, pp. 490-499

53

N. Giocoli, Predatory Pricing in Antitrust Law and Economics. A Historical Perspective, Routledge Taylor & Francis Group, 2013.

(26)

Le nuove teorie di long pursue, ipotizzano che il ribasso strategico dei prezzi da parte dell’impresa dominante possa essere mirato a destabilizzare l’assetto finanziario del rivale, proprio per rendergli impossibile un’efficace ricorso al mercato del capitale. Tali teorie, incentrate sul fattore finanziario, si fondano sulla premessa, ancora una volta realistica, secondo cui il mercato dei capitali non sia affatto efficiente come invece ipotizzato dalla Scuola di Chicago.

Occorre in prima battuta, col fine di rendere palpabili i modelli di long pursue, spiegare le ragioni per le quali la preda a differenza del predatore ha enorme difficoltà, se non addirittura impossibilità, a trovare nel mercato un supporto finanziario a costo analogo ai fondi impiegati dal predatore54. Due fenomeni legati al problema dell’informazione asimmetrica ne condizionano il funzionamento: la selezione avversa e l’azzardo morale. Il primo influenza il mercato dei capitali attraverso il noto ‘lemons problem’55 che creando asimmetrie informative anteriori al possibile finanziamento (pre-contrattuali), spinge i finanziatori ad individuare possibili segnali che lo rendano capace a distinguere un soggetto meritevole di finanziamento da uno non meritevole.

Le garanzie offerte al finanziatore rappresentano, tra le alte cose, un segnale che riduce il problema della selezione avversa; ed il patrimonio netto dell’impresa può operare come garanzia per i finanziatori, che dunque sono più propensi ad erogare fondi a chi abbia un patrimonio netto o altre equivalenti garanzie di rilievo rispetto a chi non le abbia.

L’importanza del patrimonio netto si evince ancora di più con riguardo al fenomeno dell’azzardo morale, che è un problema di asimmetria informativa post-contrattuale. Chi riceve risorse finanziare in prestito può, in assenza di un reale controllo da parte del finanziatore, investire quel denaro in attività più rischiose (ma che offrono anche maggiori margini di guadagno) rispetto a quelle per le quali era stato richiesto il prestito.

54 Nelle successive pagine si analizzerà solo la difficoltà per l’impresa oggetto di predazione di ottenere

finanziamenti dal mercato dei capitali. Per quanto riguarda l’improbabile opportunità per la preda di ottenere finanziamenti da parte dei clienti si rimanda al paragrafo 2.3.

55 Relativamente a problemi di selezione avversa e azzardo morale l'esempio più citato e studiato in

economia è quello sviluppato da George Akerlof. G. A. Akerloff, The market for 'Lemons': quality uncertainty and the market mechanism, The Quarterly Journal of Economics, Vol. 84, Issue 3, 1970, pp. 488-500.

(27)

Da un lato, chi riceve le risorse finanziare sarà maggiormente propenso ad investirle in attività più rischiose, in quanto esternalizza il rischio, ma non l’eventuale successo; dall’altro, il finanziatore nel caso in cui l’investimento abbia fortuna vedrà restituito solo il capitale e gli interessi, in caso contrario non recupererà quanto prestato soffrendo per intero gli effetti del rischio corso dal debitore. Per evitare tale meccanismo perverso è necessario che anche il finanziato assuma dei costi qualora l’attività abbia esito negativo. In tal senso la presenza di un adeguato capitale di rischio del debitore, quindi le maggiori risorse di cui dispone, allineano i suoi incentivi e rischi a quelli del creditore.

A questo punto dovrebbe apparire chiaro il ragionamento posto alla base dei modelli di

long pursue: i prezzi più bassi dovrebbero diminuire i flussi di cassa che alimentano la

capacità dell’impresa di autofinanziarsi, portandoli ad un livello che, per i fenomeni di selezione avversa e azzardo morale, renda più difficile e costoso il reperimento di finanziamenti esterni.

In conclusione, alla luce di quanto esposto, possiamo affermare che è la generalizzazione dei risultati e non la loro fondatezza in un contesto particolare di ipotesi ad aver costituito il punto debole dell’approccio della Scuola di Chicago, aprendo la strada alle analisi successive.

Quando un’impresa vuole entrare in un determinato mercato deve necessariamente fondare la sua decisione sulle sue aspettative dei profitti che otterrà dopo l’entrata. Tali profitti dipendendone inevitabilmente da come il leader reagisce all’entrata del rivale. Se esso risponde in modo aggressivo la profittabilità dipenderà dall’'intensità della risposta aggressiva (quanto cadrà il prezzo dopo l’entrata). Sapendo che le aspettative del potenziale partecipante sono cruciali nel determinare la sua decisione di entrata, il

leader può cercare di influenzarli strategicamente.

La sintesi post-Chicago ha mostrato, partendo da tale osservazione, che esistono condizioni nelle quali un’impresa con potere di mercato può perseguire razionalmente una strategia di prezzi predatori, in particolare quando agisce in un contesto di incompletezza informativa.

(28)

Negli anni ‘80, con l’applicazione della teoria dei giochi bayesiani, le teorizzazioni tese a dimostrare la ragionevolezza e l’effettiva profittabilità delle strategie di prezzo predatorio hanno portato alla formulazione di argomentazioni rigorose, divisibili, col fine di offrire maggiore chiarezza al lettore, in:

 modelli di reputazione. La caratteristica fondamentale di tale modello è che la strategia di predatory pricing viene posta in essere non perché direttamente redditizia contro un singolo rivale specifico, ma perché può scoraggiare i concorrenti futuri, tanto nel mercato in cui viene praticato il prezzo predatorio quanto negli altri mercati in cui il leader opera. Indipendentemente dal fatto che la predazione sia una strategia più o meno profittevole nel singolo caso, l'obiettivo dell’impresa dominante è quello di costruirsi la reputazione di ‘aggressivo’ con il fine di scoraggiare nuovi ingressi. In quest’ottica il predatory

pricing acquisisce ragionevolezza e razionalità;

 modelli di falsa segnalazione. Se l’informazione sulle funzioni di costo è incompleta, un’impresa con potere di mercato, praticando prezzi predatori, può far credere ai propri concorrenti di produrre a costi più bassi dei suoi veri costi e, sulla base di questa reputazione, indurli a uscire dal mercato o scoraggiare i concorrenti potenziali dall’entrare;

modelli di long pursue. Questi modelli si basano sul riconoscimento che, in presenza di imperfezioni informative, il consumo di fondi propri da parte del monopolista può costringere il rivale ad un inefficiente ricorso al finanziamento esterno, o addirittura precludergli quel finanziamento. La teoria dei costi di transazione mostra che tale effetto può aversi soprattutto nel caso in cui l’ingresso nel mercato richieda di affrontare ingenti costi irrecuperabili.

I tre modelli sopra analizzati confermano che l’incompletezza e l’asimmetria informativa possono rendere razionali comportamenti che sarebbero invece irrazionali in un quadro d’informazione perfetta o, quantomeno, simmetrica. Non a caso, dunque, essi acquisiscono razionalità, soprattutto riguardo agli effetti dell’uso strategico dei prezzi nei confronti di soggetti, quali i nuovi entranti, che con maggior probabilità possono avere

(29)

un panorama informativo più limitato rispetto alle imprese già presenti sul mercato. Solo in misura ristretta il quadro d’incertezza si può proporre anche nel caso in cui la vittima del progetto predatorio sia un’impresa già insediata nel mercato. L’asimmetria informativa, inoltre, garantirebbe la buona riuscita di una strategia predatoria basata sul prezzo prescindendo dalla necessità che questo venga abbassato al di sotto del livello di costo.

Il grande vantaggio della teoria dei giochi bayesiani è stato quello di proporre un approccio alternativo teso a soppiantare quello tradizionale, dimostrando che, sotto differenti ipotesi di base, si potrebbero coerentemente includere sia i risultati tradizionali che quelli di nuova formulazione. I modelli elaborati dalla ‘nuova’ teoria economica al fine di sostenere la profittabilità del predatoy pricing, da un lato, assumono la più reale possibilità che i mercati siano caratterizzati da informazione non completa e imperfetta, ma dall’altro, continuano a fondare le proprie ipotesi di base sull’idea dell’economia neoclassica della perfetta razionalità dei soggetti economici. Tale ultimo aspetto, secondo cui i soggetti economici nel prendere le proprie decisioni si comportino in modo razionale, non è del tutto certo. I più recenti studi di economia cognitiva, infatti, saggiando la lontananza tra il mondo empirico e i modelli teorici proposti dall'economia neoclassica, hanno sviluppato argomentazioni secondo le quali gli agenti del mercato sono sostanzialmente irrazionali56. Tuttavia, dato il maggiore ‘presunto’ realismo delle ipotesi di base, si è giunti ad una pacifica accettazione dei nuovi modelli proposti e, quindi, a considerare il predatory pricing come una pratica ragionevole nella quale i giuristi possono imbattersi nel mondo reale, prescindendo dalla remota, ma possibile, evenienza che una impresa voglia irrazionalmente eliminare una concorrente.

56

L’idea secondo cui gli agenti economici non prendano le proprie decisioni in modo razionale fu proposta in modo organico per la prima volta nel 1979 in un articolo di D. Kahneman e A. Tversky (D. Kahneman, A. Tversky, Prospect theory: an analysis of decision under risk, in Econometrica, 1979, XLVII, pp. 263-291). Per una trattazione più estesa dell’argomento si veda: L. Arnaudo, La ragione sociale. Saggio di economia e diritto cognitivi, Luiss University Press, 2012

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