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Introduzione Queste pagine propongono una riflessione sulla lirica di Giovanni Fantoni negli anni precedenti la Rivoluzione Francese. Alfieri lo definì «Orazio etrusco»

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1 Introduzione

Queste pagine propongono una riflessione sulla lirica di Giovanni Fantoni negli anni precedenti la Rivoluzione Francese. Alfieri lo definì «Orazio etrusco»1 per la sua capacità di imitare la metrica latina e Carducci lo annoverò tra i poeti più engagé della Repubblica Cisalpina per l’animosità con cui sostenne il rinnovamento sociale e politico di tutto il paese.2 Dato che la critica ha rivolto il suo interesse soprattutto a tali aspetti, questo lavoro cercherà di delineare le caratteristiche della prima poetica, offrendo un’analisi letteraria di alcuni componimenti giovanili antecedenti la sua adesione al giacobinismo.

Per condurre una riflessione pertinente, si è considerato il contesto storico e culturale di fine Settecento: la complessità del periodo spesso non rende di facile interpretazione la poesia e le sue motivazioni. Il nome di Giovanni Fantoni, infatti, compare annoverato sia tra i poeti neoclassici che tra quelli preromantici; tuttavia, al di là di categorie più o meno restrittive, la varietà della lirica fantoniana esprime compiutamente un vero e proprio sincretismo letterario tra l’Arcadia italiana e le influenze europee.

Quindi, dopo aver definito quali furono i poli culturali per la formazione del poeta, si è presentata la complessa situazione editoriale delle sue poesie e si sono scelte tre edizioni di riferimento: Odi di Labindo (1782), Poesie varie e prose di Labindo (1785), Poesie varie di Labindo (1792). Fin dal titolo, l’aggettivo «varie» esprime la

1 I versi di Alfieri riferiti a Fantoni si trovano nell’ode La licenza: «ricca vena instancabile / pari alla tua Fantoni, ah deh mi avessi! / per cui tu, Etrusco Orazio, / al Venosino emuli carmi intessi». Cfr. Giovanni Fantoni, Opere, Lugano 1823, p.49.

2 Cfr. Giosuè Carducci, La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII in Opere, ed. nazionale, Zanichelli 1936, vol. XV, p. 213 e ss. ; sull’argomento cfr. Anna Evangelisti, Il Carducci rispetto al

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2 diversità sostanziale e formale dei componimenti; queste raccolte - a esclusione della prima - sono infatti divise in sezioni, ciascuna delle quali è accompagnata da un’epigrafe liminare che offre spunti interpretativi per le poesie che seguono. Facendo riferimento all’edizione del 1792 - curata dall’autore - si è cercato di focalizzare l’attenzione proprio sui dati in esergo, che Fantoni ha ampiamente utilizzato per veicolare una lettura pertinente dell’opera. Accanto alle citazioni di Ovidio, Orazio e Virgilio - modelli poetici per la tradizione nazionale -, ne compare una tratta dall’Ossian: la dialettica fra le diverse tendenze letterarie di fine Settecento caratterizza infatti la prima lirica fantoniana. Si è cercato di dare ragione di questa varietà analizzando alcuni componimenti della sezione degli Idilli e delle Notti. Nonostante la dichiarazione di voler «inventare su l’antiche tracce di Bione e di Mosco»3, la poesia pastorale di Labindo esprime sicuramente la sensibilità romantica. Negli Idilli le delusioni esperite dal poeta si riflettono in considerazioni filosofiche sull’essere umano: senso di isolamento, ripiegamento interiore, tedio della vita e tensione del sentimento. Così, il locus amoenus, le ninfe e i pastori celano un orizzonte spirituale malinconico distante dalla quiete dell’idillio arcadico.

Le Notti sono un altro esempio del sincretismo di fondo della lirica fantoniana: il macabro della tradizione arcadica si fonde con il gusto della poesia notturna inglese. La commemorazione di persone scomparse diventa l’occasione per esprimere il dolore del cordoglio con intensità di sentimento; nelle notti pubblicate postume - di cui una è riferita alla tragica morte del figlio - emerge anche il tono elegiaco e penitenziale della poesia lugubre di Fantoni.

Dopo la lirica pastorale e sepolcrale, nelle quali convergono diverse influenze letterarie, si è dedicato un capitolo alle Odi di Labindo, che testimoniano l’impegno civile della poesia di Fantoni fin dalla prima edizione del libriccino. Le dodici poesie

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3 di cui è composto, infatti, sono accomunate da costanti riferimenti ai successi dell’ammiraglio inglese Rodney durante la Rivoluzione Americana. Si è cercato di interpretare l’anglofilia del poeta - coerente con la moda del tempo, ma contraddittoria rispetto alle imminenti prese di posizione giacobine e rivoluzionarie - confrontando le Odi con L’America libera di Vittorio Alfieri: la diversa consapevolezza circa la guerra di indipendenza americana, riflette la lenta maturazione di Fantoni sugli avvenimenti oltreoceano. La sua anglofilia, infatti, cessò definitivamente con l’affermarsi degli ideali della Rivoluzione Francese, che conobbe in un contesto culturale diverso rispetto a quello da cui osservò la Rivoluzione Americana. A sostegno di questa ipotesi si sono messi a confronto i testi dell’ode indirizzata al fratello Odoardo, scritta in un primo momento per celebrare il successo di Rodney e poi modificata per esaltare Benjamin Franklin, padre della libertà americana.

L’irrequietezza di Fantoni, caratteristica che emerge chiaramente anche nei componimenti analizzati, è quella di un intellettuale di fine Settecento che incarna in sé le contraddizioni di un periodo di cambiamenti. Anche se gli avvenimenti storici e la maturazione di idee politiche lo porteranno ad affermarsi come poeta civile negli anni della Rivoluzione Francese, l’apertura e l’interesse verso la cultura europea sono testimoniati già a partire dalle poesie giovanili. La sensibilità romantica degli Idilli e delle Notti, e le Odi del 1782 dimostrano che la prima lirica di Giovanni Fantoni - circoscritta agli anni antecedenti l’esperienza napoletana - non è monocorde, ma accoglie le più disparate tendenze letterarie di fine Settecento.

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4 I

Influenze culturali sulla lirica di Giovanni Fantoni

Opponendosi all’ambizione paterna, che voleva fare del figlio un militare o un ecclesiastico, Giovanni Fantoni viaggiò per l’Italia alla ricerca di un impiego a lui adatto e coltivò la passione per le lettere e gli studi classici. In questo suo peregrinare incontrò diversi intellettuali e frequentò ambienti che influirono sulla sua sensibilità poetica.

Ripercorrere, dunque, le tappe fondamentali della sua formazione, permette di evidenziare quali siano stati i poli culturali e le colonie arcadiche determinanti per lui, considerando che la cultura letteraria del secondo Settecento fu composita e variegata: la mancanza di un’unità nazionale non favorì neppure quella artistica. L’Accademia d’Arcadia, nel 1690, nacque, come istituzione sovra regionale, proprio con l’intento di unificare culturalmente i vari stati della penisola che risposero diversamente alle influenze straniere. A fine secolo, infatti, si iniziò a delineare una cultura europea e le nuove sensibilità si inserirono sempre più assiduamente nella tradizione italiana, scardinando i canoni della poesia custoditi e protetti dall’accademia romana.

Giosuè Carducci nella prefazione all’antologia dei lirici del secolo XVIII delineò una sorta di geografia della poesia del tempo:

Al centro Roma capitale dell’Arcadia che giudica e non fa; al mezzogiorno Napoli si sdraia nel facilismo mariniano e metastasiano; al settentrione, in Piemonte, per allora nulla, ma se ne spiccano […] il Baretti e […] l’Alfieri. Lombardia per contro è il paese della poesia dall’atteggiamento greco e latino. Questa in Bologna […], ha sol un cultore, il Savioli; trova proseguendo, una fiorita colonia negli stati estensi; fra Modena e Parma fa un saluto alla

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5 Toscana, che oramai spossata le manda dal suo estremo lembo un corteggiatore solo, ma giovine e animoso, il Fantoni.1

Questa panoramica evidenzia bene il clima culturale disomogeneo, frutto di una società tesa ai cambiamenti e alle rivoluzioni che avrebbero portato all’età moderna. La poesia, come espressione del momento storico, e l’Arcadia, istituzione garante del Parnaso, diventarono portavoce di una letteratura «galante», «giocoso-satirica» o «adornante le cognizioni scientifiche e le disquisizioni morali in poemi didascalici».2 Fantoni visse a pieno questo periodo storico e incarnò in sé le contraddizioni, le aspettative e il disagio di un’età di transizione; la sua poetica non fu monocorde e proprio per queste ragioni è importante studiarne i passaggi a partire dai poli geografici che frequentò.

1. Da Firenze al Piemonte (1768-1776)

L’educazione culturale di Fantoni iniziò in maniera decisiva presso il Collegio Nazareno di Roma dove due maestri, padre Goddard e padre Fasce, incentivarono la sua inclinazione per gli studi letterari. Qui, accanto ad una formazione cristiana, il poeta ebbe la possibilità di leggere i classici e trascurò ogni altro genere di studi, dalle grammatiche alle scienze, optando per una cultura oziosa e non finalizzata ad un’applicazione pratica. Nonostante il rendimento scolastico fosse mediocre, padre Goddard intuì e assecondò il talento poetico dell’allievo.

1 Carducci Giosuè, La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII in Opere, Edizione Nazionale, Bologna, Zanichelli 1936, vol. XV, pp. 153- 54.

2 Croce Benedetto, L’Arcadia e la poesia del Settecento in La letteratura italiana del Settecento, Bari, Laterza 1949, pp.10-11.

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6 Nell’estate del 1772 il poeta uscì dal collegio e per un breve periodo occupò il posto di apprendista nella segreteria di Stato a Firenze; nella città toscana il poeta trovò sfogo per la sua sensibilità letteraria, in quanto la città offriva una società elegante, culturalmente importante e ricca di accademie: il luogo ideale per la sua vocazione poetica. I primi componimenti gli permisero di diventare, appena diciottenne, socio dell’Accademia degli Apatisti (1° ottobre 1773), ma, dopo aver tentato invano anche la carriera da cadetto a Livorno, nel 1775 tornò a Fivizzano. Nelle Memorie istoriche, raccolte dal nipote Agostino, si fa cenno al carattere dissipato del soggiorno fivizzanese di cui si testimonia in alcuni componimenti a carattere autobiografico. L’indole lasciva, scandalosa per un piccolo borgo della Lunigiana, andava indirizzata e corretta: così il 25 settembre 1775 Fantoni fece il suo ingresso nell’Accademia Reale di Torino e successivamente tenne guarnigione ad Alessandria.

Il Piemonte3 in quegli anni iniziava, grazie ai sovrani Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III, a coltivare le lettere. Le condizioni del paese, coinvolto nelle guerre dinastiche, avevano reso impossibile, fino ad allora, una stabilità della cultura: mancava una borghesia forte in grado di promuovere l’evoluzione della società. Il commercio era ostacolato da dazi interni e la chiesa cattolica sopprimeva ogni spinta riformatrice di stampo illuminista. Pur non partecipando attivamente alle riforme socio-culturali del tempo, la vicinanza geografica con Milano e Venezia fu determinante per Torino, in quanto queste città assunsero una funzione di tramite nell’integrazione della cultura europea sia illuministica che romantica. In quegli anni, infatti, si affermarono le traduzioni di opere inglesi e francesi, tutte tese ad accenti malinconici e cupi come le Notti di Young o le Tombe di Hervey e l’Elegia di Gray. La promozione culturale caldeggiata dai sovrani piemontesi portò alla luce, nella

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7 seconda metà del Settecento, nomi prestigiosi come lo storico Denina, il critico Baretti e Vittorio Alfieri.

Testimonianza del fatto che Fantoni respirò il clima letterario del paese fu l’amicizia con il poeta Alessandro Sappa, socio dell’Accademia degli Immobili di Alessandria fondata nel 1562. Quest’ultimo fu stimato sia da Carlo Emanuele III che da Vittorio Amedeo III, i quali gli conferirono riconoscimenti, rispettivamente nominandolo riformatore delle regie scuole in patria e maggiordomo onorario. Fu autore di poesie di argomento sacro e morale per il suo forte credo religioso, e di rime malinconiche ed elegiache ispirate alle tematiche offerte dalla letteratura inglese; la sua abilità poetica si espresse anche nella capacità di utilizzare metri diversi, mantenendo tuttavia uno stile semplice. L’edizione più completa delle sue poesie è quella edita nel 1772, antecedente la frequentazione con Fantoni, il quale gli dedicò il primo componimento delle sue Notti, inviandogli una lettera dedicatoria.4

Non si hanno notizie su quali altri letterati alessandrini abbia frequentato il poeta durante il suo soggiorno piemontese, tuttavia gli anni trascorsi in questo clima risultarono fecondi, infatti il 30 maggio 1775, su proposta del suo vecchio maestro, l’abate Goddard, venne accolto tra i membri dell’Arcadia di Roma. «Labindo Arsinoetico in avvenire dovrete fra Noi denominarvi; dichiarandovi con ciò Pastore- arcade di Numero»5: così il collegio d’Arcadia gli conferì, per merito, le campagne Arsinoetiche (4 gennaio 1776).

4

Cfr. Melo Paola, Epistolario, Roma, Bulzoni 1992, p.74.

5 Ceschi Duino, Giovanni Fantoni e l’Accademia Scientifico Letteraria delle Alpi Apuane di Massa e

le Accademie Letteraria Lunense e dei Filarmonici Dissonanti di Fivizzano in «Atti e Memorie della

Accademia Aruntica di Carrara», vol. I, anno 1995. L’articolo è stato scritto a partire dai documenti conservanti nella cartella n. 238 del fondo privato Fantoni-Bononi dell’Archivio di Stato di Massa. Tra le numerose carte vi sono le diverse attestazioni delle Accademie letterarie a cui il poeta fu iscritto e il manoscritto del discorso tenuto in occasione dell’apertura dell’Accademia letteraria di Fivizzano.

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8 2. Da Genova alla Lunigiana (1779-1785)

Nel febbraio 1779 Fantoni partì dal Piemonte, ancora una volta per insofferenza verso le convenzioni; fu costretto a dare le dimissioni dopo essersi indebitato e dopo aver sfidato a duello un suo superiore.

Facendo ritorno a Fivizzano decise di sostare qualche mese a Genova: il suo soggiorno nella città ligure fu allietato dall’ospitalità di Domenico di Raffaello Spinola, conosciuto ad Alessandria poiché militava per il Re di Sardegna. L’accoglienza dell’amico gli permise di frequentare il salotto della moglie, la marchesa Maria Doria, e altri intellettuali. L’incontro con queste personalità genovesi fu meditato già durante gli anni trascorsi in Piemonte, come ben attesta il poema in quattro parti intitolato Il piacere, composto per la marchesa il 23 settembre 1778 ad Alessandria.

L’intenzione del poeta era quella di riuscire ad ottenere l’inserimento nel patriziato genovese e proprio per questo motivo indirizzò i suoi componimenti sia a Maria Doria Spinola che all’aristocratico Girolamo Pallavicini, presidente dell’Accademia Ligustica di belle lettere, colonia dell’Arcadia romana:6 fondata il 15 settembre 1705, aveva sempre avuto una funzione politica, infatti, le adunanze erano tenute in occasione dell’incoronazione dei dogi.7

L’interesse del poeta per la nobiltà genovese è attestato anche nella lettera dedicatoria che accompagnava Le quattro parti del piacere:

6 Girolamo Pallavicini fu autore di un Saggio di poesia stampato nel 1773, in cui emergono l’importanza della Divina Commedia e la sua ammirazione per Chiabrera, alla cui memoria voleva dedicare una nuova edizione delle opere. Per la conoscenza di Fantoni circa l’ambiente culturale genovese cfr. Sforza Giovanni, Contributo alla vita di Giovanni Fantoni, Genova, Tipografia della Gioventù 1907, p.33 e cfr. Fantoni Giovanni, Poesie, Bari, Laterza 1913, p. 183.

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9 Io vi chiamo Lesbia senz’essere Catullo: non dissimile però da quella voi proteggete amorosamente gl’ingegni, e gli fate scherzare con le grazie. Fra l’importuno rumore dell’armi voi mi avete richiamato a bamboleggiare con gli amori.8

Sembra una sorta di captatio benevolentiae, indirizzata nella speranza di essere accolto tra i genovesi con i quali credeva di poter condividere i suoi passatempi preferiti:

Giammai si perde

Tempo bevendo; nel divin licore Muovo le cure, solo in esso Amore Non si disperde.

Acché star mesto? Gioventude fugge Pigra i suoi passi, segue la vecchiezza, e il brio vivace della giovinezza fredda distrugge.9

Nonostante le lusinghe del poeta, il Senato genovese deliberò di accogliere la richiesta di Innocenzo Frugoni che aveva ugualmente manifestato il desiderio di appartenere alla nobiltà locale; ciò comportò il rifiuto per Fantoni che ne rimase deluso. Le perplessità dei genovesi erano rivolte ai suoi costumi, evidentemente inadatti per la città ligure: «il suo contegno non è proprio ma incivile»; l’accusa di libertinaggio fu rivolta anche ai suoi versi «perniciosi e lascivi».10

8 Melo Paola, Op. cit. 1992, p.75. 9 Fantoni Giovanni, Op. cit 1913, p. 95. 10 Sforza Giovanni, Op.cit. 1907, pp.34-35

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10 Dopo qualche mese si vide costretto, ancora una volta indebitato e tenuto d’occhio dagli inquisitori di Stato, a far ritorno a casa. Giunse nel paese natio nell’estate del 1779 dove si confrontò con l’austerità paterna e fece i conti con le convenzioni sociali di cui non sopportava il peso e il rigore. In questa atmosfera trovò spazio il suo desiderio poetico: il soggiorno fivizzanese fu contraddistinto dalla solitudine e dal silenzio, fattori necessari ed indispensabili per dedicarsi all’ otium. E’ in questo periodo che affinò la sua conoscenza dei classici latini come Ovidio, Tibullo, Catullo, Virgilio e Giovenale, ma soprattutto procedette metodicamente alla lettura e all’imitazione di Orazio: ripeté ben cinque volte lo studio per ricavare le frasi del poeta latino, tanto che egli stesso diceva di procedere «con le grucce di Orazio».11 Il nipote Agostino, nelle sue Memorie, riporta alcuni esempi degli studi condotti dallo zio, sottolineando che fece tesoro soprattutto di frasi ed epiteti estrapolati dalle Epistole oraziane e dalle Eroidi di Ovidio, trasportati dal latino all’italiano.

La dedizione allo studio della poesia, condotto da autodidatta, rappresentò il punto d’incontro per l’amicizia con il marchese Carlo Emanuele Malaspina, che abitava a Fosdinovo, uno dei feudi più importanti della Lunigiana del tempo. Fantoni trascorse diversi mesi ospite nella Villa di Caniparola, vicino a Sarzana, in cui ebbe la possibilità di godere dell’amico e del mecenate. Condividevano l’amore per la cultura e per lo spettacolo, come mostra il fatto che il Malaspina restaurò il vecchio teatro di Fosdinovo per poter inscenare melodrammi e commedie, fondò scuole pubbliche, ampliò la biblioteca con volumi contemporanei e in estate ospitò intellettuali provenienti da diversi paesi confinanti. La riconoscenza che il poeta ebbe nei confronti dell’amico è attestata da alcuni componimenti a lui dedicati e dalle

11 Cfr. Fantoni Agostino, Memorie istoriche, in Poesie di G.Fantoni tra gli arcadi Labindo, Italia 1823.

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11 lettere che accompagnavano tali omaggi nelle quali sono palesate la stima e la gratitudine nei suoi confronti.12

Gli anni trascorsi nei luoghi natii si distinsero per la presenza di momenti importanti nella vita del poeta: nel 1781 compose l’elogio funebre per Maria Teresa d’Austria, che pronunciò in occasione delle esequie nella Chiesa prepositurale di Fivizzano. Per molti scrittori quest’occasione fu il pretesto per ricordare la sovrana, ma le Effemeridi letterarie di Roma elogiarono il componimento di Fantoni:

Lungi egli da quella ampollosa eloquenza e da quella affettata adulazione che suol essere il corredo di simili produzioni, invita i sudditi, i monarchi, l’universo a giudicare della pietà, della clemenza e della beneficenza della defunta eroina, e rintracciando tutte queste singolari virtù nelle gesta sue più luminose, ci porge della medesima quella giusta idea che si conviene. Ma ciò che più di tutto rende degno di lode il nostro autore si è, che non pago egli di esporre con uno stile naturalmente sublime le azioni più celebri di Maria Teresa, le sottomette alle mature riflessioni di una giusta critica, e qual filosofo ed oratore combinando felicemente insieme questi due caratteri, mentre nel suo elogio fa sfoggiare mirabilmente l’italiana eloquenza, compagna vi fa trionfare la semplice verità.13

Sempre nello stesso anno, il poeta si fece portavoce della volontà di fondare a Fivizzano una società, un’Accademia letteraria successivamente chiamata Lunense, nata per occuparsi di scienze, arti e belle lettere. Il Granduca Pietro Leopoldo aveva accettato le richieste dei fivizzanesi e acconsentito a tale fondazione; Labindo ne divenne il segretario per la sezione di Arti e Belle Lettere e in occasione della solenne apertura svoltasi il 30 dicembre 1781 tenne un discorso pubblico: un inno alla patria bisognosa di uno dei suoi figli «che la guidi dubbiosa e la protegga

12 Melo Paola,Op. cit 1992, lettere n. 33, 34, 35, 36, 37, pp.85- 88. 13 Anonimo cfr. Sforza Giovanni, Op. cit. 1907, p. 53

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12 tremante». Il poeta si identificò in questa figura in quanto ormai «lungi dal rumore procelloso dell’armi, dall’inquieta garrulità dei cittadini tumulti, ritornato alla patria, ha consacrato alla Verità le sue fatiche e i suoi giorni».14 Impegnato così nella promozione culturale di Fivizzano, sotto invito dell’amico Malaspina, l’anno seguente scrisse l’ode Al merito dedicata al marchese Giuseppe Pinello Salvago che terminava il suo Commissariato a Sarzana per la Repubblica di Genova. Animato dai successi ottenuti da questi due componimenti decise di pubblicare il suo primo libriccino di odi, stampato nel 1782 a Massa presso la tipografia di Stefano Frediani e dedicato a Caterina II, erede di Pietro il Grande.

I versi editi esplicitavano il suo metodo di studio: l’imitazione dei poeti latini non era un semplice calco formale; il metro, le cesure e gli epiteti utilizzati erano il risultato di un’analisi attenta sulle due lingue, quella latina e quella italiana, in modo che il risultato rispettasse l’armonia e la natura di quest’ultima pur mantenendo il modello classico. La sperimentazione metrica dei suoi componimenti comportò l’interessamento dell’Abate Cesarotti e dell’avvocato pisano Giovanni Maria Lampredi, con i quali intrattenne scambi epistolari finalizzati ad elogi e suggerimenti per la sua poetica.

Il successo ottenuto grazie al tempo trascorso nell’otium venne turbato da un episodio autobiografico che suscitò nuovamente l’ira paterna: il poeta ebbe una relazione con Caterina Mancini, una serva di casa che, dopo essere rimasta incinta, compì l’infanticidio e venne condannata al carcere a vita.15 Il peso del soggiorno a Fivizzano, connotato dai pettegolezzi, assieme al successo riscosso dalla sua prima opera edita, portarono il poeta a pubblicare nuovamente le sue odi ampliate di

14 Ceschi Duino, Op. cit. 1995, p. 43. 15

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13 componimenti (1784): questa edizione gli valse l’iscrizione alla Reale Accademia Fiorentina il 17 marzo 1785.

3. La città Partenopea e Roma (1785-1789)

L’occasione della visita in Toscana dei reali del regno delle Due Sicilie rappresentò per Fantoni la possibilità di lasciare il proprio paese, così compose cinque odi in cui, oltre ad ossequiare i regnanti, chiese alla Regina di poter soggiornare nei luoghi dove era nato Orazio, domandandole di poter andare a Napoli al suo seguito:

A te non chieggio ambiziosi onori, onde poggiare a perigliosa altezza,

non quei, che il volgo avidamente apprezza, vani tesori.

Poco mi basta: di maggior fortuna

Vada altri in traccia: assai per me sarebbe Un fertil campo, un picciol tetto ov’ebbe Flacco la cuna.

Con pochi amici, a parca mensa, in pace Vivrò contento fra discrete voglie, né del mio albergo varcherà le soglie cura mordace.

Farò che sappia l’abissino adusto E quei che preme la gelata spiaggia, c’hai il cuor di Tito, la virtù, la saggia

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14 mente d’Augusto.16

Il 20 settembre 1785 partì per la città partenopea il cui ambiente culturale, molto diverso da quello a cui era abituato, destò in lui grandi aspettative. Napoli nel XVIII secolo fu il centro più importante per la massoneria italiana grazie anche alla presenza di varie reti solidaristiche.17 L’affermazione del partito asburgico, riunito attorno alla figura di Maria Carolina, celebrata come protettrice dei massoni, aveva permesso agli intellettuali illuministi di avanzare idee rivoluzionarie: l’esaltazione delle virtù e del merito rappresentavano il tramonto per i diritti di sangue, i privilegi feudali e l’ereditarietà. In questo clima il poeta ritrovò quei valori che lo avevano spinto ad avere fiducia nei sovrani e venne accolto dai letterati e dai più colti signori di quella città.

Il nipote Agostino ricorda che strinse amicizia soprattutto con il Duca di Belforte, nella cui casa si radunava la colta società: il Principe di Mortara, Gaetano Filangieri, Cotugno, Mario Pagano, Cirillo, Vespasiano, Melchiorre Delfico e Ranieri Calzabigi. Questi erano uomini di cultura che avevano ereditato gli ideali illuministici di Giannone, amanti della poesia e della giustizia e che professavano la libertà di pensiero. Labindo, che aspirava alla concezione epicurea di ozio letterario, trovò in quest’ambiente tutte le condizioni favorevoli per un risveglio intellettuale, compose diverse odi e perfezionò la sua lirica grazie all’amicizia dell’abate Vincenzo Corazza. I nomi citati sono quelli di spicco per l’ambiente aristocratico napoletano, ma a questi vanno aggiunti anche Vittorio Alfieri, Alberto Fortis, Ippolito Pindemonte,

16

Fantoni Giovanni, Op. cit. 1913, p. 39 e p.41. Sul solito tema della captatio benevolentiae verso la sovrana del Regno delle due Sicilie cfr. la lettera n.61 in Melo Paola,Op. cit. 1992, p.121.

17

Farinella Calogero, Massoneria e letteratura dai Lumi a Napoleone in Atlante letterario italiano, Torino, Einaudi 2011, vol.II, pp. 817- 30.

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15 Aurelio de’ Giorgi Bertola e Rezzonico che vissero per un periodo nella città Partenopea lasciandovi un’incisiva testimonianza. Il soggiorno napoletano rappresentò per Fantoni una ricca occasione di crescita e venne allietato dalla relazione amorosa con Giuseppina Grapff, camerista di Maria Carolina, che sperò di diventare la sua compagna; tuttavia il distacco avvenne nel 1787 quando lei fu costretta a tornare a Vienna per motivi di salute e dove si spense quattro anni dopo.18 Ai primi del mese di maggio Labindo si spostò a Roma, incentivato dalle speranze che su di lui avevano riposto gli amici napoletani, e venne accolto ancora una volta da padre Luigi Goddard con cui trascorse del tempo. Iniziò a comporre un poema georgico che poi rimase incompiuto e che avrebbe dedicato a papa Pio VI e diverse odi che vennero accolte con plauso tra gli intellettuali: l’Arcadia lo ritenne gran poeta e prosatore grazie alla favola di Psiche e ad un’altra intitolata Il Genio che recitò durante un’adunanza di accademici.

Roma a fine Settecento rappresentava un polo d’attrazione per gli intellettuali, infatti nonostante il papa Braschi avesse condannato la cultura dei lumi, si fece promotore culturale e divenne un mecenate con l’intento di riportare la città agli antichi splendori.19 La sede pontificia, forte del suo cosmopolitismo, godeva di una fitta rete di luoghi immuni ai controlli censori, e proprio per questo la massoneria aveva un’ampia libertà d’azione.

Durante il soggiorno romano Fantoni mantenne il contatto epistolare con gli amici napoletani, in particolar modo con il Duca di Belforte e il Calzabigi, ma alla vigilia della Rivoluzione Francese fece ritorno in patria, a Fivizzano: l’esperienza

18 Cfr. carteggio Fantoni-Grapff in Melo Paola, Op.cit.1992. 19

Cfr. Formica Marina, I luoghi della cultura nella Roma di Pio VI in Atlante letterario italiano, Torino, Einaudi 2011, vol.II., pp. 778- 81.

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16 napoletana e quella romana avevano distolto definitivamente il poeta dalla possibilità di condurre una vita cortigiana.

4. L’impegno politico (1790 -1800)

Ritornare a Fivizzano significò trascorrere il proprio tempo studiando, ancora una volta il soggiorno tra le mura domestiche fu connotato da un’intensa attività letteraria. Progettò una nuova edizione delle sue odi, per la quale sollecitò il tipografo Bodoni inviandogli lettere precise e dettagliate sulla stampa delle sue poesie.20 Tuttavia l’edizione avvenne soltanto nel 1801, ridotta rispetto al disegno originale, a causa di remore nutrite da Bodoni su taluni componimenti ritenuti troppo licenziosi.

In questi anni Fantoni coltivò l’interesse critico e filologico per la produzione di alcuni suoi contemporanei e conversò per lettera con gli amici, scambiandosi impressioni, giudizi, correzioni e riflessioni di carattere letterario. La sua attenzione si rivolse soprattutto a due importanti traduzioni: quella dell’Iliade di Melchiorre Cesarotti e quella dell’Eneide di Clemente Bondi. Al primo riconobbe il merito di aver introdotto nella tradizione italiana una nuova sensibilità poetica, acquisita dalla traduzione dell’Ossian, il cui lessico influenzò la versione omerica,21

mentre commentò da un punto di vista lessicale alcuni passi del Bondi: aveva a cuore che la traduzione conservasse l’intenzionalità e la sensibilità virgiliane, nonostante alcune piccole correzioni che avrebbe apportato, la ritenne degna di gloria.22

20 Cfr. Melo Paola, Op.cit.1992 , lettere n° 128, n° 151, n° 162, n° 163, n° 168, n° 170, n° 172, n° 185. 21 Ivi, lettere n° 166, n° 171.

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17 L’interesse del poeta per queste opere testimonia il suo coinvolgimento nelle questioni letterarie del tempo: alla fine del Settecento furono determinanti le traduzioni di opere straniere, in quanto arricchirono la tradizione poetica italiana di nuove sensibilità. La partecipazione di Fantoni al dibattito letterario fa emergere la stima riposta in lui dagli intellettuali e la sua piena adesione al clima culturale contemporaneo. Tuttavia, pur godendo dell’affetto e dell’approvazione di uomini illustri, non fu esente da critiche e, nella lettera a Francesco Maria Zipoli, lasciandosi andare ad uno sfogo, scrisse:

[…] questo prova a mio credere che non mancano nella sua patria nemici a Labindo, e che il premio delle fatiche letterarie sono sempre l’invidia e le contrarietà. Io però mi sono messo in capo di disarmare l’invidia con la delicatezza e la docilità, e di avvilire gli invidiosi con rendere le mie opere più limate e finite. Se alcuni fra i miei compatriotti credono di abbattermi, s’ingannano; più mi contrarieranno, e mi spezzeranno, più io cercherò di fare il possibile per non temere il confronto.23

La determinazione del poeta è accresciuta dall’affetto a lui dimostrato non solo da Zipoli, ma anche da Cesarotti e da Alfieri. Il nipote Agostino raccolse le lettere che questi scrissero a Fantoni, come testimonianza dell’ammirazione che essi nutrivano per lo zio.

In questi anni l’intensa attività letteraria venne affiancata dall’attenzione per la realtà storica, che lo portò a sviluppare idee rivoluzionarie. Nel 1795, dopo la morte del padre, ebbe nuovi dissapori con i fratelli per questioni legate al patrimonio ereditato e decise perciò di abbandonare Fivizzano. Attirato dai fermenti politici si spostò nei vari punti nevralgici della penisola facendosi promotore di azioni giacobine e

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18 pubblicò una traduzione italiana dell’Inno all’Esser Supremo di Joseph-Marie Chénier, che spedì, insieme ad una lettera, all’abate Luigi Cagnoli. In questa epistola del 4 luglio 1796 Fantoni palesò la sua adesione al giacobinismo come risposta cosciente agli avvenimenti politici in corso:

non sono contento delle ultime misure prese a Milano, né di molti altri passi, che possono influire sul futuro destino d’Italia. Buonaparte con una lettera all’astrononomo Oriani invita tutti a venire nel milanese, e o se più lor piace a passare in Francia. Quest’ultima offerta mi fa temere della felicità della nostra penisola , poiché sarebbe ben irragionevole chiamare in altro paese coloro che potessero sperare di essere felici nel proprio. Pare, da quanto succede, che i francesi non siano peranco degni della democrazia, e che ne stimino gli italiani meno degni di loro.

Tutta la lettera è condotta come un’attenta analisi della realtà, ma si conclude con la speranza di poter risollevare le sorti della penisola:

se sapremo profittare della facoltà di parlare e di scrivere, potremo sperare di risorgere fra non molto. La progressione delle cose, se non avremo la maniera e la viltà di arrestarla, è favorevole al desiderio dei buoni.24

Nel maggio 1796 Fantoni andò a Reggio Emilia per partecipare ai primi moti rivoluzionari contro gli antichi sovrani in nome della libertà e, dopo un breve soggiorno in altre località emiliane (Carpi, Modena, Sassuolo e Bologna) ritornò a Reggio, dove divenne promotore di un’azione politico-militare: spinse una colonna franco-reggiana a combattere contro un gruppo di austriaci che fu costretto ad arrendersi a Montechiarugolo, nelle vicinanze della città. L’impresa, maturata dalla

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19 frequentazione dei clubs e del Caffè di S. Prospero, nei quali Fantoni aveva stretto amicizia con altri patrioti come Giacomo Lamberti, Agostino Paradisi, Antonio Re, fu la conferma della ribellione giacobina che aveva provocato la proclamazione della Repubblica di Reggio e fu la prima battaglia armata tra un corpo militare italiano e un esercito straniero, combattuta per l’indipendenza.25

A Modena si formò una Società di pubblica istruzione della quale Fantoni divenne grande animatore, e molti dei suoi discorsi, rivolti soprattutto ai giovani con l’intento di destare le loro coscienze, vennero pubblicati sul «Giornale repubblicano». Il 27 settembre 1796 partecipò al concorso indetto dal governo di Lombardia sul tema Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia; nella sua dissertazione incitò i ‹‹coltivatori di lettere›› ad alzare la voce per offrire alla patria i lumi e i talenti:

Il nostro primo dovere, nelle fortunate circostanze in cui ci troviamo, è quello di aprire agli ingegni italiani una vasta carriera, in cui trattando i grandi interessi della intiera nazione, rendano famigliari al popolo gli eterni principi della libertà ed eguaglianza, gli facciano conoscere l’estensione de’ suoi diritti, la facoltà di rivendicarli; e gli possano ad un tempo indicare gli scogli in cui può inciampare chi passa dal servaggio alla libertà.26

Auspicò per l’Italia la formazione di due repubbliche fondate sui principi della democrazia, una settentrionale e una meridionale, da unificarsi successivamente. Nel 1797 a Modena costituì il ‹‹Battaglione della speranza››, uno dei quattro corpi armati formato da ragazzi, per il quale compose l’inno Ora siam piccoli ma cresceremo.

25 Ivi, lettera n° 199.

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20 La sua eloquenza sincera e diretta nei confronti della realtà storica gli costò l’arresto a Torino e dopo qualche mese, il 3 maggio 1799, venne esiliato a Grenoble, dove le sue poesie gli guadagnarono l’onore di essere nominato membro del locale Liceo di Scienze ed Arti. Dopo aver partecipato all’assedio di Genova al fianco di Ugo Foscolo, tornò in Toscana, dove fu eletto professore di eloquenza all’Università di Pisa.

5. L’epilogo (1800-1807)

Onorato della cattedra pisana, decise di non insegnare il greco, poiché i suoi studi erano stati incentrati sui classici latini; secondo il nipote, pur non preparando le lezioni, ammaliò gli studenti con la sua eloquenza tanto da attorniarsi anche di semplici uditori. Tuttavia, quando il governo della Toscana passò ai Borboni, Fantoni venne privato della cattedra universitaria e, deluso, si ritirò a Massa. Il 15 luglio 1801 l’Accademia delle Scienze di Torino lo ascrisse tra i suoi soci corrispondenti; la notizia lo lusingò ed egli rispose con una lettera indirizzata al segretario dell’accademia Vincenzo Marenco:

Nel pregarvi di avanzarle i miei ringraziamenti per avermi sì onorevolmente distinto fra tanti italiani che più di me meritano la di Lei propensione, v’incarico di assicurarla, che mi darò premura di comunicarle tutto ciò che i miei pochi talenti potranno credere capace di onorare l’Italia, e renderla interessante nei fasti delle Nazioni civilizzate. Ritirandosi ora da questa Università di Pisa, ov’ero professore d’eloquenza, ed avendo fissato di darmi interamente, quando non lo contrastino le circostanze, ad una vita più tranquilla , e più

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21 confacente alle geniali mie occupazioni, potrò più facilmente dar l’ultima mano a molti lavori interrotti, e dirò così, salvati dal naufragio, in cui ho perduti molti miei scritti.27

In queste righe vengono esplicitate le intenzioni del poeta, che avrebbe voluto dedicare il suo tempo nuovamente agli studi e alla letteratura: avrebbe affinato le poesie già edite e cercato di concludere i lavori «interrotti salvati al naufragio». Con questa espressione alludeva all’episodio accaduto durante un viaggio che aveva intrapreso per recarsi a Firenze, in cui gli era stato rubato dalla carrozza il baule contenente molti dei suoi scritti.28 Nonostante la volontà di trascorrere il tempo nell’otium, venne nominato segretario perpetuo dell’Accademia di Belle Arti di Massa e Carrara, sorta nel 1769 per volere della principessa Maria Teresa, ultima della dinastia Cybo e moglie di Ercole Rinaldo III, duca di Modena. Il 30 marzo 1806 Napoleone con un decreto staccò Massa e Carrara dal Regno d’Italia per unirle a Lucca e Piombino con le quali formarono un piccolo Principato, governato dalla sorella Elisa Bonaparte. Quest’ultima, dopo essersi informata sulla personalità discussa di Fantoni, gli chiese di promuovere un progetto culturale tale da accrescere la fama e il lustro del territorio; l’impegno perseguito dal poeta fu notevole, tanto che rinunciò al suo stipendio per istituire una cattedra di mitologia, e risollevò le sorti dell’Accademia facendola diventare un’istituzione internazionale: vi aderirono Canova, David, Camuccini, Morghen e molti artisti toscani si recarono in America per insegnare l’arte italiana.

27 Cfr. Melo Paola, Op. cit.1992, p.363.

28 Il nipote Agostino nelle Memorie riporta l’elenco di tutte le opere incompiute: l’ Epodon ad imitazione d’Orazio, il Poema Georgico, il Poema Lirico ad imitazione di Geremia e della Sacra Scrittura; inoltre avrebbe voluto perfezionare le sue Odi e le sue Epistole eguagliandole per numero a quelle di Orazio. Cfr. A.Fantoni, Op.cit.1823, pp. 310 e ss.

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22 Nonostante la fiducia riposta in Napoleone, deluso dalla politica il poeta decise di ritirarsi in solitudine in campagna e accolse benevolmente l’invito di Antonio Lei, un amico di Modena, che gli offrì di soggiornare in una villa a Corticella, presso la città emiliana; la corrispondenza epistolare tra i due ritrae Fantoni come attento e scrupoloso nei confronti dell’amico rimasto vedovo e con un figlio.

Durante il viaggio verso l’Emilia Romagna venne colto da un malore e fu costretto a fermarsi a Fivizzano dove, nonostante le cure amorevoli dei familiari, si spense il 7 novembre 1807. L’ultimo desiderio da lui espresso fu quello di poter vedere il nipote Agostino, molto amato, al quale affidò la raccolta di tutti i suoi manoscritti.

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23 II

La complessità editoriale delle opere

Questo lavoro non è uno studio filologico sui testi di Giovanni Fantoni, tuttavia è necessario individuare un’edizione di riferimento per l’analisi di alcune poesie. Operare una scelta implica considerare il fatto che le odi sono state tramandate da un ampio numero di edizioni: tredici quelle stampate in vita e quattordici quelle postume. Non è facile stabilire, senza un’attenta osservazione dei testimoni, quale sia quella più vicina alla volontà dell’autore; di conseguenza i criteri con cui si cercherà di decidere terranno conto delle informazioni storico-biografiche giunte fino ai noi. Nelle Memorie istoriche Agostino Fantoni asserisce che lo zio gli chiese di raccogliere e ordinare tutti i suoi manoscritti; la pubblicazione «Italia» del 1823 realizza questo desiderio, in quanto è l’edizione integrale postuma di tutte le opere del poeta. I tre volumi di cui è composta raccolgono quattro libri di odi, osservazioni sui metri oraziani, idilli, poemetti, scherzi, epitalami, sonetti, piani e abbozzi, frammenti del poema georgico rimasto incompiuto, prose letterarie (lezioni e discorsi) e la biografia accurata e dettagliata in cui vengono collocati cronologicamente anche i singoli componimenti. Tale edizione, sia perché integrale sia perché curata dal nipote, offre informazioni importanti che riguardano il metodo di studio e la vita di Labindo e sono una guida per l’interpretazione delle sue poesie. Le pubblicazioni successive sono ridotte e finalizzate allo studio scolastico o alla raccolta antologica; l’unica edizione critica è quella curata da Gerolamo Lazzeri per la collana «Scrittori d’Italia» e stampata nel 1913. Tuttavia il curatore dichiarò di fare riferimento soltanto alle edizioni più importanti, nello specifico quelle del 1782, del 1784, del 1785, del 1792 e del 1800. Il Lazzeri si trovò a dover affrontare la questione del raggruppamento dei vari componimenti e quella della loro datazione: le

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24 scelte operate tennero conto del disegno di edizione (che poi non ebbe luogo) ideato da Fantoni stesso nel 1800 e delle considerazioni fatte prima dal nipote Agostino, poi da Giosuè Carducci nella raccolta I Lirici del secolo XVIII.1 Nonostante l’impegno perseguito dal Lazzeri nel cercare di fare chiarezza sulle poesie di Labindo, manca un’opera critica che raccolga l’intera produzione. Come già premesso, è difficile rendere lineare una storia editoriale così ricca e arbitraria, dato che le stesse pubblicazioni in vita non sono semplici ristampe della medesima raccolta, ma si presentano come versioni accresciute e corrette. Un’altra considerazione da fare è che l’arco temporale che intercorre dalla prima edizione del 1782 all’ultima in vita del 1803 è ampio e connotato da eventi storici epocali che videro coinvolto l’autore; la grande fioritura editoriale delle sue poesie è spiegabile anche alla luce del suo impegno politico, il cui prestigio e la cui fama risuonavano negli ambienti culturali contemporanei.

Dopo aver cercato di descrivere la complessità delle edizioni delle odi fantoniane, con la consapevolezza di non avere né l’intenzione né gli strumenti per poter avanzare ipotesi esaustive sulla questione, in questo lavoro si circoscriverà l’analisi delle poesie ai primi anni della sua produzione. La scelta di concentrare l’attenzione sulle prime stampe è motivata anche dall’interesse verso la poetica dell’autore incentrata sull’imitazione classica e influenzata dalla sensibilità preromantica. A fronte di quanto detto, si propone la descrizione delle edizioni del 1782, 1785 e 1792 poiché la loro tradizione costituisce, in mancanza di una ricostruzione filologica complessiva della storia editoriale, la testimonianza sicura dell’evoluzione nella prima poetica di Fantoni.

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25 1. Il disegno editoriale del 1782

Sono giunte fino ai nostri giorni quattro lettere che Fantoni scrisse esplicitamente al «Signor Tommaso» che lavorava per Francesco Bonsignori, libraio di Lucca presso cui il poeta aveva già stampato l’Elogio funebre per l’imperatrice Maria Teresa d’Austria e il componimento in onore del marchese Pinello Salvago. La corrispondenza tra i due testimonia un progetto editoriale di Labindo; non tutte le epistole sono datate, ma l’affinità dell’argomento induce a collocarle nell’estate del 1782, periodo esplicitato in alcune di queste. Per capire il progetto ideato dall’autore e comprendere il motivo della mancata edizione lucchese, è necessario porre l’attenzione sulle lettere citate; qui di seguito è riportata quella in cui Fantoni fa riferimento all’ideazione dell’opera:

Illustrissimo Signore, Signore Colendissimo, l’incontro di quell’ode che l’amicizia mi ha fatto consacrare al marchese Pinello, mi incorragisce a comunicarle una mia intenzione circa alcuni scritti, che per aderire alle premure de’ miei amici penso di dare alla luce. Consistono questi in vari idillj, ciascheduno dei quali è preceduto da un invio filosofico adattato al soggetto ed al gusto del secolo, approvati dall’amichevole voto di Gesner, che nel mio viaggio nei svizzeri mi consigliò sul proprio modello a dipingere la primitiva natura; in diverse anacreontiche esaminate e protette dal conte Savioli, di cui ometto di stamparle il consiglio; in cinque Notti consacrate al dolore; in alcune odi oraziane del calibro dell’ultima impressa ed in varie operette in prosa scritte più dal core che dallo spirito, che stimo il peggior nemico imbellettato che possano avere le lettere. Prima di intavolare trattato alcuno con gli stampatori Cambiagi e Allegrino di Firenze, da cui alte volte ne sono stato richiesto, per parzialità che ho per codesta stamperia le offro le dette opere null’altro pretendendo dal Bonsignori che un numero di copie sufficienti a contenere le brame di qualche amico,

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26 essendo troppo giusto che ne ritragga egli il vantaggio, quando ne soffra la spesa. Desidero pronta risposta per mia regola e per contrarre, se non è costà possibile, con gli anzidetti altro impegno. […] 2

Nelle righe scritte è esposto il disegno editoriale pensato dall’autore ma, nonostante l’anno sia lo stesso, non corrisponde alla prima stampa del 1782: la presenza degli idilli accompagnati da «un invio filosofico» fa pensare piuttosto all’edizione Poesie varie e prose di Labindo del 1785 dove, come esplicitato nel titolo, oltre alle poesie si trova la prosa inerente il soggetto e l’occasione della composizione. E’ possibile che Fantoni alludesse a questa pubblicazione anche se non corrisponde il numero delle Notti; non ci sono testimonianze certe neppure sugli incontri con Gesner o Savioli. Probabilmente le affermazioni del Fantoni servono ad acquisire maggiore credito agli occhi dello stampatore Bonsignori e la citazione di due importanti contemporanei rappresenterebbe una sorta di garanzia per l’autore. Per giustificare invece la mancata edizione, bisogna seguire l’evoluzione della corrispondenza tra Fantoni e il signor Tommaso. La minuta è affine ad un’altra datata 15 agosto 1782; in tale lettera si legge:

Ho speranza che nulla v’incontrerà difficoltà per l’approvazione, ma qualora ciò succedesse, la prego farmelo sapere prontamente, essendo mio fermo proposito il non cangiare nemmeno una sola parola. Le raccomando perciò in buona carta e nitidi caratteri una scrupolosa correzione a norma dell’originale, il che tutto spero dalla di Lei cortesia ed attenta amicizia. […] 3

2 Melo Paola, op.cit. 1992, p.89. 3 Ivi , p. 91.

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27 I timori manifestati al signor Tommaso si concretizzano e il poeta si trova ad essere ostacolato dal Censore Ecclesiastico di Lucca perché alcuni suoi componimenti sono considerati troppo licenziosi:

Gentilissimo Signore Tommaso amico e padrone stimatissimo, quanto riconosco di essere obbligato a lei e poi allo stampatore Bonsignori per la premura che si darebbero in stampare con la maggior eleganza il trasmessole manoscritto, altrettanto resto sorpreso delle difficoltà adottate da cotesto Censore Ecclesiastico. Non mi sarei mai creduto di ritrovare costà a mio riguardo nella quasi comune libertà delle stampe , un rigorismo non sostenuto in altre occasioni , che voglio brevemente accennare.[…] 4

Fantoni prosegue l’epistola con l’esemplificazione di alcuni autori, tra i quali Ariosto e Tasso, i cui versi non apparivano, secondo lui, meno licenziosi dei suoi. Non è chiaro a quale stampa faccia riferimento il disegno editoriale che emerge dalla corrispondenza, ma tenendo conto di alcune considerazioni presenti anche in questa lettera è da escludere che si riferisca alla prima edizione del 1782. Il poeta, per contestare l’affermazione del censore, secondo il quale nelle poesie si intravede «un epicureismo, che quanto più è gentile e insinuante, tanto più è pericoloso», fa riferimento anche agli Idilli e alle Notti, componimenti non presenti nel primo libriccino pubblicato. Probabilmente, accettando la datazione che circoscrive la corrispondenza al 1782, il progetto condiviso con il libraio lucchese riguarda un’edizione successiva stampata altrove per le difficoltà con la censura; il disegno così articolato e composito, con qualche lieve modifica, potrebbe davvero corrispondere alla citata pubblicazione Poesie varie e prose di Labindo del 1785.

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28 2. Odi di Labindo

La prima edizione delle odi di Labindo viene pubblicata nel 1782; volutamente non sono dichiarati né il luogo né la stamperia e anche il nome dell’autore è celato dallo pseudonimo, decisioni che rivelano la preoccupazione di Fantoni per il giudizio del pubblico. Infatti se avesse esplicitato per quali tipi era stata edita la sua opera, facilmente la critica avrebbe potuto risalire all’autore; così facendo, invece, l’unica indicazione rimaneva quella del nome arcadico, noto solo alla ristretta cerchia degli accademici. Il successo riscontrato con la pubblicazione dell’Elogio funebre per l’imperatrice Maria Teresa d’Austria e dell’ode Al merito dedicata a Pinello Salvago spinse il poeta a dare un saggio più completo della sua produzione, anche se il timore di non essere apprezzato lo indusse a pubblicare nell’anonimato.

Il libriccino è intitolato Odi di Labindo e figura di essere stampato «a bordo del Formidabile con permesso dell’ammiraglio Rodney»; la finzione serve a celebrare il successo riportato dalla flotta inglese nelle Indie Occidentali il 12 aprile 1782. Sul frontespizio si legge la dedica a Caterina II, Imperatrice delle Russie ed Autocratrice:

All’erede immortale di Pietro il Grande adorata da i popoli, temuta da i nemici, rispettata dall’Universo, io consacro dell’Odi. Degnatele di quella protezione che accordate alle Scienze ed all’Arti. Se ne meriteranno i benefici influssi, oseranno di cantare un giorno i vostri Trionfi. Mi glorio intanto con la più profonda venerazione di aver l’onore di essere di Vostra Maestà.

L’edizione comprende dodici poesie di argomento vario ma tutte di metro oraziano; Fantoni prima di ogni componimento riporta l’ode del poeta latino da cui ha ricalcato la metrica, l’opera del Venosino, infatti, rimane un modello imprescindibile per

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29 questa produzione; ad esplicitare tale predilezione è la citazione in lingua dall’Ode XXX del libro III di Orazio, usata come sottotitolo della stampa: «Dicar…Aeolium carmen ad Italos deduxisse modos».

Il libriccino di Odi, una volta edito, attirò l’attenzione della critica; una recensione apparve sulle «Novelle letterarie» di Firenze il 14 marzo 1783: l’attenzione era rivolta alle innovazioni metriche introdotte da Fantoni, a cui veniva attribuita la volontà di «trasportare dal Lazio, come il Venosino fece già dalla Grecia, la misura de’ suoi versi e del loro intercalare». Il giornalista avanzava inoltre delle ipotesi circa il luogo della stampa delle odi fantoniane che egli credeva poter essere Genova o Massa. Labindo, con una lettera personale indirizzata ad Antonio Bonajuti, il novellista letterario che aveva recensito la sua edizione, smentì la critica che lo accusava di aver variato la maniera di verseggiare con l’imitazione dei metri oraziani, riportando alcuni esempi affini di autori contemporanei. L’interesse per la questione metrica era inserito all’interno di un dibattito sul poetare degli italiani che aveva avuto inizio con la pubblicazione anonima della Tavola d’armoniosi versi italiani, edita a Roma per i torchi del Salomoni e recensito severamente dalle «Novelle letterarie». Più che le argomentazioni con cui Fantoni rispose al Bonajuti, spiegando la tecnica da lui seguita nel trasporre i metri classici nella lirica italiana, è interessante notare che nella medesima lettera il poeta dichiara che la prima edizione delle sue Odi è stata pubblicata a Massa per i tipi di Stefano Frediani, svelando il mistero del luogo di impressione della stampa.5

5 Sulla critica avanzata dalle «Novelle letterarie» cfr. Sforza Giovanni, op.cit.1907, pp.318-21; la lettera scritta al Bonajuti si trova in Melo Paola, op.cit.1992, pp. 105- 06.

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30 3. Ristampe edizione 1782

Nel 1783 il libriccino di Odi viene ristampato, ma la dedica all’Imperatrice Caterina II viene sostituita con quella all’ammiraglio Rodney per sottolineare maggiormente il suo successo navale:

Millord Rodney, i vostri trionfi hanno meritata l’attenzione dell’universo ed io nel filosofico ritiro in cui vivo da quasi un lustro, ho riscosso la cetra per celebrarli; l’edizione delle Odi che vi presento non è certamente degna di voi, ma corrisponde alla mediocrità delle mie circostanze. Non valutate che l’espressioni; elleno non possono comperarsi come i caratteri, sono figlie dell’entusiasmo di un cuore, che le gloriose azioni delle passate vostre campagne hanno reso inglese. Riconoscetemi dunque per vostro concittadino, e profittate con quell’impero che hanno le anime grandi sopra i cuori sensibili di chi ammirandovi colla più profonda venerazione si pregia di essere di voi Millord. Devotissimo servitore.6

La seconda ristampa delle Odi è del 1784; la raccolta viene riprodotta fedelmente a Firenze per i tipi di Vincenzo Landi. E’ riproposta la dedica originaria per Caterina II, l’unica differenza consiste nell’aggiunta di una lettera iniziale, scritta dall’editore, per esaltare le doti poetiche di Labindo e giustificare la riedizione come omaggio per il poeta.7

6 La lettera è datata Fivizzano, 10 febbraio 1783 ed è riportata dal nipote Agostino nel primo volume dell’edizione Italia , 1823 (op.cit.), alle pp. 313- 14.

7 Il titolo della ristampa è lo stesso della prima edizione: Odi di Labindo (anche la citazione oraziana del sottotitolo rimane identica); la lettera indirizzata dall’editore a Fantoni è datata 5 luglio 1784 cfr. Sforza Giovanni, op.cit., 1907, p.324.

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31 4. Poesie varie e prose di Labindo: 1785

Prima di descrivere la raccolta Poesie varie e prose di Labindo, per completezza di informazioni, bisogna dire che è testimoniata la pubblicazione di un libro intitolato Scherzi di Labindo edito a Massa sotto la data di Berna 1784, ma di cui non è facile ritrovare una copia: Sforza, nell’appendice IV al suo Contributo sulla vita di G.Fantoni, lo descrive composto di 18 Scherzi e di 9 Sonetti. L’edizione successiva è quella del 1785 che non raccoglie tutti i componimenti delle precedenti, ma, come esplicitato nel titolo, sono «poesie varie» dell’autore, alcune note e altre nuove. È Fantoni stesso che opera questa selezione; non c’è, come già detto, un’evoluzione lineare nella storia editoriale dei testi, alcuni sono stati pubblicati una sola volta e altri più volte: cercando di far luce sulle prime stampe si riscontrano già queste problematiche. Il volume edito nel 1785 è più corposo rispetto ai precedenti e comprende: due libri di Odi composti ciascuno di diciassette componimenti, una Notte, dodici Idilli dedicati al cavaliere Francesco Sproni preceduti da alcune righe di prosa esplicativa e tre Sciolti. Anche in questo caso non manca il riferimento al mondo classico, infatti come sottotitolo, al posto della citazione oraziana, c’è una frase di Ovidio: «Est Deus in nobis, agitante calescimus illo». Sono omessi la data e il luogo di stampa e, a pagina tre, si legge la dedica del poeta:

Altezza, uno stile ambizioso di lodi sacro ai Mecenati del secolo non adornerà certamente questa mia breve dedicatoria. Per tesservi un elogio io mi contento di nominarvi. Né vi defrauderò di quegli encomj che meritate: il mondo parlerà mentre io taccio. Voi già conoscete il linguaggio: nacque dai sentimenti che inspirarono i vostri benefizi. Quanto sia questo eloquente riconoscetelo dalla seguente iscrizione: A GIORGIO LORD NASSAU CLAWERING PRINCIPE DI COWPER LA GRATITUDINE DI LABINDO.

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32 5. Le edizioni 1792 e 1797

Nel 1792 a Livorno per i tipi di Carlo Giorgi escono le Poesie di Labindo, nuova edizione corretta ed accresciuta; la raccolta contiene le poesie pubblicate nel 1785 ed altre inedite. Sforza riporta la testimonianza di Giovanni Rosini, secondo il quale la stampa fu diretta dall’autore. Il volume apre con un avviso del tipografo ai lettori:8

Il pubblico desiderio delle poesie di Labindo troppo rare, perché da tutti richieste, m’incoraggisce a farne una nuova più copiosa edizione in tempi, in cui l’Italia addita in Ferdinando Terzo un principe colto, Protettore delle scienze e dell’Arti. Accettate questa mia fatica, come un pegno dell’affetto, che ho per la Gloria del nome Toscano e per Voi, e vivete felici.

L’edizione è composita e presenta due libri di Odi contenenti il primo venti e il secondo ventidue componimenti; una sezione intitolata sempre Odi, costituita da sette nuove poesie; tre Notti, tredici Idilli e cinque Sciolti. Ognuna di queste parti è anticipata da una citazione specifica con valore connotativo per i versi a cui si riferisce; l’autore ne ha pensata una differente per tutte le sezioni del volume. Le Odi sono introdotte da un verso oraziano, ai primi due libri si riferisce «Libera per vacuum posui vestigia», mentre alla sequenza successiva «At ne me foliis ideo brevioribus ornes, quod tinui mutare modo set carminis artem»; entrambe sono prese dal XIX componimento del I libro degli Epodi. Le Notti e gli Idilli , invece, sono presentati da pensieri virgiliani, rispettivamente «Sic fatur lacrimans..» dal VII libro dell’ Eneide e «Me quoque dicunt Vatem pastores ; sed non ego credulus illis.» della

8 Giovanni Rosini si impegnò in una multiforme attività di editore sia con propri capitali sia in società con altri, editori, librai e privati.

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33 IX Egloga. Infine Fantoni, per introdurre gli Sciolti, ha attinto dal presunto mondo celtico usando una frase dell’Ossian nei Canti di Selma: «Gli anni…intendo l’un contro l’altro bisbigliar passando, perché canta costui?». Le citazioni che caratterizzano le diverse sezioni dell’opera sono indicative per la loro interpretazione e non è casuale la suddivisione delle poesie all’interno del volume.

La ristampa di questa «nuova edizione corretta ed accresciuta» apparve nel 1797 presso Giacomo Marsoner a Rimini; lo stampatore riprodusse fedelmente l’intera opera, compresa l’avvertenza ai lettori che è la stessa premessa da Carlo Giorgi nell’edizione di Livorno.

Dopo queste pubblicazioni, fino al 1800, si hanno solo componimenti singoli; tuttavia è testimoniato che l’autore stava preparandone un’altra. L’impegno è documentato da un manoscritto che riporta il disegno editoriale pensato da Fantoni, che tiene in considerazione, in parte, l’edizione livornese del 1792 e, in parte, quella di Berna del 1784, ma nonostante l’intenzione, questo progetto non fu mai concretizzato.9

6. Ultima edizione diretta da Fantoni: 1800

Per avere un quadro esaustivo si accenna all’edizione Le Odi di Giovanni Fantoni cognominato Labindo stampata presso Angelo Tessera «nell’ultimo anno del secolo XVIII». Fu realizzata a Genova durante l’assedio della città a cui partecipò anche Fantoni; è una raccolta di dieci poesie dedicate «a coloro il di cui cuore e le di cui mani non si contaminarono nell’ultimo decennio del secolo XVIII». L’opera si apre con un distico oraziano e con una prefazione dell’autore che fornisce indicazioni

9 Il manoscritto è quello tenuto in considerazione dall’edizione critica di Gerolamo Lazzeri (1913) ed è pubblicato sia in quel volume alle pp. 463-65, sia in Sforza, op.cit.1907, pp. 345-47.

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34 circa le sue intenzioni: nelle tre pagine rivolte «agli amici della lirica poesia» spiega che avrebbe voluto stampare dei fascicoletti contenenti ciascuno una decuria di odi di un genere differente; l’ultimo di questi avrebbe contenuto anche una lettera a Melchiorre Cesarotti, dove avrebbe esplicitato il metodo da lui perseguito per comporre poesie, mettendo in evidenza errori e possibili miglioramenti per i lirici italiani. Un altro aspetto curato da Fantoni in questa edizione è l’indice, nel quale dà ragione del metro utilizzato e fornisce una doppia datazione, l’una per indicare il tempo in cui è stata composta l’ode, l’altra per denotare l’anno in cui l’autore ha apportato modifiche. L’intenzione del poeta era quella di fare chiarezza e fornire un’edizione corretta, strettamente sorvegliata da lui e che ovviasse alla stampa di alcuni componimenti non abbastanza «assoggettati alla sua lima». Tuttavia il progetto delle decurie non fu realizzato: l’unica testimonianza superstite sono le odi edite a Genova per i tipi del Tessera.10

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Dalla descrizione delle principali edizioni risulta palese l’irregolarità che ha determinato la scelta di fare riferimento, per uno sguardo sulla prima poetica di Fantoni, alle lezioni del 1782, 1785 e 1792, tenendo in considerazione anche quella del Lazzeri. Il periodo successivo alla rivoluzione francese è per il poeta il momento dell’impegno politico e la sua lirica riflette questo percorso di formazione; sappiamo infatti che egli stesso in età adulta avrebbe voluto ritoccare alcuni componimenti giovanili perché ritenuti troppo licenziosi per ispirare la virtù, ma non avrebbe mai

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35 bandito dalle sue odi gli amori e le passioni sorte da «un cuore sensibile», né avrebbe contrastato «il gusto della Nazione e del secolo in cui visse».11

11 Cfr. Giovanni Fantoni, Opere, Lugano, 1823, p. 32. Questa è una ristampa in due tomi dell’edizione integrale delle opere del poeta curata dal nipote Agostino (op. cit., Italia 1823).

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36 III

Poesie varie di Labindo: un’analisi da vicino

In conseguenza al carattere europeo della cultura del tempo, la letteratura italiana della seconda metà del Settecento si apre agli influssi stranieri, non per seguire una moda o per un accostamento occasionale ma come conseguenza della formazione di un nuovo ambiente culturale. Per coglierne la ricchezza è necessario evitare il rigido utilizzo di categorie classificatorie, come neoclassicismo o preromanticismo, che rischierebbero di creare una netta distinzione tra le tendenze che caratterizzano la cultura di fine secolo e che, con il loro sovrapporsi, ne costituiscono viceversa la complessa dialettica. Nonostante l’apparente varietà della produzione letteraria la poetica di fine Settecento fa convergere ciascuno dei suoi motivi per creare unità: non ci sono elementi prioritari quanto piuttosto intrinseci e correlati, perché, come in tutte le epoche di passaggio, i mutamenti non si impongono con delle fratture nette, bensì con un processo di nuova sensibilizzazione che sincretizza la tradizione e le innovazioni che la nuova epoca porta con sé.

Il profilo poetico di Fantoni, dunque, non può essere considerato monocorde poiché non sarebbe realistico; allo stesso tempo, nel dare voce alla complessità del momento, il poeta sceglie dei modelli cui riferirsi, e questi sono determinanti nella creazione della sua poetica. Anche se esistono la ricca testimonianza del nipote e alcuni saggi sul Settecento in cui compare il nome di Fantoni sia tra i Neoclassici che tra i Preromantici, è necessario restituire alla sua poesia il giusto valore con un’analisi non approssimativa. Per fare questo, è importante partire dal testo scritto, poiché esso non è solo il risultato delle scelte dell’autore, ma è anche il mezzo con cui capire bene il contesto culturale entro cui Labindo dava voce alla sua lira; non è composto solo dalle singole poesie, poiché l’autore, per far meglio accogliere l’

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37 opera e sviluppare nel pubblico una lettura pertinente, utilizza degli elementi paratestuali che sono portatori di significato.1

Il profilo poetico di Fantoni potrà essere delineato anche a partire dall’analisi di questi dati in esergo che caratterizzano la raccolta intitolata Poesie varie di Labindo.2 Quest’edizione, curata dall’autore stesso, comprende tutte le poesie precedentemente edite e ne presenta di nuove; ha una struttura organica, poiché i componimenti sono suddivisi in sezioni, ma è nel suo insieme complessa, come si evince dal titolo: l’aggettivo «varie» dà infatti ragione di pensare ad una lirica numerosa e capace di cogliere diversi aspetti della realtà.

Fin dal frontespizio il poeta sceglie di connotare in modo esplicito la sua opera: sotto il titolo si trova l’epigrafe «Est Deus in nobis, agitante calescimus illo»; la citazione ovidiana in posizione liminare ha la funzione di preparare il lettore sul testo che andrà a leggere.3 Nonostante per la cultura del tempo fosse abbastanza scontato l’utilizzo di versi latini, la pratica della citazione posta fuori dall’opera si diffuse proprio nel corso del XVIII secolo, sostituendo l’epistola dedicatoria, che caratterizzava maggiormente le opere di pensiero piuttosto che la poesia o il romanzo. In questo caso l’epigrafe ha una funzione di consacrazione, poiché Fantoni attraverso le parole di Ovidio nobilita la sua opera e in un certo senso si prenota un posto nel Pantheon. Non può essere casuale, infatti, che il libro si apra proprio con una citazione che presenta la poesia come qualcosa di divino: la musa è nel poeta stesso che esprime la sua attitudine nella creazione artistica. Quest’affermazione

1

Per meglio comprendere la funzione del paratesto si è fatto riferimento in particolar modo a G. Genette, Soglie, Torino, Einaudi 1989.

2 Nel capitolo precedente si è cercato di delineare il panorama editoriale delle poesie di Fantoni e si è scelto di fare riferimento alle stampe del 1782, 1785 e 1792. Quanto segue in questo capitolo è da riferirsi soprattutto all’edizione Poesie varie e prose di Labindo, Livorno, 1792 curata direttamente dall’autore; qualora sia necessario verrà esplicitato il riferimento alle altre edizioni.

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