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INTUIZIONE E SISTEMA LA NOZIONE DI ANSCHAUUNG NELLO HEGEL JENESE L’intuizione non è una nozione che viene generalmente associata alla filosofia hegeliana.

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Elaborato sintetico della tesi di dottorato

INTUIZIONE E SISTEMA

LA NOZIONE DI ANSCHAUUNG NELLO HEGEL JENESE

L’intuizione non è una nozione che viene generalmente associata alla filosofia hegeliana.

Così se, ad esempio, nel paragrafo 244 dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, nel quale si conclude e culmina l’intera esposizione logica, l’idea è determinata da Hegel come idea intuente (anschauende Idee), la singolare rilevanza attribuita in tale paragrafo all’intuire non è passata inosservata, ma il motivo di tale fatto è stato più che altro che vi si è letta la chiara testimonianza del fallimento dell’idealismo di Hegel nella sua versione sistematica. Già per Schelling, in un’argomentazione critica successivamente ripresa da Feuerbach e da Marx, la pretesa intuitività dell’idea (insieme alla sua “decisione”) certificava senza dubbio una ricaduta in rappresentazioni mistiche a cui Hegel sarebbe stato condannato a causa di un pensiero chiuso in se stesso, dalle velleità panlogistiche e incapace di aprirsi al mondo.

Sebbene una simile critica sia stata a sua volta oggetto di numerose critiche e interpretazioni, essa ha tuttavia monopolizzato l’attenzione nella lettura del paragrafo citato: anche consultando velocemente la letteratura scientifica recente sul tema, non sarà difficile accorgersi di come essa sia in primo luogo intenta a difendere o a negare la tenuta logico-teorica del passaggio, piuttosto che a spiegare i motivi della comparsa dell’intuire in un momento centrale per l’architettura sistematica e a indagarne quindi il significato complessivo per la filosofia hegeliana.

Del resto, più in generale, la celebre Prefazione della Fenomenologia dello spirito, nella quale lo stesso Hegel, prendendo esplicitamente le distanze da Schelling e criticando le tendenze romantiche, squalifica con asprezza - quasi con disprezzo - il procedere intuitivo come metodo di conoscenza, non ha contribuito a far spostare l’attenzione sulla possibile valenza positiva della nozione di Anschauung all’interno del suo pensiero: al netto del riconoscimento e dello studio della sua operatività in ambiti precisi e ben delimitati, quest’ultima è piuttosto vista con sospetto1, alternativamente come un lascito schellinghiano di cui sbarazzarsi al più presto o come un modo infelice di esprimersi, che nasconde passaggi logici non del tutto trasparenti e che – nel migliore dei casi – può essere parafrasato in altri termini.

Allo stesso modo, nel momento di ricomprensione filosofica e sistematica si enfatizza in genere il ruolo della memoria – o interiorizzazione – (Erinnerung), come quel movimento capace di elaborare, riassumere, strutturare organicamente e dare forma razionale ai contenuti: l’intuizione sembra non avervi luogo. Questo avviene anche nonostante il fatto che, per restare all’Enciclopedia, la comprensione della filosofia come momento dell’identità tra soggetto e oggetto, nel quale, secondo la nota citazione aristotelica che Hegel appone a conclusione del suo sistema, il pensiero pensa se stesso, sembri completamente assimilabile, per quanto il termine sia accuratamente evitato, a una comprensione intuitiva.

In questo modo, in parte complice lo stesso Hegel, notare la rilevanza della Anschauung nella filosofia hegeliana ha spesso equivalso a criticare Hegel sulla base di una nozione tradizionale o comunque presupposta dell’intuizione, mentre veniva trascurata la possibilità che in Hegel si potesse trovare una elaborazione originale del concetto.

Così, per riportare due esempi paradigmatici, da una parte Heidegger, proprio appuntandosi sui passaggi appena menzionati e in genere sull’impostazione logica hegeliana, riconduce il filosofo di Stoccarda all’intera tradizione della filosofia occidentale per la quale verità e intuizione sarebbero inestricabilmente legate e interpreta quest’ultima come una forma di comprensione

1 Di “sospetto” e di “paura” verso l’intuizione nel pensiero filosofico contemporaneo parla A. Ferrarin, Chi ha paura

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meramente teoretica, che rende presente un oggetto2. Dall’altra, in un quadro di riferimento completamente diverso, Ernst Bloch, dopo aver messo in evidenza e valorizzato il carattere produttivo del pensiero in Hegel, ritiene che la nozione hegeliana di filosofia sia ciononostante improntata a una mistica intuitiva dell’annullamento della differenza tra soggetto e oggetto.3 La mia tesi di dottorato, al contrario, nasce, in primo luogo, dall’idea che la nozione di intuizione – la quale, al pari di molte altre categorie, pur all’interno di un medesimo orizzonte di significato, assume sensi diversi a seconda della diversa collocazione sistematica – non solo giochi un ruolo importante in momenti specifici della riflessione hegeliana (dalla temporalità naturale, alla critica di alcune posizioni del pensiero coevo, alla psicologia) ma, soprattutto, si integri con la nozione di pensiero e sia quindi necessaria per comprendere alcuni caratteri fondamentali delle nozioni di sistema e di filosofia. La comprensione di tale posizione è però possibile solo a patto di avvicinarsi alla nozione di Anschauung in Hegel a partire da Hegel stesso: egli, muovendo in particolar modo da Kant, sviluppa una elaborazione personale del concetto di intuizione, che ho cercato di ricostruire nei suoi passaggi essenziali.

A tal fine, in un certo senso in una necessaria introduzione allo studio delle posizioni hegeliane mature, la tesi si concentra sul concetto di intuizione nella produzione jenese nella quale il ruolo sistematico della Anschauung è più evidente e facilmente rintracciabile, e può quindi essere intesa in primo luogo come una preistoria della formulazione enciclopedica citata: l’auspicio è che, alla fine del percorso della ricerca, il paragrafo 244 dell’Enciclopedia e altre analoghe espressioni non appaiano – per rimanere in tema – “come un colpo di pistola”, ma possano essere comprese come il frutto di una lunga elaborazione e disvelino in pieno il loro significato.

La delimitazione dell’ambito di ricerca al periodo jenese non ha però solo una funzione propedeutica rispetto alla comprensione delle posizioni più tarde, ma consente di mettere a fuoco alcuni precisi nuclei tematici: in un percorso che muove dallo scritto sulla Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling e termina con la cosiddetta Filosofia dello spirito jenese del 1805/06 e con la Fenomenologia dello Spirito è infatti possibile rintracciare una vera e propria evoluzione della nozione di Anschauung, che si intreccia con lo sviluppo del sistema nascente.

In via preliminare, si possono identificare due significati fondamentali di intuizione: in primo luogo, in particolare nella Differenza, l’intuizione, la quale è inizialmente intuizione trascendentale, significa il movimento assoluto, autocontraddittorio e «bewusstlos» dell’unità che si differenzia – un movimento che il pensiero ordinario (da Hegel ritenuto in questo momento ancora solo riflessivo) non può attingere e che dà conto dell’apparire di soggetto e oggetto. Di tale primo significato della Anschauung mi occupo prevalentemente nel primo capitolo.

In secondo luogo, l’intuizione, in una linea che va idealmente da Spinoza a Goethe e che Hegel, confrontandosi con la filosofia kantiana e allo stesso tempo criticando Jacobi, elabora e fa propria con Fede e sapere e con i testi successivi, è invece il sapere che comprende le forme della realtà come immanentemente dotate di significato e che, specularmente, intende il principio di senso come ciò che è presente nella natura e nelle varie forme della vita umana, anziché come un principio trascendente. Nella elaborazione hegeliana, un simile sapere intuitivo è possibile solo a patto che ogni forma del reale – che sia naturale, logica o storico-spirituale – venga compresa come essenzialmente in movimento.

Con questo secondo significato, che ingloba e supera il primo, intuizione e pensiero non sono più due attività o facoltà distinte, ma vengono a integrarsi sia nella formulazione logica del

2 Faccio riferimento in particolare al corso di Logica del 1925-26. M. Heidegger, Logik. Die Frage nach der Wahrheit, a

cura di W. Biemel, V. Klostermann, Frankfurt am Main, 1976; traduzione italiana a cura di U. M. Ugazio, Logica. Il

problema della verità, Mursia, Milano, 1986.

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giudizio, sia nel momento della comprensione filosofica: all’evoluzione della nozione di intuizione sono dedicati il secondo e il terzo capitolo. Mentre il secondo capitolo, facendo riferimento al contesto di una contrapposizione tra Glauben e Anschauen che chiama in causa Goethe e Jacobi, si concentra su Fede e sapere e su quello che mi è sembrato essere il primo passo di una progressiva integrazione tra intuizione e pensiero, il terzo procede allo studio della nuova funzione dell’intuizione nel quadro della filosofia dello spirito, con una particolare attenzione al suo ruolo nel sapere assoluto: contrariamente a quanto sostenuto dalle principali letture, che tendono a contrapporle, intuizione e memoria sono per Hegel due momenti complementari del sapere filosofico.

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Nel primo capitolo, dal titolo “Intuizione e essere”, muovo in principio da un frammento giovanile hegeliano4 che riflette ed elabora tematiche hölderliniane coeve: in un primo momento, così come Hölderlin, Hegel concepisce una contrapposizione tra pensiero discorsivo e fede/intuizione, con il primo necessariamente gravato dalla partizione originaria del giudizio (Ur-theilung) e la seconda capace invece di cogliere l’unità che fonda l’orizzonte del significato e la possibilità stessa del linguaggio. Già in questa prima fase, la cui impostazione sarà via via abbandonata con il passare del tempo e con la comprensione della unità dialettica per cui l’essere è possibile solo nel giudizio, Hegel non concepisce tuttavia l’essere come una sostanza immota, come il mero fondamento, ma come processo: una posizione caratteristica che lo porterà a mettere in discussione la dicotomia tra intuizione e pensiero.

Lo scritto sulla Differenza è così analizzato alla luce della problematica appena enunciata, a cui si somma un’altra questione, anch’essa toccata dal frammento giovanile: il pensiero si struttura sempre in una attività e in un prodotto, distingue il pensiero dal pensato. Ma se l’essere è movimento e se il pensiero è attività, che cosa può dire un pensato astratto, irrimediabilmente fissato in categorie immobili?

Nella Differenza si ha una prima risposta a tali questioni, anche alla luce delle quali Hegel critica le filosofie di Kant e di Fichte: egli contrappone a queste ultime un diverso modello di sapere – il sapere trascendentale – in cui intervengono con un ruolo chiave le nozioni di intuizione trascendentale e di sistema.

Per fugare ogni possibile fraintendimento, bisogna però fare una premessa: ciò che Hegel nomina con il termine “intuizione” nella Differenza non è una facoltà, né un modo (tantomeno un modo immediato) del rapporto tra soggetto conoscente finito e assoluto inteso come oggetto infinito del conoscere: «all’intuizione non si può chiedere neppure di essere un opposto all’idea o meglio alla necessaria antinomia. L’intuizione, che è opposta all’idea, è un’esistenza limitata, proprio perché esclude l’idea»5.

Un rapporto immediato con l’idea viene piuttosto attribuito alla fede, da Hegel adesso esplicitamente contrapposta all’intuizione: «la fede non esprime il sintetico del sentimento o dell’intuizione […] ma ha mantenuto ancora la forma della separazione» 6. Non solo: si trova già qui l’accenno di una polemica contro il sapere immediato che sarà ampliata in Fede e Sapere e nella

4 Si tratta del frammento che Nohl, nella prima e ormai superata edizioni dei testi giovanili, aveva intitolato Glauben und

Sein e a cui ora è stato attribuito il numero 42 nell’edizione critica, la quale lo data al 1795-96, confutando definitivamente

l’opinione di Nohl e il pur importante studio di G. Schüler, Zur Chronologie von Hegels Jugendschriften, in «Hegel-Studien», 2, 1963, che lo avevano collocato nel periodo francofortese (1797-1800). Cfr. GW, II, 10-13 per il testo e GW, II, 634 per la datazione.

5 GW, IV, 29.

6 GW, IV, 21. Corsivo mio. É da notare che l’aggettivo “immediato” non accompagna mai l’intuizione nella Differenza e

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Prefazione alla Fenomenologia dello spirito. Hegel critica «l’immediata certezza della fede»7 e la

Schwärmerei «che trasforma in un opposto l’identità assoluta»8; con entrambe il sapere

dell’intuizione non ha evidentemente niente a che fare, rappresentando invece una strada del tutto alternativa. Intuizione e comprensione immediata dell’assoluto, intuizione e rapporto irrazionale con il vero, intuizione e fede – è bene sottolinearlo – non hanno, almeno in questo testo, niente a che fare: si tratta di comprendere allora che cosa Hegel indichi con tale termine e perché vi accosti l’aggettivo trascendentale – che ha certo una eco schellinghiana ma che Hegel sviluppa in modo autonomo9.

Mentre la riflessione è il «lato negativo» del sapere e le filosofie di Spinoza, Kant, Fichte si sono arrestate ad essa, l’intuizione trascendentale costituisce il «lato positivo», che esprime la differenziazione da sé dell’assoluto, solo implicitamente presupposta dalla riflessione – della quale colma l’unilateralità10.

La riflessione, infatti, presuppone costantemente una distinzione tra sé come attività negante e una oggettività data, ma non dà ragione di tale dicotomia. Il pensiero riflettente ha sempre un oggetto da analizzare, scomporre e suddividere a proprio piacimento: da una parte, proprio in questa assoluta capacità negativa consiste la sua libertà, dall’altra, il pensiero riflettente non è capace di spiegare né la propria comparsa né quella di ciò che nega.

Risulta così necessario introdurre una modalità di comprensione che dica le condizioni di possibilità del pensiero riflessivo.

Di questo compito si fa carico l’intuizione trascendentale: quali sono i caratteri di quello che Hegel dice «lato positivo» del sapere?

In un primo approccio, comprendere la dinamica di oggettivazione di sé dell’assoluto: pensiero ed essere, soggetto e oggetto, sono i momenti necessari di una identità logicamente prioritaria. Se però il pensiero – i cui tratti fondamentali sono in questa fase la riflessività e la coscienza - , opera già su un dato e se le categorie dell’intelletto si applicano all’essere (anch’esso già dato), la logica della distinzione di soggetto e oggetto, di pensiero ed essere - una logica che la coscienza presuppone senza tematizzare - deve necessariamente essere prioritaria rispetto alla distinzione stessa, e quindi non categoriale o, secondo le parole di Hegel, «non cosciente». In altri termini, bisogna risalire a una modalità di comprensione che faccia astrazione dalla dicotomia in cui si muove la coscienza, a un, per così dire, “pensiero non riflessivo”: l’intuizione è quindi precisamente il modo per definire tale dimensione pre-riflessiva, la logica per cui l’assoluto si rende oggetto a se stesso e si fa cosciente; secondo le parole di Hegel, essa è «attività ad un tempo dell’intelligenza e della natura, della coscienza e del non cosciente», «ideale e reale», nello stesso tempo11.

A specificare più precisamente il senso di tale attività è l’aggettivo «trascendentale»: nell’intuizione trascendentale vengono alla luce le condizioni di possibilità del pensiero riflessivo e della coscienza. Nella comprensione hegeliana del trascendentale (che si differenzia qui da quella di Kant), tuttavia, per risalire alle condizioni di possibilità del pensiero è necessario allargare lo sguardo alla dinamica complessiva dell’assoluto: se il pensiero si sviluppa nella dicotomia tra

7 GW, IV, 21. 8 GW, IV, 63.

9 La ricerca ha messo in luce chiaramente come, se di “influenza” si deve parlare, essa sia quanto meno bidirezionale, in

un periodo di condivisione e collaborazione tra Hegel e Schelling, nel quale si possono però già riconoscere posizioni autonome. Fondamentali al riguardo: K. Düsing, Spekulation und Reflexion. Zur Zusammenarbeit Schellings und Hegels

in Jena, in «Hegel-Studien», 5 (1969), pp. 95-128; Id., Idealistische Substanzmetaphysik. Probleme der Systementwicklung bei Schelling und Hegel in Jena, in Hegel in Jena, «Hegel-Studien», Beiheft 20, Bouvier, Bonn, 1980

e Id., Von der Substanzmetaphysik zur Philosophie der Subjektivität. Zum Paradigmenwechsel Hegels in Jena, in H. Kimmerle (ed.), Die Eigenbedeutung der Jenaer Systemkonzeptionen, De Gruyter, Berlin, 2004.

10 GW, IV, 27; 77. 11 GW, IV, 28.

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pensiero ed essere, per spiegarlo bisogna fare astrazione dalla dicotomia stessa e darne ragione. Questo significa in definitiva che il compito della speculazione non è, come per Kant, spiegare come le categorie possano applicarsi a degli oggetti (un problema che, secondo Hegel, si pone già a un livello subordinato in cui essere e pensiero sono dati), ma dare conto della stessa distinzione tra categorie e oggetti, tra pensiero ed essere – chiarire l’emergere della struttura generale in cui le categorie si applicano a degli oggetti.

L’intuizione trascendentale costituisce così il modo, necessariamente non soggettivo, di dire un movimento logicamente prioritario e fondante rispetto al pensiero riflessivo e alla categorizzazione stessa. Questo comporta tuttavia l’abbandono della stessa prospettiva identificante e oggettuale. L’intuizione trascendentale non dice una cosa, un ente, un oggetto, ma solo il movimento non cosciente di relazione e differenziazione con sé, di cui soggetto e oggetto sono espressione.

Riassumendo: 1) Hegel introduce una dimensione logica più ampia e prioritaria rispetto a quella del pensiero riflessivo della coscienza; 2) tale dimensione, che solo più tardi sarà quella del pensiero dialettico, non ha ancora caratteri ben definiti, ma si struttura attorno alla necessaria auto-contraddittorietà del pensiero, è definita attraverso l’intuizione ed è introdotta per spiegare la dinamica trascendentale del darsi di coscienza e oggetti, di pensiero (riflessivo) ed essere 3) corrispondentemente, la dimensione del pensiero riflessivo e della coscienza (il lato negativo del sapere) assumono uno statuto subordinato 4) in uno sviluppo caratteristico del senso della ricerca trascendentale, la stessa “scoperta” di un ambito preriflessivo, pre-coscienziale e prediscorsivo, tende a far crollare la differenza tra la dimensione logica e quella ontologica: il carattere autocontraddittorio del pensiero viene compreso come produttività di sé e l’intuizione viene identificata con il movimento generale dell’assoluto, definito a sua volta come «intuente se stesso».

Secondo la lettura che propongo, l’intuizione trascendentale è il primo tentativo di Hegel di concepire la possibilità di un nuovo rapporto - non causale - tra il tutto e le parti (o, nei termini di Kant e di Fichte, tra la ragione e il mondo), dando una prima risposta ai problemi che, nella sua interpretazione, affliggevano la filosofia a lui contemporanea: se l’assoluto, come attività intuitiva, non è soggettivo né oggettivo, né finito né infinito, né pensante né essente, ciò significa che esso non fonda o causa l’essere (come la ragione fichtiana) o il pensiero, ma che esso si manifesta nell’essere e nel pensiero.

Ogni determinato, ogni finito viene concepito come il risultato identico di una attività che lo attraversa e trascende, che in esso si manifesta: l’assoluto è tale attività, che si esprime nella distinzione tra pensiero ed essere, attività di oggettivazione di sé: «ragione assoluta, intuente se stessa»12. I fenomeni della natura, della vita e della politica non sono così momenti astratti, indipendenti rispetto a una legge sovraordinata che esternamente li causa, spiega e sottomette, ma sono essi stessi manifestazione del tutto, espressione dell’assoluto che si intuisce in essi13. In definitiva, l’assoluto come attività intuente è, in questo scritto, la forma in cui Hegel, strutturando un sapere che non si imponga esteriormente al mondo, tenta di concepire una nuova mediazione tra ragione e realtà.

Tuttavia, proprio nel tentativo di colmare una dicotomia, Hegel ne riproduce un’altra e la soluzione della Differenza comporta numerosi problemi: tolta la separazione tra coscienza e oggetto, o tra pensiero e essere, se ne pone una tra pensiero e intuizione. Ma non solo: a ben vedere rimane una scissione problematica tra soggettività e assoluto. Se il pensiero è riflessività e coscienza, mentre l’assoluto è impersonale movimento intuitivo, come si può anche solo parlarne? E la coscienza soggettiva non diventa solo un momento del falso, di fronte a un processo impersonale e identico a se stesso? Nella conclusione del capitolo mostro come proprio

12 GW, IV, 77. 13 GW, IV, 32.

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questi problemi sembrino riflettersi nell’approccio hegeliano al rapporto tra filosofia e divenire storico, come si evince da un frammento coevo, intitolato Che la filosofia…

Nel secondo capitolo mostro la continuità e l’evoluzione delle tematiche sopra riassunte nei testi hegeliani successivi e le inserisco nel quadro della cultura filosofica tedesca del tempo – nella quale il significato di Anschauung non è univoco: al riguardo è esemplare una discussione tra Jacobi e Goethe – che ricostruisco anche attraverso lo scambio epistolare tra i due pensatori. Goethe, di fronte alla fede in Dio di Jacobi, ritiene di caratterizzare il suo proprio pensiero come intuizione di Dio. Che cosa differenzia l’intuizione di Goethe dalla fede di Jacobi (per il quale Glauben e Anschauen sono invece sinonimi)?

La risposta sta nella scientia intuitiva, e nelle diverse interpretazioni di Spinoza: per Jacobi lo spinozismo è la filosofia che, nel dispiegamento coerente della ragione che si muove per concetti (ma solo per concetti), fa giungere alla «perfetta convinzione che certe cose non si possono spiegare: cose davanti a cui non si possono chiudere gli occhi ma che bisogna prendere come si trovano».14 In breve e con una necessaria semplificazione, il percorso che conduce a una tale «perfetta convinzione» è il seguente: Jacobi muove dalla considerazione che il pensiero sia il prodotto della coscienza e che quindi sia necessaria una giustificazione della sua relazione con le cose. Ma come può il pensiero dimostrare di riferirsi all’essere? Come può uscire da se stesso e essere certo che le proprie costruzioni, la propria trama dicano qualcosa e non siano solo un gioco senza contenuto?

Jacobi va al fondo di questa posizione e rivolge anche una critica esplicita a colui che ritiene essere il primo ad aver dato luogo a un pensiero che si proponesse l’impossibile utopia di fondare l’essere: Cartesio.

Il sistema dell’uno tutto spinoziano, in questo quadro, viene letto come il sistema del cogito più coerentemente sviluppato: quello che fornisce un’immagine completa e razionale del tutto, senza uscire però dal pensiero stesso.

Proprio la coerenza inattaccabile di Spinoza – che, tutta chiusa in se stessa, secondo Jacobi non dà ragione della causa prima della sua propria esistenza – prova irrefutabilmente che è necessario uscire dal pensiero e dalla catena della dimostrazione.

Per Jacobi, Spinoza (e l’idealismo in genere) cerca di dedurre tutto dal nulla del pensiero, il quale non è niente se non un’astrazione, e giunge, nella sua forma più coerente, all’esposizione del pensiero come infinito, all’infinito mutamento come unico principio di spiegazione.

Tuttavia, non solo il riferimento del pensiero alle cose, ma l’esistenza stessa del pensiero è indimostrabile a partire dal pensiero: la pretesa di rimanere al suo interno conduce al nichilismo perché non è in grado di spiegare il senso ultimo dell’argomentare e del suo movimento infinito. Di contro, Jacobi, che si dichiara per questo «non-filosofo» mostra (non dimostra) che l’esistere si può solo sentire, credere, intuire.

La semplice catena delle cause (nella quale si muove il pensiero) non può arrivare a un primum indiscusso, la fede (di cui l’intuizione è sinonimo) sì, proprio perché se ne pone metodologicamente e contenutisticamente al di fuori: in questo quadro, è evidente che le cose finite (la natura) non possono essere indagate prescindendo dalla fede nel principio di senso ultimo. Altrettanto evidentemente, tuttavia, la natura e le cose finite sono utili solo ad accrescere quantitativamente la rete delle conoscenze e delle argomentazioni discorsive, ma non contribuiscono a definire il senso del mondo stesso; il principio ultimo di senso rimane sempre uguale a se stesso, come ciò che esiste e vuole, non venendo toccato o arricchito dalla dimostrazione per concetti, ma solo eternamente e puntualmente creduto.

14 F. H. Jacobi, Werke, 1, 1, 28, traduzione italiana a cura di F. Capra¸ La dottrina di Spinoza: lettere al signor Moses

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Nella riappropriazione e nella risemantizzazione del termine Anschauung e della scientia intuitiva di Spinoza, a un pensiero separante, Goethe oppone invece una filosofia capace di riunire, di dire armonicamente il processo della natura.

Di fronte alla filosofia jacobiana, che divide nell’uomo la facoltà dei concetti da quella dell’intuizione, e quindi nel mondo la somma di parti astratte dal loro significato, i particolari dall’universale, Goethe propone la visione intuitiva della cosa stessa, una scienza del «vivente in quanto tale»: invece di una fissa Gestalt, la considerazione della vita deve necessariamente riuscire a tracciare una Bildung in continuo movimento: tutto ciò prende il nome di intuizione.

Così, in una lettera a Jacobi, Goethe rivendica essere necessario intuire anziché credere Dio: da una parte un dio trascendente, fermo e non-dicibile che viene puntualmente sentito (Jacobi), dall’altra (Goethe) il procedere immanente della vita naturale come un movimento in sé divino di cui l’intuizione comprende la continua formazione (Bildung); da una parte lo Spinoza ateo, dall’altra il «cristianissimo» che vede nel mondo la presenza di dio.

Lo Spinoza di Goethe non è infatti il filosofo dell’intelletto, né del logos di una coscienza che si vuole totalità, ma quello che ricerca costantemente l’adeguamento tra l’idea e l’essenza delle cose: la scientia intuitiva della vita in movimento, che esprime l’armonia tra concetto e oggetto.

Dopo un confronto delle diverse letture di Platone in Jacobi, Goethe e Hegel, mostro come Hegel, per molti versi vicino a Goethe nella sua propria concezione dell’intuire – e probabilmente da quest’ultimo direttamente influenzato – ritorni in Fede e sapere sulle problematiche che avevo affrontato nel primo capitolo: in particolare, attraverso una analisi dettagliata della teoria del giudizio presente in Fede e sapere, argomento che Hegel concepisce in questo testo per la prima volta una continuità tra intuizione e pensiero e quindi tra giudizio e essere. Riassumendo in una formula che non posso qui argomentare: l’intuizione è il necessario contesto unitario di ogni forma di giudizio e di espressione razionale; non l’identità sostanziale che sta alla base del pensiero, ma il procedere unitario del pensiero stesso. Sebbene la tesi non si diffonda sulla questione, viene inoltre argomentato come questa acquisizione di, per usare le parole di Hegel, un “intuire pensante” stia alla base della nota posizione per cui pensiero ed essere, in quanto momenti del procedere dialettico dell’assoluto, non sono separabili.

Nel terzo e conclusivo capitolo – di stampo più teorico e, almeno inizialmente, più interno alla filosofia hegeliana -, fornisco un’interpretazione della cosiddetta Filosofia dello spirito jenese e di alcune sezioni della Fenomenologia dello spirito, argomentando che sebbene, da una parte, l’intuizione acquisisca ormai una collocazione ben precisa e delimitata all’interno del nascente sistema (contrariamente a quanto avveniva nella Differenza, nella quale rappresentava il culmine del sapere trascendentale), dall’altra, essa continua a mantenere una rilevanza per la strutturazione dell’architettura complessiva del pensiero hegeliano.

Al pari della nozione di Erinnerung di cui la letteratura ha da tempo notato il significato sistematico, l’intuizione non si limita infatti a rappresentare un momento particolare della psicologia, ma ha una funzione trasversale in tutta la filosofia dello spirito e svolge un ruolo fondamentale anche nella comprensione complessiva dell’assoluto – nella filosofia.

Innanzitutto, anche a una semplice lettura della Filosofia dello spirito jenese, è evidente infatti che il termine intuizione e l’attività dell’intuire ritornano in moltissimi contesti del tutto diversi tra loro – una caratteristica che sarà propria anche delle opere della maturità.

Solo per citare alcuni esempi tra le numerosissime occorrenze: così come si dice che l’io deve «intuire» Sé come principio ordinatore15, più avanti, a proposito del figlio, si dice che in lui i due genitori «intuiscono l’amore, la loro unità autocosciente, in quanto autocosciente»16; mentre di colui

15 GW, VIII, 192. 16 GW, VIII, 212.

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che ha subito un torto e che, cercando vendetta, vuole la morte dell’altro, ma comprende in realtà la propria mortalità, e così facendo si libera e si rende persona, viene detto che «egli intuisce, dunque, il suo esserci esteriore tolto; questo esserci è il suo più proprio; egli muta l’esser-tolto di quell’estraneo nell’essere-tolto del suo più proprio essere-per-sé»17; a proposito della formazione dello stato si dice che «lo spirito che sa ogni realtà ed essenzialità come se stesso si intuisce, è a sé oggetto, ovvero è a sé organismo esistente»18; nel rischio di morte comportato dalla guerra si ha «l’intuizione» del «sacrificio reale del Sé», ovvero dell’universalità dello stato19; infine, nella conclusione, a proposito della scienza, si dice dello spirito che «la sua opera è in sé compiuta ed esso perviene all’intuizione di sé in quanto sé».20

Che cosa intuisce l’intuire in tali contesti? Che cosa significa tale attività? Che rapporto ha in genere con l’attività dello spirito?

Al netto della differenza delle strutture coinvolte – che vanno dalla semplice e astratta attività categorizzante, all’azione moralmente connotata, alla realtà istituzionale dello stato – mi sembra possibile identificare alcuni tratti comuni: con questa accezione aspecifica e intrasistematica dell’intuizione si indica il momento della transizione da uno stadio all’altro della manifestazione dello spirito. Quali ne sono i caratteri? In primo luogo 1) questa transizione ha luogo nel momento in cui la figura determinata in cui lo spirito si muove in un determinato contesto viene compresa come espressione immanente di un principio che la trascende, ovvero nel momento in cui la fissità, l’immediatezza è compresa essere astrazione da un movimento; in secondo luogo, 2) tale comprensione, conformemente a quanto ricostruito nei capitoli precedenti, è, allo stesso tempo, la produzione di una nuova forma di consapevolezza che dice quanto era celato nella figura precedente, ovvero di una nuova figura determinata dello spirito, di un nuovo essere che dice consapevolmente l’immanenza tra la fissità precedente e il movimento – a propria volta, tale nuova figura, ancora fissità, immediatezza, sarà di nuovo inconsapevole del movimento che sta alle proprie spalle: il processo è una continua elaborazione, culminante in definitiva nella filosofia, secondo modalità che si vedranno più avanti.

Per rimanere ad alcuni degli esempi citati: nella produzione del figlio, di una terza persona autocosciente, i genitori conoscono retrospettivamente e allo stesso tempo realizzano la relazione che li lega, il loro amore, come una relazione autocosciente – o, in altri termini, tolgono la sua immediatezza.

Allo stesso modo, la vendetta, mettendo colui che ha subito l’offesa di fronte al rischio della propria morte, lo spinge a una nuova comprensione/elaborazione di sé: egli, proprio compiendo tale azione, comprende che ciò che lo spinge a vendicarsi non è la sua particolarità di semplice vivente, ma il senso di una ragione – egli sa che ciò che in realtà lo guidava è una volontà razionale, ovvero – nella posizione di una nuova forma di coscienza di sé che darà infine luogo al diritto – toglie l’immediatezza di uno scontro tra viventi e si intuisce come persona.

In un movimento proprio della filosofia di Hegel sin dalla Differenza – e che anche allora veniva detto attraverso l’intuizione -, la comprensione è la comprensione produttiva dell’immanenza tra l’attività e la sua concrezione, tra pensiero e pensato, o a livelli di complessità maggiori, tra l’azione puntuale e il suo significato.

Ma non solo: questo processo è comprensibile anche nei termini di una mediazione dell’immediatezza. Ciò che si presenta come un dato di fatto immutabile, come una realtà sussistente irrelata (l’amore, la vendetta), indipendente dall’attività dello spirito, viene invece compreso come la manifestazione di tale attività e quindi come intrinsecamente in movimento.

17 GW, VIII, 221. 18 GW, VIII, 266. 19 GW, VIII, 275. 20 GW, VIII, 277.

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Tuttavia, la mediazione non viene compiuta una volta per tutte, dal momento che, in una concezione che rimanda da ultimo al necessario concretizzarsi di ogni attività, al farsi pensato del pensiero, secondo Hegel, l’elaborazione dà luogo a un nuovo prodotto che si distingue a sua volta dallo spirito come attività e si fa nuovamente immediato: il lavoro intuente dello spirito sembra avere un termine (per quanto problematico) solo nella forma di coscienza che lo rende identico a sé – nella filosofia.

Da un punto di vista interno al sistema, l’attività auto-intuente è così un tratto caratteristico della stessa costituzione dell’assoluto come spirito: il modo in cui Hegel comprende il processo di sviluppo interno verso forme sempre ulteriori di autoconsapevolezza. Se la memoria come attività trasversale costituisce il momento di interiorizzazione e di conservazione ideale dei vari passaggi, mi pare che l’attività di intuizione di sé - che viene definita nei suoi caratteri essenziali proprio in un intreccio con l’attività della memoria - ne sia un necessario complemento: essa rappresenta allo stesso tempo la movimentazione – ciò che nella Fenomenologia sarà detto il rendere “fluido” – dei concetti e delle figure dello spirito e il carattere produttivo della comprensione.

Seppure nel diverso grado di complessità argomentativa, a cui corrisponde una differenza delle strutture coinvolte, è questo il tratto comune agli esempi citati: nel comprendere intuitivamente l’immanenza immediatamente celata tra il proprio oggetto e sé come attività, lo spirito dà luogo a una nuova comprensione di sé (a una nuova autocoscienza che comprende quella precedente) e a un nuovo oggetto spirituale, nel quale vede in modo sempre più determinato il segno della propria attività.

Tuttavia, l’esplicitazione di questa nozione di “intuizione spirituale”, che spiega anche l’utilizzo del termine in accezione simile nei testi maturi, non mi sembra utile solo per fornire un chiarimento delle dinamiche interne di svolgimento delle figure spirituali: essa agisce anche al culmine della comprensione sistematica ed è necessaria per comprendere i caratteri propri della filosofia nel suo complesso - a questo aspetto sono dedicate le pagine conclusive, che si incentrano sulla filosofia come attività parallela di memoria/interiorizzazione (Erinnerung) e di intuizione (Anschauung).

La filosofia non dà luogo alternativamente a una mistica dell’intuizione intellettuale della profondità e dell’eterno (sola intuizione, sola attività eternamente presente) o alla pretesa di esporre in un sistema chiuso, in un mero pensato, l’ordine eterno e ormai pacificato della realtà (sola memoria, un pensato astratto, l’utopia di una consapevolezza completa) – entrambe queste prospettive sono accomunate dall’idea di una conclusione autosufficiente e immota del sapere.

Al contrario, nella filosofia, attività e fissità, pensiero e pensato, memoria e intuizione, consapevolezza e non consapevolezza sono complementari: il sistema filosofico è tale perché nella memorizzazione/interiorizzazione dell’attività dello spirito riassume in sé tutti i propri presupposti (logici, storici, psicologici) e parallelamente si intuisce come risultato del lavoro dello spirito e come movimento, dando implicitamente forma a una nuova realtà dello spirito i cui caratteri rimangono sconosciuti, ma che è il prodotto di un lavoro razionale.

Per formulare la questione da un altro punto di vista: nell’analisi della Differenza avevo mostrato come la separazione tra un lato conscio e uno inconscio dell’assoluto desse luogo a un sapere sistematico nel quale la filosofia doveva riconoscersi un limite di fronte al procedere del movimento; in seguito all’elaborazione degli anni jenesi, e alla formulazione di un pensiero intuente, la filosofia assume il ruolo di compimento del sistema e si fa movimento essa stessa.

Il movimento dell’assoluto non è così semplicemente accantonato e neanche a questo punto la filosofia pretende di fornire una coscienza completa e conclusa: al contrario, la comprensione filosofica ha adesso la pretesa di farsi essa stessa movimento.

La massima forma di consapevolezza possibile non è solo la strutturazione di un pensato, di una fissità, ma, altrettanto fondamentalmente, ciò che porta alla luce il carattere auto-trascendente di

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tale fissità - la fluidificazione di ogni pensato che rimette in moto il pensiero e l’attività dello spirito.

In questo modo, proprio nell’intuizione del movimento dell’assoluto viene prodotta anche una nuova inconsapevolezza: la filosofia non può dare ricette per il futuro né esporre le forme di ciò che emerge nel «sacrificio di sé», tuttavia essa mostra che le strutture apparentemente fisse in cui si muove l’esperienza umana presente, proprio in quanto vengono comprese, riportate al loro significato ultimo, si mostrano fluide, dense di nuove possibilità e destinate a essere superate. In questo senso, si potrebbe forse dire, ribaltando la prospettiva di Adorno per cui la dialettica e la filosofia possono essere critiche solo in quanto negative e a-sistematiche, che, da un punto di vista hegeliano, solo il sistema è veramente critico, e che, anzi, tanto maggiore è la capacità mnemonica di un pensiero, tanto più ricca di nuove possibilità e universalmente efficace è l’intuizione corrispondente. Questo sia perché solo il sistema, indagandone e comprendendone le condizioni “trascendentali” dell’apparire, rende conto della limitatezza della soggettività che lo costruisce e del tempo presente in cui essa si muove, sia perché ogni forma di realtà inclusa nel sistema è riportata alla propria interna auto-trascendenza, resa fluida e tolta dalla sua apparente immobilità. La compresenza di intuizione e memoria nel sapere filosofico mette in dubbio anche quelle letture, talvolta aspramente critiche, che hanno enfatizzato l’aspetto di conclusione definitiva del pensiero hegeliano come “fine della storia”.

Al contrario di quanto sostenuto da alcune interpretazioni stereotipate, nella comprensione assoluta, «la filosofia aliena sé da se stessa – perviene al suo principio, alla coscienza immediata, che è appunto lo scisso».21

Memoria e intuizione sono complementari: il sistema filosofico non è una mera architettura che racchiude in sé la molteplicità del reale ordinandola secondo un criterio, quanto piuttosto la forma in cui il reale stesso viene concettualizzato e riportato al principio che lo sostiene: la scissione come produttività.

In questo senso, l’intuizione della filosofia, che presuppone il lavoro, la memoria e «l’estensione» dello spirito, nel mostrare e nel produrre l’intrinseca unità tra vita e pensiero non è semplicemente una verità uguale a se stessa, il ripresentarsi dell’identico come un principio indeterminato di mutamento, ma il disvelamento concreto e sempre diverso delle possibilità dell’accadere: la storia viene costruita e ricordata solo per dare forma al nuovo.

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