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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione ……… 3

I. Prospettiva multidisciplinare nei servizi 1.1 Che cosa significa multidimensionale ………. 5

1.2 Modello psicodinamico ……… 8

1.3 Modello sistemico-relazionale ………. 11

II. Il modello transgenerazionale 2.1 Differenza tra intergenerazionale e transgenerazionale ….. 16

2.2 Collegamenti con la teoria dell’attaccamento ………... 23

2.3 La psicogenealogia e Anne Ancelin Schűtzenberger …….. 28

III. La famiglia; veicolo della trasmissione transgenerazionale del trauma 3.1 Il ciclo di vita della famiglia ……… 34

3.2 La famiglia sotto la lente dei tre modelli ………. 43

3.3 La visione tri-focale della famiglia nei servizi ……… 52

3.4 Trauma e transgenerazionale ……….. 54

3.4.1 Le ninna nanne strumenti del transgenerazionale ……. 60

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IV. Il modello trans generazionale nel contesto di salute mentale 4.1 Cenni storici e normativa Nazionale ……… 67

4.2 Quando i genitori sono malati psichiatrici ………... 71 4.2.1 Tipologie di problemi psichici nei figli ……….. 74 4.3 Il ruolo della famiglia nel lavoro terapeutico-riabilitativo ... 85 4.4 Il ruolo dell’assistente sociale nel contesto di salute mentale; l’azione professionale ………... 89

Conclusioni ……….. 97

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INTRODUZIONE

Negli ultimi anni il ruolo della famiglia all’interno dei servizi ha avuto una notevole evoluzione, iniziando ad essere il fulcro centrale di ogni azione professionale, al fine di comprendere più dal profondo i problemi che l’utente porta al servizio. La crescita dei disturbi sociali costringe le professioni d’aiuto a fronteggiare situazioni diversificate e complesse per le quali servono risposte adeguate e personalizzate; si avverte l’esigenza di lavorare seguendo una logica progettuale e collaborativa.

Nella prima parte di questo lavoro, capitoli 1 e 2, ho voluto introdurre l’argomento della trasmissione transgenerazionale del trauma, partendo prima da un’analisi dei diversi modelli di intervento (psicodinamico, sistemico e transgenerazionale) che l’operatore può scegliere durante il processo di aiuto, dando maggior attenzione al modello transgenerazionale, il più vicino allo scopo della tesi, e collegato alla psicogenealogia di Anne Ancelin Schützenberger, alla quale darò spazio nel secondo capitolo, visto che si tratta di uno studio approfondito sull’ereditarietà familiare per i suoi effetti sulla vita dei singoli individui e le ripercussioni lungo le generazioni. Successivamente nel terzo capitolo, lo studio si è spostato sul ciclo di vita della famiglia, soggetto principale di questa tesi, con l’analisi degli eventi critici e l’eventuale comportamento sintomatico, per poi analizzare cosa sia effettivamente il trauma e in che modo esso viene trasmesso. Utile a ciò e anche al lavoro dell’assistente sociale è la costruzione del genosociogramma, strumento questo importante per la lettura diacronica e sincronica della famiglia; una specie di albero genealogico nel qual però verranno disegnate più generazioni con l’indicazione dei ruoli e degli avvenimenti principali, nonché il tipo di relazione che caratterizza e caratterizzava i legami tra i membri familiari. Altrettanto utile per comprendere i vari modi in cui si trasmette è la breve digressione sulle ninna nanne come veicolo della

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3 trasmissione che permette al lettore in maniera pratica con riscontri statistici di osservare e comprendere quanto affermato nel corso della tesi.

Per finire e avere una visione più completa, ho inserito nel capitolo conclusivo come la trasmissione del trauma possa colpire i figli i quali, avendo entrambi i genitori o solo uno di essi affetto da disturbo mentale, possono essere affetti dallo stesso disturbo dei genitori riscontrabile nelle varie fasi di crescita.

Ecco perché è stato doveroso fare un excursus all’interno dell’area di salute mentale con l’obiettivo di contestualizzare il lavoro svolto, nonché il settore (attività- normativa-servizi) per arrivare a descrivere il ruolo che l’assistente sociale svolge in questa area, la stesura del programma individualizzato nonché il lavoro di équipe con altre figure professionali.

Lo scopo del mio lavoro sarà dunque quello di stimolare il lettore verso la conoscenza delle aree più in ombra della nostra identità, spesso inconscia che ci governa, in modo che non sia più unicamente il passato a determinare chi siamo ma anche noi stessi con le nostre azioni nel presente.

Come affermato dalla Schützemberger, se non ci lasceremo governare dal caso o dalla necessità, potremmo riuscire a cavalcare il nostro destino, capovolgere la sorte sfavorevole ed evitare i tranelli delle ripetizioni transgenerazionali inconsce; insomma creare il proprio Sé.

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CAPITOLO I

Prospettiva multidimensionale nel servizio sociale

1.1 Che cosa significa multidimensionale

Per comprendere il ruolo del Servizio Sociale è necessario definire cos’è il Servizio Sociale, sottolineando gli elementi costitutivi che ne hanno determinato le fondamenta.

Il servizio sociale ha come destinatario l’uomo nel suo essere “sociale” in quanto ha come obiettivo quello di dare risposte a problemi nati nei rapporti tra persone e, tra queste e l’organizzazione sociale. Si tratta di intervenire quando la persona non è in grado, per una condizione di difficoltà più o meno temporanea, di superare tale condizione, essere cioè promotore di cambiamento.

Conoscere, studiare, contrastare i bisogni sociali, le difficoltà sociali singole e collettive è esigenza inderogabile della società e, il bisogno/disagio del cittadino, le marginalità, le devianze, le esclusioni sociali, costituiscono l’ambito del sapere specifico del Servizio Sociale.

L’identità dell’operatore si è dovuta evolvere e mutare poiché si è dovuta inserire nel più ampio contesto di trasformazione sociale. Il disagio psicosociale dovrà allinearsi al cambiamento della società all’interno dei vari servizi pubblici con l’uso di un nuovo pensiero che tenga in considerazione più livelli interpretativi e più modelli teorici di riferimento; non solo più in una visione medico-sanitaria o seguendo quella visone che vede il disagio collegato al contesto socioculturale o ancora a elementi intrapsichici e psicologici dell’utente ma, una visione multifocale e multidimensionale di eco-endo-eso casualità.1

Lavorare quindi con una prospettiva multidimensionale significa abbandonare la concezione che quel singolo evento, come per esempio una

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5 situazione di grave povertà, ne produrrà un altro, trascuratezza nel vestirsi, per allinearsi con quella che vedrà quel singolo evento interconnesso con altri, attribuendo una grande valenza anche ai singoli elementi, i quali manifestandosi nelle relazioni con altre singolarità assumeranno un nuovo significato.

L’approccio multidimensionale permetterà di connettere più elementi relativi alla conoscenza del fenomeno osservato superando il riduzionismo conoscitivo, esprimendo così le caratteristiche del tutto, ma anche le relazioni tra il tutto e le parti e di tutte le relazioni e interazioni che caratterizzano il sistema, ovvero l’utente. È dunque un elemento caratterizzante del Servizio Sociale dove spesso la multidimensionalità viene messa in relazione a termini quali: intervento, azione sociale e processo di aiuto.

È pertanto un’attività professionale complessa caratterizzata dal fatto che l’operatore deve essere in grado di risolvere situazioni diversificate e magari simultanee che riguardano; il soggetto, il suo ambiente, l’organizzazione di servizio e la collettività lavorando sull’interdipendenza tra individuo, struttura assistenziale e territorio. Molto frequente è anche l’accostamento di multidimensionalità al concetto di multidisciplinarietà, per rafforzare il concetto di assistente sociale quale professionista delle pluralità, sempre pronto a comprendere le complessità delle situazioni sociali e di quelle individuali in esse inserite.

Il sapere del Servizio Sociale possiamo dunque immaginarcelo come composto da più “saperi” derivanti da diverse materie:

 dalla sociologia, come fondamentale strumento di lettura dei fenomeni sociali, disagio, esclusione sociale, deprivazione culturale, emarginazione, devianza;

 dalla psicologia, per acquisire le conoscenze indispensabili relative al funzionamento intrapsichico e relazionale della persona;

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6  dal diritto, utile come inquadratura generale del nostro ordinamento giuridico, ma indispensabile sia per quanto riguarda gli ambiti di lavoro, sia gli attori istituzionali, ma anche, infine, i contesti operativi;  dalla legislazione socio-sanitaria, nella cui cornice è vincolato l’intervento sociale, sia per quanto riguarda i livelli relativi all’organizzazione ed all’erogazione dei servizi, che all’operatività degli stessi;

 dalla medicina, per acquisire dimestichezza, quanto meno, con le patologie che, insieme alle condizioni socio-familiari, concorrono a determinare il livello di autosufficienza e la complessità del bisogno dell’utente dei percorsi socio-sanitari;

 dalla storia;

 dall’economia, e della statistica, per contestualizzare le politiche sociali;

 delle metodologie di ricerca sociali;  dell’antropologia culturale;

 per ultime, ma al primo posto come necessità ed appropriatezza formativa le discipline proprie del Servizio Sociale, relative agli Strumenti, alle Tecniche ed alle Metodologie; inoltre quelle relative alla Programmazione ed all’Organizzazione degli impianti delle politiche sociali;

 infine la sedimentazione delle conoscenze derivanti dalle esperienze operative il tirocinio (per quanta riguarda i percorsi formativi universitari), il lavoro stesso (per i percorsi di aggiornamento e specializzazione).

da tutto ciò ne deriverà il sapere specifico del servizio sociale. È un sapere che orienta un’operatività complessa, senza il quale l’assistente sociale non potrebbe che soccombere di fronte alla sfida multifocale a cui è sottoposto.

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7 Tale prospettiva è uno strumento prezioso per far fronte alle complessità degli interventi che però, per poter essere orientati verso la giusta strada, devono seguire quelli che vengono definiti modelli teorici, rappresentativi della realtà osservata, riguardanti il funzionamento della mente, della famiglia, dei gruppi e delle relazioni sociali; l’elaborazione di un modello teorico è dunque connessa al problema e vi è quindi la necessità di elaborare modelli differenti, specifici per ciascuna situazione. Si può pertanto dire che un modello ha soprattutto la funzione di “ orientamento” nel contesto dell’analisi dai dati di una determinata realtà.2

1.2 Modello psicodinamico

L'approccio psicodinamico storicamente deriva dalla concezione freudiana e junghiana delle dinamiche psicologiche, un modello teorico della struttura psicologica con relativa tecnica terapeutica. Il lavoro terapeutico consiste nel far riaffiorare, attraverso tecniche quali l'associazione libera, l'interpretazione del materiale simbolico come i sogni, l'elaborazione del transfert, che è la proiezione di figure affettive sulla persona del terapeuta, e del contro-transfert, azione dell’operate al transfert del paziente, le radici del conflitto che hanno causato le difficoltà di relazione con il mondo reale. Per il modello psicodinamico il cambiamento è il risultato dell’aumentata consapevolezza delle forze inconsce in gioco nella personalità dell’individuo3 e il terapista deve seguire quattro regole4:

1. Mantenere sempre una posizione positiva

2. È primario quello che avviene nella relazione terapeutica 3. È primario l’aspetto del transferale e controtransferale

4. È primario il qui-e-ora anche rispetto al contenuto del contratto.

2 Nuovo dizionario di servizio sociale, a cura di Anna Maria Campanini, Carocci editore, 2013. 3 Novellino M., L’approccio clinico dell’analisi transazionale. Epistemologia, metodologia e

psicopatologia clinica., FrancoAngeli, 2001

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8 Per realizzare un’alleanza transferale il terapeuta dovrà cogliere il livello psicologico mantenendo una zona di equilibrio senza entrare nel gioco che il paziente vorrebbe assegnargli all’interno del proprio copione in cui i ruoli verranno spiegati e dovranno essere rispettati. Ad ogni modo possiamo distinguere alcune fasi del processo terapeutico transferale:

1. Il paziente valuta il terapeuta

2. Il paziente accetta terapeuta e i suoi provvedimenti 3. Il paziente riconosce efficace il tutto

4. Il paziente si sente pronto a rinunciare al terapeuta.

Ci possono però essere situazioni in cui si va a creare un’impasse, cioè una lotta interna tra l’Io Bambino e l’Io Adulto nel paziente, di tipo cognitivo o affettivo, che farà sì che il paziente si identificherà con il primo e attribuirà al terapeuta la funzione di adulto.

L’assistente sociale, che usa questo modello teorico, attuerà l’intervento sull’Io, cioè la parte conscia dell’individuo, a contatto con la realtà, concentrandosi sui meccanismi di difesa dell’Io quali la negazione, rimozione e la regressione.

Questo modello introduce anche l’importanza del setting terapeutico, cioè la necessità di creare uno spazio e un tempo precostruiti per garantire un intervento professionale. Naturalmente a differenza della stanza dello psicologo, dove vi è un lettino e la sola presenza del paziente e dello psicologo, l’assistente sociale dovrà creare uno spazio confortevole e costante per gli incontri, all‘interno del suo ufficio a volte condiviso con altri colleghi.

Gli operatori ancora inesperti trovano difficile capire che il desiderio di annullare o spostare un appuntamento da parte dell’utente può essere un tentativo inconscio di manipolazione dell’operatore, per mettere alla prova la continuità dell’ambiente di sostegno. Allo stesso tempo il modo in cui l’operatore si presenterà all’utente decreterà il rapporto futuro tra utente-assistente sociale. Il processo transazionale che porterà al cambiamento o

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9 meglio, al miglioramento della situazione, dipenderà dunque anche del rapporto di fiducia che si deve instaurare con l’utente.

Winnicott afferma che, offrire un ambiente di sostegno stabile è fondamentale per qualunque lavoro clinico anche per ridurre le interferenze esterne e la continuità del setting terapeutico sarà importante per quegli utenti la cui continuità esterna è stata interrotta più volte.5 Per una valutazione

coerente e necessario dividere l’ambiente di sostegno in tre aree:

 Dimensione fisica cioè, le risorse fisiche disponibili che l’utente ha;  Dimensione interpersonale cioè, un’indagine sulle relazioni che

l’utente ha avuto e ha tuttora raccogliendo le informazioni in modo graduale;

 Dimensione intrapsichica cioè, la dialettica silenziosa che rappresenta parte del linguaggio dell’utente stesso insieme al modo con cui percepisce gli urti provenienti dall’interno.

Nella pratica il sostegno, nei casi in cui la situazione è molto grave, va trasferito al di fuori della famiglia, (caso di abuso su un minore il sostegno sarà dato dall’Istituto dell’affido) ed in generale dipenderà dal tipo di problema. Ad ogni modo « il sostegno viene prima di ogni altra cosa ».6

Per comprende tutto ciò l’assistente sociale deve essere ritenuto “sufficientemente buono”7 e lo diventerà solo se continuerà la ricerca di

nuove tecniche e a migliorarsi.

5 Applegate J.S., Bonovitz J.S., Il rapporto che aiuta. Tecniche winnicottiane nel servizio sociale., Astrolabio, 1998.

6 Cfr. Grolnick, S. A. The work and play of Winnicott, Jason Aroson, Nothvale, pag 144, 1990. 7 Applegate J.S., Bonovitz J.M, op cit, cap. 9 p.179.

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1.3 Modello sistemico-relazionale

Questo modello nasce negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni `60, all’interno della psicoanalisi e fa capo alla teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy e rimanda all’approccio di terapia familiare. I principali promotori di questo paradigma sono stati oltre a Von Bertalanffy anche Watzlawick, Reid, Bateson e Haley. In Italia l’approccio sistemico ha avuto origine e diffusione grazie alla presenza di una figura importante come quella di Mara Selvini Palazzoli.

Watzlawick ha utilizzato la definizione classica di sistema fornita da Hall e Fagen, secondo i quali Sistema è “un insieme di oggetti e delle relazioni tra gli oggetti e tra i loro attributi”8, precisando che gli oggetti sono componenti

o parti del sistema, gli attributi sono le proprietà degli oggetti e le relazioni rendono compatto il sistema.

Von Bertalanffy introdusse, oltre al concetto di relazione, quello di interazione, definendo il sistema come un insieme di elementi che interagiscono tra di loro, presupponendo in questo modo l’esistenza di un’interdipendenza tra le parti e la possibilità di un cambiamento.

I sistemi, a loro volta, possono essere di due tipi:

 Chiuso  quel sistema che non ha relazioni con l’ambiente, né in entrata, né in uscita.

 Aperto  quel sistema che scambia con l’ambiente materiale energia, informazioni e che si modifica sulla base di questi scambi.

Il sistema aperto è stato ripreso dalle scienze sociali per riferirsi all’individuo e al suo ambiente di vita, in quanto esso si caratterizza per la circolarità delle informazioni, la retroazione o feed-back, la trasformazione e omeostasi, l’equifinalità.

Un altro contributo fondamentale, elaborato da Watzlawick, Beavin e Jackson, è quello definito “paradigma della comunicazione umana”. La

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11 comunicazione è un atto molto più complesso, è un processo di interazione che dà origine a una relazione significativa tra le persone che vi sono coinvolte ed è un processo fondamentale della vita sociale.

Gli attori, infatti, pur riconoscendo che la comunicazione umana si può suddividere in tre settori, sintassi, semantica e paradigma, si occupano prevalentemente dello studio di quest’ultima poiché analizza il rapporto tra segni linguistici e chi li utilizza; in pratica l’influenza della comunicazione sul comportamento. Lo studio e quindi focalizzato sul rapporto trasmettitore-ricevitori, in quanto mediato dalla comunicazione.

Da questo studio sono stati elaborati alcuni concetti fondamentali che sono stati definiti assiomi della comunicazione. Essi sono:

1. È impossibile non comunicare: il fatto di non parlare, di ignorarsi reciprocamente, di isolarsi, non indica “non comunicazione”;

2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione: quanto più una relazione è spontanea e sana tanto più l’aspetto relazionale recede sullo sfondo e acquista importanza il contenuto; 3. La natura delle relazioni dipende dalla punteggiatura delle sequenze;

di comunicazione tra i comunicanti; 4. Comunicazione verbale e analogica;

5. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulle differenze:

- una relazione è complementare quando le due persone si trovano in una condizione di disuguaglianza.

- Una reazione è simmetrica quando due persone si comportano come se fossero in una condizione paritaria.

Altro importante concetto in questo tipo di modello è quello che si rifà all’ idea di Bateson di contesto, secondo cui esso è matrice dei significati, che senza l’identificazione del contesto non si può capire nulla e che l’azione osservata è del tutto priva di senso finché non viene classificata.

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12 Dato che ogni comunicazione avviene in un contesto, la consapevolezza dello stesso consente una migliore comprensione del tipo di relazione che i singoli membri hanno, o stanno instaurando tra di loro, e del contenuto dei messaggi che vengono scambiati.

Rifacendosi alla terapia familiare il modello sistemico permetterà di vedere questa come un sistema in evoluzione che si è mantenuta stabile nel tempo e si è sempre mostrata in grado di rispondere al suo obiettivo interno di protezione e a quello esterno di emissione della cultura trasmettendo così il senso di appartenenza. Come ogni altro sistema sociale, tende a ottenere una qualche forma di stabilizzazione attraverso continui accordi relazionali, ovvero tramite regole interne.

Secondo il modello sistemico il sintomo è l’espressione di un disagio che investe nella sua totalità il sistema di cui l’individuo fa parte. L’ utente diviene designato di una disfunzione del sistema causata spesso dalla rigidità dei modelli relazionali abituali. Il sintomo non è più una caratteristica dell’individuo, ma qualità del sistema.

Di conseguenza cambia anche il concetto di diagnosi dato che l’unità diagnostica non è più l’individuo; fare diagnosi non implica più cristallizzare il problema che il sintomo esprime, ma significa collocare il disagio dell’individuo all’interno del contesto complessivo in cui si manifesta e consideralo, quindi, un’espressione transitoria, suscettibile di cambiamento. In una coppia in crisi il problema non è il conflitto ma, come quest’ultimo verrà gestito. Il sintomo, di conseguenza, assume un duplice significato: è espressione, in un membro, della sofferenza di un sistema che non riesce ad evolvere verso più maturi stadi di crescita e, parallelamente, potente rinforzo dello status quo.

Nell’ottica sistemico-relazionale definiamo come sistema il servizio a cui l’operatore appartiene, individueremo come sovrasistema l’organizzazione, servizi e sottosistemi le singole parti in cui il servizio può essere scomposto.

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13 Per poter mettere in atto il processo di aiuto in maniera corretta è necessario raccogliere una serie di informazioni che riguardano i vari sistemi implicati nel problema e le loro relazioni. Vi sono almeno tre livelli ai quali queste informazioni si attuano: l’ambiente sociale; l’istituzione; l’utente. Il vivere presente dell’utente e la sua situazione interpersonale sono l’oggetto dell’intervento, l’obiettivo terapeutico è il cambiamento.

La complessità del campo è forte proprio perché l’oggetto di conoscenza e di azione è la società nella sua realtà dinamica. Ciò che interessa l’assistente sociale è l’intersezione bisogni-risorse e l’intervento si focalizza sull’interdipendenza tra persona-territorio-organizzazione.

La comunicazione ricopre, un ruolo essenziale nella relazione di aiuto, in quanto è impossibile non comunicare perché è attraverso questa azione che si instaurano le relazioni. Il professionista non può escludere l’eventualità di non essere influenzato da premesse e da pregiudizi teorici che vengono a far parte del contesto stesso. Il focus di partenza deve essere il destinatario dell’intervento e la raccolta delle informazioni deve puntare a raccogliere notizie anamnestiche, elementi relativi al suo contesto ambientale e sociale, sull’inviante, sulle informazioni del problema e l’analisi della richiesta che serviranno per la costruzione del progetto di intervento. Nell’ottica sistemico-relazionale la conduzione del colloquio richiede tecniche specifiche e un atteggiamento mentale volto a trovare una risposta alla domanda "a quale scopo" e non "perché". Un colloquio in chiave sistemico-relazionale deve caratterizzarsi per la circolarità delle domande, che consente di ottenere informazioni e non notizie, che vengono supportate anche da quelle date dalla famiglia o dai gruppi primari e dove l’assistente sociale si dovrà porre con atteggiamento neutrale. Perché l’operatore possa sviluppare concretamente nel colloquio queste indicazioni si deve ipotizzare.

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14 Per la costruzione dell’ipotesi nel processo di aiuto nel servizio sociale, Lerma suggerisce tre tappe:

1. nella prima, bisognerà operare una riflessione accurata dei dati raccolti dall’assistente sociale attraverso un primo contatto con il richiedente, una segnalazione, un invio.

2. Successivamente, attraverso la raccolta orientata dei dati e la loro connessione in informazioni significative, si potrà procedere all’esplorazione di queste aree.

3. Infine, si giungerà a organizzare i dati così ottenuti, integrandoli con le informazioni raccolte ai vari livelli in un’ipotesi di gioco familiare che comprenda sia le posizioni dei singoli membri del sistema, che la posizione di questo con i sovra/sottosistemi con cui è in relazione. Sulla base di tutte queste regole e prassi potrà prendere avvio il processo d’aiuto che dovrà essere individuale per ogni utente poiché, ogni persona ed ogni situazioni sono differenti tra loro ed è quindi necessario che l’assistente sociale metta in atto azioni differenti, al fine di aiutare veramente l’utente a migliorare la situazione che lo ha portato a chiedere aiuto o per la quale è stato segnalato al Servizio.

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CAPITOLO II

Il modello transgenerazionale

Da secoli è noto che le caratteristiche psicologiche si trasmettono di padre in figlio: nel carattere di ogni individuo da sempre vengono riconosciuti tratti che risultano evidenti anche nei genitori, o negli avi, o in altri familiari. "Il sangue", si diceva. Con l'avvento e lo sviluppo della genetica, la trasmissione delle caratteristiche di personalità è stata ricercata nell'ereditarietà cromosomica, sulla scorta di quanto veniva dimostrato per le caratteristiche fisiche.

Accanto all'ereditarietà di tipo biologico si è pertanto imposta alla considerazione la possibilità che i caratteri psichici siano trasmessi per via psichica, cioè siano in qualche modo "appresi". Man mano che la ricerca ha individuato processi caratteristici del funzionamento mentale precoce, parallelamente si sono osservate le modalità relazionali che le strutturano. Così si è parlato dapprima degli oggetti interni primari, poi dei processi di simbiosi-separazione-individuazione, poi dei processi di sintonizzazione, della differenziazione Io-non Io, Io-oggetto e di tanti altri processi.

Si è così cominciato a parlare di "transgenerazionalità”.

2.1 Differenza tra intergenerazionale e transgenerazionale

Un vasto interesse, nello studio delle patologie psicosociali, lo ha avuto lo studio sulla trasmissione intergenerazionale della sofferenza e la trasmissione transgenerazionale della vita psichica. Questi studi consentono infatti più di altri, di fare lavoro clinico ed instaurare relazioni d’aiuto con la dovuta attenzione alla dimensione eziopatogenetica multifattoriale pur mantenendo la coerenza ai contesti professionali.

I termini intergenerazionale e transgenerazionale vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma si distinguono su molti piani.

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A. Nella trasmissione intergenerazionale i vissuti psichici trasmessi

hanno potuto essere elaborati da una generazione, potendo così essere ripresi e trasformati da quella successiva. La trasmissione intergenerazionale veicola vissuti elaborati o elaborabili, pensieri e rappresentazioni identitarie, costruzioni e ricostruzioni della storia familiare. Presuppone fondamentalmente alterità e differenziazione negli scambi intersoggettivi tra i membri di una famiglia. La trasmissione intergenerazionale può assumere una naturale e sana fisiologica oppure divenire patogena veicolando contenuti latenti che possono condurre ad esiti patologici nelle generazioni che si susseguono. È un processo naturale quando ciò che viene trasmesso dei genitori ai figli o tra le generazioni è essenziale per lo sviluppo del bambino. La trasmissione di miti, credenze, modelli di comportamento è la base dalla quale il bambino apprende, si forma e orienta.

Secondo Freud «Se i processi psichici di una generazione non si prolungassero nella generazione successiva, ogni generazione dovrebbe acquistare ex novo il proprio atteggiamento verso l’esistenza e non vi sarebbe in questo campo nessun progresso e in sostanza nessuna evoluzione»9, è

dunque tendenza dell’essere umano trasmettere le proprie rappresentazioni interne. Il confine tra trasmissione sana o patologica è data dalla capacità del genitore di essere più o meno consapevole di questa tendenza e di riuscire a controllarne gli effetti.

Si tratta, com’è ovvio, di un lavoro psichico che avviene in buona parte al di là della consapevole intenzionalità delle persone, ma che si traduce poi sempre in scelte e azioni determinate a cui tutti i soggetti implicati portano un contributo. La natura congiunta e compartecipata dello scambio intergenerazionale fa sì che anche la generazione «destinataria» dell’eredità, ovvero della trasmissione intergenerazionale, assuma un ruolo attivo e una responsabilità, in quanto essa non è chiamata ad accogliere passivamente un

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17 patrimonio definito, ma ad assumere e interiorizzare, non senza un ineliminabile margine di libertà, quanto offerto dalle generazioni che lo precedono. In quest’ottica si evidenzia bene la dimensione etica del legame familiare e si comprende come la logica che regola lo scambio solleciti sentimenti di lealtà e di riconoscenza, commisurati alla qualità, così come al più generale senso di giustizia sperimentato nell’economia complessiva delle relazioni familiari. Lo scambio intergenerazionale trova poi una sua singolare ricapitolazione nell’ultima fase della vita, quando i figli adulti – e più in generale l’intera organizzazione familiare – possono essere messi alla prova dalla malattia grave di un anziano e, successivamente, dalla sua morte. Osservato in un’ottica generazionale, il compito complessivo con cui i membri della famiglia devono confrontarsi, è qui l’assunzione da parte della generazione adulta della posizione di capofila generazionale il che significa, anzitutto, assumere fino in fondo la responsabilità della posizione adulta, ovvero la responsabilità dell’esercizio della cura, sia nei confronti della generazione successiva, sia nei confronti della generazione precedente. Tale successione generazionale può avvenire in forme e con ritmi assai differenti e, in ogni caso, necessita di un significativo lavoro mentale, affinché essa non si riduca a una mera sostituzione di interpreti nel medesimo ruolo, ma dia luogo a una vera e propria trasmissione tra le generazioni del “patrimonio” familiare.

B. Nella trasmissione transgenerazionale i vissuti trasmessi sono invece

impensabili; avviene un “attraversamento tra le generazioni e tra gli spazi emotivi di contenuti la cui elaborazione e trasformazione non è stata possibile”.10 A dominare è il non rappresentabile, l’impensabile, l’indicibile

con la sua corte di segreti, di non detti, di pseudo verità mistificanti e perverse. Ciò che viene trasmesso non viene introiettato ma piuttosto incorporato. Questo è l’ambito di particolare interesse della psicoanalisi che

10 Nicolò Corigliano, A.M, Il transgenerazionale tra mito e segreto. Interazioni n.1/1996, FrancoAngeli, Milano.

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18 adotta la teoria della trasmissione transgenerazionale come modello operativo e che vede l’individuo come un anello di una catena operativa (la famiglia) che può venire in contatto con elementi che non gli appartengono direttamente, ma riguardano un membro della famiglia di una generazione precedente.

I primi sviluppi delle teorie relative al transgenerazionale sono stati attuati da Nicolas Abraham e Maria Torok, due clinici che nel loro lavoro hanno riscontrato ripetutamente che certe persone compiono atti o pronunciano determinate frasi “come se non fossero loro”, ovvero come se qualcuno agisse attraverso di loro. In questi casi è stata formulata un’ipotesi di quello viene definito un “fantasma transgenerazionale” che rimane come bloccato nel sistema. Le interazioni fantasmatiche tra le generazioni sono il veicolo privilegiato di questa trasmissione psichica transgenerazionale, con cui si intesse lo sviluppo intrapsichico individuale.

Il contributo al transgenerazionale più interessante viene dalla della Scuola Sistemica Strategica di Filadelfia, dove Ivan Boszormenyi-Nagi è l’esponente più importante a cui si debbono concetti quali quello di “Lealtà familiare invisibile”. La parola lealtà deriva dalla radice "legge", le famiglie hanno le loro leggi, aspettative condivise e non scritte. La giustizia è in relazione alle leggi interne della famiglia e ha delle leggi particolari che dipendono dai suoi fondatori. Un gruppo familiare dipende e deve poter contare sulla lealtà dei suoi membri, se non c'è lealtà c'è ingiustizia, sfruttamento, vendetta. I figli sono fedeli ai propri genitori e al clan familiare e tendono a ripeterne il destino in maniera spesso analoga. Se la lealtà familiare da un lato svolge quindi un'azione di salvaguardia per i componenti della famiglia, dall'altro lato, potrebbe fungere da un limite ostacolando la piena autorealizzazione di un componente.

Una delle più chiare distinzioni a questo proposito, intorno al tema della trasmissione tra differenti generazioni, si deve però a Kaës che distingue tra trasmissione transpsichica e intersoggettiva, definendo con chiarezza che

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19 quello che si trasmette tra i soggetti non è dello stesso ordine di quello che si trasmette "attraverso" di essi, utilizzando perciò la mediazione dell'oggetto e l'esperienza della separazione.

Alla trasmissione transpsichica, che presuppone l'assenza degli spazi intersoggettivi, appartengono i fenomeni della induzione, della suggestione, del "contagio" e dell’"infezione psichica" (per usare i termini freudiani). Lo spazio originario della trasmissione intersoggettiva è invece la famiglia ed è qui che si colloca la trasmissione transgenerazionale con i suoi effetti sul piano intrapsichico e su quello intersoggettivo o interpersonale.

Possono da questo punto scaturire due punti di vista solo apparentemente simili; uno che ritiene il meccanismo della trasmissione transgenerazionale una sorta di situazione universale che in un momento o l'altro dell'analisi potrebbe essere interpretabile, l'altro che invece lo pensa come ad una patologia della soggettività, individuando la presenza nello spazio psichico di fattori ego-alieni o di visitatori dell'Io o di oggetti che ostacolano la capacità elaborativa.

Uno dei meccanismi di base della trasmissione transgenerazionale è il processo di identificazione di un Io che si identifica ad un Io estraneo. Le due figure principali a cui il bambino si identifica assimilando tratti, proprietà, sono le figure del padre e della madre, ed è sulla base di tale identificazione che il bambino è portato e ripetere la storia dei genitori. Il bambino, in base alle informazioni che raccoglie intorno a sé, tende a costruirsi una storia della vita familiare, su come è venuto al mondo, su come si strutturano i rapporti affettivi. Di fronte ad un genitore psicotico crede a quanto gli viene detto, anche ai suoi deliri, poiché il figlio non mette mai in discussione i genitori. Il loro potere, la loro forza, il loro sapere, i loro discorsi e il suo amore verso di essi restano forti, qualunque essi siano: tanto più i genitori sono folli, malvagi, persecutori, più sono idealizzabili, idealizzati, anche se in forma negativa.

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20 Il bambino ha come punto di riferimento l’ambiente in cui nasce, lo considera l’unico modello possibile, non ha la consapevolezza che invece è solo uno dei modelli possibili. Attraverso il processo di intrusione il genitore consegna al figlio il suo non-Io, tutto ciò che rifiuta di sé. Secondo Kaës c’è come un buttare su un altro apparato psichico ciò che il soggetto stesso non riesce più a mantenere dentro di sé. Non è tanto rilevante il contenuto, quanto il bisogno fondamentale di trasmettere. La trasmissione non è dunque legata ad un messaggio esplicito ma allo stile di comunicazione dei genitori. Il figlio, per la propria sopravvivenza psichica resta assoggettato a ciò che i genitori dicono o tacciono. La disidentificazione appare come l’unica condizione di liberazione e riappropriazione.

La coppia a livello antropologico si evolve con la madre e con il padre, i quali si esprimono come gruppo a due, cioè come sistema psichico e condivisione di modelli interiori; diviene un oggetto relazionale. In questa prospettiva essa genera sé stessa come primo bambino. Quando però nella psiche diventa centrale il bambino nato, si sviluppa la creatività e di conseguenza si genera il “narcisismo fisiologico”. La coppia nasce in funzione del bambino e il padre e la madre, in qualità di fantasmi familiari che sono oggetti-Sé del bambino, esisteranno solo se il bambino li farà nascere. Qualora questo non avvenisse, gli oggetti interni assumerebbero una configurazione spettrale, trasformando l’universo familiare in un universo minaccioso. Il figlio invece è espressione del “narcisismo patologico” nel quale al centro non c’è il bambino, ma quel tipo di coppia, che sancisce a priori il destino del figlio, che non è più progetto creativo, ma progetto rigenerativo della coppia. I genitori, a loro volta, sono stati vittime della struttura narcisistica di altri genitori che li ha condizionati: è una dinamica che si ripete nelle generazioni. Tutte le relazioni genitori-figli sono influenzate dallo schema di comportamento interiorizzato dei genitori precedenti, dai bisogni rimasti inappagati, da ciò che non è andato bene o ha fatto soffrire e che i figli non dovranno subire ed è qua che troviamo un altro tema di questo modello,

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21 ovvero quella della responsabilità dei genitori rispetto ai fenomeni di trasmissione.

La trasmissione transgenerazionale si organizza a partire dal negativo, non solo da quello che fallisce o manca nella metabolizzazione psichica, ma anche da quello che non è mai avvenuto, da ciò che non è stato rappresentato o non è rappresentabile. Nelle relazioni genitori-figli dunque si possono trasmettere non solo contenuti ma anche e soprattutto, strutture mentali. I problemi psichici non risolti in una generazione possono così trasmettersi alle generazioni successive, non solo tra genitori e figli ma a distanza di più generazioni.

La rappresentazione di un oggetto transgenerazionale può essere vista come una ricostruzione inconscia di eventi a volte traumatici alla quale aderiscono tutti i membri della famiglia, a volte questa salda la famiglia in un’identità comune, favorendo il funzionamento armonico; altre la ostacolano. In questo ultimo caso l’antenato assorbe il funzionamento mentale del soggetto e impedisce il lavoro di trasformazione in pensiero, rimanendo così un trauma che si ripeterà nelle generazioni successive. Allo stesso modo può capitare quello che Serge Lebovici chiama “mandato transgenerazionale” che costituisce il patrimonio psichico, tramandato come preziosa eredità tra le generazioni, ma che potrà anche costituire un fardello pericoloso e pesante. Non c’è miglior esempio di parentificazione di un figlio, a cui viene affidato l’impossibile compito di essere il continuatore di suo padre in sua assenza. È comprensibile come il fantasma del padre riecheggi nella vita del figlio ed è altrettanto misurabile il peso schiacciante del mandato che il padre lascia al figlio ancora bambino, il quale una volta adulto non riuscirà ad esserlo pienamente, in quanto sarà responsabile non tanto della cura della sua famiglia piuttosto della memoria degli antenati.

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22

2.2 Collegamenti con la teoria dell’attaccamento

Come possiamo vedere questi due modelli hanno messo radici nella teoria dell’attaccamento elaborata da John Bowlby.

L’attaccamento per Bowlby rappresenta una componente importante dei sistemi motivazionali dalla quale ne deriverà la qualità delle strutture psichiche del bambino una volta adulto e lo sviluppo della personalità. Le relazioni tra figura di accudimento e il bambino si realizzano con ripetute interazioni di natura biologica, il cui esito è legato alle risposte ambientali che, a loro volta, sono influenzate da una molteplicità di fattori tra i quali, le caratteristiche delle relazioni di attaccamento vissuta nell’infanzia dalla figura primaria di attaccamento del bambino. Tale trasmissione delle modalità di attaccamento e di accudimento da una generazione alla successiva è legata al fatto che, le relazioni con le principali figure di attaccamento, interiorizzate dal bambino, si pongono come modello di riferimento privilegiato per il futuro ruolo genitoriale.

Un esempio di tale ripetizione di modalità genitoriali viene descritto da Klaus e Kennel:

Monica nasce con l'occlusione di un segmento dell'esofago per cui per i primi due anni di vita deve essere alimentata con un sondino e non viene mai presa in braccio inoltre, i genitori giocano con lei solo in occasione del cambio dei pannolini. La sua prima esperienza nutritiva e di attaccamento viene inizialmente ripetuta nel gioco: Monica non tiene mai in braccio la sua bambola e per darle da mangiare la distende sul letto o la tiene sulle ginocchia ad una certa distanza da sé e gioca con lei solo quando fa finta di cambiarla. Riproduce il medesimo comportamento quando da adolescente lavora come baby-sitter e, da adulta, quando si occupa delle sue figlie. La sua esperienza è diventata il suo modello di relazionarsi con i bambini che viene addirittura trasmesso alla generazione successiva. Le figlie di Monica, infatti,

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23 come la madre, giocano tenendo le bambole a distanza, senza prenderle in braccio, proprio come faceva la madre.11

Bowlby aveva osservato che madri depresse spesso avevano subito nell'infanzia esperienze traumatiche o comunque dolorose che le rendevano incapaci di rispondere adeguatamente ai bisogni affettivi dei figli. Le loro esperienze negative di attaccamento influivano sul loro modo di vivere la genitorialità portandole spesso a chiedere accudimento, piuttosto che ad accudire: si realizzava così un'inversione della relazione di attaccamento. Inoltre si chiede quali siano i fattori che abbiano indotto la madre ad adottare quel particolare stile relazionale e ne individua due: la quantità di sostegno emotivo che sta ricevendo al momento e il tipo di cure materne sperimentato quando era piccola. In proposito viene evidenziata la correlazione tra esperienze negative della madre e insicurezza del bambino.

L'ipotesi bowlbiana circa la correlazione tra insoddisfazione dei bisogni di attaccamento della madre e insicurezza del figlio è stata ripresa ed estesa anche alla figura paterna. Non è stata però trovata alcuna correlazione tra il legame di attaccamento madre-bambino e padre-bambino, confermando l'indipendenza, nei primi 18 mesi di vita, dell'attaccamento a ciascuno dei genitori.

Ogni genitore trasmette al figlio il proprio modello operativo interno indipendentemente dall'azione dell'altro genitore per cui il bambino, sulla base del comportamento di accudimento manifestato da quel genitore, svilupperà aspettative diverse nei confronti dell'uno e dell'altro.

Diverse sono le ipotesi elaborate per spiegare il perché il modello di attaccamento di un adulto con i suoi genitori sia destinato a ripetersi nella sua relazione con i propri figli. Il primo tentativo di giustificazione di questo fenomeno risale allo stesso Bowlby; in seguito, molti teorici

11 Klaus, H. Marshall- Klaus, Phyllis H.- Kennell, John H., Bonding, Building the Foundations of Secure

Attachment and lndipendence; trad. it. Dove comincia l'amore. I primi contatti con il neonato,

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24 dell'attaccamento si sono dedicati a studiare ed approfondire il problema della trasmissione transgenerazionale ed hanno creato ipotesi nuove.

Il modello proposto da Bowlby si fonda intorno alla nozione di responsività sensibile, ovvero l'abilità del genitore di intuire con prontezza i bisogni del bambino. La trasmissione transgenerazionale dei pattern di attaccamento si articola nel modo seguente; le esperienze infantili di attaccamento del genitore si strutturano nel suo MOI, ovvero nel suo Modello Operativo Interno (Internal Working Model - IWM), cioè la sistematizzazione delle conoscenze derivate dalle esperienze concrete di attaccamento e le conseguenti aspettative nei confronti degli altri.

Tale MOI influenza lo sviluppo della rappresentazione mentale del bambino che il genitore si forma, la quale a sua volta determina il comportamento che quest'ultimo assumerà nei confronti del figlio (se risponderà in modo sensibile o meno) e questo, come si è detto, costituisce il fattore principale nella genesi del legame di attaccamento. Sulla base di specifici pattern ripetuti di esperienze il bambino organizza una serie di modelli di sé stesso e degli altri, a partire dai quali si creano le aspettative nei confronti degli altri. Uno stile di attaccamento patologico o specifici pattern di condotta o altre forme di carenza, possono essere portatori di una trasmissione intergenerazionale del trauma, basti pensare che, come dimostrato da Bowlby, le esperienze infantili sfavorevoli determinerebbero la creazione di un circuito sociale che si auto perpetua. L’analisi dei modelli operativi interni nei genitori, che si è servita dell’Adult Attachment Interview (AAW), permette di prendere in esame i ricordi dell’adulto relativi alle relazioni avute con le principali figure di attaccamento. Da questo questionario, sulla base dei risultati ottenuti sono state definite quattro categorie di modelli operativi interni alle quali sono collegate alcuni tipi di attaccamento del bambino alla madre:

1. MOI sicuro / autonomia genitore  attaccamento sicuro nel bambino 2. MOI distaccato nel genitore  attaccamento evitante nel bambino

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25 3. MOI preoccupato nel genitore  attaccamento resistente o

ambivalente nel bambino

4. MOI irrisolto o disorganizzato nel genitore attaccamento disorganizzato o disorientato nel bambino.

Il tipo di attaccamento al quale risponde il bambino viene valutato tramite la procedura della “situazione estranea”12 dove il bambino viene separato da

uno dei suoi genitori per poi tornare a stare con lui.

Steele e colleghi ritengono che l'elemento cruciale nella genesi della trasmissione dell'attaccamento siano i processi difensivi dei genitori nei confronti delle proprie esperienze emozionali negative. Tali meccanismi difensivi, spesso conseguenti ad un invischiamento nelle proprie esperienze passate, sono responsabili di una comprensione incompleta o non corretta degli stati di ansia, tensione e stress del figlio, e generano una modalità di risposta non sensibile ed inadeguata. Pertanto l'adulto fallisce nel rispecchiamento e nel contenimento delle emozioni del bambino.

Main invece propone un modello esplicativo della trasmissione dell'attaccamento tra le generazioni basato sul monitoraggio metacognitivo. Sulla base dei risultati delle sue ricerche, avanza l'ipotesi che le differenze nei legami di attaccamento dei bambini siano correlate alla qualità della metacognizione del genitore.

La metacognizione, ovvero la capacità di comprendere gli stati mentali e di rifletterli in maniera coerente e tempestiva, risulterebbe un perditore migliore dell'attaccamento sicuro rispetto alla sensibilità osservabile, cioè il concreto comportamento di accudimento.

D'altro canto la povertà metacognitiva, rilevabile da narrative incoerenti o lacunose, indicherebbe la presenza di un modello operativo interno rigido e povero, che sarebbe alla base di un attaccamento insicuro nel bambino. La

12 Detta anche “strange situation” è una procedura sperimentale messa a punto da Mary Ainsworth, costruita con l’intento di esaminare l’equilibrio tra comportamenti di attaccamento e di esplorazione, in condizioni di bassa e alta tensione emotiva in bambini di un anno di età.

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26 povertà o assenza metacognitiva renderebbe l'adulto deficitario o inabile a comprendere i suoi e gli altrui stati interni e questo causerebbe un'incapacità di riconoscere gli stati mentali del bambino, il quale rimarrebbe privo di contenimento e quindi più vulnerabile. Un bambino che non fruisce ripetutamente dell'esperienza di rispecchiamento non imparerà ad auto-contenersi e quindi sarà in balìa del comportamento e dei giudizi del genitore e, faticando a distinguere realtà e rappresentazione della realtà, tenderà ad attribuire a sé la responsabilità di ogni atteggiamento negativo dei caregiver. Main osserva inoltre come la capacità metacognitiva rivesta un ruolo particolarmente significativo, anche qualora il genitore abbia sperimentato un attaccamento infantile insicuro: può, infatti, rappresentare un fattore predittivo nei confronti della trasmissione di tale insicurezza. Qualora l'adulto, nonostante la sua esperienza infelice e dolorosa, abbia avuto la possibilità di prendere coscienza, rielaborare ed integrare tale esperienza grazie all'autoriflessione, sarà libero dal proprio passato e, pur continuando a soffrirne, eviterà di riprodurlo inconsciamente nel rapporto con i propri figli. Nel corso dello sviluppo di qualsiasi bambino è dunque in gioco il suo costruirsi come oggetto, soggetto del suo desiderio, del suo pensiero e della sua storia. Il paradosso è che questa condizione può avvenire solo nell’ambito di una dipendenza da partner adulti, che hanno il compito di garantirgli, non solo la crescita fisica, ma anche e soprattutto il supporto psichico necessario alla costruzione della sua personalità. Secondo Pierre Legendre tutto ciò può avvenire solo se si fa capo a quello che lui chiama il “principio genealogico” cioè: l’avvento di un soggetto umano può avvenire solo all’interno di un gruppo organizzato che renda possibile il confronto tra generazioni e tra sessi, che dia al bambino le basi e i punti di riferimento necessari per accettare le differenze che ne emergono e a trascenderle in un ordine di successione genealogica che unisce il tutto.

Al di fuori di una tale struttura il destino di qualsiasi essere umano è la follia. La famiglia deve essere dunque il crogiolo in cui il bambino deve scoprire le

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27 differenze che struttureranno la loro personalità: differenza tra sé e l’altro, differenza tra genitori e figli, differenza di sesso. Senza questa esperienza il bambino rimarrebbe in un’onnipotenza infantile di non essere separato dal personaggio materno. Il compito universale dei genitori sarà dunque quello di accompagnare la generazione, entrante nel circolo della vita, a non aggirare gli ostacoli ma cercando di rendere questi superabili in ogni età della vita. La combinazione degli elementi dovrà essere continuamente vagliata per adattare le risposte al bisogno di ogni bambino.

2.3 La psicogenealogia e Anne Ancelin Schűtzenberger

La Psicogenealogia, o psicologia transgenerazionale può essere definita come un metodo che contestualizza la persona all’interno del suo panorama familiare, ridandogli il suo posto, facendo riferimento alle informazioni genealogiche e all’impatto psicologico degli avvenimenti che si sono prodotti nelle generazioni precedenti. Racchiude un insieme di conoscenze e metodologie di lavoro. L'elaborazione di questo metodo si deve ad Anne Ancelin Schützenberger co-fondatrice dell'Associazione Internazionale di Psicoterapia di Gruppo. Di formazione freudiana ha studiato, fra gli altri, con Francoise Dolto e Jacob Moreno.

In realtà la studiosa distingue tra intergenerazionale e transgenerazionale, indicando nel primo caso i dati culturali e valoriali raccolti, elaborati e inseriti in un processo di trasformazione, sottoposti a rielaborazione attraverso scambi intersoggettivi, ossia attraverso la partecipazione di un soggetto che trasmette e di uno che riceve, come per esempio tra madre e figlio; nel secondo caso, invece, è condivisa l’idea che i contenuti non possano essere detti o raccontati, quindi non saranno neppure elaborati nello spazio intersoggettivo, pertanto i passaggi da una generazione all’altra diventano vissuti inconsci.

Come afferma la Schützenberger, quando le cose vengono taciute il corpo deve per forza esprimerle e questa è la somatizzazione. Il corpo del bambino

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28 (figlio, nipote o pronipote) si trasforma nella voce dell'antenato ferito, nel suo trauma. Diventa allora necessario “tirare fuori lo scheletro dall'armadio”, decodificare le ferite non rimarginate e occuparsene. Portare alla luce e prendere consapevolezza di chi ci aiuta a capire il perché di determinate dinamiche aprendo così la strada all'accettazione e al perdono. Il rancore, la rabbia, la frustrazione, l'apatia hanno così possibilità di sciogliersi e di lasciare il posto ad un nuovo modo di sentire e vivere la vita.Dietro malattie psicosomatiche o anche fallimenti si anniderebbero ripetizioni di destini, attraverso legami inconsci tra gli interessati e i loro ascendenti.

In particolare nel suo libro “La sindrome degli antenati”, sostiene che la vita di ciascuno è un romanzo:

«Voi, me, noi tutti viviamo prigionieri di un’invisibile ragnatela di cui siamo anche uno degli artefici. [...] Siamo, in fondo, meno liberi di quando crediamo ma noi abbiamo la possibilità di conquistare la nostra libertà e di uscire dal destino ripetitivo della nostra storia familiare comprendendo i legami complessi che si sono tessuti nella nostra famiglia. Questi complessi legami si possono vedere, sentire o intuire, almeno in parte, ma generalmente non se ne parla: vengono vissuti nell’indicibile, nell’impensabile, nel non-detto o in segreto. Tuttavia esiste un modo per trasformare sia questi legami, sia i nostri desideri, affinché le nostre vite diventino a misura di ciò che noi desideriamo, dei nostri desideri, di ciò di cui abbiamo voglia e bisogno profondamente per esistere (e non di ciò che qualcun altro vuole per noi). Che la nostra vita è l’espressione del nostro autentico essere[...].».13

Per questo la psicogenealogia è un approccio di tipo analitico che indaga i legami all’interno dell’albero genealogico e risale, attraverso la ricerca e la riscoperta delle relazioni, alle cause di sofferenze psicologiche e disagi fisici.

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29 Al fine di impedire che il passato familiare abbia le sue ripercussioni sul presente individuale e sulle nuove generazioni è necessario nominare, definendolo, quanto accaduto. Ciò è necessario per non creare un mondo relazionale che abbia le fondamenta nei non-detti e nei segreti che inquinano la comunicazione familiare, producendo tossine relazionali dannose e che mettono a rischio, quando non uccidono, la salute del corpo familiare. La psicogenealogia avrà come scopo quello di rendere cosciente il proprio funzionamento inconscio: essa permette di mettere in evidenza i traumi familiari passati, le lealtà invisibili che nascondono segreti inconfessabili, i fatti inspiegabili che si manifestano in certi anniversari della vita familiare, per parlarne e farli uscire dalla loro cripta inconscia generatrice di fantasmi e aiutarci a ritornare liberi di vivere la nostra; ci conduce sui sentieri dei passivi famigliari, offre ad ognuno la possibilità di dare alle memorie trasmesse il loro giusto valore. Incarnarsi dentro le radici identitarie di una storia ricostruita permette di iniziare il cammino della propria libertà individuale. La psicoterapia transgenerazionale o psicogenealogia vuol dimostrare l’ipotesi che è possibile credere all’esistenza di un inconscio che si trasmette lungo le generazioni. Utilizza il concetto di co-inconscio per comprendere i “compiti non finiti” cioè quelle catene di traumi, dolori e ferite dell’animo umano, che si perpetuano nelle famiglie, finché il loro significato non viene chiarito. Essi costituiscono i legami di lealtà invisibili; legami di natura psicologica verso persone appartenenti a generazioni precedenti con le quali persistono situazioni non concluse, non dette o eventi traumatici indicibili. Le generazioni successive tenderanno a ripetere il copione della vita di queste persone o familiari, reiterando inconsciamente il medesimo modello, senza conoscere il trauma originale, molto spesso un segreto di famiglia. È in questo contesto che si verificano sincronie di date, coincidenze di eventi, ripetizioni d’incidenti, di morti. Queste ripetizioni di eventi, coincidenze di date, vengono ascritte da Anne Ancelin Schützenberger alla “Sindrome da

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30 antecedentemente ad una persona a lui cara. Osservando una struttura familiare si possono scoprire delle ripetizioni inconsapevoli, si possono scoprire un certo numero di strutture ereditarie, con delle ripetizioni inconsapevoli e mai segnalate. Per esempio: il numero dei figli, l'intervallo di tempo tra la nascita di un figlio e un altro, il numero dei matrimoni, il numero degli aborti spontanei e volontari, si verificano in più generazioni come un'eredità casuale, cioè che non è mai stata definita esplicitamente. Il fenomeno dell'ereditarietà si manifesta come se la struttura e la composizione di una data famiglia fosse ripetitiva, psicologicamente ereditata, come se vi fosse una regola non scritta che ciascuno segue. L’uso del termine “psicogenealogia” deriva da Alejandro Jodorowsky il quale, integra la teoria transgenerazionale con approcci e metodi propri di altri campi del sapere. Nel caso specifico Jodorowsky, convinto delle “contaminazioni” che ognuno trascina con sé dopo averle ricevute in eredità dagli antenati, mette in scena, o per meglio dire teatralizza l’albero genealogico su quattro generazioni. La particolarità del suo programma psicogenealogico consiste nella prescrizione di atti “psicomagici” alla fine della rappresentazione, basati su rituali mirati che il cliente è tenuto a seguire con rigore al fine di toccare l’inconscio e ristrutturare la sua parte conscia. Similare nell’approccio si mostrano le ricerche di Hellinger che, sulla base dei legami dell’individuo con gli archetipi, costruisce il metodo delle Costellazioni familiari per rappresentare il condizionamento sulla vita personale, di sentimenti, e destini che appartengono ad altri, ossia ad irretimenti del sistema famiglia i quali impediscono movimenti liberi e costringono nel compimento di atti, segno di fedeltà al sistema, dal quale è difficile svincolarsi.

Le Costellazioni Familiari ci forniscono la possibilità di esplorare e prendere coscienza del nostro inconscio personale e dei legami attivi con l'inconscio collettivo familiare che interferiscono nella nostra vita, e attraverso la consapevolezza e l'incontro con le nostre radici, ci offrono la possibilità di

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31 una concreta guarigione personale e sistemica. Sono, se prendiamo come esempio un’immagine la parte sommersa di un iceberg.

Gli elementi fondamentali per effettuare una Costellazione Familiare sono tre:

 il facilitatore è colui che imposta il set fenomenologico in cui si sviluppa la costellazione, che indaga assieme al cliente la tematica che si vuole esplorare;

 l’utente è l'elemento fondamentale di una costellazione, perché è colui che porta la domanda su cui lavorare, che deve essere chiara e rilevante, ovvero non generica ed evasiva, bensì veicolo di un malessere che richieda una soluzione;

 i rappresentanti sono generalmente delle persone (ma possono essere anche degli oggetti) su cui vengono proiettati dal campo morfogenetico taluni aspetti dei membri del sistema familiare.

Concretamente, dopo una breve indagine sulla problematica del cliente, si formula la domanda alla quale si tenterà di portare una soluzione grazie alla costellazione.

L’Analisi Transgenerazionale dunque prolunga il lavoro psicogenealogico nell’investigare le situazioni sofferenti dell’albero genealogico attraverso un percorso articolato. Dopo aver decodificato le informazioni presenti nel Genosociogramma ovvero schematizzare i legami familiari, le grandi tappe del ciclo di vita della famiglia (nomi, date, mestieri, avvenimenti, etc..), diviene necessario interessarsi agli effetti delle mancanze di trasmissione sulla persona. Che si tratti di traumi, lutti non elaborati, segreti, non detti, violenze, tutto questo impregna psichicamente i discendenti creando dei comportamenti, dei funzionamenti “inadatti”, disfunzionali alle situazioni che si presentano. Possono apparire sotto forma di angosce, straripamenti emozionali, sensazioni confuse, malesseri, sintomi depressivi, o, in casi più gravi, sotto forma di turbe. I sintomi generalmente si manifestano al momento di certi passaggi esistenziali che precedono cambiamenti

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32 importanti. Sono degli “appuntamenti genealogici” con la memoria familiare. Dopo aver fatto l'analisi della storia genealogica, lavoro di tipo logico-razionale, e avere scoperto da dove viene il trauma, è necessario compiere atti simbolici che ci permettono di comunicare con l'inconscio attraverso simboli, metafore, analogie, e quindi di attivare la propria parte creativa, emotiva e intuitiva che appartiene alla parte destra del nostro cervello, spesso tenuto in stand-by.

L’obiettivo è far emergere l’importanza dei legami e delle modalità comunicative all’interno del nucleo familiare fornendo notevoli informazioni sulle loro scelte educative e relazionali e allargando così la prospettiva del transgenerazionale ad una clinica psicogenealogica.

Tutto ciò può prendere un senso solo quando la prospettiva transgenerazionale viene portata a coscienza. L’analisi transgenerazionale lavora nel restaurare i legami inter e intra generazionali e al radicamento della persona nel suo posto d’origine.

Ad ogni modo, da qualunque prospettiva si decida di guardarla e con qualunque elemento si voglia arricchire, la psicogenealogia è un'analisi transgenerazionale relativa al percorso storico di una famiglia il cui fine è attribuire un significato ai copioni, vale a dire alle ripetizioni ai quali i discendenti appaiono ineluttabilmente destinati, ma che in realtà per poter “andare oltre” e vivere liberamente la propria vita devono prenderne le distanze.

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CAPITOLO III

La famiglia; veicolo della trasmissione transgenerazionale del trauma

3.1 Il ciclo di vita della famiglia

La famiglia negli ultimi decenni è stata oggetto di particolare attenzione, la si è considerata come istituzione in declino, se ne sono analizzati i cambiamenti, se ne è riscoperta la dimensione di vitalità e di risorsa.

Dal punto di vista della struttura, possiamo individuare la seguente “modulazione” delle forme familiari:

 famiglia unipersonale, si tratta di una forma impropria, in quanto formato da un solo soggetto che occupa un’unità abitativa;

 famiglia di coppia, in questa struttura possiamo collocare le coppie anziane e quelli giovani senza figli, le coppie non coniugate per scelta o per necessità;

 famiglia nucleare, dentro questo grande contenitore di famiglie formate da un solo nucleo con relativi figli;

 famiglia complessa, compresenza di più nuclei completi di generazioni diverse o dove a un nucleo si affiancano possibili ascendenti collaterali.

Ognuna di queste tipologie di famiglie deve essere considerata come un sistema ovvero, una struttura complessa di elementi tra loro interdipendenti al punto che la variazione di un elemento comporta la modifica delle relazioni e quindi del sistema; essedo la famiglia un insieme di elementi, tra i quali si stabiliscono relazioni e all’interno del quale la modifica di uno di essi trasforma l’intero sistema è dunque opportuno considerarla un sistema. Come ogni sistema si pone inoltre sempre in relazione con altri sistemi in modo da costituire universi di sistemi sempre più complessi. Pertanto ogni componente non può essere considerato a sé, indipendentemente dalle relazioni intra-sistemiche che egli vive all’interno della rete familiare.

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34 Allo stesso modo ogni sistema famiglia deve essere considerato nelle relazioni intersistemiche: le altre famiglie, le istituzioni, i servizi, in un network di relazioni. Infatti i mutamenti che riguardano le famiglie si sviluppano a diversi livelli strettamente interdipendenti tra loro: individuale, interpersonale, gruppale e sociale.14

A livello individuale occorre considerare che ciascun membro della famiglia ha la sua evoluzione che si snoda nel tempo e della quale ogni famiglia deve tener conto per garantirne le trasformazioni in base allo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico dei suoi componenti.

A livello interpersonale le relazioni esistenti tra i diversi membri della famiglia evolvono in stretta dipendenza all’evoluzione dei singoli individui, portando significative modificazioni all’interno della famiglia stessa.

Tra queste modificazioni rientrano gli spostamenti dei singoli individui che, con le entrate e le uscite determinano nuovi equilibri a livello gruppale. Da ultimo la struttura relazionale della famiglia muta in seguito alle trasformazioni che avvengono intorno ad essa, vale a dire nel contesto sociale, culturale, con eventi quali la guerra, le crisi economiche, le scelte nazionali ed internazionali sul piano macro che inevitabilmente influenzano le scelte a livello micro.

Di fronte a tali mutamenti il gruppo famiglia deve poter salvaguardare una propria “stabilità”, e per farlo deve saper rispondere efficacemente a due esigenze: riconoscere ed accettare i diversi bisogni evolutivi dei singoli componenti, definiti processi morfologici, e nel contempo imparare a preservare la propria identità di fronte al mutare dei tempi, mettendo in atto processi morfostatici.

L’interdipendenza tra processi morfostatici e morfogenetici si spiega attraverso il concetto di “ciclo di vita della famiglia”, coniato attorno gli anni quaranta all’interno delle scienze psicosociali ed in particolare da due

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35 sociologi americani, Hill e Duvall i quali teorizzarono l’interconnessione tra i percorsi evolutivi di ogni singolo membro della famiglia correlando il relativo successo o insuccesso all’influenza di tutti gli altri componenti. In particolare i sociologi proposero un ciclo di vita familiare suddiviso in otto stadi a partire da "eventi nodali" che, attraverso la disorganizzazione-riorganizzazione del sistema stesso implicano il superamento di alcuni compiti di sviluppo, permettendo l’ingresso in una fase successiva.

Questi otto stadi sono:

1. formazione della coppia 2. famiglia con figli

3. famiglia con figli in età prescolare 4. famiglia con figli in età scolare 5. famiglia con figli adolescenti 6. famiglia trampolino di lancio 7. famiglia in fase di pensionamento 8. famiglia anziana

Il contributo di Haley è stato determinante per comprendere l’intensità dei movimenti di passaggio della famiglia da uno stadio all’altro; infatti, tale passaggio non è naturale, ma implica tutta una serie di compiti evolutivi non sempre facili da superare ed è proprio intorno a quei punti nodali che si focalizza l’intervento terapeutico. Haley sostiene che lo stress familiare sia più intenso nelle fasi di transizione da uno stadio all’altro del processo evolutivo della famiglia e quindi i sintomi di una patologia compaiono in occasione di interruzioni o distorsioni nell’evoluzione del ciclo di vita.15

All’interno della teoria dello sviluppo famigliare e accogliendo i contributi provenienti dalla sociologia, dalla psicologia e della pratica psicoterapeutica le studiose Elisabeth Carter e Monica McGoldrick16 hanno dato vita ad un

15 Cfr., Terapie imperfette. Il lavoro psicosociale nei servizi pubblici., R. Mazza, Raffaello Cortina Editore, 2016, p. 122

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