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La predicazione di Gesù

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Academic year: 2022

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La predicazione di Gesù

I

Nel testo di Marco la predicazione del “vangelo” non avviene, da parte di Gesù, con dei discorsi, ma con dei fatti, e questi generalmente sono esorcismi e guarigioni miracolose.

La descrizione di quegli eventi straordinari ha un che di surreale, come spesso succede in questo protovangelo: p.es.

Gesù dice di voler “predicare” in tutta la Galilea (1,38), ma, in realtà, non fa alcun discorso.

Marco lo presenta subito come un extraterrestre, una mezza divinità, un uomo dotato di poteri sovrumani, in grado di comandare gli spiriti immondi, di curare qualunque

malattia, anche le più terribili come la lebbra e la tetraplegia. Guarisce tranquillamente di sabato, pur non avendo dei casi in pericolo di vita; lo fa in piena

autonomia, senza appellarsi a Dio; anzi, perdona i peccati, cioè è in grado di giudicare dove sta il bene e il male, come se egli stesso fosse Dio, senza aver bisogno di confrontarsi con nessuno.

Marco presenta Gesù come un contestatore delle tradizioni ebraiche, dell’ideologia giudaica: “insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi” (1,22); “comanda con autorità perfino gli spiriti immondi, ed essi gli

ubbidiscono!” (1,27).

Guarisce il lebbroso dicendogli di mostrarsi al sacerdote e di portargli per la sua purificazione ciò che Mosè ha

prescritto; e poi aggiunge: “Questo serva loro di

testimonianza” (1,44). Perché questo livore? Marco non lo spiega. È partito in tromba, facendo capire subito che tra Gesù e gli scribi vi era un abisso d’incomprensione; eppure

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non c’è stato alcun dibattito: lui nelle sinagoghe insegna, ma che cosa non è dato sapere.

I racconti di miracoli ed esorcismi sembra siano stati messi a bella posta per celare il suo messaggio di

liberazione. Peraltro ha qualcosa di abbastanza ridicolo che Gesù si servisse di guarigioni miracolose per

annunciare un messaggio di liberazione. Di fronte ad esse chiunque avrebbe potuto pensare due cose: 1) è facile

ottenere un vasto consenso popolare compiendo miracoli; 2) non è detto che chi compie miracoli meriti d’essere

considerato un messia liberatore. Cosa c’entrano gli

esorcismi e le guarigioni col vangelo di liberazione? C’è forse dell’antisemitismo in questo modo di esporre

l’operato di Gesù? Infatti, se, al cospetto di prodigi del genere, tutti a favore di casi umani molto gravi, gli

scribi continuano a pensare ch’egli “bestemmi” (2,7),

allora Gesù faceva bene ad essere prevenuto contro di loro:

essi non volevano ammettere l’evidenza, lo odiavano senza ragione. A questa conclusione un lettore può facilmente arrivare. Più avanti Gesù dirà che non ci può essere

perdono per chi “bestemmia contro lo Spirito Santo” (3,29).

Marco gli fa usare le parole “Spirito Santo” che agli ebrei erano del tutto sconosciute.

II

La predicazione di Gesù, che in questo vangelo viene fatta iniziare in Galilea, subito dopo l’arresto di Giovanni Battista, è sintetizzata da Marco in quest’unica frase, analoga a quella che diceva il Battista, divisa in due parti: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;

convertitevi e credete al vangelo” (1,15).

Ora, la domanda che qui ci si pone è la seguente: davvero Gesù voleva realizzare un “regno di Dio”? Ciò è tutto da dimostrare, sia perché un “regno” presuppone un “monarca”,

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e Gesù non ha mai fatto nulla (neppure in questo vangelo) per volerlo diventare (tant’è che rifiuterà di marciare su Gerusalemme coi cinquemila Galilei che glielo chiedevano, e quando deciderà di farlo, sceglierà di entrarvi in maniera pacifica, in groppa a un asino e non a un cavallo: questo perché era un politico democratico, che avrebbe voluto fare un’insurrezione di popolo); sia perché un “regno di Dio”

presuppone che il suo realizzatore abbia un interesse spiccato per la religione, e Gesù non ha mai fatto nulla per dimostrarlo, neppure in questo vangelo.

Infatti, non lo si vede mai compiere sacrifici al Tempio o dei gesti rituali, tipici delle usanze ebraiche (non crede neppure nel sabato e non ha mai detto di ritenere

indispensabile la circoncisione). Si considerava superiore a Mosè e riteneva che il Battista, da cui pur si era

distaccato polemicamente, a motivo dell’epurazione del Tempio, fosse il maggiore dei profeti che Israele avesse mai avuto. Quando frequenta le sinagoghe o lo stesso Tempio, lo fa per discutere non per pregare. Quando

guarisce gli ammalati, non invoca mai il nome di Dio; né ha mai amministrato alcun sacramento (l’eucaristia gli è stata attribuita dalla teologia paolina, di derivazione

ellenistica, in quanto per gli ebrei mangiare carne umana e berne il sangue sarebbe stato inconcepibile, anche solo sul piano simbolico).

Alla samaritana, nel vangelo di Giovanni, afferma che nei confronti della religione deve valere il principio della libertà di coscienza. Nei confronti dei Giudei ha il coraggio di sostenere che tutti gli uomini sono dèi (Gv 10,33), per cui non ha senso credere nella perfezione di un’entità esterna all’essere umano (peraltro il nome di Jahvè non appare mai nei vangeli, e il nome di “Signore” – a differenza di quanto si faceva nell’Antico Testamento – non viene mai attribuito a Jahvè). Lo stesso vangelo di

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Marco, quando parla della cosiddetta “resurrezione” di Gesù, non la descrive mai e non sostiene ch’essa sia stata opera di Dio, e questo nonostante che tutti i vangeli

abbiano fatto di tutto per trasformare il Gesù politico in un Cristo teologico. Anzi, in questo vangelo “Dio” non è che un’entità astratta, un concetto che viene utilizzato per spiegare la morte di Gesù, il quale, essendo scomparso misteriosamente dal sepolcro e quindi lasciando pensare che avesse una natura sovrumana, non permetteva di credere in una casualità degli eventi.

Quindi non è proprio il caso di parlare di “regno di Dio”, se non in riferimento agli zeloti, ai farisei, ai battisti, agli esseni… Gesù voleva soltanto liberare la Palestina dai Romani e dalla corrotta casta sacerdotale che sfruttava il Tempio per arricchirsi a dismisura e che aveva realizzato con l’invasore straniero un rapporto di reciproco

interesse. La società che voleva costruire era di tipo democratico, basata sulla liberazione nazionale e sulla giustizia sociale.

E che, per realizzare questo, egli si rivolgesse soltanto agli ebrei, è vero sino a un certo punto. Nei vangeli non lo si vede mai fare distinzioni etniche di principio tra Giudei, Galilei, Samaritani, Idumei ecc., ma, al contrario, per liberarsi di Roma chiede la collaborazione di tutti.

Non lo si vede rifiutare il contatto con città o territori o persone riguardanti il cosiddetto “mondo pagano”; anzi, frequenta la Decapoli, Tiro e Sidone, s’incontra con una donna siro-fenicia e coi Greci durante l’ingresso

messianico, ecc. Peraltro i Romani avevano occupato la Palestina sin dai tempi di Pompeo: era impossibile non frequentare i loro ambienti o non avere a che fare con persone che realizzavano con loro rapporti d’affari (un ex pubblicano faceva persino parte della ristretta cerchia dei Dodici).

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Gesù poteva constatare coi suoi occhi che tutto il

Medioriente era dominato da Roma. Non avrebbe avuto alcun senso che la Palestina ebraica non cercasse alleati fuori del proprio territorio. Gli ebrei erano sicuramente una popolazione molto combattiva, ma contro Roma non avrebbero disprezzato l’aiuto di nessun’altra popolazione.

È tuttavia evidente che una liberazione “nazionale” va compiuta con la popolazione che soffre l’oppressione straniera, di cui si conoscono meglio usi, costumi,

mentalità, tradizioni, cultura… Non si possono aspettare aiuti esterni “decisivi” per compierla. Una popolazione deve anzitutto aver fiducia in se stessa, nella propria capacità di liberarsi autonomamente. Gli aiuti esterni possono servire come forma di supporto, poiché nelle fasi tipiche degli scontri armati o delle rivoluzioni si ha sempre bisogno di un sostegno materiale o finanziario, essendo temporaneamente ridotta la gestione dell’economia, la vita lavorativa. Poteva risultare utile anche un

appoggio straniero di tipo politico-diplomatico o

propagandistico. Perché escluderlo? È assurdo pensare che gli ebrei volessero fare una guerra di liberazione

nazionale per dimostrare d’essere una popolazione migliore di altre, sottoposte alla medesima colonizzazione romana.

Gli esegeti favorevoli all’idea secondo cui Gesù si

rivolgeva esclusivamente agli ebrei, lo fanno o perché loro stessi sono di origine ebraica e sostengono che Gesù non fosse molto diverso dai migliori rabbini d’Israele e che il principale responsabile della sua morte fu Pilato e non Caifa; oppure perché credono di potersi opporre alla

deformazione “ellenistica” della figura di Gesù (compiuta dalla teologia paolina), cercando di accentuare le sue caratteristiche giudaiche. Così facendo, però, sia in un modo che nell’altro finiscono col misconoscere o il lato eversivo della sua strategia politica (la liberazione

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nazionale contro Roma e l’abbattimento dell’aristocrazia sacerdotale), oppure quello eversivo della sua cultura, ch’era estranea alla sensibilità religiosa.

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