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Colf in nero senza permesso di soggiorno

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Colf in nero senza permesso di soggiorno

Autore: Redazione | 21/11/2019

Domestica e badante irregolare: come tutelarsi? Cosa rischia chi assume una donna delle pulizie che è una clandestina?

Stai cercando una colf che faccia le pulizie in casa la mattina. Ti è stata suggerita una donna con diverse referenze. Quando la incontri ti accorgi che ha un accento

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straniero e i tratti somatici di un Paese lontano. Stranamente è lei stessa a chiederti di essere pagata “in nero”, senza contributi. Sospetti che la ragione sia collegata all’assenza del permesso di soggiorno. E siccome non vuoi rischiare di subire problemi con la legge, ti chiedi cosa rischi se assumi una clandestina irregolare. Il fatto di pagarla a giornata ti impone di chiederle i documenti? Quali sono le conseguenze per il padrone di casa che, magari in buona fede, ha una colf in nero senza permesso di soggiorno? Ecco alcuni importanti chiarimenti che faranno al caso tuo.

Colf in nero: come si scopre?

Una recente sentenza della Cassazione [1] ha “messo la pulce nell’orecchio” di tante persone: le colf possono eseguire riprese video o audio a casa del datore senza perciò violarne la privacy e commettere reato. Chiaramente lo scopo di tale attività “auto-investigativa” è quello di dimostrare il lavoro in nero ed aprire una vertenza lavorativa. Vertenza che porterà il datore a dover pagare alla collaboratrice domestica i contributi che non le ha mai versato e le eventuali differenze retributive previste dal contratto collettivo, la buonuscita (il cosiddetto Tfr o trattamento di fine rapporto), le ferie retribuite e i permessi non goduti.

Il datore non potrà neanche avvalersi dell’istituto della prescrizione. Difatti, se è vero che i termini per contestare l’esistenza di un rapporto in nero sono solo di cinque anni, questi decorrono dalla cessazione del lavoro (dimissioni o licenziamento). Quindi, nel caso di un rapporto lavorativo protrattosi per numerosi anni, l’eventuale vertenza della colf in nero potrebbe essere una scure sui risparmi familiari e spingere la creditrice a pignorare la casa del proprio datore.

La Cassazione ha tuttavia posto delle condizioni alla possibilità della colf di fare riprese nella casa ove svolge le mansioni. Innanzitutto questa non può lasciare la telecamera in una stanza e allontanarsi o registrare le conversazioni tra persone mentre lei è altrove. Chi esegue le registrazioni deve essere, in quello stesso momento, personalmente presente. In secondo luogo, nell’occhio della telecamera non possono rientrare scene di vita privata familiare; dunque ben venga all’occhio

“spia” che inquadra la colf mentre spolvera o lava i bagni, ma non è possibile anche immortalare le conversazioni riservate tra i coniugi. In caso contrario la donna delle pulizie può essere denunciata per «interferenze nella altrui vita privata».

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Tuttavia, anche senza le registrazioni, la colf in nero può ben denunciare il padrone di casa all’Ispettorato del lavoro o direttamente in tribunale per ottenere tutte le somme che la contrattazione collettiva le riconosce. Al riguardo, se anche l’interessata non può raggiungere la prova solo con le proprie dichiarazioni, la può integrare con le testimonianze di amici e parenti che dichiarino, ad esempio, di averla vista entrare ed uscire, con regolarità e ad orari o giorni fissi, dall’appartamento del proprio datore. Dunque, in tema di onere della prova della colf in nero valgono le stesse regole previste per qualsiasi altro dipendente.

Cosa si rischia con una colf in nero?

Il primo rischio di far lavorare una colf in nero è economico e di natura civilistica. Il datore di lavoro dovrà versare alla dipendente tutte le somme che le sarebbero spettate in caso di assunzione regolare, dal primo all’ultimo giorno di lavoro (come detto, la prescrizione si forma dopo 5 anni dalla cessazione del rapporto). Solo gli omessi contributi previdenziali possono far raddoppiare gli importi.

Senza contare che, se il datore di lavoro ha pagato la donna in contanti, senza farsi firmare delle ricevute, difficilmente potrà dimostrare di aver adempiuto agli obblighi dello stipendi. Con la conseguenza che potrebbe trovarsi a dover versare alla colf nuovamente tutte le giornate di lavoro.

Maggiori informazioni su Colf e badante pagata in nero: cosa rischio? s su Come tutelarsi da una colf in nero.

Infine, ci sono le sanzioni amministrative per il lavoro in nero.

Per l’omessa o la ritardata comunicazione dell’assunzione all’Inps bisogna pagare al Centro per l’Impiego una sanzione da 200 a 500 euro per ogni lavoratore. Non è una sanzione di tipo penale ma amministrativa.

Inoltre, per il lavoro nero, ossia per la mancata iscrizione all’Inps, la Direzione Provinciale del Lavoro può applicare una sanzione che va da 1.500 euro a 12mila per ciascun lavoratore in nero, maggiorata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo, cumulabile con le altre sanzioni amministrative e civili persistenti contro il lavoro in nero.

Infine per l’omesso pagamento dei contributi previdenziali, le sanzioni sono pari al tasso del 30% su base annua calcolate sull’importo dei contributi evasi con un

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massimo del 60% e un minimo di 3mila euro, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata. Anche per una sola giornata di lavoro in nero il datore di lavoro può essere punito con la sanzione minima applicabile di 3mila euro.

Colf o badante straniera senza permesso di soggiorno: cosa rischio?

Arriviamo infine alla colf irregolare o clandestina. L’assenza di permesso di soggiorno della collaboratrice domestica può essere il problema più grave per il datore. A differenza infatti di tutti gli altri illeciti appena visti, che comportano sanzioni di tipo civile (le differenze da versare alla colf) o amministrative (le somme da versare allo Stato e al centro per l’Impiego), chi assume una colf in nero senza permesso di soggiorno commette reato.

Premesso che ciò che diremo qui di seguito vale solo per le straniere, le regole sono però diverse a seconda dello Stato di provenienza della badante o della colf.

Se questa proviene da uno dei Paesi dell’Unione Europea (27 in tutti) oppure dalla Svizzera, Norvegia, Islanda, Liechtenstein, l’assunzione avviene secondo le stesse regole dei cittadini italiani e quindi non è necessario richiedere il permesso di soggiorno.

Negli altri casi, in base al testo unico per l’immigrazione [2], il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze un lavoratore extraUe sprovvisto di permesso di soggiorno (non lo ha mai avuto, gli è stato revocato, oppure una volta scaduto non lo ha rinnovato) è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore irregolarmente occupato.

Potresti a questo punto pensare che assumere una colf in nero senza permesso di soggiorno possa essere una sicurezza ulteriore per il datore: questi infatti difficilmente rischierebbe una denuncia da parte della lavoratrice, che altrimenti sarebbe espulsa. Ma non è così. Con l’abolizione del permesso di soggiorno umanitario si è aperta una nuova strada per uscire dall’illegalità da parte della colf: questa, se presenza una denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato contro il datore di lavoro, può richiedere un permesso di soggiorno per “casi speciali”. Esso è rilasciato dal Questore su parere favorevole del Procuratore della Repubblica.

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Come si assume la colf straniera?

Ricordiamo che, se la colf è una straniera extracomunitaria già presente in Italia, con permesso di soggiorno valido per l’attività lavorativa,l’assunzione avviene con le procedure ordinarie in vigore per i lavoratori italiani.

Se, invece, si tratta di una straniera extracomunitaria residente all’estero, è necessario seguire una particolare procedura, che inizia con la richiesta di nulla osta al lavoro.

Nel dettaglio, la procedura da seguire per assumere un lavoratore extracomunitario con un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, o a termine, è suddivisa nelle seguenti fasi:

rilascio del nulla osta al lavoro;

rilascio del visto d’ingresso da parte della rappresentanza diplomatica o consolare italiana;

stipulazione tra il datore di lavoro e il lavoratore di un contratto di soggiorno per lavoro subordinato;

rilascio del permesso di soggiorno per lavoro subordinato;

stipula tra il lavoratore e lo Stato italiano di un accordo di integrazione.

Quasi tutte le operazioni si svolgono presso lo Sportello unico per l’immigrazione, istituito in ogni provincia presso la Prefettura – ufficio territoriale dello Stato.

Per approfondire: Assunzione di lavoratori extracomunitari.

Note

[1] Cass. sent. n. 41658/19 del 13.11.2019. [2] D.lgs. n. 286/98: Art. 22, comma 12 prevede, infatti, che: “Il datore che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui

permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato, è punito con l’arresto da tre mesi ad un anno e con

l’ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato”.

Riferimenti

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