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Il termine bulimia nervosa come «fame maligna», ha una storia millenaria. Plutarco impiegò il termine bulimos per riferirsi a un demone maligno che

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Il termine bulimia nervosa come «fame maligna», ha una storia millenaria. Plutarco impiegò il termine

bulimos per riferirsi a un demone maligno che Induceva una fame «famelica». L’etimologia della parola bulimia, tuttavia, deriva dal greco bous (bue) limos (fame) per indicare una fame

così intensa che un individuo poteva mangiare un intero bue.

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In medicina, questo abnorme introito di cibo era noto come «Kynorexia», cioè insaziabile voracità seguita dal vomito e si riteneva che la causa fosse collegata a disfunzioni gastriche.

Nel XVIII sec., alcuni clinici distinguevano varie forme di bulimia:

La forma idiopatica

Bulimia helluonum (fame eccesiva)

Bulimia syncopalis (svenire dalla fame) Bulimia emetica (abbuffata + vomito).

Nel XIX sec., abbuffate e vomito vennero considerate forme di isteria, genericamente, indicate come Bulimia isterica, senza essere inquadrate in veri e propri disturbi del Comportamento alimentare.

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L’attuale definizione di bulimia si è sviluppata a partire dagli studi

sull’anoressia che avevano evidenziato come alcune pazienti soffrivano di abbuffate compulsive seguite da vomito. Questo sintomo fu considerato una variante del comportamento alimentare delle anoressiche.

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L. Binswanger , nel 1944,descrisse il primo caso di bulimia considerato come esempio clinico di schizofrenia. La paziente, Ellen West, viene descritta come una persona che inseguiva un’impossibile magrezza attraverso il vomito e l’abuso di lassativi.

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Negli anni ’70, negli Stati Uniti, grazie al lavoro di Boskind-Lodhal, la bulimia nervosa cominciò ad assumere un’entità autonoma. La psichiatra descrisse una sindrome che definì «bulimarexia» che colpiva giovani studentesse universitarie con scarsa autostima e un’intensa sensibilità nei confronti del maschile. Tale sindrome fu definita anche «bulimia a peso normale».

H. Bruch, nel 1973, descrisse la bulimia come una manifestazione patologica in individui già in sovrappeso con l’ossessione per la magrezza. Utilizzò il termine «obese aimigri», frequentemente impiegato agli inizi del secolo.

Nel 1979, Gerald Russell pubblicò un lavoro dove descrisse le caratteristiche psicopatologiche della bulimia nervosa, così come oggi viene riconosciuta.

Un disturbo che si poneva tra l'anoressia e l'obesità, con le stesse caratteristiche preoccupazioni delle anoressiche, in assenza di amenorrea e perdita di peso eccessiva.

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CRITERI DIAGNOSTICI DSM -5

A. episodi ricorrenti di abbuffata. Un’abbuffata è definita da entrambe le caratteristiche seguenti:

1) mangiare in un periodo definito di tempo (per es. nell’arco di due ore) una quantità di cibo indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso intervallo di tempo e in circostanze simili;

2)sensazione di perdita di controllo sulla alimentazione durante l’episodio (per es. sentire di non poter smettere di mangiare o di non poter controllare cosa o quanto si stia mangiando).

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B. le abbuffate si associano ad almeno tre dei seguenti sintomi:

1) mangiare molto più rapidamente del normale;

2) mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;

3) mangiare grandi quantitativi di cibi anche se non ci si sente fisicamente affamati;

4) mangiare in solitudine perché ci si vergogna di quanto cibo si sta assumendo;

5) provare disgusto verso di sé, depressione e senso di colpa dopo ogni episodio;

C. E’ presente marcato disagio nei confronti del comportamento bulimico.

D. Le abbuffate avvengono, in media, almeno due giorni la

settimana per un periodo di sei mesi.

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Ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, enteroclismi o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo.

Le abbuffate e le condotte compensatorie accadono entrambe in media almeno due volte la settimana, per tre mesi

I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporeo

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Definizione di abbuffata

L’abbuffata: mangiare rapidamente, senza avvertirne il bisogno, da soli per l’imbarazzo provocato dal proprio comportamento. Devono essere, inoltre, provati una spiacevole sensazione di ripienezza gastrica, disgusto, tristezza o senso di colpa subito dopo l’eccesso alimentare come pure disagio per questo modo di alimentarsi senza attuare condotte compensatorie

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I fattori di rischio per lo sviluppo della bulimia nervosa sono (DSM 5):

Fattori temperamentali: preoccupazioni relative al peso, bassa autostima, sintomi depressivi, disturbo d’ansia sociale, disturbo iperansioso

dell’infanzia.

Fattori ambientali: internalizzazione dell’ideale di un corpo magro, abusi fisici e/o sessuali subiti in infanzia.

Fattori genetici e fisiologici: trasmissione familiare e vulnerabilità genetica, obesità infantile e precoce maturazione puberale.

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Incidenza ed esordio

Gli studi epidemiologici evidenziano che la bulimia è da cinque a dieci volte più diffusa dell’anoressia. La reale incidenza è difficile da determinare visto che le pazienti spesso nascondono il disturbo, che si rende evidente quando le stesse decidono di renderlo tale. Viene definita, anche «patologia del nascosto» per questo motivo.

La bulimia nervosa ha, in genere, inizio nella tarda adolescenza e nella prima età adulta. Viene considerata una malattia ad andamento cronico in cui sono frequenti remissioni e ricadute. . E’ diffusa anche fra la popolazione di donne meno giovani, spesso apparentemente efficienti e di successo con una vita organizzata, che nel loro profondo sono ossessionate dal cibo e dal peso.

Sono tipiche della bulimia sensazioni di solitudine e noia, inizialmente sporadiche, che trovano sollievo nell’ingestione smodata di cibo generando sentimenti di colpa e vergogna che riducono l’autostima e inducono al circolo vizioso abbuffata-vomito. In alcuni casi, la bulimia può rappresentare un’evoluzione dell’anoressia. La rinuncia al digiuno viene vissuta come un fallimento del controllo sui propri bisogni e determina la necessità di svuotarsi di ciò che in maniera «trasgressiva» ci si è concesso.

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Psicopatologia

Gli studi clinici hanno evidenziato che un’esperienza fortemente strutturante la malattia è la deprivazione affettiva vissuta nella prima infanzia.

All’anamnesi, sono presenti esperienze quali la malattia di un genitore e la conseguente mancanza di diponibilità; un conflitto perenne tra i genitori con separazione o divorzio, totale disattesa dei bisogni affettivi per genitori troppo impegnati nel successo sociale. Queste esperienze di perdita determinano la costituzione di un MOI (Modello Operativo Interno) la cui riattivazione avviene, nella vita adulta, nelle situazione che emotivamente ripropongono vissuti di perdita ed abbandono.

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Possono essere considerati tratti tipici della bulimia:

patologica attenzione verso il peso corporeo.

perfezionismo clinico.

bassa autostima e autoefficacia.

alterato rapporto con il cibo.

difficoltà nel riconoscere e comunicare le proprie emozioni.

tendenza all’impulsività in un più generale quadro di disregolazione emotiva.

una storia personale di abusi o traumi.

insoddisfazione per il proprio corpo fino ad un vero e proprio disturbo dell’immagine corporea.

Paura di ingrassare

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La necessaria presenza del vomito dopo l’abbuffata ha la funzione di ridurre la paura di aumentare di peso. Segno caratteristico della bulimia nervosa è la presenza del ciclo abbuffata-vomito autoindotto. A questo sintomo possono associarsi anche abuso di lassativi ed iperattività fisica a carattere compensatorio.

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Il sintomo bulimico determina anche una deflessione del tono dell’umore con conseguente difficoltà alla relazioni sociali. Gli episodi bulimici sono spesso programmati nell’acquisto del cibo e nel tempo in cui deve avvenire l’ingestione. I soggetti spesso evitano le sistuazioni sociali in cui sono esposti al cibo temendo di non essere in grado di resistere all’ingestione e alla possibilità di fermare l’azione.

Quando l’ossessione per il cibo diventa pervasiva, la socialità è fortemente compromessa perché la persona bulimica non uscirà con gli altri, né condividerà l’esperienza del pasto se non ha la certezza di poter vomitare.

I soggetti bulimici danno molta importanza al peso e alle forme corporee:

presentano un intenso desiderio di perdere peso e combattono con il desiderio impulsivo di assumere cibo utilizzando comportamenti compensatori. Il perso e l’immagine corporea sono gli elementi che determinano la soglia dell’autostima.

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Studi sui meccanismi dell’impulsività hanno dimostrato come esiste una correlazione fra emozioni ed assunzione incontrollata di cibo. Nei soggetti bulimici, sembra che le emozioni negative e le situazioni di attivazione del trauma separativo scatenano l’abbuffata. Si perpetua così il circolo vizioso abbuffata- vomito, bassa autostima- abbuffata-vomito.

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L’incompleto sviluppo psicologico con la mancata organizzazione ed elaborazione dei processi di separazione/individuazione porta a ritenere che i soggetti bulimici abbiano sperimentato un particolare tipo di legame affettivo, all’interno della relazione primaria. Gli studi sull’attaccamento hanno mostrato che lo stile di attaccamento predominante nella bulimia e il tipo insicuro. La relazione con i genitori è caratterizzata dalla sensazione che le bulimiche hanno di non essere supportati nel processo di crescita con conseguenti vissuti di ansia e minaccia. L’abbuffata sarebbe un tentativo di dare sollievo temporaneo a tali vissuti.

Nella bulimia, la mancata esperienza di continuità e stabilità delle risposte del caregiver ai bisogni del bambino non consente di affrontare il processo di separazione. Così l’abbuffata rappresenta simbolicamente la fusione simbiotica e le condotte di eliminazione la separazione.

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Molti teorici dell’attaccamento sostengono che l’ingestione incontrollata di cibo può rappresentare un tentativo di mantenere l’attaccamento al caregiver, così da evitare l’angoscia di separazione. La perdita di controllo durante l’abbuffata sarebbe l’equivalente della incontrollabile ansia legata alla separazione come accade nello stile di attaccamento insicuro di tipo ambivalente

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La mancata esperienza separativa determina una dis-regolazione del sistema emotivo. Pulsioni aggressive verso il caregiver percepito come poco affidabile vengono rimosse e trasformate nel senso di colpa e di vergona. Entrambe queste emozioni esprimono un giudizio negativo su di sé e sono attivate nel ciclo abbuffata/vomito. La percezione di vergogna implica un’emozione

sofferta di svalutazione di sé e di perdita di autostima con un’attacco al proprio senso di identità.

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Il ciclo abbuffata-vomito

Nella crisi bulimica possiamo individuare:

Una fase di angoscia crescente dominata dall’impulso ad ingerire cibo

L’accesso bulimico incontrollato, quasi una stato alterato di coscienza che porta ad ingerire cibo senza più sapori , né gusto.

Il vomito con funzione catartica, di annullamento dell’angoscia derivato dalla paura di ingrassare

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La funzione purificatrice del vomito consente al soggetto di recuperare temporaneamente la stima di sé. Riempirsi e svuotarsi “troppo” non riguarda solo la quantità di cibo, ma anche e soprattutto la difficoltà di gestire le situazioni problematiche della vita.

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Il cibo è un oggetto da controllare, perché una volta entrato nel corpo può creare situazioni ingestibili che trasformeranno il corpo in maniera incontrollabile. Esso rappresenta il persecutore che riattiva il terrore della trasformazione incontrollata del corpo e di sé nell’epoca adolescenziale.

L’esigenza insopprimibile, determinata dall’angoscia di annientamento, impone la necessità di liberarsi del cibo-oggetto persecutorio, per allontanare il pericolo dell’annullamento del Sé.

Il pensiero sul cibo assume qualità pervasive ed invasive non consentendo più al soggetto l’abituale svolgimento della quotidianeità e il normale esercizio delle funzioni cognitive. La lotta tra desiderio ed angoscia diventa il fulcro dell’esistenza dei soggetti bulimici, nelle fasi avanzate della malattia

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Il corpo rappresenta, come per l’anoressia, la realtà da controllare , ma è anche il simbolo delle proprie parti «cattive» quelle legate alle istanze aggressive verso l’oggetto d’amore (la relazione primaria) che ha avuto atteggiamenti abbandonici e non rassicuranti. Perciò, eliminare qualcosa dal proprio corpo equivale a rimuovere una parte negativa. Diventare più magri significa acquisire una nuova identità, che attraverso la «magrezza» esprima le istanze fisiologiche della crescita. Anche nella bulimia, il rapporto cibo- corpo ripropone le esperienze della relazione primaria in modo disfunzionale, costituendo un luogo claustrico nel quale il soggetto ripete all’infinito lo scenario incompleto della sua crescita.

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 Bulimic episodes are frequently planned, with food purchased or prepared in order to be consumed

without interruption. The individual may also avoid situations in which they are likely to be exposed to

food or will find it difficult to control their eating, such as when eating out with others. This avoidance

behaviour tends to add to any social and relationship

difficulties that may be present.

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Bulimia e sessualità

Lo studio del legame affettivo dei soggetti bulimici ha evidenziato che una parte essenziale della psicopatologia è sostenuta dal legame con la figura paterna. Quest’ultimo è oggetto di ammirazione, riconosciuto come elemento vincente rispetto alla figura femminile assente. La bulimica cresce nel desiderio di raggiungere e confermare la propria identità femminile conquistando il maschio. Questo meccanismo è alla base della promiscuità sessuale delle bulimiche, ma spiega anche perché nella loro storia sono presenti relazioni di coppia anche stabili.

La bulimica ha, quello che viene definito un Falso Sé che le consente di essere efficiente nel lavoro, di esercitare la seduzione e di apparire estremamente capace di gestire e vivere il proprio corpo.

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Conseguenze fisiche del sintomo bulimico

I danni fisici derivanti dal comportamento bulimico sono:

Squilibrio idro-elettrolitico con ipopotassiemia e conseguenti alterazioni cardiache.

Disidratazione

Lacerazione dell’esofago

Disturbi da malnutrizione: epatopatie, pancreatiti.

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Ipopotassiemia, iponatriemia

La perdita di potassio, sodio e cloro provoca complicanze metaboliche

(alcalosi, chetonuria), renali e cardiovascolari, sia in forma acuta sia cronica. I sintomi di uno squilibrio idroelettrolitico sono: sete, vertigini e ritenzione idrica, che causa gonfiore a gambe (edemi declivi) e braccia, debolezza, apatia, tic e spasmi nervosi.

In particolare, vomitare dopo avere assunto ingenti quantità di acqua che è uno dei metodi del vomito autoindotto crea un profondo e immediato

cambiamento nell’equilibrio idrosalino, che ha come sintomo spossatezza, tremori e tachicardia e può esitare in aritmie cardiache anche gravi (dalla tachicardia sinusale alla fibrillazione ventricolare).

I danni renali più frequenti sono la nefropatia ipopotassiemica e la calcolosi renale.

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Apparato digerente

Il vomito cronico causa una varietà di sintomi nel tratto digerente, a

cominciare dalla bocca. L'alto contenuto di acidi del vomito può danneggiare i denti, causando l'erosione dello smalto, sensibilità dentale e danni da

masticazione di gomme. Determina edema delle ghiandole salivari con la tipica faccia di gatto.

L’acido che passa nell’esofago a seguito del vomito induce erosioni fino alla lacerazione della mucosa esofagea. Questa evenienza è mortale perchè comporta per la rottura dell’esofago il passaggio degli acidi nell’albero bronchiale.

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