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Le protesi nelle fratture del collo femorale

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Lo Scalpello (2019) 33:30-34

https://doi.org/10.1007/s11639-019-00303-5

Le protesi nelle fratture del collo femorale

Andrea Pantalone, Federico Polidoro, Roberto Rea, Vincenzo Salinia(B)

Clinica Ortopedica e Traumatologica, Ospedale Clinicizzato S. Annunziata Chieti, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi G. d’Annunzio, Chieti-Pescara, Italia

avsalini@unich.it

ABSTRACT– HIP PROSTHESIS FOR FEMORAL NECK FRACTURES

Intracapsular fractures of the proximal femur account for a major share of fractures in the elderly and result from low energy trauma; in these cases hip replacement arthroplasty is a viable treatment option. A timely and appropriate treatment of hip or proximal femur fracture lead to reduction in the risk of complications associated with prolonged bed rest in older persons. In this regard, the use of different prosthetic hip joints should be considered to achieve the best risk-benefit and cost-effective ratio.

Pubblicato online: 31 gennaio 2019

© Società Italiana Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d’Italia 2019

Introduzione

L’incidenza mondiale delle fratture del femore prossimale varia in base alle aree geografiche, con maggior prevalenza nel Nord Europa e negli Stati Uniti d’America e in relazione alla concentrazione di persone anziane residenti in un dato luogo, all’etnia, latitudine e a fattori socioculturali. Le con- seguenze di una frattura del femore prossimale nella popola- zione anziana includono complicanze come dolore cronico, disabilità, riduzione della qualità di vita e decesso legato alla presenza di comorbidità [1].

La frattura del femore prossimale può rappresentare un evento particolarmente traumatico per il paziente anzia- no, incidendo sulla funzionalità fisica, mentale e sulla sua autonomia.

La mortalità nei primi 12 mesi dal trauma varia tra il 12 e il 36% [2], con picchi più alti a seconda delle casistiche. Inol- tre, molti pazienti non riescono a riacquistare un livello di autonomia pari a quello precedente al trauma [3].

Le fratture del femore prossimale possono essere divise in due grandi gruppi in relazione alla regione anatomica coin- volta dalle rime di frattura e alle conseguenze patologiche che queste comportano a livello di vascolarizzazione dei monconi. Si distinguono, in particolare: le fratture intracap- sulari, o mediali, e le fratture extracapsulari, o laterali [4].

Il trattamento elettivo per tutti i pattern fratturativi è sicu- ramente quello chirurgico poiché permette, nell’immediato postoperatorio, il raggiungimento degli obiettivi di mobiliz- zazione precoce attiva e passiva del paziente fratturato [5].

È ormai consolidata dalla letteratura scientifica e dalla prati- ca clinica quotidiana l’indicazione all’osteosintesi per le frat- ture laterali e la sostituzione protesica per le fratture mediali,

tenendo però in considerazione variazioni legate a fattori di rischi, comorbidità ed età del paziente.

In questo articolo verrà esaminato l’uso della sostituzione protesica nel trattamento delle fratture del femore prossima- le, maggiormente nel paziente anziano.

In ultimo, non bisogna tralasciare la necessità di un approc- cio multidisciplinare al paziente anziano fratturato che coin- volga, oltre al chirurgo ortopedico, il medico d’accettazione di urgenza, l’anestesista, il geriatra e il fisiatra.

Le fratture mediali

Sono stati descritti diversi sistemi classificativi per le fratture mediali del collo femorale: AO, Garden, Pauwels [6]; indi- pendentemente, però, dall’accuratezza di ognuno di questi sistemi, quello maggiormente utilizzato nella pratica clinica quotidiana, poiché permette l’applicazione di un algoritmo diagnostico-terapeutico funzionale a un buon esito clinico, è quello di Garden.

La classificazione di Garden prevede una suddivisione dei pattern fratturativi mediali in 4 classi sulla base della scom- posizione e dell’orientamento dei monconi di frattura, con gradi decrescenti di stabilità meccanica e gradi crescenti di possibile danno vascolare. Nel primo tipo rientrano le frat- ture incomplete ingranate in valgo; nel secondo tipo le frat- ture complete senza scomposizione evidente; nel terzo tipo le fratture complete e ingranate in varo; del quarto tipo fan- no parte le fratture complete scomposte senza contatto tra i monconi di frattura.

Nel trattamento di queste fratture vanno presi in considera- zione tanto il gruppo di appartenenza classificativa, quanto

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età e comorbità dei pazienti in esame, al fine di stabilire con precisione il tipo di intervento più indicato relativamente alla valutazione del rapporto rischio/beneficio.

Orientativamente, in pazienti al di sotto dei 65 anni di età, e indipendentemente dal tipo di scomposizione (Garden 1–4) e grado ASA (I–IV) è consigliabile eseguire un’osteo- sintesi, in quanto l’esito della consolidazione di una frattura del collo femorale in pazienti giovani è sempre clinicamen- te superiore a una sostituzione protesica [7]. Nei pazienti di età compresa tra 65 e 75 anni influiscono il livello di attività pre-fratturativo e le comorbidità, espresse al momento del- l’intervento dal grado ASA e, in particolare: per i gradi ASA I e II una valida opzione di trattamento può essere conside- rata l’osteosintesi, mentre per i gradi ASA III e IV la sosti- tuzione protesica garantisce maggiori garanzie di successo.

Infine, nei pazienti di età superiore ai 75–80 anni è consi- gliabile effettuare un trattamento di sostituzione protesica indipendentemente dal tipo Garden di frattura [8].

Le fratture laterali

Ormai c’è consenso mondiale sull’efficacia del trattamen- to delle fratture laterali dell’estremo prossimale del femore mediante osteosintesi. Nonostante ciò, non mancano pare- ri contrastanti in letteratura scientifica: alcuni autori hanno proposto l’impianto di endoprotesi cementata per il tratta- mento di fratture laterali [9,10], adducendo come vantaggio il miglioramento degli outcome funzionali a medio-lungo termine. Studi più recenti, invece, lasciano poco spazio a questa opzione terapeutica, rilevando come l’allungamento del tempo operatorio medio, la maggiore perdita ematica as- sociata a un aumento dei tassi di trasfusione, un aumento della mortalità e dei costi ospedalieri [11] pongano fine al dibattito, archiviando definitivamente l’uso della sostituzio- ne protesica nel trattamento delle fratture laterali del femore prossimale.

Artroprotesi vs endoprotesi

Entrambi i sistemi protesici comunemente utilizzati presen- tano vantaggi e svantaggi dal punto di vista biomeccanico e clinico.

L’impianto di endoprotesi prevede la sola sostituzione del complesso testa-collo fratturato attraverso una componente mono- o bipolare, mentre l’impianto di artroprotesi prevede anche la sostituzione della superficie articolare acetabolare.

Fattori che influenzano la scelta del sistema protesico da uti- lizzare sono la presenza di coxartrosi sintomatica o artrite reumatoide precedente al trauma, il livello di attività e lo sta- to neurologico pre-fratturativo. Se, da una parte, un elevato livello di attività in pazienti anziani deve far propendere per l’impianto di un’artroprotesi, un basso livello di attività do- vrebbe indirizzare il trattamento verso l’impianto di un’en- doprotesi, così come basse aspettative di vita in pazienti non

più deambulanti dovrebbero far propendere, con adegua- ta terapia medica per il controllo del dolore, per un tratta- mento di tipo conservativo indipendentemente dal grado di scomposizione.

Relativamente ai tipi di impianti in questione, l’uso di en- doprotesi è associato a riduzione dei tempi operatori, a un rapido recupero in termini di carico precoce e possibilità di mobilizzazione postoperatoria del paziente e a un ridotto tasso di lussazione postoperatoria [12]. Con questa procedu- ra, però, i tassi di reintervento per protrusione acetabolare e cotiloidite secondarie a usura della cartilagine acetabola- re risultano più elevati rispetto all’uso di artroprotesi, sen- za dimenticare la possibile persistenza di dolore inguinale o crurale [13].

L’impianto di un’artroprotesi in seguito a frattura del collo femorale sembra gravato da minori tassi globali di revisio- ne, migliori outcome funzionali a lungo termine e punteggi di Harris Hip Score più elevati [14]. Un aumento dei tassi di lussazione precoce e tardiva [14] e delle possibili perdite ematiche intra e postoperatorie, seppur di frequente associa- to a questa procedura, non incidono sul tasso complessivo di mortalità.

Endoprotesi unipolari vs bipolari

Una volta indicato l’intervento di sostituzione protesica per il trattamento di una frattura del collo femorale e scelto l’uti- lizzo di un’endoprotesi in relazione alle caratteristiche siste- miche e locali del paziente, può sorgere il dubbio tra la scelta di un’endoprotesi unipolare o una bipolare. I vantaggi teo- rici in termini di aumento del ROM, di riduzione dei tassi di lussazione nel caso di protesi bipolari, assenza di produ- zione di debris da polietilene e riduzione dei costi nel caso di protesi monopolari sembrerebbero non supportare alcu- na delle due scelte in quanto non esiste consenso univoco sull’utilizzo dell’uno o dell’altro impianto, rimandando la scelta al chirurgo sulla base della valutazione dei singoli casi clinici [15].

Cementazione vs press-fit

L’utilizzo di artroprotesi ed endoprotesi può prevedere o me- no l’uso di componenti cementate. La tendenza attuale è quella di effettuare una cementazione nella maggior parte dei pazienti in virtù di benefici teorici relativi alla riduzio- ne di fratture intraoperatorie durante l’impianto di steli non cementati in pazienti osteoporotici, permettendo un carico completo immediato sull’arto operato e di ridurre i tassi di mobilizzazione asettica a lungo termine [16]. La pratica del- la cementazione aumenterebbe, d’altro canto, il rischio di collasso cardiopolmonare ed embolizzazioni intraoperatorie [17], nonché l’aumento dei tempi operatori.

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Fig. 1 - a Mal-union frattura femore prossimale.

b, c Impianto di artroprotesi d’anca a doppia mobilità

Fig. 2 - a, b Mobilizzazione di placca anteversa. c Impianto di endoprotesi cementata

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Studi recenti in merito agli outcome clinici e alle complican- ze postoperatorie, non mostrano vantaggi o svantaggi del- l’uso dell’una o dell’altra tecnica a breve termine [16] ma, prendendo in considerazione follow-up più a lungo termine, emergono tassi minori di fratture periprotesiche nei pazienti trattati con steli cementati [18]. Questi dati, così come le evi- denze risultanti dalla pratica clinica quotidiana, dovrebbero far propendere per un uso razionale della cementazione, in- dividuando nei pazienti al di sopra dei 75–80 anni di età e in presenza di osteoporosi marcata (caratterizzata da un basso cortical index) l’uso della cementazione, riservando agli altri l’uso di componenti non cementate.

Protesi d’anca per il trattamento delle complicanze delle fratture dell’estremo prossimale del femore

L’impianto di protesi d’anca è considerato anche una via d’u- scita reale e vantaggiosa in caso di esiti e fallimenti di osteo- sintesi di fratture mediali o laterali del femore prossimale (Figg.1,2). Per quanto possa considerarsi un intervento tec- nicamente impegnativo per via della possibile coesistenza di pseudoartrosi, mancanza di supporto della corticale media- le, dismetria degli arti inferiori e osteoporosi con notevo- le riassorbimento della metafisi prossimale, questa procedu- ra permette di ripristinare in maniera soddisfacente la fun- zione biomeccanica dell’anca, riducendo al massimo i do- lori inguinale e crurale residui. In particolare, l’uso di ar- troprotesi modulari consente, inoltre, di ridurre i rischi di fratture femorali intraoperatorie, di persistenza di disme- trie e di lussazioni dovute a malrotazione della componente femorale [19].

Artroprotesi a doppia mobilità

Negli ultimi anni ha riacquisito notevole importanza il con- cetto e l’uso di artroprotesi d’anca a doppia mobilità, dopo un primo successo ottenuto alla metà degli anni ’70.

I ridotti tassi di lussazione di questo tipo di protesi, basato sull’aumento della jump distance della testa femorale prote- sica di grandi dimensioni, senza però accentuare la lateraliz- zazione del centro di rotazione dell’anca, hanno prodotto un rinnovato interesse per questo tipo di impianto (Fig.3).

È noto che una delle maggiori complicanze di tipo meccani- co nei pazienti sottoposti a sostituzione protesica dopo frat- tura del collo femorale sia rappresentata proprio dalle lussa- zioni, che possono manifestarsi con maggiore incidenza in caso di impianto di artroprotesi rispetto a endoprotesi [20].

Alla luce dei buoni risultati clinici e della riduzione delle complicanze meccaniche delle artroprotesi tradizionali, an- che in pazienti affetti da disturbi neuro-motori e degenera- zione cognitiva, comorbidità che predispongono a rischio di lussazione, occorre quindi considerare questa opzione come una valida alternativa all’utilizzo di endoprotesi [21].

Fig. 3 - a Frattura Garden IV in paziente affetto da M. di Alzheimer.

b, c Impianto di artroprotesi d’anca non cementata a doppia mobilità:

controllo a 1 anno

Conclusioni

Dall’analisi della letteratura e della pratica clinica quotidia- na possiamo considerare la sostituzione protesica nel trat- tamento delle fratture mediali del collo del femore dell’an- ziano, nonché dei fallimenti delle fratture mediali e laterali del femore prossimale, come uno strumento indispensabi- le e di successo nelle mani del chirurgo ortopedico che ha la responsabilità di utilizzarlo in maniera cosciente, seguen- do criteri che valutino non solo le proprie capacità tecniche e la propria esperienza, ma anche le condizioni cliniche ge- nerali del paziente, le necessità funzionali dello stesso e un uso razionale delle risorse sanitarie disponibili attraverso un approccio multidisciplinare [22].

CONFLITTO DI INTERESSEGli autori Andrea Pantalone, Federico Po- lidoro, Roberto Rea e Vincenzo Salini dichiarano di non avere alcun conflitto di interesse.

CONSENSO INFORMATO E CONFORMITÀ AGLI STANDARD ETICITutte le procedure descritte nello studio e che hanno coinvolto esseri umani

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sono state attuate in conformità alle norme etiche stabilite dalla di- chiarazione di Helsinki del 1975 e successive modifiche. Il consenso informato è stato ottenuto da tutti i pazienti inclusi nello studio.

HUMAN ANDANIMALRIGHTSL’articolo non contiene alcuno studio eseguito su esseri umani e su animali da parte degli autori.

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