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Giuliana Sanguinetti Katz

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Academic year: 2022

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Giuliana Sanguinetti Katz

Abstract: Questo articolo esamina in primo luogo il dramma di Pirandello La vita che ti diedi del 1923 e in secondo luogo il film L’attesa, del 2015, in cui il regista Piero Messina, ispirandosi al lavoro di Pirandello, ha creato un’opera profondamente originale. Sia il dramma sia il film svolgono il tema di una madre che non riesce ad accettare la morte del suo unico figlio e cerca di mantenere l’illusione che sia ancora vivo nascondendo la notizia della sua morte alla donna che lo ama e che viene a trovarlo. Nel dramma la madre trova sollievo al suo stato d’animo attraverso il suo bisogno costante di comunicare i suoi sentimenti con vari personaggi e si difende dall’angoscia della perdita negando che sia avvenuta, anche se alla fine deve accettare la realtà.

Nel film L’attesa, il regista Piero Messina, pur mantenendo intatto il tema principale del dramma, trasforma l’esperienza dello spettatore sostituendo ai lunghi discorsi di Pirandello la forza delle immagini e portando la vicenda ai giorni nostri. I protagonisti comunicano tramite messaggi telefonici e sono le musiche di Ben Lukas Boysen, Alexander Knaifel e Arvo Pärt che sottolineano i momenti più tristi della storia. Ma sono soprattutto i paesaggi, gli interni e il folclore siciliani che segnano l’originalità del film e ci comunicano i sentimenti dei protagonisti. Mentre il dramma di Pirandello si svolge in una villa solitaria della campagna toscana, il film ha luogo in vari luoghi della Sicilia orientale e le riprese vanno dalla villa ottocentesca della madre vicino a Ragusa, all’areoporto di Comiso, ai crateri Silvestri ricoperti di lava ai piedi dell’Etna, al lago artificiale vicino a Ragusa, agli antichi mosaici romani di Piazza Armerina e infine alle cerimonie di Pasqua a Caltagirone. La vicenda del film si svolge poco prima di Pasqua e termina con le cerimonie pasquali, quando la madre cerca invano di rintracciare suo figlio scrutando i volti spettrali degli incappucciati, crede in una impossibile resurrezione, ma alla fine deve accettare la realtà della sua perdita e della propria solitudine.

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In questo articolo intendo esaminare in primo luogo il dramma di Luigi Pirandello La vita che ti diedi, del 1923, e in secondo luogo il film L’attesa, del 2015, in cui il regista Piero Messina, ispirandosi al lavoro dell’autore siciliano, ha creato un’opera profondamente originale. Il dramma di Pirandello, basato sulla sua novella “La camera in attesa” (1916), tratta il tema di una madre, Anna Luna, che non riesce ad accettare la morte del suo unico figlio e cerca di mantenere l’illusione che sia ancora vivo nascondendo la notizia della sua morte alla donna che lo ama e che viene a trovarlo. Anna Luna vive “in una villa solitaria della campagna toscana,” arredata con pochi mobili antichi “da cui spira un senso di pace esiliata dal mondo” (Pirandello, La vita 250–251), è fissata nel ricordo del figlio giovinetto cresciuto vicino a lei e non accetta il fatto che dopo tanti anni sia venuto a morire nella sua casa. Il figlio morente le appare come un estraneo, non lo riconosce, non ne piange la morte e vuole che sia sepolto avvolto solo in un lenzuolo. Rifiuta l’uomo che è tornato da lei, calvo, con gli occhi freddi e la fronte opaca e stretta alle tempie, e vive nel ricordo del figlio giovinetto con “quella sua bella fronte […] con tanti capelli fini — oh, d’oro nel sole!” (Pirandello, La vita 264), non ancora cambiato dal passar del tempo e dalla malattia. La memoria del passato è per lei più forte di ogni avvenimento presente e sufficiente a mantenere in vita la presenza dell’adorato figlio e a negare la realtà della sua morte. La donna vuole che la camera del figlio rimanga sempre pronta con il lume acceso, come se lui non se ne fosse mai andato via e fosse ancora il giovinetto di una volta.1 E davvero lo spirito del morto sembra essere presente nella casa quando, nel secondo atto, una mano invisibile sposta la scranna davanti alla tavola, e la cortina si solleva davanti alla finestra e poi ricade. A questo proposito Pirandello commenta: “Chi sa che cose avvengono, non viste da nessuno, nell’ombra delle stanze deserte dove qualcuno è morto” (La vita 283).2 E il giardiniere Giovanni ricorda le parole che il

1 Anche nella novella precedente di Pirandello, La camera in attesa, madre e sorelle accudiscono alla camera del figlio disperso in guerra come se fosse ancora tra loro, cambiando lenzuola e indumenti per la notte. Tuttavia, in questa novella le protagoniste hanno all’inizio la speranza che il giovane possa tornare a casa, mentre nel dramma Anna Luna, di fronte alla morte certa del figlio, reagisce negando una realtà troppo penosa da affrontare. Per un paragone preciso tra la novella e la pièce teatrale si veda l’articolo di Emanuele Licastro “La funzionalità del cerebralismo: da La camera in attesa a La vita che ti diedi.”

2 Si veda il commento di Alessandro d’Amico nella “Notizia” a La vita che ti diedi. D’Amico è d’accordo con André Bouissy nell’attribuire il senso di lutto e di morte in molte delle opere di Pirandello alla morte della madre dello scrittore e alla prigionia del figlio (236). Cfr. Bouissy citato in Pirandello, Théatre Complet (1349).

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figlio gli ha detto poco prima di morire: che la luna “perduta lassù nella sua luce”

non vede la notte che è quaggiù (Pirandello, La vita 284), un possibile accenno alla distanza che si è creata tra la madre Anna Luna e il figlio malato.

L’illusione della madre trova inoltre sostegno nel fatto che Lucia, l’amante del figlio, non sappia nulla della morte di lui e voglia venire a stare con lui, abban- donando marito e figli. Anna legge le lettere che Lucia ha scritto al figlio, disperata per la sua assenza, e completa di suo pugno l’ultima lettera del figlio a Lucia, in cui ingiunge alla donna di non venire a trovarlo. In realtà, Anna vuole che Lucia venga da lei per far rivivere il figlio attraverso l’amore della donna. La sua gioia poi è al colmo quando apprende che Lucia è incinta di lui: il bambino che sta per nascere appare ad Anna come una vita che continua quella del figlio scomparso. Esclama infatti: “Oh figlia mia! Figlia mia! — Egli vive allora in te veramente? — Partendo, lasciò in te una vita — sua?” (Pirandello, La vita 286). Anna Luna trova sollievo al suo stato d’animo condividendo i suoi sentimenti con vari personaggi: la sorella, il prete, Lucia, e la madre di lei. Si aggrappa all’illusione che il figlio ‘vero’, quello del suo ricordo, possa ritornare da lei giovane e forte come una volta. Si difende dall’angoscia della perdita negando che sia avvenuta e si crea un mondo illusorio che dovrà abbandonare quando Lucia e la madre di lei la costringeranno ad af- frontare la realtà.

Se ora passiamo al film L’attesa, ci appare subito evidente che il regista Piero Messina, pur mantenendo intatto il tema principale del dramma, trasfor- mi completamente l’esperienza dello spettatore sostituendo ai lunghi discorsi di Pirandello dei dialoghi molto brevi e delle immagini particolarmente ricche di significati simbolici.3 Ne L’attesa egli dimostra un’abilità insolita in un giovane regista nel trattare un argomento così impegnativo e nel riprendere il lavoro di un autore famoso.

Al pari del testo teatrale, il film sviluppa il tema di una madre che non riesce ad accettare la morte del figlio e cerca di mantenere l’illusione che questi sia ancora vivo nascondendo la notizia della sua morte alla donna che lo ama e che viene a trovarlo. Anche nel film la protagonista si chiama Anna (Juliette Binoche) e vive in una villa solitaria con dei mobili antichi che danno all’ambiente “un senso di

3 Messina è regista, sceneggiatore e musicista e L’attesa è il suo primo lungometraggio, che è stato mostrato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e al Toronto International Film Festival nel 2015. Ha lavorato come aiuto regista di Paolo Sorrentino in This Must Be the Place (2011) e La grande bellezza (2013). Per questo articolo mi sono servita della versione DVD del film.

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pace esiliata dal mondo,” come dice Pirandello ne La vita che ti diedi (251). In entrambe le opere la madre si serve dei messaggi mandati dall’amante al figlio per continuare a crederlo ancora in vita: nel testo sono le lettere di Lucia all’amante e nel film di Messina sono i messaggi telefonici che Jeanne (Lou de Laâge) lascia al suo ragazzo, Giuseppe (Giovanni Anzaldo), il figlio di Anna. In entrambe le opere, alcuni dei personaggi cercano invano di far ragionare la protagonista e di farle accettare la sua perdita.

Sia nel dramma che nel film la camera del figlio è molto importante come luogo dove ricordarlo ed evocarne la presenza. Ho già menzionato le cure che, nell’opera di Pirandello, Anna Luna dedica alla camera del figlio, come se questi dovesse tornare da un momento all’altro. Nel film, Anna e Jeanne si muovono nel- la stanza di Giuseppe come se lui fosse ancora vivo. La madre mette ordine nella stanza, porta via il cibo lasciato nel piatto dal figlio e beve dalla sua tazza, cercando un contatto con lui. Jeanne ascolta uno dei CD di Giuseppe con la musica del WU-TANG CLAN, un gruppo rap di New York che piaceva a lei e a Giuseppe e di cui possiedono le magliette con il logo del gruppo.

Sia in Pirandello sia in Messina si ha l’impressione che l’al di là continui nella vita di tutti i giorni e che i morti siano sempre presenti nella mente dei vivi.

Ne La vita che ti diedi, come abbiamo visto, una mano invisibile muove una sedia e la cortina della stanza; ne L’attesa, il fantasma del figlio appare alla madre nella casa, in cucina e nella stanza da bagno, e l’accompagna alla festa della Resurrezione di Pasqua, dove la lugubre processione degli incappucciati sottolinea il senso di un viaggio nel mondo dei morti.

Ci sono tuttavia delle notevoli differenze tra i due lavori. Nel testo piran- delliano, come dicevamo prima, Anna Luna è fissata nel passato, nel ricordo del figlio giovinetto cresciuto vicino a lei, e nega la realtà della sua morte, si appoggia a Lucia, legata al figlio da lungo tempo e ora incinta di lui, per continuare nella sua illusione e trova sollievo al suo dolore attraverso lunghi dialoghi con vari per- sonaggi. Nel film, invece, Anna all’inizio appare impietrita dal dolore, a malapena si accorge delle persone intorno a lei: per tutto il film i dialoghi sono ridotti al minimo e tutto è espresso attraverso le immagini e la colonna sonora.4 Messina usa riti religiosi, usanze funebri, paesaggi e interni per rappresentare il dolore della madre. Rimandando al linguaggio della pittura, si serve della luce, del colore e del- la posizione delle figure nello spazio per comunicare il mondo interiore di Anna.

4 Il profondo senso di tristezza e di lutto del film è ben reso dalle musiche di Ben Lukas Boysen, Alexander Knaifel e Arvo Pärt.

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A differenza del dramma, nel film il numero dei personaggi principali è ridotto e si limita, oltre ad Anna e a Jeanne, a Pietro (Giorgio Colangeli), un anziano tuttofare che è con la famiglia da molti anni e che bada alle necessità della casa e del giardino. Pietro agisce da coscienza di Anna, ricordandole che suo figlio è morto e che non deve ingannare Jeanne. La maggior parte delle scene hanno come protagonisti la sola Anna o Anna e Jeanne. Quest’ultima è un personaggio molto diverso da Lucia. Ingenua e timida, ha avuto una relazione con Giuseppe mentre erano a Parigi. Malgrado una rottura avvenuta tra loro, spera di riprendere il suo rapporto con il ragazzo venendo a passare la Pasqua a casa di lui, in Sicilia.

Nonostante il fatto che sia ancora innamorata di Giuseppe, è molto esitante per- ché non sa se questi l’abbia perdonata, e si lascia facilmente dominare e avvincere dalla personalità forte di Anna.5

Infine, c’è una grossa differenza nell’uso dei paesaggi e degli interni. In Pirandello, come abbiamo visto, tutto il dramma ha luogo nella sala di una “villa solitaria della campagna toscana” (La vita 250). Il film invece si svolge in vari luoghi della Sicilia orientale, e le riprese vanno dalla villa ottocentesca di Anna, vicino a Ragusa, all’aeroporto di Comiso, dai crateri Silvestri ricoperti di lava ai piedi dell’Etna al lago artificiale vicino a Ragusa, fino agli antichi mosaici romani di Piazza Armerina e alle cerimonie di Pasqua a Caltagirone.6

All’inizio vediamo l’immagine di un grande crocefisso in legno dorato: la cinepresa è messa a grande distanza al di sopra della testa e delle braccia aperte di Cristo e lo rappresenta come un grande uccello sospeso nel cielo, poi scende a spirale lentamente e ne esplora con amore il corpo risplendente, come una madre che contempli il proprio figlio. La croce non si vede in questa scena, così che la figura del Cristo morto sembra più umana e più universale. Dall’oscurità di questa scena iniziale emerge una vecchia tutta avvolta in vesti nere, con il viso segnato

5 Messina non chiarisce mai il motivo della rottura tra i due giovani, ma lo lascia all’immaginazione dello spettatore.

6 Messina, che proviene da Caltagirone, ha dichiarato in un’intervista che le cerimonie di Pasqua della sua città fanno parte dei suoi ricordi d’infanzia e rappresentano per lui la forza dell’immaginazione, quando le persone credono che le statue diventino vive. Spiega il regista:

“Nella notte la statua della Madonna in corteo cerca Gesù e quando all’alba lo incontra, vivo, 10 mila persone si commuovono. La verità inverosimile e condivisa delle mie due donne si fonde, nel finale, con quella della processione” (Messina, Intervista con Arianna Finos). In un’altra intervista Messina ha parlato dei suoi ricordi d’infanzia a proposito di questa cerimonia:

“Ricordo […] da bambino queste facce trasfigurate che piangevano, mostrando una vera e profonda commozione” (intervista di Enza Samantha Turco, TRINACRIAnews).

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dal dolore, che si piega a baciare i piedi di Cristo. È ripresa prima frontalmente dalla prospettiva della statua di Cristo, in un dialogo silenzioso con lui, e poi lateralmente dalla prospettiva più distante dello spettatore.

Di qui si passa alla scena del funerale di Giuseppe in chiesa. Le persone che sono venute a porgere le loro condoglianze ad Anna le appaiono come fantasmi che si muovono lentamente, la fissano e spariscono nell’ombra. Anna, che volta la schiena all’altare, fissa un punto lontano, completamente sopraffatta dal dolore e incapace di prendere contatto con le persone intorno a lei. Più tardi, dentro la villa, la vediamo distesa immobile sul suo letto, con lo sguardo fisso, mentre Pietro chiude tutte le persiane e copre gli specchi con un drappo nero secondo le tradizioni funebri (Toschi 24).7 Abbiamo qui la rappresentazione della profonda depressione in cui si può cadere in seguito alla morte di una persona cara. Nella melanconia il depresso, in seguito ad eccessiva ambivalenza (sentimenti contra- stanti di amore e odio) verso l’oggetto perduto, non riesce a staccarsi dalla sua dipendenza dall’oggetto e si identifica con questo, rivolgendo contro di sé l’amore e la rabbia che sente nei riguardi del morto da cui si sente abbandonato. Il suono di Pietro che inchioda i drappi neri sugli specchi può far pensare allo spettatore che stia inchiodando la bara di Anna, che giace come morta.8

Lo squillo del telefono scuote Anna dal suo torpore, nell’oscurità si accende una lampada: ora Anna sta parlando con Jeanne, la ragazza di Giuseppe, che vuole venire a passare la Pasqua con lui. Con sforzo ed esitazione Anna le dice di venire.

Il preludio è finito e adesso inizia la storia del rapporto tra le due donne: a questo punto appaiono sullo schermo i titoli di testa, mentre il suono di una melodia pop (“Missing”) annuncia l’arrivo di Jeanne. La vediamo sola e preoccupata all’aero- porto di Comiso, con l’Etna sullo sfondo, che si domanda perché Giuseppe non sia lì e se qualcuno verrà a prenderla. Quando più tardi è nella macchina guidata da Pietro, Jeanne guarda con tristezza e stupore le distese di lava nera sui campi in- torno ai Crateri Silvestri, e nota con sorpresa una statua su un camion tutta avvolta

7 Paolo Toschi spiega che in Italia, secondo la tradizione popolare, quando una persona muore bisogna subito coprire gli specchi per evitare influssi demoniaci. Toschi vede il folklore come qualcosa di comune ad un popolo, non necessariamente legato a un posto particolare nel tempo e nello spazio (24).

8Si veda il saggio di Sigmund Freud “Lutto e melanconia.” Freud distingue il lavoro interiore del lutto da quello della melanconia: “Nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella melanconia impoverito e svuotato è l’Io stesso” (105). Si veda anche Otto Fenichel.

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in un involucro nero da cui emergono solo delle mani bianche (probabilmente una Madonna). Il senso di morte e di lutto è presente dappertutto in questa scena.

L’ansia di Jeanne cresce quando deve mangiare da sola perché Anna si sente troppo depressa per uscire dalla sua stanza a dare il benvenuto all’ospite. Più tardi, mentre Jeanne si lava prima di andare a letto, Anna la guarda segretamente attra- verso la porta semiaperta per conoscere la ragazza di Giuseppe e possederla con lo sguardo. Per tutto il film, Anna ascolta in segreto i messaggi che Jeanne invia al cellulare di Giuseppe che questi ha lasciato nella sua stanza. Si tratta per Anna di un modo di impossessarsi della ragazza e, attraverso le sue parole e le sue emozioni, sia di identificarsi con lei sia di ricreare il figlio morto.

Nei giorni seguenti, Anna forma un rapporto stretto con Jeanne: le due don- ne condividono esperienze simili, vengono dallo stesso paese, la Francia, parlano la stessa lingua, il francese e si sentono straniere in Sicilia. Anna vuole scoprire come Jeanne ha incontrato Giuseppe e se andavano d’accordo e a sua volta rivela come ha incontrato suo marito e perché ha divorziato da lui. Jeanne, come una bambina affascinata dalla presenza di un adulto misterioso, all’inizio continua a chiedere in- formazioni su Giuseppe ma, di fronte alle risposte evasive e menzognere di Anna, accetta le sue parole.

La madre, che era completamente imprigionata nel passato, chiusa nella sua bella villa siciliana e incapace di reagire al modo intorno a sé, è riportata in vita dall’energia e dalle reazioni appassionate della giovane, che vive nel presente e spera nel futuro. Anna in realtà è come un vampiro che succhia la vita della sua preda, come Messina stesso ha spiegato in un’intervista (“L’attesa”), mentre Jeanne, da parte sua, è intrappolata in questo mondo bello e strano, fatto di me- morie, dove il tempo si è fermato e si può aspettare per sempre che la persona amata ritorni. Anna vede in Jeanne non solo un modo di far rivivere Giuseppe, ma anche un ritorno alla vitalità e al senso dell’avventura di quando era giovane.

La ragazza rappresenta per lei un nuovo inizio di vita: si tuffa fino al fondo del lago vicino alla villa di Anna e ritorna alla superficie con un movimento all’insù che rovescia il movimento iniziale all’ingiù verso la statua del Cristo morto e che rappresenta una rinascita. Jeanne è molto carina: scherza in maniera naturale con due ragazzi che incontra al lago e li invita a cena da Anna. Le piacciono i piatti speciali che la donna cucina per lei, ed è affascinata dalla gita alla villa romana di Piazza Armerina, dove Anna le mostra uno dei più famosi mosaici della Roma antica, le donne in bikini che praticano ognuna uno sport diverso e si muovono con eleganti movimenti di danza.

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Questo interludio finisce quando, alla vigilia di Pasqua, Anna racconta a Jeanne che Giuseppe non ritornerà più perché non ha perdonato la ragazza per quello che gli ha fatto. Anna non può ammettere che suo figlio sia morto e lo immagina vivo, lontano da lei, pronto a innamorarsi di un’altra donna e a formare una famiglia. Jeanne, scossa e in lacrime, fa la valigia per ripartire, mentre Anna si veste per andare alla festa di Pasqua a Caltagirone, dove le statue della Madonna e di San Pietro sono portate in processione a incontrare la statua del Cristo ri- sorto (“A Giunta,” il nome della cerimonia in siciliano). Anna vaga per le vie di Caltagirone tra le figure spettrali degli incappucciati, membri delle confraternite religiose vestiti di una tonaca lunga e di un cappuccio che copre loro il volto, ai quali è affidato il compito di portare in processione gli strumenti del martirio di Cristo. Quando la Madonna è vicina al Cristo risorto, e il drappo nero che la co- pre è tolto dal volto che viene tutto illuminato, Anna cerca invano di ritrovare suo figlio tra la folla e nei volti da morto degli incappucciati. Spera in una risurrezione che non può aver luogo. All’alba, disfatta, ritorna a casa quando Jeanne sta per partire. Nel frattempo, la giovane ha trovato il cellulare di Giuseppe che Pietro ha lasciato nella sua stanza, ha ascoltato i propri messaggi e anche un messaggio disperato di Anna che cercava suo figlio e ha quindi capito quello che è successo.

Alla fine le due donne si abbracciano come madre e figlia, e Anna rimane davanti alla porta vuota da cui è uscita Jeanne.

Ci sono tre scene in cui Anna sembra più in sintonia con i propri sentimenti e con i ricordi del figlio. Nella prima, già menzionata, la donna entra nella camera del figlio, guarda i suoi abiti e i resti del suo cibo e beve dalla sua tazza. Nella se- conda scena, mentre Jeanne nuota nel lago, Anna piange e stringe tra le braccia un materassino pneumatico rosa come se fosse un neonato, quello stesso materassino che vediamo all’inizio del film, abbandonato davanti alla villa e sbattuto dal vento.

Lei poi succhia l’aria rimasta nel materassino, che probabilmente era stato gonfiato da suo figlio. In entrambi i casi cerca di incorporare il figlio e di riportarlo in vita, proteggendolo nel suo corpo, secondo il processo normale del lutto.9 Nel terzo caso, proprio prima di andare alla processione di Pasqua, Anna ha un’allucinazione in cui vede il figlio che prima cerca da mangiare nel frigorifero e poi si lava nella vasca da bagno. Il figlio scherza che la mamma lo tratti come un bambino piccolo e forse voglia punirlo perché è ritornato a casa tardi, e le mostra le mani per farle vedere che sono pulite. La madre guarda il figlio con uno sguardo tenero, ricorda

9 Si veda Karl Abraham sull’importanza dell’introiezione nel lutto, cioè di incorporare per via orale le memorie della persona morta per conservarle. Si veda anche Fenichel.

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che quando era piccolo voleva sposarla e si lamenta che ora lui la lasci sola. Poi si stringono la mano a lungo e si lasciano. In questa allucinazione il figlio ha un aspetto spettrale. Non vediamo mai il suo volto e quando è nella vasca da bagno è nascosto da una tenda: solo le sue mani bianche appaiono due volte. In queste scene, Anna prova il dolore acuto della separazione da Giuseppe e nello stesso tempo rivisita i ricordi di lui bambino e adulto e sembra più vicina ad affrontare la tragica realtà della sua morte. Il legame stretto tra madre e figlio è particolarmente evidente nella terza scena, in cui il desiderio edipico del figlio bambino di sposare sua madre trova un’eco nei sentimenti della madre, che è divorziata dal marito, vive ora sola in casa e nel passato si appoggiava al figlio per avere compagnia.10 Durante le celebrazioni di Pasqua, Anna cercherà invano di rintracciare suo figlio scrutando i volti spettrali degli incappucciati, ma alla fine dovrà accettare la realtà della morte di Giuseppe e della propria solitudine.

Paesaggi e interni ci comunicano i sentimenti dei protagonisti. La bella villa dell’Ottocento dove Anna vive, con i suoi mobili antichi, i lunghi corridoi deserti, i soffitti alti, le ampie finestre che inquadrano il volto triste della protagonista ben rendono il suo attaccamento al passato e il fascino che la morte esercita su di lei. La desolazione della protagonista ci viene comunicata anche dall’aspetto cimiteriale degli olivi del suo giardino, coperti da uno strato bianco di calce per proteggerli dagli insetti, e dagli alberi morti lungo il lago vicino a casa. Le pendici scure dei Crateri Silvestri coperti di lava e intravisti nella nebbia da Jeanne al suo arrivo da Anna, ben rappresentano la depressione della protagonista, depressione simile alla lava solidificata al di fuori, ma ribollente di sotto, nel cratere del vulcano.

Viceversa, le acque fresche del lago, circondate dal verdeggiare della vegetazione, sotto un cielo blu, rappresentano Jeanne, la sua capacità di muoversi verso il futu- ro e di affrontarne le difficoltà senza il timore di rimanere fissa nel passato.

Le espressioni del volto di Anna e il suo modo di comportarsi ci mostrano l’emergere lento della donna dal suo dolore cupo e il suo ritornare alla vita. Anna interroga Jeanne, le sorride, le rivela dettagli della sua vita passata, cucina per lei e scherza persino durante la cena con i due ragazzi che Jeanne ha incontrato al lago. Anche il colore dei suoi vestiti cambia da un nero cupo a un verde scuro a un giallo solare e alla fine al bianco della camicetta che indossa per le feste pasquali.

10 Desideri edipici e conseguenti rivalità potrebbero essere presenti anche nel rapporto di Anna con Jeanne, nel suo desiderio di conoscere la vita di Jeanne con Giuseppe e nel modo brutale in cui dice a Jeanne che Giuseppe non vuol più vederla, tutti elementi che dimostrano rivalità con la ragazza che le ha portato via il figlio.

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Il viso di Anna sembra molto più giovane quando si rilassa con Jeanne mentre fanno insieme il bagno turco: è immersa in una luce dorata mentre giace vicino alla ragazza, e le loro braccia quasi si toccano. E appare più giovane anche quando intrattiene a cena gli amici di Jeanne e ride con loro.

Le riprese delle due donne una dopo l’altra, o di tutt’e due insieme, ben rappresentano il loro rapporto. Quando Jeanne arriva nella villa di Anna, questa spia la ragazza che si è appena lavata, vede il riflesso di lei nello specchio e se ne impossessa, così come si rispecchierà in lei per il resto del film. In una scena che ha luogo la prima mattina dopo l’arrivo di Jeanne, le due donne sono in posizione simmetrica, Jeanne seduta sul letto di Giuseppe e Anna sul proprio letto, entrambe con la schiena rivolta allo spettatore. Nelle molte riprese di Anna vicino a Jeanne in cucina, le loro posizioni si rispecchiano e le due donne finiscono per rassomigliarsi quando indossano entrambe delle camicette verdi sullo sfondo scuro della sera. Questa somiglianza è particolarmente evidente nella scena del bagno turco, quando sono sdraiate l’una vicino all’altra, avvolte in asciugamani simili. I messaggi di amore e di rabbia che Jeanne manda a Giuseppe sono un’eco dei sentimenti di Anna. La storia di Jeanne, timida e beneducata ragazza francese, venuta in un paese straniero di cui non parla la lingua e che cerca di piacere alla sua futura suocera con le sue buone maniere, è uno specchio delle vicende di Anna da giovane. Anche le belle donne in bikini dei mosaici di Piazza Armerina sono un ritratto di Jeanne, ragazza libera e sportiva, e rappresentano per Anna un io ideale.

Quest’ultima si sente rinascere grazie al suo rapporto con l’ospite e ancor prima di Pasqua toglie agli specchi del salotto i drappi neri con cui Pietro li aveva coperti all’inizio del film.

Attraverso la fotografia e la trama Messina mette in rilievo il rapporto nar- cisista che Anna stabilisce con Jeanne. Come ho detto prima, Anna è come un vampiro che succhia le emozioni della giovane per ritornare in vita e Jeanne soc- combe al fascino dell’attesa del ritorno dell’amato. Nel rapporto tra le due donne troviamo però anche l’attaccamento della madre prima al figlio morto e poi alla ragazza. All’inizio Anna vede Jeanne come qualcuno che le può restituire il figlio morto, sostenendola nelle sue fantasie, poi come una figlia che nutre e tratta come una bambina, infine come uno specchio di se stessa da giovane e delle sue speranze e ideali.

Il rapporto tra Anna e Jeanne si può spiegare con le teorie sul narcisismo che Freud presenta nel suo saggio “Introduzione al narcisismo.” Freud postula due tipi di scelte oggettuali nello sviluppo dell’essere umano:

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Un essere umano può amare 1) Secondo il tipo narcisistico [di scelta og- gettuale]: a) quel che egli stesso è (cioè sé stesso), b) quel che egli stesso era, c) quel che egli stesso vorrebbe essere, d) la persona che fu una parte del proprio sé 2) Secondo il tipo [di scelta oggettuale] ‘per appoggio’, secondo cui lui ama a) la donna nutrice, b) l’uomo protettivo, e la serie delle persone che fanno le veci di queste. (Freud, “Introduzione” 460)

Secondo Freud, il bambino prima ama solo se stesso per sopravvivere, ma poi trova altri oggetti d’amore (i suoi genitori prima di tutto). Se incontra troppe difficoltà nel suo rapporto con i genitori, ritorna al suo originario mondo di illu- sioni. In questo caso, Anna regredisce a questo narcisismo primitivo e vede Jeanne come uno specchio dei propri bisogni, di quello che lei stessa era, e di quello che avrebbe voluto essere.

Si può dire che Messina sia fedele allo spirito di Pirandello quando sviluppa ne L’attesa la trama de La vita che ti diedi, mettendo in rilievo le fantasie inconsce delle protagoniste. In realtà Messina fa quello che Pirandello aveva fatto quando aveva scritto dei copioni cinematografici basati sui suoi propri lavori. Nel 1924, in un’intervista pubblicata a Parigi su Les Nouvelles Litteraires (1–15 novembre 1924), lo scrittore aveva dichiarato che, grazie a un film russo a cui aveva assistito durante la guerra, aveva intravisto “le possibilità presenti in questa giovane arte:

il Sogno, il Ricordo, l’Allucinazione, la Follia, lo Sdoppiamento della personalità”

(citato in Càllari 10). Secondo questa sua visione del cinema, Pirandello aveva scritto dei soggetti e dei trattamenti cinematografici che traducono in forma visiva argomenti tratti dalle sue novelle e opere teatrali.11 Come Pirandello, si serve di immagini di sogno in questi scritti — si veda, per esempio, ne Il pipistrello o il demonio dello spettacolo, soggetto cinematografico scritto nel 1928, basato sulla novella Il pipistrello del 1920, la scena in cui il poeta schiera davanti a sé sulla scrivania un teatrino vivente dei suoi ricordi (Càllari 180–181), o quella in cui il diavolo afferra la testa del poeta e la apre per scorgerne i pensieri (Càllari 184) —, così anche Messina nel suo film ci dà tutta una serie di immagini e scene oniri- che, dalla visione di paesaggi lavici con la misteriosa immagine della Madonna avvolta in plastica nera, all’incontro della madre con il fantasma del figlio, alle scene finali con gli incappucciati. E come Pirandello si serve di scene chiave nei suoi lavori per il cinema — per esempio, mostrando ripetutamente le scene di seduzione dell’autore e del padre con la figliastra, nel trattamento cinematogra- fico dei Sei personaggi in cerca d’autore del 1935 fatta con Saul. C. Colin (Càllari

11 Si veda Sanguinetti, “Immagini chiave nei soggetti e nelle sceneggiature pirandelliane.”

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225–234) — così Messina ci mostra ripetutamentre le scene della madre prima e di Jeanne dopo sedute sul letto nella camera di Giuseppe a ricercare le tracce del ragazzo scomparso. In conclusione, questo è un film psicologico che richiede uno studio attento di ogni scena e che crea tramite le immagini quei rapporti ambigui e complessi che Pirandello rappresenta nei suoi scritti.

Opere Citate

Abraham, Karl. “Object Loss and Introjection in Normal Mourning and in Ab- normal States of Mind.” Selected Papers of Karl Abraham. Tr. Douglas Bryan e Alix Strachey. Londra: the Hogarth Press and the Institute of Pscho-Anal- ysis, 1973. 433–442.

Càllari, Francesco. Pirandello e il cinema. Venezia: Marsilio, 1991.

Fenichel, Otto. “Depression and Mania.” In The Psychoanalytic Theory of Neurosis.

New York, NY: W. W. Norton, 1945. 387–414.

Freud, Sigmund. “Introduzione al narcisismo.” Opere 1912–1914. Vol. 7. A cura di Cesare Luigi Musatti. Torino: Boringhieri, 1975. 439–461.

________. “Lutto e melanconia.” Opere 1915–1917. Vol. 8. A cura di Cesare Luigi Musatti. Torino: Boringhieri, 1976. 102–118.

Messina, Piero, regista. L’attesa. Warner Bros, 2016.

________. Intervista con Arianna Finos. “Piero Messina: ‘In gara a Venezia e un bambino, è il mio momento dell’Attesa,’ La Repubblica 25 agosto 2015.

https://www.repubblica.it/

________. Intervista con Enza Samantha Turco. “Intervista al regista Piero Mes- sina che racconta L’attesa.” TrinacriaNews.eu 3. 18 (7 agosto 2015). http://

trinacrianews.eu/intervista-regista-piero-messina-racconta-lattesa/

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