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Alpini: una storia italiana

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Academic year: 2022

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Alpini 150° 1

 Saluto alla bandiera

 Inquadramento dell’argomento

 Breve carrellata sulla nascita e l’evoluzione delle Truppe Alpine

 Pausa / eventuali domande e risposte

 Nascita dell’Associazione Nazionale Alpini

 Volontariato sociale / Protezione Civile

 La sezione di Casale Monferrato: principali progetti realizzati

 La bandiera come simbolo dell’unità nazionale

Campi scuola ANA

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(Pillole di storia e spunti di riflessione per le scuole superiori)

SOMMARIO

1. Contesto storico e nascita degli Alpini (primo esempio al mondo di truppe da montagna, concepite, organizzate ed addestrate per le operazioni in quota ed in generale in ambienti difficili)

2. Evoluzione della specialità nel quadro delle mutate esigenze di difesa, anche alla luce delle moderne tecnologie

3. Nascita dell’Associazione Nazionale Alpini:

a) dalla ristretta cerchia dei reduci della 1a guerra mondiale (ne potevano far parte solo i reali combattenti fino al grado di capitano),

b) ad associazione d’arma (la più numerosa del mondo), c) ad organizzazione di volontariato in campo sociale

4. La sezione ANA di Casale Monferrato: i principali interventi nel nostro territorio, anche (ma non solo) nel quadro di progetti dove pubblico e privato corrono assieme

5. Nuove proposte (campi scuola).

Alpini:

Una storia italiana

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Alpini 150° 3 Cenni storici sui principali eventi all’indomani della raggiunta unità nazionale (1870).

Necessità di uniformare / organizzare / amalgamare il Paese: assieme all’adozione di una comune moneta, un sistema di misure univoco, un unico catasto, un solo regime fiscale, una rete

telegrafica/postale/ferroviaria nazionale, si pose anche il problema di unificare i vari eserciti che fino ad allora avevano popolato la penisola.

In particolare, nell’intento di “far conoscere l’Italia agli italiani”

1. venne istituita la leva obbligatoria

2. I giovani coscritti venivano spediti a fare il servizio militare in altre regioni (tipicamente, i piemontesi in Calabria ed i calabresi in Veneto).

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... fino a quando, nel 1872, il capitano di Stato Maggiore (poi generale) Giuseppe Perrucchetti, di Cassano d’Adda, constatò:

1. Le nostre frontiere terrestri ormai sono le Alpi, ossia corrono tutte in quota 2. Lassù non possiamo condurre una guerra “tradizionale”

3. In caso di attacco, dobbiamo sfruttare l’ambiente per difenderci

4. A questo punto, è meglio mandarci i valligiani del posto, che conoscono il terreno.

QUINDI:

1. Reclutiamo i giovani nati e cresciuti in montagna, e formiamo delle unità su base locale 2. Inoltre, le addestriamo in alta quota, così da presidiare i valichi in caso di bisogno 3. Questo ha aperto uno scenario completamente nuovo:

a) Non più battaglie campali con schieramenti compatti, ma piccole unità in grado di agire secondo le necessità del terreno

b) Artiglierie dislocate a dorso di mulo (ed alla fine, a spalla...) smontabili ed adatte al clima rigido

c) Equipaggiamento speciale (vestiario pesante, logistica e vettovaglie ad hoc) d) Addestramento alpinistico (su roccia, ghiaccio, con gli sci / racchette da neve).

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Alpini 150° 5 Il battesimo del fuoco delle truppe alpine avvenne... ben lontano dalle Alpi: in Africa.

A seguito delle velleità coloniali del giovane Regno d’Italia, smanioso di partecipare assieme alle grandi potenze alla spartizione dell’Africa, nel marzo 1887 un primo contingente (467 uomini) fu inviato a Massaua, Eritrea, e poi nel 1895-96 ad Adua.

Nel ‘900 una batteria da montagna partecipò al Corpo di spedizione “delle otto nazioni” in Cina, per la cosiddetta rivolta dei boxer.

Ma la prima vera guerra che il Regno d’Italia si trovò a dover combattere dopo l’unità nazionale fu quella contro la Turchia, per la conquista della Libia (1911).

Poiché si trattava di un conflitto di grandi proporzioni, venne mobilitato tutto l’Esercito (oltre che ovviamente la Marina; intervennero anche i primi aeroplani!); pertanto, anche gli Alpini ebbero un importante ruolo (5 battaglioni e 13 batterie).

Resta il fatto che, al di là degli innegabili eroismi dei protagonisti, che contribuirono fin da subito a creare la leggenda intorno al Corpo degli Alpini, al tribunale della Storia risulta scellerata la decisione di mandare delle truppe addestrate alla guerra sulle Alpi in Africa (dove certo ci sono anche montagne - l’Amba Alagi su tutte - ma comunque le condizioni operative sono totalmente diverse).

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E veniamo al tragico conflitto che sconvolse l’Europa ed il mondo nei primi anni del ‘900: la prima guerra mondiale (1914-1918).

Qui gli Alpini furono impiegati nel loro ambiente “naturale”, le montagne che fanno da confine fra l’Italia e l’allora Impero austro-ungarico: le più alte montagne del continente, caratterizzate da ghiacciai permanenti, vette rocciose in gran parte ancora mai scalate e con severe difficoltà alpinistiche, temperature che d’inverno arrivano a -30 gradi sottozero (furono più i morti per assideramento e valanghe che per cause belliche!).

In aggiunta a queste estreme condizioni ambientali, gli Alpini si trovarono a dover combattere contro truppe a loro volta preparate, perché l’Impero austro-ungarico aveva a sua volta provveduto ad addestrare ed equipaggiare dei contingenti di montagna su imitazione italiana.

Le truppe alpine si trovarono per la prima volta ad affrontare problemi giganteschi: piazzare fisicamente un grande numero di uomini su valichi, picchi, vallate innevate e mantenerli

costantemente (quindi rifornirli di viveri, munizioni, equipaggiamenti...) mentre dall’altra parte, a distanza visiva, i Kaiserjäger li prendevano di mira con fucili di precisione e cannoni.

A differenza di quanto avvenne in pianura, dove il fronte rimase sostanzialmente statico fino alla disastrosa ritirata di Caporetto, bisogna sottolineare che gli Alpini, se pur di poco, avanzarono nella conquista delle linee nemiche ed in ogni caso tennero fede al loro impegno principale: difendere le loro montagne.

Da questo momento inizia la leggenda che avvolge il Corpo, e che prosegue tuttora.

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Alpini 150° 7 La decisione dell’intervento italiano nella seconda guerra mondiale rivela tutte le contraddizioni del regime fascista, imponendo scelte strategiche che non corrispondono ad un coerente piano militare.

Nel 1940 l’Italia non era preparata ad un confronto con le altre forze armate, avendo disperso risorse nella vana conquista dell’Etiopia e nel supporto a Franco in Spagna; inoltre, restavano irrisolte la mancanza di materie prime e l’arretratezza tecnologica della nostra industria.

I responsabili militari erano coscienti di questi limiti, ma non seppero opporsi alla volontà di Mussolini di intervenire a fianco dell’alleato tedesco: ecco quindi che, dopo aver aggredito la Francia ormai sconfitta e la Grecia (operazione che si rivelò un bagno di sangue), quando Hitler allargò il conflitto invadendo la Russia, l’Italia tra il ‘41 ed il ‘42 inviò un’armata di oltre 100.000 uomini (l’ARMIR), formata in prevalenza da truppe alpine, in effetti quasi tutti gli effettivi disponibili.

La destinazione originaria sarebbe stata il Caucaso, ma questo obiettivo non fu mai raggiunto, perché in mezzo si trovava la grande pianura ucraina che termina con il fiume Don... e l’armata rossa, che dopo l’iniziale avanzata italo-tedesca contenne l’assalto e, nell’inverno 1942-43, respinse le truppe dell’Asse indietro fino alle porte d’Europa.

Fra morti in combattimento, congelati e dispersi furono oltre 43.000 quelli che dalla Russia non ritornarono: una tragedia che sta perennemente a ricordarci la follia della guerra.

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Fra i tanti episodi di valore della guerra di liberazione, un posto particolare occupa l’impresa del battaglione “Piemonte”.

Immediatamente dopo l’8 settembre 1943, che segnò lo sbandamento totale dell’Esercito italiano, un gruppo di militari (in prevalenza Alpini) si trovava in Puglia, in attesa di partire per il fronte.

Dopo una rapida consultazione, ufficiali e truppa su trovarono d’accordo nel non darsi alla fuga e continuare a combattere, aprendosi con le armi la via verso casa; poiché erano in maggioranza piemontesi, si autonominarono “battaglione Piemonte”. Si aggregarono pertanto alla 5a armata americana, che li rifornì di viveri ed armi, ma sostanzialmente li “parcheggiò” senza impiegarli in importanti attività operative.

Questo fino a quando gli alleati si trovarono bloccati davanti a Montecassino (che bombardarono inutilmente); essendo la zona montuosa (la valle del Liri nell’Appennino laziale) proposero al gruppo raccogliticcio, ma pur sempre Alpini, di intervenire.

Dopo una breve valutazione del terreno, fu deciso di puntare sul Monte Marrone, che sovrasta Montecassino e da dove la posizione può essere aggirata. L'attacco alla cima, alta 1806 m, fu sferrato in piena notte il 31 marzo, sotto una nevicata, e comportò difficoltà dell’ordine del 3o grado

alpinistico; in breve la vetta fu raggiunta e saldamente attrezzata per la difesa.

Fra il il 2 ed il 10 aprile tre battaglioni di Gebirgsjäger (i reparti alpini tedeschi) tentarono di penetrare nelle linee italiane dando luogo ad una serie di corpo a corpo nelle trincee e minacciando di scalzare gli italiani dalla vetta, ma il fuoco dell'artiglieria nel frattempo issata impedì l'afflusso di rinforzi tedeschi e gli Alpini poterono tenere la posizione, aprendo la via degli alleati verso la pianura.

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Alpini 150° 9 Al termine del secondo conflitto mondiale, l’Esercito italiano non è stato dismesso, ma ha continuato a mantenere un consistente numero di reparti - fra cui, ovviamente, gli Alpini - e quindi ad arruolare i giovani (maschi) secondo le consuetudini; questa volta però nel quadro della NATO, in cui siamo entrati subito come principali partners.

Dalle  greche alla res publica romana, dai liberi comuni italiani del Medioevo al Risorgimento ed alle guerre d’indipendenza, la leva militare è stata la condizione normale di tutti i cittadini in età di combattere, dal povero al ricco, dall’analfabeta al laureato; è indubitabile inoltre che lo Stato moderno ne ha profittato per praticare una sorta di “educazione civica” in aggiunta a quella sovente negletta nella scuola dell’obbligo.

Resta il fatto che generazioni di italiani, nati dopo la guerra e pertanto senza esperienza bellica diretta, fino alle soglie del millennio hanno passato un anno o più inquadrati in caserma; e nel caso degli Alpini, secondo la migliore tradizione del Corpo, in addestramento in montagna che di norma prevedeva:

1. Corso roccia 2. Corso sci

3. Campi estivi (20-22 giorni in quota) 4. Campi invernali (10-12 giorni nella neve) 5. Esercitazioni NATO in giro per il mondo...

Tutto ciò senza dimenticare il supporto che gli Alpini hanno sempre dato al loro territorio di

competenza (spesso nelle valli alpine c’era la caserma, ma non i pompieri, gli spalaneve, l’ospedale...).

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Nel nuovo millennio gli scenari della difesa sono radicalmente cambiati; non solo a causa della deterrenza nucleare, di cui noi non disponiamo. Le forze armate di un paese come l’Italia devono necessariamente confrontarsi con le esigenze di integrazione nel quadro dell’alleanza atlantica e quindi - nella pratica - essere in grado di proiettare un limitato numero di truppe, altamente addestrate, in scenari tipicamente molto distanti dalla madre Patria, in operazioni di Peace-keeping.

Dal Libano al Mozambico, dal Kosovo all’Afghanistan l’Esercito italiano ha dato il suo fondamentale contributo alle risoluzioni dell’ONU contribuendo al mantenimento della pace in Europa per tutto il lungo periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi.

Va de sé che l’attuazione di simili operazioni non può più essere affidata a personale di leva, ma deve necessariamente basarsi su professionisti in grado di interagire con gli altri contingenti ed utilizzare i più sofisticati strumenti tecnologici oggi a disposizione.

In questo quadro, gli Alpini italiani costituiscono le “truppe speciali” operanti come sempre nel loro ambiente d’elezione, la montagna, da impiegare quando le condizioni dell’intervento lo richiedano:

un esempio su tutti, l’Afghanistan, dove gli Alpini hanno presidiato passi ad oltre 3.000 m. (Herat) e contemporaneamente avviato programmi di assistenza alla popolazione civile, lasciando sul campo un totale di 52 caduti.

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Alpini 150° 11 L’ANA nacque a Milano nel 1919: i reduci Alpini della 1a guerra mondiale, temprati dai combattimenti in montagna e uniti dal loro granitico spirito di corpo, decisero di unirsi e fare qualcosa di concreto per aiutare le famiglie dei commilitoni e non disperdere il patrimonio di solidarietà e valori umani che si era creato fra di loro.

L’ANA è un’associazione apartitica e si propone di (come si legge nell’art. 2 dello Statuto):

 tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difenderne le caratteristiche, illustrarne le glorie e le gesta;

 rafforzare tra gli Alpini di qualsiasi grado e condizione i vincoli di fratellanza e curarne, entro i limiti di competenza, gli interessi e l’assistenza;

 favorire i rapporti con i Reparti e con gli Alpini in armi;

 promuovere e favorire lo studio dei problemi della montagna e del rispetto dell’ambiente, anche ai fini della formazione spirituale e intellettuale delle nuove generazioni;

 promuovere e concorrere in attività di volontariato e Protezione Civile, con possibilità di impiego in Italia e all’estero, nel rispetto prioritario dell’identità associativa e della autonomia decisionale.

Nel tempo, l’associazione è cresciuta.

Se all’inizio ne potevano far parte solo gli alpini - fino al grado di capitano - che avevano

effettivamente combattuto in trincea, in seguito l’appartenenza fu concessa anche ai non combattenti (come le generazioni che fortunatamente non avevano conosciuto la guerra); fu istituita inoltre la condizione di “aggregato”, per tutti coloro che pur riconoscendosi nei valori dell’associazione non avevano fatto il servizio militare nelle truppe alpine. Questo ha permesso di “arruolare” volontari per iniziative fondamentali come la Protezione Civile.

La progressiva crescita numerica (ad oggi l’associazione conta 350.000 soci) ha portato come naturale conseguenza una “massa critica” che, opportunamente organizzata nel rispetto della gerarchia tipica del Corpo, si è rivolta a scenari ben al di là della pur legittima autocelebrazione, tipica di

un’associazione d’arma, per rivolgersi al Volontariato sociale.

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Certo, la prima cosa che viene in mente quando si parla di Alpini sono le Adunate: un fenomeno sociale per cui una volta l’anno 300.000 - 400.000 persone (giovani, meno giovani, padri di famiglia, operai, impiegati, dirigenti, stimati professionisti) mollano tutto e si mettono in viaggio con ogni mezzo verso la città designata per l’Adunata, e qui si accampano - nel senso letterale del termine - per un fine settimana all’insegna del ritrovarsi, fra celebrazioni istituzionali e momenti di allegria.

Senza nulla togliere ad altre feste di popolo, dal Columbus Day al 14 Juilliet, più di otto ore di sfilata ce l’abbiamo solo noi in Italia...

Un aspetto che invece è ignoto ai più è che per far funzionare correttamente la macchina

organizzativa (in sostanza, per gestire un evento complesso che coinvolge ordine pubblico, viabilità, trasporti, infrastrutture, logistica, ecc.) c’è bisogno (anche) di un “corpo speciale” di volontari (ovviamente...) che assicura il regolare svolgimento dell’Adunata, dall’assistenza alle manifestazioni del programma, al controllo e allo scioglimento dello sfilamento: il Servizio d’Ordine Nazionale.

Per inciso, quest’anno l’Adunata sarà a Rimini...

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Alpini 150° 13 L’altra cosa che ormai si collega indissolubilmente agli Alpini è la Protezione Civile.

La Protezione civile dell’ANA nasce in pratica nel 1976, nel Friuli devastato dal terremoto in cui l’Associazione Nazionale Alpini prendeva coscienza di avere nelle sue fila un patrimonio di esperienze, volontà ed entusiasmo che andava messo in pratica; ma, nella tradizione alpina, dotandosi quindi di un'organizzazione che guarda lontano.

Da allora è stato un crescendo di coinvolgimenti, addestramenti, acquisizioni di materiali, mezzi ed esperienze ma anche e, forse, soprattutto di realizzazioni di interventi. La nostra Protezione civile è sempre presente dove viene richiesta, sia al livello di Dipartimento della Protezione civile presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, sia nei territori montani per l’antincendio boschivo e nelle opere di prevenzione in cooperazione con Comuni, Province, Comunità Montane e Regioni.

Sempre pronta per interventi di emergenza, la Protezione civile ANA è comunque impegnata costantemente nelle importanti e strategiche attività di prevenzione e previsione con interventi di recupero, bonifiche ambientali e salvaguardia dei territori soprattutto montani.

La direzione e il coordinamento di Protezione civile sono a Milano, presso la sede nazionale dell’ANA.

La P.C. dispone di magazzini con materiali di pronto impiego (tende, containers, servizi igienici e docce, letti ed altre attrezzature) ad Asti, Atessa, Latina, Cesano Maderno e Vicenza.

Attualmente conta oltre 13.000 volontari, divisi in varie specialità:

1. Alpinisti 2. Cinofili 3. Logistica

4. Antincendio boschivo

5. Idrogeologico, sub e salvamento fluviale 6. Droni

7. Sanitari di primo soccorso 8. Informatica e telecomunicazioni 9. Ospedale da campo

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Dopo aver scorso - purtroppo velocemente - la storia delle truppe alpine italiane e dell’Associazione Nazionale, nata per perpetuarne i valori anche nella vita civile, è ora di parlare di casa nostra, ossia di cosa fanno gli Alpini casalesi e monferrini.

Oltre naturalmente alla partecipazione a tutte le commemorazioni “istituzionali” (4 novembre, 2 giugno, 25 aprile, ecc.) ed essere intervenuta con la sua Protezione Civile in tutte le emergenze nazionali e locali, la sezione di Casale - nata nel 1928 - ha realizzato nel tempo una serie

impressionante di progetti nell’ambito sociale ed in generale a beneficio del territorio, attuando una virtuosa collaborazione fra pubblico e privato.

Fra i tanti, scegliamo:

1. Il Centro diurno Signorini: da una cascina nei pressi della città, completamente ristrutturata, è stato realizzato un centro per l’accoglienza dei pazienti e donato all’ANFFAS

2. La ristrutturazione del Sacrario dedicato a tutti i caduti monferrini (sono citati più di 4.000 nomi!) posto nel sotterraneo della basilica del Sacro Cuore di Gesù al Valentino

3. La collaborazione con l’Ospedale Santo Spirito, che è stato dotato di vari equipaggiamenti medicali che non entravano nel bilancio dell’ASL, fra cui:

a. Ambulanze

b. Una sala post-operatoria

c. Una macchina per odontoiatria che consente di operare sulle carrozzelle dei disabili (tutte eccellenze del territorio, invidiate dagli ospedali del Nord Italia)

4. La Sala storica, un vero e proprio “museo” delle truppe alpine, a disposizione delle scuole.

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Alpini 150° 15 La Bandiera di cui parliamo è quella italiana, è il nostro Tricolore che unisce il popolo italiano dall'Alpe alla Sicilia. Essa trae origine dai primi moti insurrezionali a Bologna(Stato Pontificio) nel novembre del 1794 ad opera di Zaniboni e De Rolandis. Entrambi studenti universitari, Luigi Zaniboni nato a Bologna e Giovanni Battista De Rolandis dei Conti di Castell'Alfero, un monferrino.

Cosa fecero costoro? Affissero coccarde tricolori e manifesti con cui lanciavano proclami inneggianti alla libertà e all'Italia. Furono catturati e condannati a morte.

Ma la bandiera? Con l'arrivo in Italia di Napoleone viene presentata a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 come vessillo del nuovo stato libero della Repubblica Cispadana. La Bandiera è a bande orizzontali, verde,bianca e rossa. La Repubblica Cispadana, nel giugno dello stesso anno, confluisce con la

Repubblica Cisalpina e la Bandiera viene modificata con le bande poste in verticale esattamente come quella che abbiamo ora.

Passano un po' di anni e avvengono tanti fatti e tanti cambiamenti con il fermento del nostro Risorgimento sino a che nel 1848, con la Prima Guerra di indipendenza, il Re Carlo Alberto di Savoia adotta per il Regno di Sardegna questa Bandiera Tricolore con lo scudo crociato al centro della banda bianca. E da lì la Bandiera del Regno dei Savoia diventa la Bandiera che guiderà tutto il Risorgimento sino alla proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861. Continuerà a guidare le nostre Forze Armate ed il popolo italiano durante le varie guerre che si succedono; guerre coloniali, prima e seconda guerra mondiale.

Dopo la seconda guerra mondiale il 2 giugno 1946, in seguito al Referendum Istituzionale, nasce la Repubblica Italiana e dalla Bandiera viene tolto lo scudo crociato dei Savoia. Il 1° gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana dove l'articolo 12 recita: La Bandiera della Repubblica è il Tricolore Italiano: verde,bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

Dal 1997 ogni 7 gennaio si celebra la “Giornata del Tricolore”.

Andremo ora a capire come la Bandiera va esposta. Il verde è quello che rimane sempre vicino all'asta; quando la si colloca ad un balcone o ad una finestra il verde è sempre in alto.

Per l'esposizione di bandiere di diverso tipo esiste un cerimoniale; a titolo esemplicativo, su sedi statali la Bandiera Italiana è a sinistra per chi guarda ed a destra c'è quella Europea.

Su sedi Regionali, Provinciali, Comunali (Es. il vostro istituto scolastico) la Bandiera Italiana è al centro, sulla destra (sempre per chi guarda) c'è quella Europea e sulla sinistra quella della Regione.

Alla Bandiera vanno resi gli onori. In ambito militare durante le parate, quando il Presidente della Repubblica si insedia nel Palazzo del Quirinale, quando ci sono picchetti militari schierati nel momento in cui si ricevono autorità militari (Es. il Capo di Stato maggiore della Difesa) oppure civili come il Presidente di uno stato estero ed in tante altre manifestazioni.

In ambito civile quando ci sono ricorrenze o celebrazioni importanti come il 2 giugno ed il 4 novembre ma anche altre circostanze di carattere patriottico.

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Il momento più elevato per rendere gli onori è l'Alzabandiera. E' una cerimonia che in ambito militare ( caserme, navi, accampamenti ) segna l'inizio delle operazioni giornaliere e che in ambito civile apre molto spesso una cerimonia come la commemorazione dei caduti.

Quando avviene l'Alzabandiera le persone sono schierate e dopo lo squillo di tromba si mettono sull'attenti. Quando la bandiera inizia a salire sul pennone i militari in divisa o gli uomini appartenenti ad associazioni militari portano la mano destra alla visiera del cappello per il saluto mentre i civili portano la mano destra sul petto dalla parte del cuore; e tutti cantano il nostro Inno Nazionale, FRATELLI D'ITALIA.

Cosa è la nostra Bandiera Italiana ?

E' un vessillo di libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di eguaglianza, di giustizia; che si riconosce nei valori della propria storia e della propria civiltà.

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Alpini 150° 17 Last, but not least: una proposta, recentemente lanciata dall’Associazione Nazionale, i CAMPI SCUOLA.

Rivolto ai ragazzi ed alle ragazze dai 16 ai 25 anni, è una “vacanza in montagna” molto particolare:

facendo base in caserme operative, si avrà l’opportunità di conoscere nel dettaglio le Truppe Alpine, l’Associazione e la Protezione Civile con attività in aula e pratica in montagna.

Ogni campo base (ce ne sono 12, dal Nord al Sud Italia) avrà la durata di 15 giorni, nel periodo

7 luglio / 3 settembre 2022.

Naturalmente, nel più puro stile alpino sarà anche un’occasione di convivialità, un’esperienza formativa ed un modo anticonvenzionale di entrare nel magico mondo della montagna.

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