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L'agenda .rlel governo

Come salvare donne e giovani

dalla povertà

di Tito Boeri

e Roberto Perotti

Se l'emergenza sanitaria non è finita, Io è ancora meno quella economica e sociale.

In attesa dei dati suí redditi delle famiglie di Banca d'Italia, parlano i numeri di chi si rivolge a Caritas e Croce Rossa, baluardi ultimi contro l'indigenza.

a pagina 13

L'analisi

Donne e giovani rischiano la povertà Sussidi da riformare

di Tito Boeri e Roberto Perotti

S

e l'emergenza sa- nitaria non è fini- ta, lo è ancora me- no quella econo- mica e sociale. In attesa dei dati sui redditi delle fami- glie italiane di Banca d'Italia, parla- no i numeri di chi si rivolge ai cen- tri Caritas e alla Croce Rossa Italia- na, baluardi ultimi contro l'indigen- za. A Roma il numero delle persone che si sono rivolte ai centri di ascol- to delle Caritas parrocchiali è au- mentato del 35% nei primi nove me- si del 2020, i pasti erogati dalle mense sociali sono aumentati del 30%. mentre i quintali di alimenti distribuiti dagli empori della solida- rietà sono più che raddoppiati. La Croce Rossa Italiana in Lombardia ha quadruplicato il numero di pasti distribuiti dalle sue strutture e non c'è alcun segnale che la domanda di assistenza alla popolazione, ol- tre che sanitaria, si stia riducendo.

Come documentano Francesca Carta e Marta De Philippis sui dati Istat delle forze lavoro, sono stati i lavoratori con contratti a tempo de- terminato, soprattutto donne e gio- vani, a subire il colpo più duro. I ri- stori hanno coperto i dipendenti con contratti a tempo indetermina- to (beneficiari di Cassa Integrazio- ne e protetti dal blocco dei licenzia- menti) e i lavoratori autonomi (bo- nus 600 euro e contributo a fondo perduto), lasciando fuori i lavorato-

ri con contratti a tempo determina- to. Il mancato rinnovo dei loro con- tratti alla scadenza li ha tagliati fuo- ri anche dalla Cassa Integrazione.

La teoria e il buon senso ci dico- no che la risposta corretta a uno shock temporaneo come una pan- demia, combinato con un massic- cio impoverimento delle categorie più deboli, sono sussidi alle perso- ne e alle imprese, ben concepiti. Le ingenti risorse del Recovery Fund sono invece dedicate quasi esclusi- vamente a investimenti pubblici per la ricostruzione, come se la guerra fosse finita. A differenza che nel caso del Piano Marshall, av- viato tre anni dopo la fine delle osti- lità, oggi siamo ancora lontani dal- la vittoria finale. Si parla molto an- che di una riforma radicale e simul- tanea di tutte le tasse. Obiettivo condivisibile, ma ci si dimentica che questo strumento non ha alcun effetto sulla povertà: non cambia niente per chi già in partenza non paga le tasse o ne paga pochissime, perché troppo povero. Ciò di cui ab- biamo bisogno è una riforma altret- tanto onnicomprensiva degli am- mortizzatori sociali.

Nell'immediato, ecco cinque in- gredienti di una riforma che tappi le falle del sistema attuale. Primo, oggi solo chi ha quattro anni di con- tributi continuativi alle spalle può fruire dei sussidi di disoccupazio- ne per due anni. Per i lavoratori su- bordinati con carriere discontinue c'è la Naspi, ma eroga un sussidio per un periodo molto limitato. In una recessione profonda come

quella attuale è opportuno allun- garne la durata. Secondo, durante l'emergenza bisogna togliere la ri- duzione mensile nei livelli delle prestazioni (-3% ogni mese) che por- tano i trattamenti della Naspi rapi- damente al di sotto delle indennità riconosciute in Cassa Integrazione a zero ore. Chi non ha futuro nell'a- zienda in cui lavorava non deve es- sere penalizzato passando dalla Cassa alla Naspi. Terzo, occorre per- mettere al Reddito di Cittadinanza di coprire davvero le maggiori vitti- me della crisi, i giovani e le donne in famiglie numerose. Quarto, si tratta di introdurre un ammortizza- tore sociale nei periodi di crisi per i lavoratori autonomi che non han- no dipendenti. Quinto, bisogna ve- locizzare e coordinare l'erogazione delle prestazioni, a partire dall'isti- tuzione di un'unica Cassa Integra- zione al posto delle tre attuali.

Nel Pnrr non c'è niente di tutto ciò, solo generici piani di rafforza- mento delle cosiddette "politiche attive del lavoro" (formazione, ri- qualificazione, sostegno all'impren- ditorialità, etc.) menzionate ben venti volte in quattro pagine senza spiegare chi fa che cosa e come. Il Pnrr ignora anche (come tutti i go- verni del passato) l'enorme espe- rienza internazionale che dimostra almeno due punti fondamentali. Le politiche attive funzionano solo se strettamente integrate con le politi- che di sostegno al reddito, in uno scambio di diritti e responsabilità (ti aiuto solo se ti impegni nella ri- cerca di lavoro). Inoltre, le politiche

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attive richiedono dei professioni- sti; non bastano gli assistenti socia- li che hanno competenze completa- mente diverse e tantomeno dei "na- vigator" improvvisati che aiutino, quando va bene, a scrivere un Cv.

In realtà, in Italia non siamo mai andati veramente oltre le lotte di potere su chi deve gestire le politi- che attive. Ora sembra che, come

L'agenda del governo

Ilavoratori con contratti

discontinui sono esclusi dai ristori Le risorse del Recovery

Fiend vanno impiegate

anche per rafforzare gli strumenti

di sostegno al reddito

Allarme indigenti

+35%

La crescita nel numero di persone che si sono rivolte ai centri di ascolto parrocchiali della Caritas nei primi nove mesi dell'anno

+400%

ivi Lombardia La Croce Rossa ha

quadruplicato il numero di pasti distribuiti

nel gioco dell'oca, si voglia ritorna- re alla casella di partenza riportan- do l'Anpal, l'agenzia per le politi- che attive, dentro al ministero del Lavoro. Il vero problema è che sia l'Anpal che la precedente direzio- ne del ministero del Lavoro non hanno mai contato nulla nell'attua- zione delle politiche attive. L'unico modo perché ci sia un forte coordi-

Le politiche attive devono

essere legate alle prestazioni

erogate L'unico snodo per coordinarle

è affidare il compito a chi possiede i dati, come

l'Ines

namento fra Regioni è affidare que- sto ruolo a chi, come l'Inps, ha i dati per farlo. Sarebbe anche un modo per legare per davvero le politiche attive alle misure di sostegno al red- dito. E un'amministrazione pubbli- ca nazionale potrebbe svolgere una funzione di sussidiarietà nelle Regioni che non sono in grado di istituire centri per l'impiego degni del loro nome. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Due milioni di vaccinati in più

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