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CAPITOLO II LA POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA PER LO SVILUPPO RURALE.

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CAPITOLO II

LA POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA PER LO SVILUPPO

RURALE.

1. La “genesi” della politica europea in materia di sviluppo rurale: una lenta affermazione.

Le politiche di sviluppo rurale si sono affermate quale elemento imprescindibile delle politiche strutturali dell’Unione Europea, solo a partire dal 1988, con la riforma dei fondi strutturali, nonostante, fosse già stata segnalata dagli anni cinquanta la presenza di marcate differenze di tipo strutturale e di aree o regioni in forte ritardo di sviluppo; a questo riguardo, infatti, è importante aggiungere che, sebbene le esigenze e le possibilità di azione della Comunità a favore del mondo rurale possano spingersi ben oltre le politiche strutturali è altresì vero, o, per meglio dire ovvio che quando ci si trovi ad affrontare problemi di ristrutturazione agricola e di diversificazione economica, come per il caso delle aree rurali, le politiche strutturali vengono ad occupare un ruolo indispensabile. Tuttavia, nonostante tali considerazioni, le fasi iniziali della Comunità sono state contraddistinte, da ben altre tipologie di politiche ed, in particolare, dallo sviluppo e dalla realizzazione della cosiddetta, Politica Agricola Comune (Pac)1, prima vera politica “europea”, che sin dai primi anni sessanta si è da subito caratterizzata, suo malgrado, per il ricorso al sostegno dei prezzi agricoli2, quale

1 La nascita della politica agricola comunitaria è sancita dall’art.38 del Trattato di Roma, in cui, tra l’altro, si manifesta esplicitamente la volontà dei Paesi Membri di fare dell’agricoltura il settore “di punta” del processo d’integrazione europeo.

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Il finanziamento delle misure di sostegno dell’agricoltura introdotte nel quadro della Pac fu assicurato dal bilancio comunitario attraverso uno specifico fondo creato a questo fine nel 1964: il FEOGA (Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia) composto da due distinte sezioni:

-

La sezione “Garanzia” per finanziare le spese, cosiddette “correnti”, cioè, quelle spese per il sostegno dei prezzi e dei mercati agricoli (acquisto delle eccedenze da parte dei cosiddetti “organismi di intervento sui mercati”, stoccaggio, aiuti ai produttori o ai trasformatori, restituzioni all’esportazione sui mercati mondiali, ecc.).

-

La sezione “Orientamento ”destinata, invece, al finanziamento di progetti di investimento ed al sostegno degli adattamenti strutturali in agricoltura.

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“ingrediente” essenziale nella risoluzione dei numerosi problemi in cui, a quella epoca, si trovava l’agricoltura dei Paesi Membri; “ (…)da questo momento in poi

i prezzi delle derrate agricole non verranno più determinate dai rapporti tra la domanda e l’offerta, ma bensì da numerosi e complessi fattori politici di tipo nazionale e internazionale (…)”. Una condizione, di quella natura, tuttavia, è in

parte ascrivibile anche a quegli orientamenti generali cui si ispirò la PAC di quegli anni , e che possono qui ricondursi a tre principi fondamentali3:

-

L’unitarietà del mercato europeo delle derrate agricole, quale espressione

dell’intenzione di voler rendere “perfettamente commerciabili” le derrate agricole tra Paesi membri, un principio questo, che, peraltro, non è mai giunto a totale compimento anche in considerazione della presenza di barriere sia tariffarie che non all’interno della Comunità stessa;

-

La preferenza comunitaria, ossia la protezione che fu accordata alla

produzione comunitaria rispetto alle importazioni da paesi terzi, un elemento questo che, tra le altre cose, più di ogni altro incise in maniera estremamente negativa sull’efficienza del sistema;

-

La solidarietà finanziaria, vale a dire quel sistema di sostegno finanziario

che, prescindendo dal beneficio derivante dalla spesa agricola, fu, invece posto a carico di tutti i paesi comunitari e che giunse ad assorbire quasi i tre quarti delle risorse finanziarie dell’allora CEE.

In sostanza, la PAC nel perseguimento dei suoi principali obiettivi ricorse, quindi, da una parte, alla creazione di un mercato unico per i prodotti agricoli4 e, dall’altra, ad un sistema di protezione comune verso l’esterno, riuscendo in questo modo ad esercitare una notevole influenza su circa i tre quarti della produzione agricola comunitaria, in base ad un sistema, attraverso il quale era possibile definire per ciascun prodotto : i prezzi di scambio delle merci agricole, i prezzi d’intervento, ossia, il prezzo minimo garantito per il ritiro della produzione, i premi all’esportazione o “restituzioni” ed i dazi sulle importazioni

3 La protezione nei confronti dell’agricoltura trovava giustificazione nel fatto che pur rappresentando questo il settore per eccellenza in grado di garantire sussistenza, avesse, proprio in quegli anni, subito un notevole ridimensionamento dovuto al rapido avanzamento del settore industriale.

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o “prelievi”5. In questo modo, alla fine degli anni sessanta, la politica di sostegno dei prezzi, oltre ad interessare il 75% della produzione agricola europea finì anche per assorbire quasi i tre quarti di tutti i finanziamenti della Comunità, palesando, quindi, fin da allora, il suo carattere eccessivamente oneroso; a completamento di un quadro che andando gradualmente delineandosi sembrava già presagire l’attuale stato delle cose6, si aggiunga, inoltre, che, come se non bastasse, la PAC di quegli anni si contraddistinse anche per un’altra sua circostanza, ossia, quella dell’asimmetria distributiva che tale intervento finanziario produceva all’interno della Comunità favorendo alcuni prodotti più di altri, e, quindi, anche alcuni paesi piuttosto che altri, ed andando, pertanto, ad incidere ulteriormente su disparità già esistenti fra le diverse regioni agricole7. Per quanto concerne, invece, la politica per gli interventi strutturali a favore dell’agricoltura, già inserita, peraltro, all’interno dello stesso Trattato di Roma in base al quale, doveva essere destinato almeno il trenta per cento delle risorse finanziare della politica agricola, questa fu, al contrario, ben presto dimenticata, e le risorse ad essa riservate, in realtà, non superarono mai la misura del 5% dei finanziamenti complessivi della PAC8. In effetti, l’unica misura di carattere strutturale a favore di questo settore, che in quegli anni si giovò di una, sia pur

5 Il meccanismo dell’intervento, realizzato tramite i “prezzi di intervento” era il seguente: se il mercato faceva scendere i prezzi interni nella CEE di un particolare prodotto al di sotto del livello previsto (a causa, per esempio, di riduzione della domanda da parte dei consumatori), il Fondo europeo di orientamento e di garanzia agricola (Feoga) acquistava l’intera produzione degli agricoltori, qualunque quantitativo esso fosse, e ne assicurava lo stoccaggio, per poi rivenderlo, qualora possibile, quando il prezzo fosse tornato remunerativo. Per evitare le importazioni da paesi terzi si utilizzava, invece, il cosiddetto “prelievo” sulle importazioni, si trattava, in pratica, di un dazio aggiuntivo che si sommava ai normali diritti doganali per assicurare che il prodotto agricolo europeo non fosse più costoso di quello importato in Europa. Infine, quale incentivo alle esportazioni al di fuori del mercato comune, erano, invece, utilizzati dei sussidi, le cosiddette “restituzioni” alle esportazioni, attraverso le quali le merci europee diventavano competitive a livello mondiale.

6 “ (…) un’errata gestione delle risorse finanziarie può, talvolta, creare più danni che benefici per le

regioni in ritardo. Si pensi, per esempio, alle cosiddette politiche assistenzialistiche, che anziché favorire lo sviluppo endogeno del territorio, puntando sui pur tenui e labili fattori di crescita in esso presenti, distribuiscono fondi e sovvenzioni “a pioggia” che spiazzano proprio tali fattori di crescita endogena (effetto “crowding-out”).” (Vitali. 2001).

7 “ (…) Questa caratteristica, che è rimasta una costante della Pac, ha provocato non poche disparità a

vantaggio delle regioni e delle aziende maggiormente interessate alle produzioni continentali.” (Fanfani 2000).

8 Nel progetto iniziale la politica delle strutture era concepita come il “braccio forte” della Pac, con cui gestire l’ammodernamento dell’agricoltura europea, “accompagnando” l’aggiustamento del settore in un contesto di forte crescita, trainato dallo sviluppo dell’industria e del terziario. La politica dei prezzi era vista come un intervento di stabilizzazione e sostegno, destinato a mettere al riparo l’agricoltura dagli effetti delle fluttuazioni di mercato di breve periodo, attraverso la fissazione di prezzi minimi garantiti e la protezione commerciale alla frontiera.

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marginale, attenzione è costituita da un regolamento comunitario del 19649, a favore delle strutture di produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli; che oggi, dopo aver subito modifiche ed aggiornamenti, si è progressivamente trasformato in un intervento a favore dell’industria di trasformazione alimentare (Fanfani, 1998). Solo al termine degli anni sessanta, quando, come già sostenuto, la politica dei prezzi era a pieno regime e la sua insostenibilità finanziaria era già evidente, si giunse, in modo chiaro, ad una prima proposta organica di politica per le strutture agricole, “Memorandum sulla

riforma dell’agricoltura nella Comunità europea”, meglio nota come Piano

Mansholt10. In base alle osservazioni espresse nel Memorandum, circa il mutato contesto macroeconomico, in cui lo sviluppo industriale ed il relativo progresso tecnologico derivante dall’estendersi della meccanizzazione e l’utilizzazione massiccia di mezzi chimici avevano quale loro diretta conseguenza la formazione di eccedenze produttive difficilmente utilizzabili; unitamente, poi, alla considerazione che una politica di sostegno dei prezzi non risolvesse affatto i problemi dei redditi degli agricoltori, si rese, quindi, evidente l’urgenza di un cambiamento. In linea con tali orientamenti, la politica prospettata nel Memorandum, prevedeva, pertanto, una serie di interventi che favorissero l’adozione di forme di organizzazione industriale della produzione, l’aumento della dimensione aziendale, la concentrazione e specializzazione dell’offerta di prodotti agricoli, l’introduzione di processi produttivi ad alta intensità di capitale e ad elevata qualificazione professionale della manodopera, che potessero così favorire un riallineamento dei redditi agricoli con quelli extra agricoli (Fabiani, 1986). Al fine di realizzare tutte queste richieste, nel Piano fu previsto anche un notevole sforzo finanziario per il decennio 1970-1980 che permettesse, in questo modo, di giungere in quello successivo con delle strutture aziendali moderne tali da consentire una progressiva riduzione del sostegno dei prezzi agricoli; e

9Regolamento n. 17/64/CEE del Consiglio, del 5 febbraio 1964, relativo alle condizioni di concorso del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, GU n. P 034 del 27/02/1964.

10“Nel 1968, la Commissione ha pubblicato un "Memorandum sulla riforma della PAC", comunemente detto "Piano Mansholt", dal nome del suo promotore, Sicco Mansholt, all'epoca vice presidente della Commissione e responsabile della PAC. Il piano prevedeva la riduzione della popolazione attiva in agricoltura e l'incoraggiamento alla formazione di unità di produzione agricola più grandi e più efficienti.” http://europa.eu/scadplus/leg/it/lvb/l04000.htm

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conseguentemente rendere, così, possibile la riduzione della crescente richiesta di finanziamenti della Pac, che costituiva, ormai, un ostacolo all’avvio di altre politiche comunitarie. Al Memorandum fece, poi, seguito un ampio dibattito tradottosi nel 1972 nell’emanazione di tre direttive “socio-strutturali” che, pur rappresentando il primo vero intervento di una certa organicità a favore delle strutture agricole, ebbero, tuttavia, effetti molto limitati. Le tre direttive, infatti, ricalcando, quell’approccio per certi versi riduttivo del Piano Mansholt, limitarono, in tal modo, il loro “raggio d’azione” alla sola sfera aziendale individuando, sì, opportune linee d’intervento per il miglioramento dell’efficienza delle strutture agricole, ma, rinviando ulteriormente l’attuazione di una politica regionale11 di sviluppo delle zone rurali, indubbiamente più adeguata12 e che, con il passare del tempo, si stava facendo sempre più urgente. Nel dettaglio:

-

La direttiva n.159/72 sull’“Ammodernamento delle aziende agricole”, sanciva la determinazione di finanziamenti in conto capitale ed abbuoni su interessi per investimenti dietro la presentazione di un “Piano di sviluppo aziendale” da cui doveva emergere la possibilità del raggiungimento in un tempo di quattro anni di un reddito comparabile con quello dei settori extra agricoli. Tale direttiva, in particolare, utilizzò il 90% dei fondi allora disponibili, che furono, tra l’altro, in gran parte destinati proprio a quei Paesi che ne avevano meno bisogno, accentuando, in questo modo, proprio quegli squilibri strutturali che si pretendeva eliminare, e come se non bastasse, provocando anche un ragguardevole incremento della produzione, che andò ad aggravare ulteriormente il problema delle eccedenze;

-

La direttiva n.160/72 sull’“Incentivazione all’abbandono dell’attività

agricola”, scarsamente applicata anche a causa dell’insufficienza delle risorse

a questa destinate, contemplava, invece, premi per il prepensionamento e la

11 In realtà già negli anni ’60 ci si accorse del problema e fu creata una nuova Direzione Generale della Commissione “DG XVI”, responsabile proprio della politica regionale. Tale strategia fu inoltre rafforzata con l’istituzione del primo vero e proprio strumento di intervento regionale:

il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) che è gestito dalla Commissione europea proprio tramite la direzione generale per le Politiche regionali e di coesione

12 A questo proposito: “ Le direttive socio-strutturali del 1972 sono un deliberato disegno di svuotamento

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cessione delle terre agricole da utilizzare, poi, per programmi di ammodernamento aziendale previsti dalla direttiva 169/72, o comunque da destinare ad usi non agricoli;

-

La direttiva n.161/72 sull’“Informazione socioeconomica e la qualificazione

professionale”, stabiliva, tra le altre cose, la creazione di centri di formazione

e consulenti in grado di consigliare gli agricoltori circa la convenienza, o meno, a portare avanti l’attività agricola.

Qualche anno dopo, seguì una quarta direttiva, la n.268/75, sull’“Agricoltura di

montagna e di talune zone svantaggiate” che malgrado fosse stata approvata in

ritardo, rispetto alle altre tre, riuscì a conseguire un’applicazione più rapida ed, inoltre, ad acquisire una maggiore rilevanza in termini finanziari, soprattutto grazie alla semplicità con cui i finanziamenti erano erogati alle aziende. Oltre a quello completare il quadro dei provvedimenti che costituirono il primo vero intervento organico di politica strutturale, tuttavia, il pregio maggiore di questa direttiva, risiede indubbiamente nel fatto che questa, in un certo qual modo, rappresentò il riconoscimento delle differenze territoriali esistenti nell’agricoltura dell’Unione europea definendo le “zone svantaggiate” non solo con riferimento all’altitudine, ma anche a svantaggi derivanti sia dalla scarsità nella dotazione di risorse naturali sia da processi di spopolamento. In sostanza, però, a dispetto di alcuni elementi innovativi che tali direttive apportarono, numerose e di non poco peso furono anche tutte quelle mancanze relative alla loro reale efficacia, in base alle quali, volendo effettuare un bilancio sulla loro concreta attuazione, si può, indubbiamente convenire che questo non possa essere senz’altro giudicato in maniera positiva. L’impostazione parziale e settoriale delle direttive, che non realizzarono in alcun modo l’integrazione con i settori extra agricoli, né, tanto meno, si coordinarono con la politica dei prezzi, la scarsa considerazione per l’eterogeneità dei diversi Paesi Membri, l’altrettanto esiguo ammontare delle risorse impiegate, ed infine, la scelta di realizzare le misure strutturali proprio attraverso uno strumento come la direttiva, che determinò, quindi, con le leggi nazionali di recepimento, una diversa applicazione nei singoli stati; sono solo alcune delle manchevolezze che emersero durante il periodo d’attuazione di quei

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provvedimenti. Pertanto, alla luce di questi risultati, divenne quanto mai evidente la necessità di rimettere completamente in discussione l’intero impianto della politica delle strutture agricole, anche se, tuttavia, per tutta la durata degli anni ottanta, a dispetto di una simile urgenza, le realizzazioni in questo senso furono, in realtà, ben poche, tanto è vero che l’unico provvedimento apprezzabile di quel periodo fu il regolamento 797/8513. Per merito di questo regolamento, fu, infatti, possibile dare seguito al rinnovo delle direttive strutturali già esistenti, sebbene uno dei principali motivi di discussione di quegli anni fosse, suo malgrado, proprio quella tipologia di intervento incentrata su base aziendale14 proposta dalle direttive. Tuttavia, le questioni alla base delle polemiche di quel periodo, apparivano ben più radicate e quanto mai controverse, infatti, se è vero che da un lato si faceva sempre più stringente la necessità di una riforma effettiva della politica agricola comunitaria, per dare, in questo modo, avvio ad un nuovo ciclo di politiche strutturali che potessero ridimensionare, almeno in parte, le forti disparità regionali esistenti nell’agricoltura europea, dall’altro, invece, si stava delineando con sempre maggiore chiarezza15 l’idea che fosse oltremodo improprio identificare, almeno nel contesto europeo, le zone svantaggiate in quelle agricole, dal momento che, le condizioni sfavorevoli ed il ritardo di sviluppo dipendevano, piuttosto, dall’evoluzione socioeconomica complessiva di 13

Con il Regolamento CEE n. 797/85 “Relativo al miglioramento dell'efficienza delle strutture agrarie” (G.U. n. L 93 del 30.3.1985) furono introdotti incentivi agli interventi di ammodernamento delle strutture di produzione agricola seguendo, nel raggiungimento di tale obiettivo, una logica diversa rispetto alle precedenti direttive socio strutturali. Nel regolamento 797/85 fu riconfermata, inoltre, l’indennità compensativa per le zone svantaggiate, introdotta per la prima volta con la direttiva 268 del 1975, ma che in questo caso introdusse alcune importanti novità, infatti, questa misura fu la prima a prevedere l’erogazione di sussidi che traevano la loro giustificazione dalla necessità di compensare gli agricoltori per quelle “esternalità positive” realizzate congiuntamente alla produzione agricola (giustificazione questa che è alla base delle attuali politiche di sviluppo rurale sulle quali oggi la Comunità intende costruire il secondo pilastro della Pac). Il regolamento contemplava, inoltre, un incentivo a sostegno del ricambio generazionale nelle aziende agricole della Comunità europea sotto forma di “premio di primo insediamento” per i giovani agricoltori. La totalità delle misure previste dal regolamento 797 è stata poi, successivamente riproposto in vari regolamenti che di volta in volta sono stati adattati ai cambiamenti nel corpus delle politiche strutturali e di sviluppo rurale della Comunità stessa. (Fanfani, 1998)

14 Una tipologia d’intervento aziendale si era mostrata inadeguata “(…) sia perché da questo punto di vista le disparità tendono a riprodursi sia perché l’evolversi delle situazioni aziendali non può essere scisso da un miglioramento delle condizioni del contesto economico e sociale in cui si situa l’azienda stessa (…).” ( Fabiani, 1986).

15 Si fa riferimento, a questo proposito, a tutti quei documenti di riflessione e discussione, diffusi in quel periodo dalla Comunità europea come, ad esempio:

Commissione delle Comunità Europee (1985). Prospettive per la politica agraria comune. Libro verde, COM(85)333

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queste aree. Una sorta di “preludio”, ai cambiamenti necessari per una politica di sviluppo rurale più efficace, si realizzò, proprio in quegli anni, con l’avvio dei Programmi Integrati Mediterranei, i cosiddetti PIM16, “programmi pluriennali ed intersettoriali”, sulla scia, di iniziative che avevano interessato già in passato

alcune delle zone svantaggiate del mediterraneo, e che trascinarono, immancabilmente, con sé tutta una serie di riflessioni, relativa, in quel caso, all’opportunità di un’azione congiunta di tutti i fondi allora esistenti per le politiche delle strutture17. Tali programmi, il cui principale scopo era quello di assecondare l’ammodernamento strutturale di alcune aree europee18, per poter, così, far fronte, in maniera più adeguata, alla maggiore concorrenza determinata dall’allargamento, che ebbe luogo, proprio in quel periodo, con l’ingresso nella Comunità europea di Spagna e Portogallo19., debbono la loro rilevanza al fatto che, questi, in un certo qual modo, furono da esempio, per la prima volta, d’un modello d’azione organico, in quanto organizzato sulla base di una programmazione territoriale degli interventi che contemplava il coinvolgimento di enti locali ed organismi sub regionali. Tuttavia l’organicità non fu, però, l’unico merito riconosciuto ai PIM, in realtà, a questi programmi sono stati, infatti, attribuiti pregi ascrivibili sia al tentativo di coordinamento e coinvolgimento dei diversi fondi sia al superamento della logica di interventi settoriali in agricoltura, tanto che furono da più parti definiti come “programmi

pluriennali ed intersettoriali”. A dispetto di tutti questi meriti, però, alle ottime

premesse, non corrisposero, poi, né nella fase progettuale né, tanto meno, in quella d’attuazione dei Piani, ottimi risultati, che furono, invece, assai discordanti, e che, in particolar modo, evidenziarono la sostanziale impreparazione delle strutture organizzative preposte alla gestione dei piani, di alcuni paesi, come ad esempio l’Italia, rispetto a quella di altri come Francia e

16 Regolamento CEE n.2088 del 27 luglio 1985.

17 Al finanziamento dei PIM furono chiamati a concorrere, tutti e tre i Fondi Strutturali comunitari:, e pertanto il FESR, il FSE, ed il FEAOG Sezione Orientamento.

18 Le aree, cui qui si vuole fare riferimento, sono tutte quelle zone mediterranee, presenti in Francia, Italia e Grecia.

19 Ai sei paesi (Francia, Germania; Italia, Belgio, Paesi Bassi, e Lussemburgo) che costituirono nel 1951 la prima comunità sovranazionale europea, la CECA, seguirono, dopo il Trattato di Roma istitutivo della CEE, un primo ampliamento che riguardò, essenzialmente, Stati dell’Europa settentrionale (Gran Bretagna, Danimarca e Olanda) e, poi a questo un secondo ed un terzo ampliamento, che riguardarono Stati dell’Europa Meridionale, rispettivamente: la Grecia nel 1981, e Spagna e Portogallo nel 1986.

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Grecia20. Nel frattempo, l’incremento delle disparità regionali, dovuto, in buona parte, al raddoppio della popolazione compresa nelle regioni in ritardo di sviluppo quale conseguenza dell’ingresso dei nuovi Stati membri all’interno della CEE, contribuì, non poco, ad alimentare uno stato delle cose che, alla luce anche di considerazioni sulle prospettive di realizzazione del Mercato Unico, portò, proprio in quegli anni, all’avvio del processo di riforma dei fondi strutturali, dando, così, adito a quanti, sulla base della coincidenza tra l’inizio di tale processo e la conclusione dei PIM, videro in questi ultimi il vero “(…) punto di

svolta verso la definizione di una nuova politica comunitaria per le aree rurali”

(De Filippis, Storti, 2001).

Tabella 3 Esecuzione dei PIM alla fine dell'esercizio 1991.

Paesi Contributo

Comunitario Situazione al 31/12/1991

IMPEGNI PAGAMENTI

Milioni di ECU Milioni di ECU % Milioni di ECU %

Francia 843,52 598,17 70,9 487,88 57,8

Grecia 2000,00 1629,67 81,5 1361,62 68,1

Italia 2156,48 535,19 42,6 219,31 17,5

Totale 4100,00 2763,00 67,4 2068,81 50,5

(1) Situazione finale,risultante dalle diverse ripartizioni effettuate dal 1986 al 1982. Fonte: Corte dei Conti, Relazione sull’esercizio finanziario 1991, Bruxelles 1992

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2. Lo sviluppo rurale nelle politiche strutturali del 1988 e del 1993.

Nonostante i principi che erano andati delineandosi durante la prima metà degli anni ottanta, sembrassero prefigurare una maggiore considerazione per lo strumento della politica strutturale rispetto a quello della politica dei prezzi, nei cui confronti, al contrario, si era prospettata, invece, la strada in direzione di un suo orientamento verso il mercato, ebbene, ciò nonostante, nella seconda parte del decennio si registrò nei loro riguardi un’applicazione che fu a dir poco parziale. Infatti, se da una parte si cercò, sia pur con scarsi risultati, di riequilibrare le due componenti della PAC soprattutto attraverso un maggior equilibrio delle due corrispondenti sezioni del Feoga, dall’altra, la revisione della politica dei prezzi si caratterizzò, invece, per l’adozione di una serie di provvedimenti che non intaccarono in maniera sostanziale il meccanismo di base del suo funzionamento. In ogni caso, si può, comunque, affermare che la seconda metà degli anni ottanta fu contraddistinta proprio dal proliferare di una serie d’interventi a finalità strutturali in una logica di maggiore integrazione tra le diverse politiche e che segnò, pertanto, l’avvio della seconda fase dello sviluppo della politica strutturale della Comunità, essendo la prima quella che va dal 1972 al 1984. Un significativo impulso allo sviluppo della politica strutturale, ed in parte anche a quella di sviluppo rurale, è indubbiamente da ascriversi alla firma, nel 1986, dell’Atto Unico europeo21, che rappresentò una delle tappe fondamentali del processo d’integrazione; con tale provvedimento, infatti, modificando lo stesso Trattato di Roma, si andò ad introdurre tra le principali finalità della Comunità, il principio del rafforzamento della coesione economica e sociale22, che avrebbe dovuto essere realizzata, tra le altre cose, con la riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed un’azione specifica in

21“ L'Atto unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da nove Stati membri e il 28

febbraio 1986 dalla Danimarca, dall'Italia e dalla Grecia, costituisce la prima modifica sostanziale del trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE). L'AUE è entrato in vigore il 1° luglio 1987”(http://europa.eu/scadplus/treaties/singleact_it.htm), scaricato il 12/05/2006.

22 In effetti, fu con l’Atto Unico che fu introdotto nel Trattato CEE ex-novo il Titolo V, “Coesione

economica e sociale”, con il quale si affermava, per la prima volta, in forma ufficiale, la volontà di sviluppare e proseguire l’azione della Comunità volta a rafforzare la sua coesione economica e sociale ed, in particolare, l’azione mirante a “ridurre il divario tra le diverse regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite”.

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quelle meno favorite o insulari, con particolare riguardo, e ciò non a caso, proprio alle zone rurali. Tale disposizione del trattato, dunque, se interpretata in una prospettiva finalizzata allo sviluppo delle aree rurali, viene ad assumere una rilevanza ancora maggiore, in quanto è lecito sostenere che questa possa essere, in un certo senso, considerata come la base giuridica di riferimento dei successivi sviluppi delle politiche comunitarie per le aree rurali, secondo una nuova logica, qui riconducibile ad un approccio di politica economica orientato al territorio piuttosto che al settore. Dal punto di vista delle politiche delle strutture, invece, un’ulteriore spinta all’azione della Comunità in campo strutturale derivò dalle indicazioni che, a suo tempo, emersero nel cosiddetto Piano Delors 23, dalle quali sembrava rilevarsi come ormai acquisita la consapevolezza che l’adozione di misure, quali quelle volte a ridurre le spese per il sostegno dei prezzi agricoli ed a regolamentare i mercati, non producesse, in verità, gli stessi effetti sulla totalità delle realtà agricole comunitarie, a causa sia delle grandi difformità nelle condizioni strutturali e naturali di produzione, sia dell’ asimmetrica incidenza dell’agricoltura sugli equilibri socio-economici. Il Piano, tuttavia, non si limitò a fare delle semplici constatazioni di fatto, ma cercò, anche di evidenziare alcune misure specifiche di politica strutturale, come ad esempio quelle che si sarebbero dovute utilizzare, nell’ipotesi di riduzione dei prezzi agricoli, quale compenso sostitutivo per le aziende economicamente più deboli, riaffermando, quindi, ulteriormente, la necessità di una riforma dei fondi strutturali della Comunità, con il preciso intento di favorire, così, un intervento integrato e coordinato nelle regioni agricole svantaggiate. Proprio per assecondare questa visione più “collegiale” dell’azione comunitaria caratterizzata da una politica sempre più collegata con le politiche di sviluppo “globale”, fu così che nel 1988 si attuò la riforma dei fondi strutturali, grazie alla quale, fu possibile, tra l’altro, raddoppiare i finanziamenti destinati alla politica strutturale dell’Unione. In relazione a quanto indicato dal regolamento quadro 2052/88 24 la riforma dei fondi strutturali fu stabilita sulla base di alcuni principi cardine e costruita intorno a cinque finalità, che furono espresse come “prioritarie” e che, in particolare, facevano

23COM (87) 100 “Portare l'Atto Unico al successo: una nuova frontiera per l'Europa”

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riferimento a: le regioni in ritardo di sviluppo “obiettivo 1”, le zone colpite da declino industriale “obiettivo2”, la lotta contro la disoccupazione di lunga durata “obiettivo 3”, l’inserimento dei giovani “obiettivo 4”, l’adeguamento ed ammodernamento delle strutture agrarie “obiettivo 5a” ed infine lo sviluppo delle zone rurali “obiettivo 5b”. Sul merito, poi, dei principi25 intorno ai quali, appunto, furono tracciate le linee guida della riforma, e che, ancor oggi, rappresentano dei capisaldi nella predisposizione delle politiche strutturali comunitarie, questi possono essere, così, sintetizzati:

- Concentrazione degli interventi a livello territoriale, secondo questo concetto alcuni obiettivi erano individuati territorialmente mentre altri davano luogo ad interventi sull’intero territorio comunitario; infatti, dei cinque obiettivi solo 1, 2 e 5b potevano definirsi “concentrati” in quanto facevano riferimento a aree territoriali individuate sulla base di determinati parametri, mentre i restanti obiettivi davano luogo, invece, ad interventi su tutto il territorio comunitario, e ciò, anche in considerazione della loro natura, prettamente “orizzontale”. In particolare, per quello che riguarda, più nello specifico le aree eleggibili obiettivo 5b, i criteri di selezione per l’individuazione di queste aree andavano ad interessare: il grado della ruralità della zona, il numero di persone occupate in agricoltura, il livello di sviluppo economico ed agricolo delle aree, la marginalità delle zone ed infine la sensibilità delle stesse ai cambiamenti del settore agricolo. Sul merito, poi, dell’applicazione “concreta” del principio della concentrazione, si può rilevare come questo abbia notevolmente influito anche sulla gestione stessa dei fondi26 permettendo, in questo modo, di limitare il più possibile, i così poco efficaci, interventi “a pioggia” tipici della PAC,e ciò forse anche in considerazione del

25 “ La Commissione indica che l’azione dei Fondi strutturali è basata su quattro principi generali: la

concentrazione, la partnership, l’addizionalità e la programmazione. Tali principi diventano la base per la valutazione dell’azione strutturale comunitaria e vengono inseriti, dal Trattato sull’UE del 1992, all’interno del più generale principio di sussidiarietà.” (Vitali, 2001).

26 Lo strumento principale di realizzazione degli obiettivi 1,2 ed in parte anche del 5b, fu, indiscutibilmente, il Fondo di Sviluppo Regionale (FESR), mentre, per ciò che riguarda, gli obiettivi 3 e 4, questi furono finanziati in via esclusiva dal Fondo Sociale Europeo (FSE) che, peraltro, partecipava anch’esso al conseguimento degli obiettivi 1,2 e 5b; per quanto riguarda, invece, l’obiettivo 5a, questo era finanziato, insieme al 5b, dall’ormai noto Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia in Agricoltura che contribuiva anche, per la parte agricola, al finanziamento dell’obiettivo 1.

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fatto che proprio l’efficienza della spesa era l’unica strada percorribile, vista l’esiguità dei fondi a disposizione;

- Compartecipazione (addizionalità) e concertazione degli interventi

(partnership), ad indicare, quindi, la necessità di una stretta collaborazione tra

la Commissione e tutte le competenti autorità nazionali, regionali o locali scelte da ogni Stato membro, in tutte le fasi della programmazione; così da garantire unitarietà e coerenza agli interventi, massimizzandone l’impatto socioeconomico;

- Programmazione pluriennale degli interventi; adottata per la prima volta con i PIM, si costruiva su di una logica degli investimenti che non era realizzata per singoli progetti individuali ma, appunto, con programmi pluriennali di cinque anni; fatto salvo che per l’obiettivo 2, la cui durata era invece di tre anni. In particolare, poi, nel richiedere i finanziamenti per gli obiettivi 1, 4 e 5b, era necessario seguire uno specifico iter che si sviluppava in tre distinte fasi27.

- La complementarietà dei fondi, un principio questo, che fu istituito con la riforma proprio per manifestare l’esigenza, appunto, che gli aiuti comunitari dovessero aggiungersi agli interventi nazionali e non, al contrario sostituirsi ad essi; fu previsto, infatti, che i Fondi comunitari cofinanziassero le iniziative fino ad un massimo del 50% tranne che per le regioni dell’ob.1, dove tale limite venne innalzato al 75%.

La riforma dei fondi ha, in sostanza, comportato un cambiamento di metodo importante concretizzatosi nell’evidente tentativo di trovare un migliore

27Le fasi della programmazione erano così distinte:

- Allo Stato Membro veniva presentato un piano di sviluppo che conteneva un’analisi della situazione in rapporto all’obiettivo, ed in cui erano illustrati i principali “assi d’intervento” nei diversi settori;

- La Commissione aveva poi il compito di elaborare, previa concertazione con lo Stato Membro e con le regioni interessate il “Quadro Comunitario di Sostegno” (QCS) in cui si rendevano noti gli assi di azione prioritari, i mezzi finanziari e le diverse forme d’intervento;

-

Alla Commissione spettava poi il compito di approvare il “Programma Operativo” (PO) che ogni singolo Stato Membro gli presentava nella forma di una domanda di contributo. Oltre ad un’analisi quantitativa della situazione socio-economica, territoriale e settoriale, il programma si componeva di una previsione, sempre in termini quantitativi, dello sviluppo, e degli obiettivi dello stesso; oltre ad un’elencazione dei progetti specifici in cui era articolato.

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coordinamento ed una concentrazione geografica più spinta e funzionale dei mezzi finanziari disponibili. Un obiettivo sul quale la riforma aveva posto un’attenzione particolare fu indubbiamente costituito dallo sviluppo delle zone rurali; la Commissione europea, infatti, se da una parte fu incalzata dalla necessità di risanare i mercati agricoli e contenere il bilancio comunitario, dall’altra era anche consapevole che tali misure avrebbero potuto contribuire ad aggravare la situazione economica e sociale delle regioni rurali più esposte ai rischi di abbandono dell’attività agricola. Pertanto, fu proprio in ragione di questi bisogni, non ultimo la consapevolezza che lo spazio rurale comprendesse circa l’80% del territorio comunitario con una percentuale di abitanti superiore al 50%, che la Commissione allo scopo di definire una “strategia comunitaria” realizzò, nello stesso anno della riforma dei fondi, un’analisi approfondita incentrata sulle prospettive di sviluppo delle aree rurali, da cui il nome: “ Il futuro del mondo

rurale”.28 Una riflessione, quella contenuta nel documento, che, suo malgrado, non si limitò a delle sia pur utili considerazioni sulle sole aree coltivate ed agli spazi naturali, ma fu estesa all’intero territorio rurale, e pertanto, non definita dal solo contesto agricolo, ma rivolta, anche a tutte quelle altre attività come l’artigianato, le piccole e medie industrie, il commercio ed i servizi, che avevano concorso a determinare il tessuto socio-economico di queste aree. All’interno di questo quadro, benché la Commissione fosse ispirata da alcuni principi che nel documento stesso non esitò a definire “fondamentali”29, l’estrema eterogeneità dell’ambiente rurale e la complessità dei problemi che da questo carattere derivavano, la spinsero a ritenere che non fosse, tuttavia, possibile definire un politica unica; ma fosse, altresì, più opportuno, svolgere un ruolo complementare a quello delle autorità locali o, comunque, a quello dei più diretti interessati, cercando, sostanzialmente, di “valorizzare il potenziale di sviluppo endogeno” di queste aree. Un ruolo, che, in ogni caso, avendo da parte sua riconosciuto, non

28 “ (…) i pubblici poteri sono costretti ad intervenire continuamente nel mondo rurale per comporre i

conflitti che sorgono (…) Questi interventi non possono però conseguire l’impatto voluto se isolati, ma richiedono l’adozione di una strategia coerente.” COM (88) 501 def. del 29/07/1988.

29 “La concezione della Commissione in materia di sviluppo rurale si ispira a tre principi fondamentali: - La coesione economica e sociale in una Comunità ampliata e con forti disparità regionali; - L’indispensabile adattamento dell’agricoltura europea alle realtà dei mercati (…)

- La protezione dell’ambiente e il mantenimento del patrimonio naturale della Comunità.” COM (88) 501 def. del 29/07/1988.

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solo la disponibilità ma anche l’utilizzo mal adeguato e scarsamente coordinato di numerosi strumenti finanziari e di politiche che riguardavano il mondo rurale, la portava, comunque, ad essere protagonista, e ciò, anche in funzione di quell’impegno assunto nello stesso documento sia ad un rinnovamento di queste misure sia ad un orientamento generale favorevole allo sviluppo rurale di tutte le

politiche comuni o programmi d’azione aventi un’incidenza sull’avvenire del mondo rurale. In conclusione, quindi, con questo documento, che negli anni a

seguire assunse una notevole importanza più per il suo valore politico che per le sue concrete ripercussioni, la Commissione volle, in sostanza, confermare il carattere di priorità che i problemi dello sviluppo di queste aree avevano assunto nell’agenda politica comunitaria, ed altresì ribadire la necessità di una strategia d’insieme con la quale favorire un vero sviluppo delle aree rurali, uno sviluppo che coinvolgesse non solo agricoltura ed altri settori economici, ma anche il miglioramento delle condizioni di vita, la disponibilità di servizi adeguati e la protezione dell’ambiente, in altre parole uno sviluppo integrato. “ (…) La

politica di sviluppo rurale dovrebbe porsi come obiettivo principale quello di armonizzare i livelli di benessere e di qualità della vita nelle regioni europee, in modo da aumentare gli elementi di coesione (…) ”.(Fanfani, 1998). La ricerca di

uno sviluppo rurale che non debba necessariamente dipendere dal solo settore agricolo, ma che debba, altresì, considerare l’insieme delle attività presenti nell’area, valorizzando le risorse regionali, nell’ottica del raggiungimento di obiettivi, come quello della coesione e dello sviluppo equilibrato delle regioni, è stato ed è tuttora un momento essenziale nell’evoluzione di questa politica. Alcune sottolineature a questo riguardo sono rintracciabili in due documenti di riflessione successivi, che la Commissione europea sviluppò nel febbraio e nel giugno del 199130, due documenti, questi, la cui rilevanza non è però ascrivibile, solo alle osservazioni che contengono, quanto, piuttosto, al fatto che essi costituirono la base della riforma della politica agricola comunitaria. Nel 1992, si realizzò, infatti, con la formulazione di alcuni regolamenti attuativi31, la

30 Commissione delle Comunità Europee (1991). Evoluzione e futuro della PAC -Documento di

riflessione della Commissione, COM(91)100 def.

31 Le misure della riforma sono state trasformate in regolamenti applicativi con la pubblicazione sulla G.U. CEE del I° e del 30 luglio 1992

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cosiddetta riforma Mac Sharry che, si presentò come una revisione radicale della politica agraria precedente, introducendo alcune importanti novità, la prima delle quali va indubbiamente ricercata nel graduale riallineamento dei prezzi interni a quelli dei mercati mondiali; un provvedimento questo, che fu ampiamente discusso sia in sede comunitaria che internazionale32. Quale bilanciamento alla riduzione dei prezzi comunitari, fu introdotto “il sistema dei pagamenti

compensativi” altro importante elemento innovativo che la riforma della PAC

ebbe il merito di far conoscere, ed in base al quale i compensi che furono previsti in sostituzione della riduzione dei prezzi, non venivano unicamente determinati in funzione della quantità di produzione dell’impresa ma anche di altri fattori, quali ad esempio la tipologia di produzione o la qualità della stessa, in questo modo, quindi, con la separazione tra l’aiuto comunitario e la quantità prodotta, fu introdotto un nuovo principio, quello del “disaccoppiamento”33. Un terzo elemento di novità, peraltro strettamente legato al precedente che, a ben guardare, questa riforma riuscì ad introdurre, può essere rintracciato in quell’insieme di fattori che andavano ad incidere sui pagamenti compensativi, o meglio, da tutti quei criteri che, peraltro, variavano da prodotto a prodotto, ed attraverso i quali, era applicato il cosiddetto “disaccoppiamento”, in alcuni casi, infatti, i pagamenti compensativi potevano dipendere dalle rese storiche, in altri dal rispetto delle superfici di base regionali ed in altri ancora, al ritiro dei terreni dalla produzione con un premio di “messa a riposo”. A questo proposito è importante porre l’accento sul modo in cui, molte volte, l’utilizzo di questi criteri abbia, invece, favorito una distribuzione territorialmente squilibrata dei benefici, come ad esempio nel caso di pagamenti proporzionali alla resa dell’area di appartenenza dell’azienda, a vantaggio di quelle aree che erano, quindi, le più favorite. Un ultimo ma quanto mai importante aspetto innovativo che la Mac Sharry riuscì ad introdurre, e che peraltro caratterizzerà anche le successive formulazioni della

32Le numerose proposte di modifica della PAC furono in parte anche il frutto delle sempre più insistenti richieste di riduzione del carattere protezionistico della PAC nei negoziati GATT( General Agreement on Trade and Tariffs) ossia degli accordi a livello internazionale che furono avviati con l’Uruguay Round, nel 1986, per concludersi ben otto anni più tardi.

33“Disaccoppiare” significa, appunto, separare il livello di sostegno dalla quantità e dal tipo di produzione, per cui il sostegno non è più legato alla coltivazione o all’allevamento di una specie vegetale o animale In realtà, tale principio fu applicato solo parzialmente in quanto, il sostegno ai prezzi venne ugualmente mantenuto, anche se ad un livello più basso (-30%).

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PAC, e non solo, riguarda l’introduzione delle cosiddette “misure di

accompagnamento”34, ossia, degli interventi a carattere compensativo e strutturale, relativi a: misure agro ambientali, rimboschimento di terreni precedentemente coltivati, prepensionamento degli agricoltori più anziani. Tuttavia nonostante questi fossero stati pensati come interventi specifici rivolti alla realizzazione di progetti da concordare con l’amministrazione pubblica, lo scarso impegno finanziario e le procedure di approvazione dei piani regionali resero la loro applicazione, iniziale lenta e difficile (Vitali, 2001).

Alla luce di queste considerazioni, si può, quindi, rilevare come tale riforma abbia rappresentato un punto di partenza importante per il riesame del ruolo che essa era in grado di svolgere nell’evoluzione di società complesse e sviluppate, come quelle dei Paesi della Comunità; inoltre, altro importante elemento da tenere in debita considerazione, discende dal fatto, di come, la riforma non sia stata, tuttavia, sollecitata soltanto da motivazioni interne alla Comunità, ma anche dalle rilevanti pressioni internazionali che da quel momento influenzeranno in maniera determinante le scelte di politica agricola35, e non solo, dell’Unione Europea (Fanfani, 1998).

Nel merito, poi, delle motivazioni interne alla Comunità stessa, si evidenzia, come il profondo processo di revisione e sviluppo della costruzione europea, allora in atto, portò, proprio in quegli anni, alla realizzazione del Mercato unico ed alla formulazione del Trattato di Maastricht; fu, infatti, grazie a tale atto istitutivo dell’Unione Europea, che la politica di coesione economica e sociale fu, così, definitivamente istituzionalizzata; a tale riguardo, inoltre, rispetto alle disposizioni che furono allora introdotte, è indicativo rilevare come, per la prima volta, le zone rurali furono inserite all’interno del Trattato, quali aree di interesse

34 6 Le misure di accompagnamento sono riconducibili a:

- Il Regolamento 2078/92 che introdusse incentivi per gli agricoltori impegnati ad utilizzare metodi di produzione rispettosi dell’ambiente e finalizzati alla valorizzazione dei territori rurali;Il Regolamento 2079/92 che stabilì un regime di aiuti per agevolare il prepensionamento di agricoltori sopra i 55 anni ed il ricambio generazionale nelle campagne;

- il Regolamento 2080/92 che prevedeva aiuti allo sviluppo delle attività forestali ed alla riconversione di terreni agricoli inutilizzati.

35 Si pensi ad esempio all’opposizione fatta a livello internazionale dal cosiddetto “gruppo di Cairns”, Stati Uniti in testa, che dal 1986 cerca di contrapporsi alle scelte operate dall’UE, non ultima, ma rilevante ai fini della nostra analisi è stata l’opposizione fatta da questi paesi nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio(WTO) alle scelte operate per garantire e preservare lo sviluppo delle zone rurali europee.

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prioritario della politica di coesione, e questo, anche nel caso in cui, esse si fossero trovate al di fuori delle regioni in ritardo di sviluppo. Altra importante novità, che fu introdotta con l’approvazione del Trattato, è stata, senza dubbio, quella di creare, entro il 31 dicembre 1993, un Fondo di Coesione, destinato a sostenere le economie di quegli Stati membri in cui il PIL per abitante non avesse raggiunto il 90 % della media comunitaria, e che sarebbe stato limitato alla realizzazione di progetti nel settore dell’ambiente e in quello delle reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti. Al fine, poi, di rendere più incisivo il ruolo delle regioni e degli enti locali nella definizione delle politiche, il Trattato programmò anche l’istituzione, a partire dal 1994, del Comitato delle Regioni, un organo consultivo, costituito dai rappresentanti degli enti locali e regionali dell’UE, il cui ruolo fu, appunto, quello di garantire che tali enti avessero una qualche voce in capitolo nel processo decisionale dell’Unione Europea e che fossero, così, rispettate le identità e le prerogative regionali e locali. Nel frattempo, nel luglio 1993, con l’emanazione del regolamento quadro 2081/93 e di altri a questo collegati, ebbe inizio il secondo periodo di programmazione dei Fondi strutturali; per il periodo 1994-1999, che, sia pur non presentando trasformazioni radicali rispetto all’impianto della passata riforma, introdusse ugualmente alcuni elementi di novità, primo fra tutti il forte incremento dei mezzi finanziari disponibili per i Fondi rispetto al quinquennio precedente ed una più marcata concentrazione delle risorse destinate alle regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1). L’esperienza maturata tra il 1988 e il 1993 che aveva evidenziato la necessità di introdurre alcuni correttivi per aumentare l’efficacia e le possibilità di attuazione delle politiche strutturali, unitamente alla rinnovata importanza della politica di coesione economica e sociale che con Maastricht aveva finalmente avuto una sua prima concreta realizzazione, furono le basi sulle quali si costruì tale riforma. A questo proposito, infatti, la riforma del 1993 lasciò inalterati gli obiettivi generali dell’azione comunitaria, e quindi, in altre parole, sia quello del rafforzamento della coesione economica e sociale sia quello della correzione dei principali squilibri regionali, andando, invece, a modificare alcuni degli obiettivi prioritari che, oltre a questo, a seguito

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dell’adesione all’UE di Svezia, Austria, e Finlandia, erano, nel frattempo, saliti a sei e che, pertanto, fecero emergere un quadro degli interventi che fu, così, ridefinito:

- Obiettivo 1: promozione dello sviluppo e dell’adeguamento strutturale delle regioni il cui sviluppo è in ritardo;

- Obiettivo 2: riconversione delle regioni frontaliere o parti di regioni gravemente colpite dal declino industriale;

- Obiettivo 3: lotta contro la disoccupazione di lunga durata, agevolazione dell’inserimento professionale dei giovani ed integrazione delle persone minacciate di esclusione dal mercato del lavoro;

- Obiettivo 4: agevolazione dell’adattamento dei lavoratori e delle lavoratrici ai mutamenti industriali e all’evoluzione dei sistemi di produzione;

- Obiettivo 5: promozione dello sviluppo rurale:

o Obiettivo 5a: accelerando l’adeguamento delle strutture agricole nell’ambito della riforma della PAC;

o Obiettivo 5b: agevolando lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle zone rurali;

- Obiettivo 6: interventi nelle aree a bassa densità abitativa.

Tale ridefinizione, in sostanza, lasciò, quindi, immutati solo i primi due obiettivi mentre modificò i restanti, cercando, tra l’altro, di dare più visibilità al tema dello sviluppo rurale cui fu interamente “dedicato” il quinto obiettivo; dove, poi, per quanto concerne l‘eleggibilità delle zone rurali, sulla base del regolamento quadro, fu previsto, innanzi tutto, quale criterio distintivo generale uno scarso livello di sviluppo economico, che fu stabilito sulla base del prodotto interno lordo pro capite, ed al quale, sempre ai fini dell’eleggibilità, furono, quindi, associati altri tre criteri principali, di cui almeno due dovevano essere soddisfatti, ossia: un tasso elevato dell’occupazione agricola sull’occupazione totale, o un basso livello di reddito agricolo, espresso in valore aggiunto agricolo per unità di lavoro agricolo, oppure, in alternativa, una scarsa densità di popolazione e/o

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tendenza ad un consistente spopolamento. Tra le novità della riforma, che, ad ogni buon conto, si limitò, in sostanza, a riaffermare le linee guida già delineate dalla precedente, è obbligatorio tenere conto anche della maggiore attenzione che fu accordata alle Regioni36 ed alle Istituzioni locali sia nelle procedure di programmazione sia nelle fasi di monitoraggio e valutazione degli effetti dei singoli programmi, e dalla quale traspare con limpidezza la volontà della nuova politica strutturale di voler rappresentare “ (…) una vera

e propria opportunità per l’avvio di programmi regionali ed azioni di sviluppo rurale (…) ” (Fanfani, 2000). Un simile proponimento, che trae

origine dalla necessità di coordinare ad integrare l’azione di tutti i fondi mediante una programmazione generale, articolata per zone, degli interventi sul territorio; ben si inserisce all’interno di quel contesto europeo dei primi anni novanta, dove stava crescendo ed allargandosi l’idea di una politica di sviluppo rurale, frutto di una sorta di “compromesso” che vedeva schierati i diversi attori in gioco, e quindi, i policy makers, i governi nazionali, le Amministrazioni locali e le rappresentanze degli interessi agricoli, in due fronti contrapposti: i “conservatori” e gli “innovatori”. Da una parte c’era, infatti, chi, i “conservatori”, appunto, voleva “cavalcare la tigre” dello sviluppo rurale, quale etichetta politicamente spendibile sia sul piano interno che internazionale, per dirottarvi una parte significativa delle risorse precedentemente impegnata nella PAC, e mettersi, così, al riparo da un loro forte e repentino ridimensionamento; e dall’altra, invece, c’erano gli “innovatori”, che in questo modo vedevano aumentare la dotazione finanziaria per le politiche di sviluppo rurale e la sperimentazione di quelle misure innovative più ispirate ad un approccio territoriale che agricolo (De Filippis, Storti, 2001).

Tabella 4 Fondi strutturali 1989-1993 - Distribuzione per Paese e Obiettivo (Mil di ECU)

STATI Ob. 3 Ob. 5° Ob. 5a

MEMBRI Ob. 1 Ob. 2 e 4 (agric.) (fish) Ob. 5b IMP CI CF TOTALE

36 Una più incisiva attenzione ai problemi dello sviluppo regionale fu testimoniata dal forte incremento dei finanziamenti previsti per i fondi rurali. Si passò, infatti, dagli oltre 71 milioni di ECU del periodo 1988-1993 ad oltre 162 milioni di ECU del periodo successivo.

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Belgio - 214 344 134 15 33 - 124 - 864 Danimarca - 25 171 91 94 21 - 28 - 430 Germania 2955 581 1054 878 36 511 - 416 - 6431 Grecia 7528 - - - 648 705 280 9161 Spagna 10171 1505 837 229 92 265 - 1128 859 15086 Francia 957 1225 1442 1274 135 874 462 573 - 6942 Irlanda 4460 - - - 297 144 4901 Italia 8504 387 903 493 106 360 452 667 - 11872 Lussemburgo - 12 11 29 - 3 - 22 - 77 Olanda - 165 405 79 43 33 - 89 - 814 Portogallo 8451 - - - 725 285 9461 Regno Unito 793 2015 1502 316 58 132 - 513 - 5329 TOTALE 43819 6129 6669 3523 579 2232 1562 5287 1568 71368 % 61,50% 8,60% 9,30% 4,90% 0,80% 3,10% 2,20% 7,40% 2,20% 100,00%

Source: European Commission. The impact of structural policies on economic and social cohesion in the Unione 1989-1999, Luxembourg,1997. (R. Leonardi, R. Nanetti)

Tabella 5 Fondi strutturali 1994-1999 - Distribuzione per Paese e Obiettivo (Mil di ECU)

STATI Ob. 3 Ob. 5a Ob. 5a

MEMBRI Ob. 1 Ob. 2 e 4 (agric.) (pesca)

Ob.

5b Ob. 6 PIC FC TOTALE

Belgio 730 341 465 170 25 77 288 - 2096 Danimarca - 119 301 127 140 54 103 - 844 Germania 13640 1566 1941 1070 75 1227 2212 - 21731 Grecia 13980 - - - 1154 2602 17736 Spagna 26300 2415 1843 326 120 664 2782 7950 42400 Francia 2190 3769 3203 1746 190 2236 1605 - 14939 Irlanda 5620 - - - 482 1301 7403 Italia 14860 1462 1715 681 134 901 1898 - 21651 Lussemburgo - 15 22 39 1 6 20 - 103 Olanda 150 650 1079 118 47 150 422 - 2616 Austria 162 99 389 386 2 403 1441 Portogallo 13980 - - - 1048 2601 17629 Finlandia - 179 337 331 23 190 450 1510 Svezia - 157 512 90 39 135 247 1180 Regno Unito 2360 4580 3377 186 89 817 1572 - 12981 TOTALE 93972 15352 15184 5270 885 6860 697 13586 14454 166260

Source: European Commission. The impact of structural policies on economic and social cohesion in the Unione 1989-1999, Luxembourg,1997. (R. Leonardi, R. Nanetti)

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3. La Conferenza di Cork ed Agenda 2000: un punto di svolta per la politica dii sviluppo rurale?

A seguito del generale processo di riforma delle politiche comunitarie, che nei primi anni novanta si stava gradualmente configurando, la Commissione Europea, con l’obiettivo dichiarato di stimolare la discussione sul ruolo e sul futuro delle aree rurali, sul tipo di politiche necessarie per promuovere lo sviluppo e sugli aggiustamenti da apportare a quelle esistenti, organizzò, proprio a questo proposito, una conferenza sul tema dello sviluppo rurale in Europa, che raccolse la partecipazione, non solo di un gran numero di studiosi, ma anche di numerosi funzionari delle amministrazioni nazionali e regionali dei Paesi Membri. Tale conferenza svoltasi a Cork, Irlanda, nel novembre del 1996, si chiuse, dopo tre giorni di dibattito, con la stesura della ormai nota “Dichiarazione di Cork”, ossia una dichiarazione conclusiva, che sia pur non rappresentando la posizione ufficiale e definitiva sulla riforma delle politiche di sviluppo rurale, costituì, ad ogni modo, un momento di sintesi importante, essenziale per delineare i grandi orientamenti della politica rurale europea, anche in funzione dei nuovi scenari37 di natura istituzionale e socioeconomica che si stavano concretando alle soglie del 2000. Tra gli aspetti chiave di questo programma, gli orientamenti che emersero riguardarono essenzialmente due tipi di problematiche: una legata al tipo di approccio alle politiche strutturali, per la quale si evidenziò l’importanza del decentramento nella gestione delle politiche e, dunque, del rafforzamento sia di una logica di tipo “bottom-up” sia di un approccio integrato che fosse, quindi, multidisciplinare ma che potesse avere al contempo un contenuto multisettoriale38; mentre l’altra, interessò, invece, gli

37“ (…) Jimmy Deenihan, Segretario di Stato irlandese incaricato dello sviluppo rurale, ha innanzi tutto

ricordato il contesto nel quale si collocava quella che ha definito la più importante conferenza sullo sviluppo rurale mai organizzata in Europa e le grandi sfide a cui era confrontato il mondo rurale europeo, tra cui: la globalizzazione dell'economia (con il suo corollario politico, ossia la nuova tornata di negoziati nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio), l'introduzione della moneta unica e il futuro allargamento dell'Unione europea (…)” http://ec.europa.eu/comm/archives.

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strumenti d’intervento. Su questa seconda problematica, gli orientamenti che

emersero da Cork furono indirizzati verso la ricerca di una semplificazione delle procedure, il sostegno al principio della concentrazione degli interventi, la volontà di individuare un unico programma a livello regionale e di creare reti di cooperazione e di scambio di informazioni tra Regioni e comunità locali e quindi verso tutti quegli strumenti “innovativi” che sottolineavano con forza la necessità di una politica che fosse fortemente legata al territorio. Tuttavia, c’è da porre l’accento su come proprio il carattere innovativo degli obiettivi della Conferenza non sia, poi, stato accolto da tutti con favore, infatti, se da un lato alcuni osservatori non hanno esitato a definire la Conferenza come “una vera e propria

rivoluzione culturale”, dall’altro, oltre ad una generale diffidenza al

cambiamento propria dell’essere umano, si registrò la netta presa di posizione delle potenti organizzazioni degli interessi agricoli, che considerarono tale iniziativa come un’ulteriore conferma verso lo smantellamento delle tradizionali politiche di mercato. In un quadro generale di questo tipo non deve, quindi, stupire se nella comunicazione sul futuro delle politiche dell’Unione Europea che la Commissione presentò nel luglio del 1997, “Agenda 2000-Per una Europa più

forte e più ampia”39, fu in un certo qual modo istituzionalizzato quella sorta di compromesso che se da un lato riconosceva l’importanza crescente delle politiche

di sviluppo rurale in quanto tali, dall’altro ravvisava negli strumenti di questa politica la sola funzione di accompagnamento ed integrazione alle politiche di mercato40. Ufficialmente pubblicata, quale risposta alle richieste formulate dal Consiglio Europeo di Madrid del dicembre 1995, in relazione alle domande di adesione all’UE dei paesi dell’Europa centro-orientale (PECO), infatti, con Agenda 2000 la Commissione Europea si spinse ben al di là di tale mandato, proponendo una riflessione a tutto campo con il duplice intento di stilare un primo bilancio della fase di rafforzamento del processo di integrazione

39 COM (97) 2000 del 16/07/1997. Il testo completo del documento originale del 1997 è disponibile su internet all’indirizzo: europa.eu.int/comm/agenda2000.

40“ (…) Siamo dunque lontani dalle enunciazioni della Dichiarazione di Cork che voleva lo sviluppo

rurale in cima all’agenda politica dell’Ue. Tuttavia, pur interpretando in forma debole la spinta innovativa della conferenza di Cork, Agenda 2000 ha posto le basi per trasformare le politiche di sviluppo rurale in quello che la Commissione definisce “il secondo pilastro della Pac”, attraverso il progressivo riequilibrio tra spesa strutturale e spesa agricola e l’unificazione in un unico quadro giuridico delle misure di sviluppo rurale ” (De Filippis, Storti, 2001).

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economica e politica dell’UE, avviata con l’Atto unico del 1986, e di tracciare una linea d’indirizzo per le future politiche comunitarie che, conformemente a quanto riportato nel documento, avrebbero dovuto considerare alcun fattori sui quali lo stesso pose particolare enfasi, in particolare:

- la presenza di nuovi obiettivi, la maggior parte dei quali di natura non economica, come ad esempio la qualità della vita, la tutela dell’ambiente o la giustizia, insomma, di tutti quei valori il cui perseguimento avesse in qualche modo contribuito ad avvicinare le politiche alle esigenze dei cittadini;

-

il rispetto del principio della coesione economica e sociale che anche in prospettiva di un Europa “allargata” avrebbe consentito di ridurre le disparità tra gli stati membri e tra le diverse regioni di uno stesso paese;

-

la necessità di proseguire nel processo di riforma della PAC ed al contempo di potenziare la politica di sviluppo rurale in quanto, in sostanza, era ormai superata la missione tradizionale di incremento della produzione In funzione dei vari temi affrontati nella comunicazione, la Commissione elaborò, quindi, una serie di proposte legislative, in merito alla riforma della PAC, che ebbero seguito nel Consiglio europeo di Berlino, del 28 marzo 1998, dove fu raggiunto un accordo sulle proposte della Commissione e dove furono elaborate quattro linee direttrici che, sostanzialmente, avvalorarono alcuni degli orientamenti relativi ad una riduzione delle eccedenze produttive ed a un contenimento delle spese agricole, già presenti peraltro nella riforma Mac Sharry, che possono essere così riassunti:

(25)

-

salvaguardia della competitività sia nel mercato interno che internazionale attraverso una riduzione dei prezzi, e relativo aumento degli aiuti diretti così da garantire mantenimento del livello di reddito;

-

conferimento del ruolo di II pilastro della PAC42 allo sviluppo rurale, in modo da delineare una nuova politica di sviluppo rurale globale e coerente che si integri con la politica di mercato e garantisca interventi agricoli nel rispetto della tutela ambientale, dell’assetto territoriale, dell’insediamento dei giovani ed in particolare del ruolo multifunzionale dell’agricoltura. A margine di questa riforma sembra opportuno ricordare anche l’introduzione di una serie di misure orizzontali, che furono introdotte con il REG (CE) 1259/9943, quale conseguenza diretta del duplice bisogno, da un lato, di tentare di correggere alcuni degli squilibri distributivi della PAC, e dall’altro, di innescare un’azione “positiva” sul versante ambientale; e che, di fatto, hanno rappresentato una tra le novità più rilevanti di tutto il processo di riforma originatosi con Agenda 2000. L’indubbio valore innovativo di queste misure, come la “condizionalità

ambientale o cross compliance”44ad esempio, in base alla quale si stabilì che gli Stati Membri potessero subordinare l’erogazione dei premi previsti dalle OCM a determinati requisiti di carattere ambientale, assume una forza ancora maggiore se si considera anche il fatto che lo stesso provvedimento disponeva, inoltre, che i proventi derivanti dall’eventuale riduzione degli aiuti, dovuta al mancato rispetto delle norme relative a tali misure, sarebbero andati a confluire come sostegno supplementare a favore delle politiche di sviluppo rurale.

Il pacchetto di quelle riforme che seguirono all’accordo di Berlino, e che, allo stato dei fatti, hanno contribuito a dare corpo ad Agenda 2000 non si ridusse,

42 Contrariamente a quanto accadde tra il 1992 e il 1999, periodo in cui gli interventi comunitari in agricoltura si snodavano tra misure di accompagnamento, politica dei mercati e politica delle strutture, con “Agenda 2000” la PAC si articola intorno a tre pilastri:

1. Politica dei mercati; 2. Politica di sviluppo rurale; 3. Politica delle strutture.

43 Reg. (CE) n. 1259/1999, del maggio 1999, che stabilisce norme comuni relative al sostegno diretto nell’ambito della PAC.

44 Vedi articolo 3 del Reg. (CE) n. 1259/1999. A questo proposito, merita una segnalazione anche l’art. 4 del citato regolamento che introdusse la cosiddetta “modulazione”, ossia, la facoltà per gli Stati membri di stabilire una riduzione dei pagamenti diretti in funzione di parametri legati all’occupazione e, in ogni caso, in misura non superiore al 20% dell’ammontare complessivo che sarebbe corrisposto all’agricoltore in un anno solare.

(26)

tuttavia, alla sola riforma della PAC ma investì anche altri settori ad essa strettamente correlati, e più in particolare, la riforma della politica strutturale, gli strumenti di preadesione e, persino, il nuovo quadro finanziario45, rispetto al quale, inoltre, soprattutto anche in virtù di quanto previsto nell’accordo sulle prospettive finanziarie per il periodo 2000-2006, è plausibile fare un’amara constatazione su come molte delle attese generatesi con la Conferenza di Cork siano state, poi, in gran parte eluse. Dal semplice confronto tra il massimale della spesa agricola, che fu fissato ad un livello superiore ai 40 miliardi di euro46, e gli stanziamenti a favore dello sviluppo rurale a cui, invece, fu destinato solo un decimo del totale della spesa, sembra, infatti, lecito affermare come “(…)

l’evoluzione che nell’ultimo ventennio ha portato a delineare una politica comunitaria per le aree rurali (…) non si è dunque accompagnata allo smantellamento del tradizionale intervento sui mercati agricoli, cui continua ad essere destinata la gran parte delle risorse stanziate a livello comunitario(…)

”(De Filippis, Storti, 2001).

45 A questo proposito si ricorda l’adozione nel maggio1999 del “Accordo interistituzionale fra il

Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, sulla disciplina di bilancio ed il miglioramento della procedura di bilancio” che oltre ad introdurre miglioramenti nelle collaborazioni tra istituzioni per rendere più efficiente lo svolgimento della procedura di bilancio annuale, dispose che per le prospettive finanziarie dovevano essere fissati dei massimali per le grandi categorie di spese dell’Unione in modo da garantire una crescita della spesa contenuta nei limiti delle risorse disponibili.Tale documento è stato pubblicato su GUCE. C 172 del 18/06/1999.

Figura

Tabella 3 Esecuzione dei PIM alla fine dell'esercizio 1991.
Tabella 4        Fondi strutturali 1989-1993 - Distribuzione per Paese e Obiettivo (Mil di ECU)
Tabella 5        Fondi strutturali 1994-1999 - Distribuzione per Paese e Obiettivo (Mil di ECU)
Figura 2 Il peso dello sviluppo rurale.
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