1. INTRODUZIONE: SULCIS
1.1. GEOGRAFIA, TOPOGRAFIA E STORIA DEL SITO
L’antico centro di Sulcis sorgeva sulla costa nord-orientale dell’Isola di Sant’Antioco, dove ora sorge il moderno centro omonimo. Questa è l’isola più grande tra quelle che gravitano intorno alla Sardegna con circa 108 km2 di superficie.
L’isola di Sant’Antioco è costituita prevalentemente da rocce vulcaniche (trachiti e basalti) e pietre calcaree. Sostanzialmente collinosa raggiunge la sua massima altitudine sul colle Perdas de Fogu a m. 273 nel settore centro-meridionale dell’isola ed è legata alla sua costa sud-orientale da una striscia di terra, un istmo, creatosi nei secoli, insieme allo stagno di Santa Caterina, dai depositi alluvionali del Rio Palmas, che ha il suo delta nella costa sarda antistante l’isola. L’istmo, composto da un piccolo arcipelago esteso per una lunghezza di circa 4 km da Sant’Antioco all’isola madre, doveva essere percorribile quasi completamente tra fine del IV e prima metà del III millennio, per la presenza lungo di esso di due menhir detti su Para e sa
Mongia3, ma costante nel tempo dovette essere l’opera dell’uomo ai fini della sua
integrazione e corretta viabilità, come testimoniato da un ponte di età romana completamente restaurato e visibile e un canale forse fenicio. Quest’ultimo in antichità consentiva di sicuro la comunicazione dei due porti naturali situati uno a nord e l’altro a sud dell’istmo.
Il moderno centro di Sant’Antioco, popolato da circa 12.000 abitanti, copre una striscia di costa in direzione nord-sud stretta tra il mare e l’altura del Monte de Cresia (m 80 s.l.m.) e limitata a meridione dall’area industriale prossima all’innesto dell’istmo con l’isola. Il centro storico è costituito dall’estremità settentrionale e sotto di esso sussistono ancora lembi della necropoli punico-romana e dell’abitato. Della prima si contano circa 1500 tombe a camera ipogeica, per cui si è calcolato che quest’ultimo dovesse ospitare, seppur approssimativamente, nel periodo di maggior espansione circa 9.000/10.000 abitanti4, ovvero quasi la popolazione odierna.
3 Trad. “il frate e la suora”: Santoni 1989, p. 64. 4 Bartoloni 1995, p. 4.
Nell’altura a nord nota col nome di Guardia de is pingiadas, in un’area scarsamente edificata, è collocato il tophet: il santuario extraurbano fenicio che limita l’estensione a nord dell’abitato antico. La città era verosimilmente corredata di due porti: uno settentrionale sulla costa a stretto contatto con l’abitato, quello meridionale in una vasta insenatura a sud dell’istmo protetta dal molo naturale di Punta de s’aliga5.
Nonostante la regione del Sulcis offra consistenti testimonianze di tempi anteriori6, l’occupazione dell’isola da parte di genti autoctone, testimoniata da monumenti e resti archeologici di varia natura, non risale oltre la fine del III millennio ed ha inizio solamente con il Neolitico finale7. I resti più antichi della presenza umana nell’isola, ascrivibili alla cultura di San Michele di Ozieri (3300-2480 ca. a.C.), sono i complessi archeologici costituiti dagli scavi urbani del cronicario di Sant’Antioco, dal quale provengono ceramiche e ossidiane8, dall’insediamento abitativo della piana di Cannai nel sud dell’isola9. Resti monumentali del culto di questa fase preistorica sono invece i due menhir sopra menzionati10, mentre a quella funeraria appartengono le due grotticelle de Is Pruinis, sul versante orientale dell’isola a sud di Sant’Antioco, riferibili ad un altro abitato non ancora individuato11. Alla successiva cultura calcolitica di Monte Claro (2480-1855) appartengono resti ceramici rinvenuti presso un nuraghe “a corridoio” in località Gruttiacqua12, presso il quale sono due circoli megalitici di dubbia attribuzione alla medesimo orizzonte culturale13. Alla sfera funeraria appartengono invece le c.d. domus de janas di Serra Nuarxis situate sempre all’interno dell’estremità meridionale dell’isola14.
Decisamente più cospicua è la documentazione archeologica relativa all’età del Bronzo, quando anche nel resto della Sardegna fiorisce la civiltà dei Nuraghi. Diversi infatti sono i nuraghi, fortezze realizzate in grossi massi squadrati e dalla
5 Moscati 1982, p. 348; Moscati 1986a, p. 242. 6 Tronchetti 1988, p. 7.
7 Per la datazione delle culture protostoriche si fa riferimento al testo di G. Lilliu: Lilliu 2003, pp. 9-17. 8 Santoni 1989, pp. 67-68; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 5.
9 Santoni 1989, pp. 68-73; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 4.
10 Santoni 1989, pp. 63-64; Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 6; Lilliu 2003, pp. 98-99. 11 Santoni 1989, pp. 65-67; v. Marras V. 1996, p. 87, bibliografia a nota 7.
12 Marras V. 1996, p. 87. 13 Santoni 1989, p. 65.
composizione semplice o complessa, concentrati come le altre testimonianze di età preistorica nel sud dell’isola15.
Costituisce elemento di raccordo con la successiva fase fenicia di Sant’Antioco il fondo di una capanna rinvenuto lungo le pendici del colle di castello, nel luogo successivamente occupato dalla necropoli punica, ed i cui materiali di superficie indicano una datazione al Bronzo Finale (fine XII – inizi IX secolo)16.
La frequentazione delle coste ad opera di micenei e ciprioti negli ultimi secoli del II millennio ha come effetto archeologico una dispersione di materiale, principalmente ceramico, che individua la valle del Campidano come asse preferenziale17. Da questa diffusione appare al momento escluso l’intero Sulcis-Iglesiente, nonostante le sue miniere siano da ritenere uno dei motivi delle presenze lungo la costa occidentale del Golfo di Cagliari18. L’isola di Sant’Antioco non fa eccezione e rimane in silenzio anche in relazione alla successiva fase della c.d. precolonizzazione fenicia, mentre la frequentazione delle coste della regione sulcitana è postulata a spiegazione della presenza di materiali in bronzo tra IX e VIII secolo nei siti periferici di Antas, Santadi (grotta Pirosu – Su Benatzu) e Bithia19.
In Sardegna la presenza di genti orientali, e fenicie nella fattispecie, è testimoniata esemplarmente dal contesto di Sant’Imbenia20, un villaggio nuragico sulla costa nord-occidentale della Sardegna, che presente tracce di residenti fenici dai livelli di fine IX - prima metà dell’VIII secolo21, ma è solo con il limite inferiore di questo periodo che si traduce nella creazione di insediamenti urbani stabili. Ed è proprio nel Sulcis ed a Sant’Antioco che ne cogliamo la presenza grazie alla ceramica rinvenuta nel tophet e negli strati più antichi dell’abitato nell’area del cronicario. Di poco più
15 Marras V. 1996, p. 107, tav. I, lo studio dell’autrice è limitato al solo comune di Sant’Antioco, uno dei due
dell’isola omonima, ma occupante i due terzi circa della porzione sud-orientale della stessa. Nel comune di Calasetta questi tipi di resti comunque non mancano e pongono il problema della carenza documentaria nel comprensorio della città di Sant’Antioco, che si spiega più facilmente con una minore evidenza dovuta alla più intensa frequentazione nei secoli e millenni successivi.
16 Santoni 1989, pp. 76-77.
17 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 7-9. 18 Ibidem.
19 Ib., pp. 10-13. 20 Ib., pp. 17-18.
antiche le tracce della necropoli ad incinerazione di San Giorgio di Portoscuso, il cui abitato non è stato ancora individuato, che era in uso gia dalla metà del secolo, collocata nella terraferma antistante l’isola di Sant’Antioco.
Il cronicario, che conserva gli unici strati archeologici abitativi arcaici finora messi in luce del nostro centro, ha fornito associazioni di ceramiche locali e fenicie per le fasi più antiche22. Ciò, in conformità con quanto emerso in altre parti dell’isola, esclude che l’incontro delle due popolazioni sia stato conflittuale. I sardi in sostanza dovettero integrarsi pacificamente all’interno della nuova comunità di Sulcis.
Sin dai primi momenti di vita della Sulcis fenicia compare il tophet, un’area sacra extra-urbana a cielo aperto destinata alla operazione di rituali di varia natura, tra i quali sacrifici animali e arsioni di bambini morti in età perinatale23. L’importanza del santuario nel tessuto cittadino, nel nostro caso sopra un’altura a Nord dell’abitato, risulta evidente anche da quanto rilevato negli altri centri fenici e punici occidentali. Esso risorge sempre sullo stesso luogo a discapito del passare dei secoli24 e indica l’importanza ricoperta dal centro sulcitano sin dal momento della sua fondazione.
La ceramica proveniente dai contesti noti e scavati a Sant’Antioco indica una partecipazione ai traffici commerciali che interessavano anche le coste tirreniche della penisola italiana, con quelle del Nord Africa e della Andalusia ed esprimono il clima di benessere e ricchezza che dovette perdurare nel centro per oltre due secoli25. Già intorno alla seconda metà dell’VIII secolo viene fondato sulla costa antistante l’isola di Sant’Antioco, ma in posizione più elevata, un altro centro fenicio, Monte Sirai, ritenuto un’emanazione sulla terra ferma del nostro centro26, e le cui espressioni della cultura materiale tradiscono una continua ispirazione a quella sulcitana27.
La seconda metà del VI secolo è un periodo cruciale per il determinarsi degli equilibri delle potenze del mediterraneo e in Sardegna vede l’avviarsi della politica di conquista da parte di Cartagine, prima “una delle tante” colonie fenicie nel
22 Tra queste anche le caratteristiche pentole e i vasi bolli latte di tradizione nuragica del Bronzo Finale
provenienti dal tophet: Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 53.
23 Sul tophet v. il fondamentale contribuito Ribichini 1987a; sui problemi della funzione recentemente
riconsiderati v. Bernardini 2006.
24 Bartoloni 1989, p. 75.
25 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 53.
26 Ibidem, p. 54, sebbene espresso con qualche dubbio. 27 Moscati 1986a, p. 273-282; Moscati 1996b.
mediterraneo, ora una superpotenza militare in continua espansione. Intorno al 540 a.C. si combatte la battaglia di Alalia o “del Mare Sardonio”, che sebbene dall’esito incerto contribuisce a fissare i limiti del controllo etrusco-cartaginese nel mare Tirreno contro l’intraprendenza greca focese28, mentre in Sardegna il decennio 545-535 a.C. è interessato dalle campagne di Malco che, subita la sconfitta per mano della resistenza delle colonie fenicie di Sardegna, abbandona il campo. A questa spedizione seguirà l’intervento dei figli di Magone, Asdrubale e Amilcare, negli anni 525-510 e che si concluderà con la conquista dell’isola e l’integrazione forzata di essa nei territori controllati da Cartagine29. La resistenza operata dai fenici fu pagata duramente da centri come quello di Cuccureddus di Villasimius e Monte Sirai, che mostrano evidenti tracce di distruzione, e con la recessione economica, cui segue in certi casi l’abbandono, dai centri di Sulcis, Bithia e Santa Maria di Villaputzu30. Diversamente dovette andare per quelli che avrebbero assicurato fedeltà ai conquistatori come Tharros e Caralis, le cui necropoli forniscono l’evidenza di un periodo particolarmente florido sin dai primi anni del V secolo31. Benché poche siano le tombe edite esaustivamente32, la necropoli di Sulcis offre un quadro più povero di materiali rispetto a quello dei due centri sopra menzionati e ciò, lo si vedrà più avanti, avrà un ricadere nella documentazione relativa agli ornamenti personali. La ragione di questa crisi può essere stata inoltre la non disponibilità di un vasto entroterra da destinare alle culture cerealicole, che invece caratterizzava i due centri del basso e alto Campidano. L’agricoltura e lo sfruttamento delle risorse minerarie erano comunque gli interessi primari della presenza cartaginese in Sardegna, per il secondo dei quali Sulcis nella fase precedente doveva svolgere un ruolo primario nel convoglio dei metalli estratti dal bacino dell’Iglesiente, principalmente argento e piombo.
La conquista ha come conseguenza la deportazione dal Nord Africa di masse di coloni allo scopo di popolare i territori appena conquistati, il che ha i suoi risultati più
28 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 67-69. 29 Ibidem, pp. 70-72.
30 Ib., p. 71. 31 Sulcis 1989, p. 17. 32 V. § 1.2.
visibili nel cambiamento del rito funerario e nella cultura materiale33. Mentre nelle città fenicie di Sardegna il rito praticato nella fase fenicia era prevalentemente l’incinerazione, dalla fine del VI secolo in poi appare diffuso quello dell’inumazione entro camera ipogeica34.
I segni della ripresa per il nostro centro iniziano a comparire nell’ultima fase punica della Sardegna con gli inizi del IV secolo35, ciò nonostante si abbia notizia che nel 379 fossero scoppiati in Sardegna e nelle province nordafricane moti insurrezionali in seguito ad una pestilenza che colpì Cartagine36. A questa data si attribuisce la costruzione della cortina muraria che cinge l’abitato dell’antica Sulcis al pari di altri centri punici dell’isola37.
Il secolo e mezzo che segue vede nel mediterraneo centrale la crescita delle grandi potenze romana e cartaginese. Le ostilità prendono forma apertamente conflittuale nel 264 con l’inizio della I Guerra Punica in Sicilia e presto anche nelle acque sarde. Nel 258 nel golfo di Palmas, porto meridionale di Sulcis, la flotta romana al comando di Sulpicio Patercolo sconfiggeva quella cartaginese, composta di “Punici e Sardi”, ivi stanziata e comandata dall’ammiraglio Annibale. La sconfitta costò la vita all’ammiraglio cartaginese che fu punito dai suoi con la crocifissione entro le mura di Sulcis38.
Tutta la Sardegna cadrà nel 238 sotto il dominio di Roma a seguito della repressione dei moti dei mercenari punici qui stanziati: la civiltà dei cartaginesi nell’isola si avvia ormai alla conclusione.
Sotto il dominio romano Sulcis ritrova splendore ma non prima del 47 d.C., quando appoggia Pompeo nella lotta con Cesare negli ultimi giorni della Repubblica, ospitando nel porto una flotta pompeiana al comando di L. Nasidio, rifornendola di truppe, e assicurando spedizioni di armi e metalli al pompeiano Q. Cecilio Metello Pio Scipione. In seguito alla vittoria l’anno seguente Cesare trovandosi a Caralis punì i
33 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, pp. 71-72. 34 Per primo v. Bartoloni 1981.
35 Bartoloni, Bondì, Moscati 1997, p. 76. 36 Diodoro, Biblioteca Storica, XV, 24, 2 37 Sulcis 1989, p. 18.
Sulcitani con una multa di 100.000 sesterzi, la consegna di un’ottava parte del grano invece della consueta decima e la vendita dei beni di alcune famiglie39.
Nel corso del I secolo d.C. Sulcis sarà elevata al rango di municipium, e forse più precisamente sotto l’imperatore Claudio (41-54 d.C.), che nella regione disponeva di numerosi possedimenti e sotto il cui regno furono eseguiti i numerosi ritratti della famiglia Giulio-Claudia rinvenuti a Sant’Antioco40.
In questo periodo l’isola di Sant’Antioco era nota col nome di Plumbea41, non per la presenza di risorse al suo interno quanto per la lavorazione del metallo che qui avveniva allo scopo di estrarne l’argento. La vocazione commerciale del centro è anche e ancora dimostrata dalle fonti archeologiche che iscrivono Sulcis negli stretti contatti che intercorrono tra la Sardegna e le altre province romane del Nord Africa42. In data non precisata si stabilisce un nucleo di popolazione di stirpe ebraica che pratica i suoi culti nelle catacombe ricavate dall’adattamento di precedenti ipogei punici, ora sotto le fondamenta della basilica di Sant’Antioco43. Nel II secolo d.C. è da porre poi l’arrivo del santo che darà il moderno nome all’isola e che troverà la morte nel 125, secondo la tradizione, prima dell’arresto da parte delle autorità romane44.
1.2. STORIA DELLE RICERCHE
La prima menzione di antichità e monumenti a Sant’Antioco si deve all’opera dei G.F. Fara intitolata “Geografia della Sardegna” ed edita intorno al 158045, in cui si descrivono resti di edifici, fortificazioni ed il ponte edificato con grossi macigni. Ma bisognerà attendere il XIX secolo per un interesse più scientificamente attendibile.
Nel Dizionario Geografico dei comuni della Sardegna edito a cura di G. Casalis tra il 1833 e il 1856 è descritto il borgo di Sant’Antioco allora (1849) popolato da circa
39 Bellum Africanum 98, 2; Sulcis 1989, pp. 19-20; Tronchetti 1989, pp. 12-13. 40 Tronchetti 1989, p. 13.
41 Tolomeo, Geografia III, 3, 8. 42 Tronchetti 1989, p. 15. 43 Ibidem.
44 Ib.
45 Fara G.F., a cura di Secchi P., (1972). Geografia della Sardegna. Quattromori, Sassari, cit. in Sulcis 1989, p.
21; si menziona anche la più recente Farae I.F., a cura di Cadoni E., (1992). In Sardiniae Chorographiam. Gallizzi, Sassari.
2900 abitanti46. La parte più umile di questi, circa 500 individui, abitava gli ipogei punici, dei quali allora ne erano noti circa 16047, ed era nota come gruttaius. Nel testo sono inoltre menzionati seppur brevemente anche altri monumenti al tempo visibili48.
Il viaggiatore Alberto Ferrero Della Marmora in visita in Sardegna nella prima metà del XIX secolo è l’autore di una prima edizione ragionata delle antichità sulcitane49, ma è all’opera antiquaria del canonico G. Spano che dobbiamo la più completa descrizione di Sulcis del secolo riportata sulle pagine del suo Bollettino Archeologico Sardo tra il 1856 e il 185750. Trattando dei monumenti individuava per la precisione tre necropoli, attribuendole a tre diverse “nazioni”: quella egiziana, quella cartaginese e la romana51. Tenuta presente la conoscenza della civiltà fenicia e di quella egizia che il canonico mostrava di possedere, e che era piena espressione del suo secolo52, la prima delle tre è sicuramente da individuare nel tophet posto sull’altura nota come Guardia de is pingiadas53. Lo Spano ne attribuiva la paternità agli egizi a causa delle numerose stele che in quel periodo si raccolsero, ed in cui erano rappresentati “a basso rilievo ora Iside, ora Osiride, ora una vacca, un obelisco, un montone”54, ma sicuramente non per la presenza di amuleti o scarabei egiziani o egittizzanti, i quali il canonico ben mostrava di conoscere perché rinvenuti in grande quantità dagli scavi contemporaneamente condotti a Tharros, e che per diverse circostanze non gli capitò di incontrare a Sulcis55. Quanto alle altre due necropoli, quella cartaginese era individuata sulla base dell’analogia tra le sue tombe e quelle di Tharros e Caralis56 e quella romana, situata sul versante occidentale del villaggio dietro la basilica di Sant’Antioco, per la presenza di colombari paragonabili a quelli
46 Dizionario Angius/Casalis, vol. 14, p. 223.
47 Ibidem, p. 225. La necropoli è più esaustivamente descritta in ib., vol. 7, pp. 84-85. 48 Sulcis 1989, p. 21.
49 Ferrero Della Marmora A., (1826-1828, seconda edizione 1840). Voyage en Sardaigne ou description
statistique, physique et politique de cette île. Parigi, cit. in Sulcis 1989, p. 21. Si veda anche la traduzione in
italiano: Della Marmora A., (1927). Viaggio in Sardegna. Fondazione il Nuraghe, Cagliari.
50 Spano 1856-1857. 51 Ibidem, p. 54.
52 Si veda al riguardo Scandone Matthiae 1991.
53 Trad. “vedetta delle pentole”, in chiaro riferimento alle urne cinerarie. 54 Spano 1856-1857, p. 54.
55 Ibidem, nota 1; altrove e più tardi ancora lo Spano indica come “in nessun altro sito dell’Isola si è potuto
scoprire uno scarabeo, non ostante le molte ricerche che si sono fatte”: Spano G., (1861). Notizie sull’antica
città di Tharros. In BAS vol. 7, pp. 193, 195, nota 1, cit. in Scandone Matthiae 1991, p. 385.
cagliaritani. Anche questi tuttavia dovranno essere identificati con le camere ipogeiche di età punica, adattati successivamente a catacombe, per i motivi stessi riportati dallo Spano: la loro frequentazione moderna da parte dei gruttaius, il rinvenimento
all’interno di elementi di armatura e le tracce di pittura rossa57.
Ai fini del presente lavoro ricopre un particolare interesse la menzione, da parte dello studioso, della grande quantità di oggetti d’oro e sigilli che al tempo erano già conservati nei locali del R. Museo di Cagliari58, che venivano ancora indossati dalle donne della moderna città o rinvenuti casualmente dai contadini e poi venduti a stranieri59. La descrizione da un’idea della quantità di ornamenti inediti e scomparsi che dovevano essere indossati dagli abitanti dell’antica Sulcis, tuttavia non è possibile attribuire ad età punica almeno la gran parte di questi oggetti, e per la capacità già menzionata dello Spano di scorgere l’elemento egizio che caratterizza i sigilli e gli ornamenti punici, e per la stessa interpretazione grafica che egli stesso fornisce di alcuni di questi, i quali agevolmente possono essere attribuiti al periodo romano (fig. 1).
Figura 1. Sigilli da Sulcis (Della Marmora 1868, p. 122, nota 1).
Dopo quasi mezzo secolo di interruzione della ricerca archeologica a Sant’Antioco Antonio Taramelli, direttore della Soprintendenza di Cagliari dal 1903 al 1934, redisse in quasi vent’anni una serie di contributi editi principalmente nelle Notizie degli Scavi di Antichità della Regia Accademia dei Lincei60. In essi traspare l’interesse nei confronti della tutela dei monumenti ed un atteggiamento non
57 Ibidem, p. 55, nota 1, invero queste ultime possono essere attribuite ad età posteriore. Per i gambali e gli elmi
di Sulcis v. Fenici 1988, pp. 133-134, datati al VI sec.; in generale sui riti funerari romani a Sulcis v. Tronchetti 1989a, pp. 81-83, e sulle catacombe: pp. 85-87.
58 Ora Museo Archeologico Nazionale. 59 Spano 1856-1857, pp. 52-53, nota 2. 60 Moscati 1977a, p. 13; Sulcis 1989, p. 21.
esclusivamente antiquario61. In particolare nel contributo in cui presentava la notizia dello scavo di due tombe ipogeiche di età punica, ma riutilizzate in epoca romana, avvenuto nel tratto iniziale di Via Castello nel luglio 1906, deprecava la mancanza di dati su cui ricostruire la topografia dell’antica città, mancanza ancora superiore a quella disponibile cinquant’anni prima per “l’incremento edilizio” che nel frattempo era intercorso62. Stupisce inoltre il fatto che si fosse persa l’esatta localizzazione del
tophet63, non ancora identificato come tale, ma come il luogo di provenienza delle
stele, per la quale peraltro lo Spano nel passo sopra ricordato non forniva più precise informazioni.
Un altro fatto degno di nota è il rapporto di collaborazione con l’autorità locale, nella persona dell’allora sindaco Giuseppe Biggio, che si tradusse nei fatti in una strenua attività di tutela e nella costituzione di una raccolta di oggetti, recuperati in circostanze casuali, che avrebbe dovuto costituire una collezione comunale64.
L’antica Sulcis destò l’interesse anche dei successivi Soprintendenti e ispettori che si susseguirono nella tutela dei beni archeologici come P. Mingazzini65, S. Puglisi, al quale si deve lo scavo di tre tombe ipogeiche in Via Belvedere66, e G. Lilliu, cui si deve il primo studio sulle stele del tophet67, allora ancora dimenticato68.
Il 1954 è la data dell’avvio di ricerche sistematiche a Sant’Antioco ad opera dell’allora soprintendente G. Pesce al quale si deve la riscoperta del tophet nel 1959 e lo scavo di un lembo della necropoli punica69, la scoperta durante il suo mandato dell’acropoli di Monte Sirai (1962), nonché l’avvio delle campagne di scavo in quel sito70.
61 Ibidem.
62 Taramelli 1908, p. 146.
63 Ibidem, p. 147: “Le tombe a fossa, sormontate dalle stele, dovevano estendersi presso la chiesa parrocchiale;
ma sulla precisa posizione loro come sul luogo dove furono rinvenute […] non abbiamo esatta notizia”.
64 Ib., pp. 152, 155. Sull’attività della famiglia Biggio e sul rapporto con il Taramelli v. anche Moscati 1977a. 65 Mingazzini 1948a, in merito ai resti di un area sacra sopra la collina di Castello; Mingazzini 1948b, in cui
riferisce alcune osservazioni sui rituali funerari emersi dagli scavi del Puglisi.
66 Puglisi 1942b.
67 Lilliu G., (1944). Le stele puniche di Sulcis (Cagliari). ANL Memorie 40, pp. 293-418. 68 Sulcis 1989, p. 22.
69 Ibidem. Per alcune notizie sui primi scavi del tophet v. Pesce 1961, pp. 118-121, in cui fa una breve menzione
ad “amuleti, altri oggettini e cianfrusaglie varie” rinvenuti nella setacciatura del terreno: p. 120; Pesce 1963; per le tombe v. invece Pesce 1961, p. 160, figg. 44-45, 51-53; vedi anche la voce “Sulcis” in EAA, vol. 7, pp. 551-553, a cura dello stesso Pesce.
Dal 1967 il nuovo soprintendente F. Barreca prosegue gli scavi del tophet e della necropoli, stringendo un’attiva collaborazione con S. Moscati ed il suo staff che cura l’edizione di tutte le stele del tophet71, delle collezioni private Don Tore Armeni72 e Biggio73, degli amuleti rinvenuti nel tophet74, inaugurando così una nuova stagione degli studi con attenzione puntuale all’edizione delle vecchie e delle nuove scoperte. Al Moscati stesso si deve l’opera di sintesi delle ricerche fenicie e puniche in Sardegna e non solo, concretizzata nel caso specifico di Sulcis in tre fondamentali contributi editi tra il 1982 ed il 198875.
Dal 1983 P. Bernardini inoltre indaga un settore dell’abitato individuato in Via Galeto (cronicario), i cui scavi sono tuttora in corso76, mentre proseguono altresì quelli nel tophet e di alcune tombe della necropoli punica, della quale se ne appresta un’edizione critica a cura dello stesso Bernardini77.
71 Moscati S., (1986). Le stele di Sulcis: caratteri e confronti. CSF 23, Roma. 72 Uberti 1971.
73 Biggio 1977. 74 Bartoloni 1973.
75 Moscati 1982; Moscati 1986a, pp. 240-262; esclusivamente per gli aspetti della cultura materiale Moscati
1988a.
76 Si veda da ultimo Bernardini 2000a. 77 Bernardini c.p.