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CAP. III
STUDI SU JOHN GREAVES
STUDI SU JOHN GREAVES
STUDI SU JOHN GREAVES
STUDI SU JOHN GREAVES
John Greaves rappresenta una declinazione molto particolare di virtuoso, significativa nelle scelte perseguite e negli interessi coltivati. In questo capitolo a carattere principalmente biografico si cerca di mettere a fuoco la particolarità non solo del personaggio, quanto piuttosto del legame che unisce le due sfere principali dei suoi studi (scientifici ed antiquari), in una gamma di soluzioni non prive di interesse ed originalità.
1. Introduzione
Il mio interesse per John Greaves nacque durante il mio soggiorno londinese,
protrattosi tra il 2005 ed il 2006, mentre conducevo ricerche su potenziali virtuosi in
grado di registrare all’interno della loro attività una armonica coesistenza di interessi
scientifici ed antiquari legati al perseguimento della causa dell’avanzamento del
sapere. Greaves mi apparve subito come un candidato molto forte nel rappresentare
e nell’estrinsecare tale nesso fondamentale all’interno del profilo del virtuoso,
“costringendomi” a cercare sue notizie sia nelle fonti a stampa, che tra i suoi
manoscritti, scoprendo in questi una continua fonte di curiosità. La prima cosa che
mi colpì di lui fu il ruolo piuttosto marginale in cui gli studi e le recenti monografie
dedicate alla storia della rivoluzione scientifica lo hanno relegato
1. Questa sorta di
esilio è in qualche modo testimoniato anche a livello iconografico. La sola immagine
che lo effigia nella quale mi è capitato di imbattermi è l’incisione realizzata da Edward
Mascall nel 1650, apparsa in calce ad una delle sue opere
2. Non si conoscono infatti
altri dipinti o opere in grado di consolidare ulteriormente il legame tra il protagonista
oggetto d’indagine ed il suo aspirante biografo. Mi è capitato sovente di chiedermi
-nel corso delle mie visite presso la National Portrait Gallery- se il ritrovamento di un
ritratto avrebbe permesso l’inserimento (o meglio il reintegro) di questo brillante
studioso all’interno della galleria dedicata ai protagonisti della Rivoluzione Scientifica,
che tanta parte occupa all’interno delle sale di questo affascinante museo.
Probabilmente, a differenza di personaggi come Sir Kenelm Digby, John Evelyn, o
altri “virtuosi”, la percezione che aveva di sé e la consapevolezza alla base
dell’autoindividuazione dell’io, propedeutiche alla volontà di consegnare un’immagine
1
Cfr. ad esempio il monumentale lavoro di Charles Webster, La Grande Instaurazione, op. cit.,
passim. Il nome di John Greaves è l’unico tra quelli dei primi professori chiamati ad insegnare
presso il Gresham College o le cattedre saviliane di Oxford a non ricevere alcuna attenzione, data la sua assenza protrattasi quasi ininterrottamente per sette anni tra il 1635 ed il 1642.
2
Cfr. J. Greaves, Astronomica quaedam ex traditione Shah Cholgii Persae: una cum hypothesibus
154
ai posteri, dovevano essere decisamente più limitate. Certamente, Greaves non
mostrò la stessa “vanità” di Sir Kenelm Digby, che, all’indomani della morte della
moglie Venetia, decise di celebrare il suo lutto e la propria ideale scelta di dedizione
allo studio facendosi ritrarre da Anthony Van Dick «in his mourn, with a philosophic
garb», in un dipinto che doveva essere riprodotto in un’incisione del 1637 corredato
dal motto oraziano “impavidum ferient”
3. Probabilmente, ai fini della produzione di
un simile quadro, oltre alle differenze caratteriali tra i due personaggi incideva anche
una certa differenza di possibilità finanziarie. Tuttavia, confesso, nel concludere
questa introduzione, di aver nutrito ad un certo punto fondate speranze di poter
offrire a livello iconografico un’immagine meno manierata, meno stereotipata, di
John Greaves rispetto a quella consegnataci dall’incisione di Mascall. Avevo riposto
le mie speranze in merito nella bottega fiorentina dei pittori Domenico e Valore
Casini
4, certamente visitata dal nostro nel corso della sua permanenza a Firenze:
purtroppo le mie ricerche in merito non hanno prodotto risultati. Posso solo sperare
che quelle presentate in queste pagine abbiano migliore fortuna.
3
La citazione proviene da Aubrey, Brief Lives, op. cit., p.99. La volontarietà e la meditazione a monte della produzione di questo ritratto non si individuano solamente nella sua commissione da parte del Digby ad un maestro assoluto come Van Dyck. Ogni scelta legata alla sua realizzazione è frutto di un’attenta e mediata riflessione, non solo dal punto di vista della postura assunta dall’effigiato e dal registro iconografico (si pensi al globo rotto, possibile simbolo di gloria passata sui mari, ma soprattutto del dolore manifestato dai segni della barba incolta e dell’atteggiamento austero e dimesso, tipici del maeror degli antichi romani. Nella scelta del motto con cui corredare il dipinto, Van Dyck si rivolse nel 1637 a Francis Young, che gli suggerì di riprendere Orazio,
Carmina, III. Nell’incisione –come venne pubblicata- si legge solamente “R. V. VORST sculpsit e
Van Dick pinxit”, ma credo che il motto ne costituisca parte integrante. Sull’argomento e le relazioni di Francis Young con i principali pittori del suo tempo, cfr. l’interessante lavoro di Philip Fehl,“Access to the Ancients: Junius, Rubens and Van Dyck”, in (a cura di) Rolf Bremmer,
Franciscus Junius F.F. and his circle, Amsterdam/Atlanta GA, Rodopi, 1998, pp. 35-70. Nella
stessa miscellanea mi è stato di grande utilità anche il lavoro di Colette Nativel, “A plea for Franciscus Junius as an Art Theoretician”, pp. 19-34.
4 Nel suo diario di viaggio, conservato a Oxford, Bodleian Library, Ms. Savile 47, ch. 26 si legge infatti «The Name of the Painter at Flor.[ence] Valore di Giovan-Maria Casini in via del Cucumero. Dominico &c. the elder brother». I due pittori erano ritrattisti abbastanza affermati. Per alcune notizie biografiche e materiale di riferimento cfr. Lisa Goldenberg-Stoppato e Maria Pia Mannini, “Domenico e Valore Casini ritrattisti: un giornale di bottega ritrovato”, in Settanta
studiosi italiani. Scritti per l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, Firenze, 1997, pp.
349-354. Cfr. Anche M. Gregori, “Due ritrattisti fiorentini da tenere in considerazione: Valore e Domenico Casini”, in Gazette des Beaux-Arts, CXXXV, Feb. 2000, pp. 129-41 Più datato l’articolo di K. Langedijk, “A New Cigoli: The State Portrait of Cosimo I de' Medici, and a Suggestion concerning the Cappella de' Principi”, in Burlington Magazine, Vol. CXIII, No. 823 (Oct., 1971), pp. 575-579.
155
PARTE I
GLI ANNI DELLA FORMAZIONE (1602-35)
1. Il percorso formativo di un matematico nella Oxford della prima metà del
Seicento
John Greaves nasce a Colmore (la definizione toponomastica moderna è Colmere,
vicino Aylresford, Hampshire) nel 1602, maggiore di quattro fratelli. Come numerose
tra le menti più brillanti del XVII secolo in Inghilterra, è figlio di un ministro della
Chiesa anglicana: il padre, John senior, era il rector della locale parrocchia. Anthony
Wood lo descrive come uomo di singolare erudizione, arrivando a definirlo «the most
eminent scholar in that country»
5. Se non sono stato in grado di rinvenire alcun
documento in grado di suffragare tale giudizio, le sue capacità di insegnante e
precettore non dovevano essere trascurabili, dato che la locale scuola parrocchiale
ricevette notevole impulso durante il suo magistero
6e ognuno dei suoi quattro figli
assurse a posizioni di prestigio. Nicholas divenne infatti fellow presso All Souls
College (Oxford) e uno dei migliori membri al servizio dell’arcivescovo Ushher e
della chiesa anglicana in Irlanda; Thomas seguì a sua volta la carriera ecclesiastica e
divenne anch’egli un distinto arabista
7, mentre Edward arrivò a fregiarsi del titolo di
Sir e ad essere uno dei medici personali di Carlo II. Per quanto non si conosca molto
in merito ai metodi didattici impiegati da John Greaves senior, né tantomeno si
abbiano testimonianze in grado di permetterci di gettare uno sguardo meno
sfuggente sui primi anni di vita dei quattro fratelli, è un dato di fatto che John sia
stato più che sufficientemente preparato al suo ingresso nell’Università di Oxford.
Nel 1617 il suo nome appare nel registro matricolare
8, come studente presso il Balliol
College.
Il corso di studi in arti liberali - sull’impulso della tradizione umanistica- era passato
sotto un’attenta revisione da parte delle autorità legislative nel lungo periodo
5
Cfr. A. Wood, Athenae Oxonienses, op. cit., vol. II, p. 156.
6 Cfr. T. Hervey, History of Colmer and Priors Dean , London, 1896, pp. 74–81
7 Thomas Greaves (1611-76) divenne ministro della Chiesa d’Inghilterra, ottenne il titolo di D.D. (Doctor of Divinity, il massimo grado nella carriera accademica di allora) ed alcuni benefici ecclesiastici (rector a North Church Berkhamsted, Hertfordshire e prebendario presso la cattedrale di Peterborough). Grazie alle sue competenze nelle lingue orientali nel 1637 fu scelto quale supplente di Edward Pococke senior in qualità di Deputy Professor presso la cattedra di lingua araba fondata l’anno prima dall’Arcivescovo Laud.
8
Cfr. (a cura di) J. Foster, Alumni Oxonienses: the members of the University of Oxford, 1500,op. cit., vol. I, p.395.
156
compreso tra il 1550 ed il 1661. Tale revisione non aveva tuttavia modificato il
concetto di arti liberali, vincolato alla dicotomia appartenente alla tradizione classica
che vedeva contrapposte Arte e Natura
9. Fin dalla scolastica medievale, che aveva
fatto propria questa partizione separando la filosofia(divisa al suo interno in logica,
etica e fisica) dalle sette arti liberali
10, la superiorità della Natura rispetto all’Arte era
stata mantenuta anche in epoca umanistica, tributando maggiore attenzione nei
confronti delle discipline del Trivium (grammatica, retorica, dialettica) rispetto al
Quadrivium
(aritmetica, geometria, astronomia, musica). È possibile ipotizzare che
Greaves abbia ricevuto –almeno inizialmente- una formazione decisamente
tradizionale in queste discipline, ancora considerate alla base della formazione.
Il primo anno di studi era generalmente dedicato allo studio della grammatica (sia
latina che vernacolare) e all’apprendimento dei precetti della retorica. Possibile quindi
un incontro molto ravvicinato con le opere di Cicerone (specialmente con il De
Inventione, il De Oratore e , ma anche con lo spurio autore della Rhetorica ad Herennium)e
con l’Institutio Oratoria di Quintiliano, testi fondamentali della retorica classica
considerati ancora irrinunciabili da gran parte dei professori oxoniensi
11per
l’apprendimento delle cinque grandi “arti” costituenti la struttura di un discorso
pubblico o di un’orazione
12. Le tecniche così acquisite tramite la lettura dei classici
9 “Vitam brevem esse, longam artem” è la massima attribuita a Ippocrate (V-IV sec. a.C.) aph.1,1 in L. A. Seneca, De brevitate vitae I,1 ,(Milano, BUR, 1997, p. 40) quando si riferisce alla medicina, che incarnava perfettamente la distinzione tra operato umano e operato divino. Né il lemma greco τέχυη, quanto il suo equivalente latino ars denotavano affatto le “Beaux Artes” in senso moderno, quanto piuttosto tutti quei generi di occupazioni umane –che noi definiamo artigianato o scienze- che si possono insegnare.
10 La prima definizione di quali dovessero essere considerate le arti liberali proviene da Marziano Capella, e si rafforzò nel corso del medioevo grazie all’università. A queste l’enciclopedico Hugo di S. Vittore oppose successivamente nel Didascalion (cfr. Liber II Cap, XX) uno schema delle sette arti meccaniche: lanificium, armatura, navigatio, agricoltura, venatio, medicina, theatrica. 11 Mentre Cambridge infatti aveva subito l’influenza del pensiero ramista accogliendo alcune delle sue istanze di riforma nella concezione e nell’insegnamento del corpus aristotelico, Oxford era rimasta fedele alla scuola ciceroniana, la cui tradizione era stata rinverdita da Melantone (autore di una Rhetorica di larga diffusione) alla metà del XVI sec.. Solamente dopo gli anni venti del Seicento nell’ambito dell’ateneo oxoniense si assistette infatti ad un dibattito che metteva in discussione i precetti di Ramo e la tradizione ciceroniana alla ricerca di una loro conciliazione. Sull’argomento rimando alla fondamentale trattazione di W. S. Howell, Logic and Rhetoric in
England, 1500-1700, Princeton (NJ), Princeton U.P.,1956. Decisamente esaurienti i capitoli 3,4 e
5 ai fini della comprensione della materia in questione e del modo in cui veniva insegnata. 12
La divisione in cinque parti dell’atto della comunicazione indirizzata ad un pubblico vengono teorizzate per la prima volta da Cicerone nel De Inventione (lib.1,capVII,9. Il testo ciceroniano era conosciuto nel Medioevo anche col titolo di Rhetorica prima o vetus). Esse sono inventio (l’apporto di valide o verosimili argomentazioni volte a giustificare la propria posizione),
dispositio (disposizione di questi argomenti secondo un ordine adatto), elocutio (scelta di un
registro linguistico adatto), memoria (lo stretto legame che si instaura tra argomento e parola, supportato anche da tecniche mnemoniche volte a ricordare il testo e la sequenza di un’orazione),
pronuntiatio (scelta e capacità di controllo del tono della voce e dei movimenti del corpo adatti
alla dignità e allo stile del discorso). Ramo (cfr. Ciceronianus)aveva limitato la sua retorica alle sole elocutio e pronuntiatio, affiancate da una preliminare fase di inventio+dispositio purgata
157
erano applicate anche quali parametri critici alla poesia e alla prosa in lingua inglese,
di cui venivano analizzate non tanto la prosodia e la metrica, quanto le scelte
linguistiche e lo stile. In manuali coevi di larga diffusione quali The Arte of English
Poesie di George Puttenham (London,1589), la più recente letteratura insulare veniva
analizzata sulla base delle scelte grammaticali operate, della capacità evocativa degli
espedienti retorici (quali la metafora), l’uso, la scelta dello stile (tradizionalmente
distinto in alto, medio e volgar-familiare) e la padronanza dei registri ad esso
collegati. Le principali difformità espressive, sintattiche e lessicali venivano
accuratamente commentate alla luce di parametri quali il decoro e la resa in termini di
effetto
13. A completamento della formazione stilistica dell’undergraduated veniva poi
letta anche la Poetica di Aristotele, considerata ancora fondamentale nello sviluppo di
un gusto e nella familiarizzazione al problema dei generi letterari.
Il secondo anno era invece generalmente consacrato all’insegnamento della dialettica
e delle tre grandi branche della filosofia classica: logica, etica e fisica. Quello della
dialettica e della logica era ancora considerato un insegnamento propedeutico
irrinunciabile allo studio della metafisica e allo sviluppo delle capacità di
organizzazione persuasiva di un pensiero e di una tesi. Il testo base dell’insegnamento
logico oxoniense restavano i sei trattati che costituivano l’Organon
14di Aristotele,
solitamente corredato dal commento di Porfirio e affiancato da compendi volti a
facilitarne lo studio e la comprensione. I due manuali propedeutici di maggiore uso
ad Oxford, la Logica di John Seton (London, 1557) e il Gymnasium Logicum di
Bartholomeus Kerchermann (London,1606), mantenevano infatti inalterata la
fondamentale divisione in inventio e judicium, punto di partenza di quella logica
aristotelica, considerata ancora fondamentale alla metà del XVII sec.
15. Lo stesso può
dirsi dei primi compendi in lingua vernacolare, The Rule of Reason, conteyning the Arte of
dagli artifici dell’Arpinate. Quest’ultima fase trovava applicazione quale preludio alla logica da lui teorizzata.
13 Questo tipo di esercizio molto deve aver contribuito ad affinare le capacità critiche del Digby, che opera il suo commento sulla ventiduesima stanza del nono canto della Faerie Queene di Spencer.
14
Le sei parti che costituivano l’Organon aristotelico erano tradizionalmente intitolate così: 1Categoriae 2 De Interpretatione 3 Analytica Priora (in cui veniva spiegato come costruire un sillogismo) 4 Analytica Posteriora (in merito alle dimostrazioni) 5 Topica (Argomenti) 6 De
Sophisticis Elenchis.
15
James Duport (Fellow del Trinity College di Cambridge dal 1627 al 1668)ha lasciato indicazioni precise in merito agli autori e agli indirizzi didattici da seguire. Nelle sue Rules to be observed by
Young Pupils and Schollers in the University, conservato manoscritto presso la biblioteca del
Trinity College di Cambridge (MS. O.10A.33, cit. in G. Macaulay Trevelyan, Undergraduate life
under the Protectorate, in “The Cambridge Review”, 1943, pp. 328-330), consiglia follow not Ramus in Logic nor Lipsius in Latin, but Aristotle in one and Tully in the other.
158
Logique, set forth in Englishe di Thomas Wilson
16e The Arte of Reason, rightly termed
Witcraft, teaching a perfect way to argue and dispute
di Ralph Lever (London, A.
Bynneman,1573). La sola valida alternativa a questi manuali universitari in cui
Greaves potrebbe essersi imbattuto è costituita da The Arte of Logicke di Thomas
Blundeville
17, che manifesta alcune significative aperture al ramismo.
Ma piuttosto che dedicarsi a questa e alle altre branche della filosofia aristotelica, gli
studi di John Greaves devono avere avuto a questo punto una sterzata significativa.
Piuttosto che dedicarsi alla lettura ed allo studio intensivo di opere quali la Physica, il
De Anima, il De Caelo e la Meteorologia, considerati ancora pilastri fondamentali nel
bagaglio del futuro baccelliere ancora al tempo della riforma statutaria messa in atto
dall’Arcivescovo Laud
18, Greaves è uno dei primi studenti a beneficiare
dell’istituzione delle cattedre saviliane di geometria ed astronomia, istituite nel 1619.
Sotto l’egida di Henry Briggs (professore di geometria) e John Bainridge (suo collega
presso la cattedra di astronomia) affronta la lettura di autori come Copernico,
Regiomontano, Plutarco, Tycho Brahe e Keplero, oltre ad altri celebrati astronomi
delle epoche precedenti. Grazie al contatto ravvicinato con questi due insigni
matematici, le sue conoscenze “matematicho-scientifiche” si spingono così ben oltre
16
London, presso Richard Grafton –tipografo reale-, 1551.
17 La prima edizione di questo testo è London, John Windet, 1599. Thomas Blundeville (fl.1561), scrittore originario di una famiglia gentilizia del Norfolk, fu autore di altre importanti e fortunate opere: 1- The true order and Methode of wryting and reading Hystories, according to the
praecepts of Francisco Patricio, and Accontio tridentino, London, Willyam Seres, 1574. L’opera
costituisce poco più di un’epitome volgare dei trattati dei due eruditi italiani, significativamente dedicata al Conte di Leicester. Sulla concezione della storia di Jacopo Accontio si veda P. Rossi,
Giacomo Aconcio, Milano, Fratelli Bocca editori, 1952, specialmente pp.23-25, che trattano del
breve scritto Delle osservationi et avvertimenti che aver si debbono nel legger delle historie, e pp.120-124 in cui si parla della fortuna di questo e altri scritti dell’erudito trentino nella storia del pensiero. 2- M. Blvndevile his exercises, containing six treatises … which treatises are very
necessarie to be read and learned to all yoong gentlemen that haue not bene exercised in such disciplines, and yet are desirous to haue knowledge as well in cosmographie, astronomie, and geographie, as also in the arte of navigation, in which arte is impossible to profite without the helpe of these, or such like instructions, London John Windet, 1597. Questa silloge di trattati
contiene la prima traduzione inglese degli scritti di Mercatore, oltre a un compendio di matematica, un manuale di cosmografia e alcuni brevi opuscoli sull’uso delle mappe e dell’astrolabio in navigazione. Il testo ebbe una successiva edizione (la settima) nel 1636 (London, John Bishop), in cui furono aggiunti due trattati inerenti ai viaggi di Drake e all’uso degli atlanti, mappe e tavole nautiche (specialmente le effemeridi di Tolomeo). Su Blundeville cfr. DNB, vol. II, pp.733-34 (La voce è curata da A.H. Bullen).
18 Alcuni di questi testi mantennero intatta la loro fortuna sino ad essere studiati dallo stesso Newton, come documentato dai suoi quaderni del periodo universitario. Cfr. A. Koiré, Studi
Newtoniani,Torino, Einaudi,1972. Lo stesso si può dire a proposito di commentari quali la Logica
di John Seton (ripubblicata in numerose edizioni, spesso comprensive -dopo il 1563- delle
Annotationes in Logicam Johannis Setoni di Peter Carter) il Logicae Artis Compendium di Robert
Sanderson(Oxford, John Lichfield, 1631), l’ Idea Philosophiae tum Moralis tum Naturalis di Francis Burgersdijck (Oxford, John Lichfield, 1631) e la Physica Peripatetica di Johannes Magirus (Frankfurt,1597) continuarono a far parte integrante delle lezioni fino agli ultimi decenni del XVII secolo.
159
agli Elementi di Euclide, pilastro fondamentale del sapere more geometrico demonstrabilis
19ed al commentario al testo del gesuita Clavio
20. È altrettanto possibile che grazie alla
patrocinio di Briggs e Bainbridge, oltre che all’amicizia di Peter Turner
21, si sia
avventurato anche nella lettura delle principali opere prodotte da scienziati inglesi
quali la Artis Analyticae Praxis (uscita postuma a Londra nel 1631, ma ampiamente in
circolazione in forma manoscritta già nei decenni precedenti) di Thomas Hariot o il
trattato sui logaritmi di Napier, a lungo trascurati dall’insegnamento universitario.
Grazie a questo particolare bagaglio formativo, Greaves ottiene il titolo di Bachelor
of Arts il 6 Luglio 1621. Per l’erudizione dimostrata, nel 1624, «being of Master’s
standing, became a candidate for a fellowship al Merton College», dove si classifica
primo nella graduatoria dei 5 candidati eletti fellow
22. L’evento, oltre a costituire l’inizio
della carriera universitaria di John Greaves, rappresenta una particolarità non
trascurabile: Greaves non possiede infatti i requisiti minimi per ottenere il titolo
(riceverà la qualifica di Master of Arts solamente il 25 Giugno 1628), ma l’appoggio dei
due professori saviliani rappresenta garanzia sufficiente ai fini di assicurargli il
prestigioso impiego. La “promozione” non doveva tuttavia essere immeritata, se
Henry Savage, allora studente presso il Balliol College, ricorda tra i suoi più eminenti
19
Tradotto per la prima volta in inglese da Henry Billingsley nel 1570. Questa ottima versione presentava una Matemathicall Preface di John Dee che godette di una certa notorietà e considerazione nelle fila del mondo scientifico inglese coevo. Frances A. Yates è arrivata a definirla il manifesto programmatico del rinascimento inglese. Vd Cabbala e Occultismo
nell’Inghilterra Elisabettiana, Torino, Einaudi, 1982, p.101. Solamente con gli statuti costituivi
delle cattedre saviliane, si aggiunse ad Euclide lo studio delle Coniche di Apollonio e le opere di Archimede legate alla scienza del calcolo, fondamentali per l’approccio alla geometria descrittiva. 20 Tra gli altri testi con cui Greaves deve aver maturato una certa familiarità figuravano quasi certamente la Geometricall Extraction di John Speidell (London, Edward Allde, 1616, ricordata tra i testi studiati nel periodo universitario dallo stesso John Aubrey), il De arte supputandi di Tonstall ed i trattati matematici di Cardano. Cfr. Culbhert Tunstall (1474-1559, vescovo di Londra e Durham), De arte supputandi libri quattuor , [London, Richard Pynson,1522] ristampato in numerose edizioni sul continente. G.Cardano , Hieronimi Cardani Mediolaniensis Artis magnae,
sive de regulis algebricis, liber unus. Qui & totius operis de aritmetica, quod opus perfectum inscripsit, est in ordine decimu, Norimberga, Johann Petrejus, 1545 e G. Cardano, Hieronimi Cardani Mediolaniensis Practica arithmetice, & mensurandi singularis. In quaque preter alias continetur, versa pagina demonstrabit, Milano, Giovanni Antonio Castiglione, 1539. I testi di
Tonstall e Cardano erano stati inseriti nei programmi universitari con la riforma attuata durante il regno di Edoardo nel 1549.
21 Su Peter Turner e le sue conoscenze matematiche, oltre ai suoi legami con Thomas Allen e gli altri matematici di epoca elisabettiana vd. supra, cap. II, p.
22 Cfr. Cfr. T. Birch, Miscellaneous Works Of Mr. John Greaves, Professor of Astronomy in the
University of Oxford. Many of which are now first published, London, J. Hughs, 1737, 2 voll., vol.
I, p. IV. Nonostante le numerose omissioni e lacune, si tratta tuttora del maggiore studio dedicato a John Greaves. L’edizione di questo testo, patrocinata dallo sforzo congiunto della Royal Society e dalla Society of Antiquaries, vide coinvolte anche figure come Newton ed Edmond Halley, che parteciparono attivamente e con costante interesse al lavoro del curatore, allora segretario della R. Society. La notizia è riportata anche in T. Smith, “Vita Johanni Gravii, scriptore Thoma Smitho, S.T.D.” p. 3, contenuta in Vitae quorundam eruditissimorum, & illstriorum Virorum, scriptore
160
compagni di studi «John Greaves […] of this College, from whence of his singular
learning he was chosen fellow of Merton College»
23. Merton rappresentava
tradizionalmente uno dei Colleges all’avanguardia dal punto di vista degli studi
scientifici ed astronomici, grazie ad una consuetudine ormai secolare consolidatasi sin
dai tempi di Grossatesta e Ruggero Bacone
24. La relativa tranquillità economica ed il
prestigio garantitogli da questa fellowship consentirono così a Greaves di continuare gli
studi matematici, divenendo il primo matematico “completo” formatosi in seno
all’università di Oxford nella prima metà del XVII sec. Questo dato rappresenta di
per sé una peculiarità, se si considerano le testimonianze autobiografiche di autori
come Hobbes o Locke, che criticarono fortemente gli indirizzi didattici generali della
loro università di formazione. Nonostante la storiografia contemporanea accolga
queste testimonianze manifestando alcune riserve critiche, l’eminenza delle figure
sopra citate rende le loro pagine perlomeno indicative della diffusa debolezza
dell’insegnamento delle scienze matematiche. Hobbes, che manifesta all’interno del
compendio agli Elementi di Euclide redatto negli anni giovanili la superficialità delle
sue cognizioni geometriche
25, riconosce candidamente i suoi studi scientifici quali
frutto di piacere, forma di svago e di ricreazione intellettuale con cui sbizzarrire la
fantasia
26: d’altronde la Oxford nella quale si era formato non aveva ancora istituito le
cattedre saviliane . Eppure, lo stesso Locke (studente ad Oxford trent’anni dopo),
23 Cfr. H. Savage, Balliofergus, or, A commentary upon the foundation, etc. Of Balliol College: By
Henry Savage, master of the said College, Oxford, A. & L. Lichfield, 1668, p.43.
24
La tradizione matematico astronomica del Merton College è stata oggetto nei primi decenni del secolo scorso degli studi di Pierre Duhem. Nonostante le sue tesi siano state messe in discussione da numerosi studiosi per l’eccessiva importanza fornita alla scienza medievale –addirittura intralciata piuttosto che favorita dall’umanesimo-, le sue ricerche su Leonardo da Vinci dimostrano chiaramente che fosse a conoscenza dell’opera di alcuni dei più illustri tra i mertoniani quali William Heytesbury e Richard Swineshead. Alcune tra le teorie fisiche divergenti dall’ortodossia aristotelica scolastica sviluppatesi nel XIV e nel XV secolo vengono enunciate con chiarezza nel primo dei saggi che costituiscono gli Studi Galileiani di Alexandre Koyré.
25
Cfr. in proposito D. Neri, Teoria della scienza e forma della politica in Thomas Hobbes, Napoli, Guida, 1984, che dedica un capitolo interessante alle sue competenze in campo geometrico. 26 Gustoso in questo senso, il modo di esprimere in versi tale passione da parte di Hobbes: «Therefore more pleasanter studies, I then sought,/Which I was formerly, tho’ not well taught./My Phancie and Mind divert I do/With Maps Celestial and terrestrial too./Rejoyce t’accompany Sol cloath’d with Rays/Know by what art he measures out our Days;/How Drake and Cavendish a girdle made/Quite round the world, what climates they survey’d;/And strive to find the smaller cells of men/And painted Monsters in their Unknow Den./Nay ther’s a fulness in Geography;/For Nature e’er abhor’d Vacuity». Il passo proveniente da T. Hobbes, The Life of Mr. Thomas Hobbes
of Malmesbury (scritta inizialmente in latino, fu tradotta in inglese nel 1680), p. 3-4, è riportato a
p. 229 di P. Allen, Scientific studies in the english University of 17th Century, in “Journal of the
History of Ideas “, X,3, (Apr. 1949) p. 219-253. [TRAD: Quindi, perseguivo studi più piacevoli/che allora non mi erano stati insegnati/Ero solito distrarre la mia mente e la mia fantasia/tuttavia con mappe celesti e terrestri/ mi allietava compagno il Sole vestito di raggi/conoscere con quale arte scandisce i nostri giorni/come Drake e Cavendish fecero un giro/ interamente attorno al mondo, quali climi hanno riscontrato/E mi sforzavo di trovare le più piccole cellule degli uomini/e i mostri dipinti nel loro recondito nascondiglio/No, c’è una pienezza nella geografia/poiché la natura ha sempre aborrito il vuoto].
161
nonostante le sue indubbie capacità logiche, seguirà con maggiore profitto le lezioni
di Harvey e Thomas Willis sino ad arrivare addirittura all’esercizio della professione
medica, piuttosto che raggiungere una certa abilità matematica.
Con l’accezione “matematico completo” intendo poi significare anche la poliedricità
e la polivalenza delle capacità sviluppate da John Greaves durante questo suo
percorso formativo. A differenza dei suoi predecessori, Greaves si dedicò con grande
solerzia ad ognuna delle principali applicazioni che avevano contraddistinto la
professione matematica nel corso del Rinascimento. Piuttosto che limitarsi ad una
conoscenza superficiale dell’opera di Euclide quale anticamera ad una carriera più
prestigiosa in altre discipline più redditizie (quali ad esempio l’insegnamento e
l’esercizio della professione medica) si cimentò nella ricerca e nella collazione di
manoscritti ai fini di ripristinare l’opera dei grandi tecnici di epoca alessandrina.
Anziché circoscrivere le proprie attività alla mera contemplazione degli spettacolari
risultati conseguiti nel campo della progettazione e realizzazione di nuovi strumenti e
modelli cosmologici, si adoperò costantemente nel dare impulso agli utilizzi pratici di
tali scoperte, portando a coesistere nella stessa persona –forse per la prima volta in
Inghilterra - le figure del bibliofilo collezionista, del gentiluomo erudito affascinato da
telescopi, orologi e strumenti di precisione, del practitioner
27dedito ad un uso
esclusivamente pratico e funzionale della scienza del calcolo e dell’osservazione
astronomica. Sull’esempio illustre di Henry Savile (1549–1622) coltivò i propri
interessi matematici anche nel corso dei suoi Grand Tour, collezionò e collazionò
manoscritti greci ed orientali, stabilì contatti e rapporti con alcuni dei principali
studiosi europei (che divennero suoi corrispondenti), senza tuttavia relegare la sua
attenzione nei confronti di tali ricerche ad una funzione secondaria, meramente
ancillare rispetto a tematiche antiquarie biblico-patristiche o religiose in genere. A
differenza di Thomas Allen (e del suo degno discepolo Sir Kenelm Digby) e dei
circoli cui Allen era connesso, l’interesse astrologico legato alla ricerca di criteri di
27 Mantenendo il termine in lingua originale intendo ricollegarmi alla tradizione “pratica” dei matematici inglesi isolata e descritta da E.G.R. Taylor in The Mathematical Practitioners of Tudor
and Stuart England, (Cambridge, 1954) . Taylor definisce practitioners quella schiera di
matematici dediti in maniera pressoché esclusiva alle applicazioni pratiche della matematica (da cui spesso traevano sostentamento) nella quale spiccano agrimensori, ingegneri e fabbricanti di strumenti che gran parte ebbero nell’apportare migliorie significative in svariati campi, conquistandosi un posto accanto a numerosi dei “volti noti” della storia della scienza. Questa tradizione ricevette un impulso fondamentale tramite la stampa; tra i practitioners si annoverano numerosi autori di manuali pratici in lingua vernacolare, che enfatizzavano l’importanza degli strumenti e del compiere osservazioni, rilevamenti e calcoli. Questi avrebbero trovato impiego nella produzione di mappe, atlanti e strumenti più raffinati. La matematica veniva presentata da tali autori principalmente quale attività legata ad ogni aspetto della vita quotidiana, in grado di garantire sia un pubblico vantaggio in ogni campo produttivo che un intimo, privato piacere.
162
interpretazione degli eventi celesti in funzione della previsione di eventi politico –
militari diviene trascurabile, per non dire pressoché inesistente. Le sue inclinazioni e
simpatie andavano decisamente verso un uso pratico e molto concreto della
matematica, legato alla risoluzione di alcuni dei problemi fondamentali della scienza
del periodo. Per quanto John Greaves sia un uomo intimamente legato al mondo
accademico, seppe infatti trascendere i generalmente rigidi confini legati alle
differenze nella pratica matematica che erano venuti a crearsi all’interno di ambienti
quali corti, centri urbani ed università
28, per fare propri i migliori risultati conseguiti
da ognuna di queste tradizioni. Nonostante le corti dei sovrani inglesi non vantassero
una tradizione consolidata nel patrocinio ufficiale dei matematici (con l’eccezione
rappresentata da Enrico VIII
29), il patronage rappresentò certamente uno dei
meccanismi fondamentali ai fini dell’emancipazione dei matematici dalla loro
posizione subordinata nelle gerarchie accademiche. Ad esercitarlo su larga scala in
Inghilterra fu soprattutto la grande aristocrazia titolata, che spesso accolse nelle
proprie case elementi di valore e persone dotate di competenze matematiche a fine di
prestigio, per impiegarne il talento in qualità di precettori
30o più prosaicamente con
l’intento di coinvolgerli in avventure commerciali e imprese marinare.
28
Sulle differenze riscontrabili tra queste tre distinte (anche se non completamente separate tra loro) tradizioni cfr. i lavori di M. Biagioli, “The social status of Italian mathematicians, 1450-1600”, in History of Science 27 (1989), pp. 41-95 e Stephen Johnston, “The identity of the mathematical practitioner in 16th-century England”, in (a cura di) Irmgarde Hantsche, Der
“mathematicus”: Zur Entwicklung und Bedeutung einer neuen Berufsgruppe in der Zeit Gerhard Mercators, Duisburger Mercator-Studien, vol. 4 (Bochum: Brockmeyer, 1996), pp. 93-120.; idem,
“Mathematical practitioners and instruments in Elizabethan England”, in Annals of Science, 48 (1991), pp. 319–44.
29
I soli precedenti significativi in questo campo sono rappresentati dal regno di Enrico VIII. Nel 1519, Nicolaus Kratzer venne nominato astronomo regio, dividendo più o meno equamente il suo tempo tra Londra ed Oxford. Dal 1537 anche il francese Sebastian Le Seney entrò al servizio del sovrano, producendo per lui alcuni strumenti, tra cui un astrolabio. Un altro francese (Jean Rotz) venne investito del titolo di idrografo reale nel 1542, realizzando una sorta di atlante dei fiumi inglesi rimasto manoscritto sotto il titolo di «boke of ydrography». Il valore di simili esperienze non va comunque sopravvalutato (almeno dal punto di vista scientifico), dato che Krazer fu affiancato sovente ad Holbein come coadiutore tecnico nella realizzazione di orologi “di lusso” e strumenti ideati come doni a ospiti di rilievo. Se la brevità e l’instabilità dei regni di Edoardo VI e Mary Tudor non permisero di continuare nel solco di tale tradizione, durante il lungo regno di Elisabetta non si presentano casi analoghi. Nonostante le sue conferenze con il dott. Dee (recentemente celebrate anche a livello cinematografico), la sua parsimonia non permise nemmeno al fidato magus di entrare ufficialmente al servizio della Corona.
30 I casi in questione sono numerosi: il più famoso negli anni di attività di John Greaves è certamente quello di Hobbes al servizio dei Cavendish per due generazioni. Lo stesso conte di Arundel seppe scegliere tra i precettori dei suoi figli anche matematici di primissimo livello. Il più importante fu William Oughtred, autore di uno dei pochi testi inglesi di matematica “pura” prodotti nella prima metà del Seicento. La Clavis Mathematica [1633] rappresentò un’opera fondamentale, destinata ad esercitare profonda influenza su numerosi tra i principali matematici formatisi nei decenni delle guerre civili che concorsero alla fondazione della Royal Society. Sui precettori impiegati dagli Howard conti di Arundel cfr. E. Chaney, The Grand Tour and the Great
163
Tuttavia, nel caso di John Greaves si assiste forse per la prima volta (almeno allo
stadio iniziale della sua carriera) ad una sorta di patrocinio interno alla comunità dei
matematici, che in nome di una sorta di fratellanza intellettuale -certamente tipica di
ogni gruppo di interesse corporativo- cercano di sostenersi a vicenda. Tale
cooperazione è svincolata da qualsiasi finalità religiosa, legata ad elementi utopistici o
ad un preciso modello filosofico; si tratta solamente di intellettuali che cercano di
promuovere la loro attività e procurare fonti di sostentamento e ricerca ad un
“confratello”. Nonostante il conservatorismo delle università e la mancanza di
impieghi ufficiali a corte, i matematici inglesi beneficiavano della fortuna di
un’istituzione quale il Gresham College, fondata tramite il lascito testamentario di
Thomas Gresham nel 1570. Quando la cattedra di geometria si rese vacante nel 1630
per l’abbandono di Peter Turner
31, i colleghi si affrettano ad inviare la seguente
commendatizia agli Aldermen di Londra al fine di farlo eleggere:
“Whereas Mr. John Greaves, master of Arts, and Fellow of Merton College in Oxford, hath
desired Letters testimoniall concerning his sufficiency in the mathemathicks: We, whose names are underwritten, having knowledge of him, some by daily conversation, others by conference with him, or by the report by credible persons and competent judges of his sufficiency in these arts, do testify, that he is a man very sufficiently qualified for the reading of a Lecture in that faculty. In witnesse whereof we have put our hands to these presents.
Na.[thaniel] Brent, Warden Pet.[er] Turner Will.[iam] Boswell”32
È significativo infatti, che a farsi garante delle conoscenze matematiche di Greaves
siano esponenti legati ad ambienti e situazioni diverse: non solamente il suo
predecessore a Gresham, quanto anche il rettore del suo college ad Oxford ed il
residente inglese nelle Province Unite. Diverse sono anche le posizioni espresse dai
firmatari, che a nome collettivo sostengono di conoscere il loro candidato, di avere
avuto colloqui quotidiani in materia di discipline matematiche, oppure di aver
ricevuto il «report of credible persons and competent judges» in merito alle sue
capacità. Tale ultima affermazione riguarda quasi certamente l’intervento di William
Boswell, dotato di una certa influenza presso il consiglio municipale londinese senza
1985, spec. p.263. Le brillanti note che corredano questo lavoro costituiscono una autentica miniera di informazioni, che mi sono state di indicibile aiuto ai fini di ricostruire le relazioni personali ed intellettuali di numerosi dei protagonisti delle mie pagine. Sull’influenza di Oughtred su matematici come Thomas Moore e John Wallis rimando alle esaurienti pagine di F. Willmoth,
Sir Jonas Moore: Practical Mathematicks and Restoration Science, Boydell,1991, pp. 50-68.
31 Tra le condizioni vincolanti richieste ai professori dallo statuto di questa istituzione figurava il celibato; con la scelta di sposarsi un professore era costretto alle dimissioni. Nel caso di Turner, tuttavia, la causa è un’altra: con la nomina a professore saviliano di Geometria, otteneva un incarico più prestigioso e remunerativo.
164
essere considerato troppo vicino alla corte; il suo intervento doveva essere stato
probabilmente sollecitato da altri matematici come Henry Briggs e John Bainbridge,
mentori di Greaves ad Oxford e suoi predecessori nel corpo docente presso
l’istituzione londinese. Per quanto si tratti solo di un’ipotesi, costoro sembrano i
principali candidati a incarnare le «credible persons and competent judges»
menzionati nella lettera. La sua nomina doveva comunque mettere d’accordo tutti;
Turner si dimette il 20 Febbraio del 1631, Greaves gli subentra solo 2 giorni dopo,
pur restando iscritto come Fellow a Merton e mantenendo il ruolo nella gerarchia
accademica oxoniense per conservare il grado e maturare anzianità
33.
Delle lezioni che doveva tenere ogni giovedì a Gresham non si conservano
purtroppo che poche tracce, vergate in appunti manoscritti; tuttavia le inclinazioni
verso la matematica pratica dimostrate da John Greaves nel corso della sua carriera
lasciano intendere che non avesse alcuna difficoltà nel padroneggiare le basi della
trigonometria e nello spiegare a cittadini, mercanti e navigatori il funzionamento dei
principali strumenti astronomici. Sebbene a Gresham College Greaves fosse titolare
dell’insegnamento di geometria e non avesse a disposizione un osservatorio vero e
proprio, nei suoi alloggi sembra aver condotto misurazioni e calcoli astronomici
legati allo studio del percorso degli astri sulla volta celeste
34, dimostrando anche una
certa considerazione e familiarità con le recenti pubblicazioni di Keplero (e non il
Keplero “mistico” dell’Armonice Mundi o del Misterium cosmographicum, quanto piuttosto
il Keplero maturo, impegnato ad imbrigliare l’universo nelle sue tuttora valide leggi).
Allo stesso tempo, nonostante la costante pratica dell’insegnamento, non dovette
trascurare nel tempo libero la dimensione antiquaria dei suoi studi matematici;
piuttosto che concentrarsi su testi classici come aveva fatto Henry Savile
35,
l’attenzione di Greaves si focalizzò rapidamente verso testi scientifici prodotti in
epoche anteriori. Certamente l’opera di Euclide e dei tecnici alessandrini (Erone su
tutti) costituiva un caposaldo imprescindibile in questo campo, ma gli orizzonti del
33 Generalmente la posizione nel corpo docente di Gresham e all’interno dell’università erano giudicate incompatibili; tuttavia esistevano precedenti nel mantenimento di entrambe le cariche. Lo Peter Turner era rimasto iscritto come Fellow nei registri dell’università di Oxford durante i dieci anni della sua docenza a Gresham.
34 Nelle minute delle lettere di John Greaves conservate presso la British Library capita sovente di imbattersi in annotazioni marginali e notazioni inerenti a calcoli, spesso vergati in calce al testo delle lettere che si accingeva a spedire. Molti di questi sono su scala sessagesimale, come ad es. quelli riportati in calce a ch. 72 di BL, Additional Manuscripts, 72439, una miscellanea in fogli sciolti appartenente alla serie dei Trumbull Papers. La mano sembra essere la stessa dell’autore delle lettere.
35 Nella seconda parte della sua carriera Henry Savile fu curatore di una edizione filologicamente pregevole delle opere di Diodoro Siculo, stampata in 8volumi a Oxford nel 1580, e successivamente (1591) pubblicò in traduzione gli Annales di Tacito.
165
matematico Oxoniense si allargarono presto verso gli astronomi ed i commentatori
arabi. Con un’intuizione che si rivelerà giusta, Greaves in qualche modo si convinse
che l’opera dei grandi studiosi arabi del Medioevo poteva restituire frammenti perduti
del patrimonio del sapere classico e sanarne alcune lacune. Lo stesso testo di Euclide
era giunto mutilo del sesto libro. A differenza di numerosi contemporanei, Greaves
era affascinato dalle conoscenze possedute dai grandi astronomi arabi del tardo
Medioevo, principalmente legati alla scuola astronomica sorta a Samarcanda sotto
l’egida di Ulug Bek. Per conoscere tali autori era necessario avvicinarsi ai loro testi,
rimasti in gran parte inediti. È per questo motivo che Greaves si avvicinò
precocemente allo studio della lingua araba e degli altri idiomi orientali, giungendo -se
non a rovesciare completamente la gerarchia che poneva generalmente la matematica
in funzione sussidiaria rispetto ad altre arti liberali- a creare nella sua esperienza
intellettuale quell’armonica sinergia tra queste due grandi branche di studi che è tipica
del virtuoso.
2. Per un panorama degli studi orientali
Thomas Birch -uno dei suoi primi biografi- sostiene che Greaves iniziò a
familiarizzarsi con gli autori orientali sin da quando studiava ad Oxford, coltivando lo
studio di «Greek, Arabian, and Persian authors in that science similar to him, having
before gained an accurate skill in the oriental language»
36. Come abbia avuto modo di
avvicinarsi a tali studi resta oggetto di speculazione, data la relativa rarità dei
conoscitori e degli studiosi della lingua araba nell’Europa occidentale. Tuttavia, ai
fini di soddisfare tale curiosità, deve essersi trovato in condizioni decisamente
migliori rispetto a quelle narrate da John Wallis nell’autobiografia
37in merito alla sua
iniziazione agli studi matematici.
36 Cfr. T. Birch, Miscellaneous Works Of Mr. John Greaves, op. cit., vol. I p. III
37 L’episodio, ben conosciuto alla storiografia, narra come Wallis si sia imbattuto nell’opera di Henry Briggs Durante gli otto anni trascorsi all’Emmanuel College di Cambridge (1632-40), sostiene di essersi dedicato agli studi matematici «not as a formal Study, but as a pleasing Diversion, at spare hours; as book of Aritmetick, or others Mathematicall fell occasionally in his way. […] I had none to direct me, what books to read, or what to seek or in what Method to procede. For Mathematicks (at that time, with us) were scarce looked upon as Academical Studies, but rather Mechanical; as the business of Traders, Merchants, Seamen, Carpenters, Surveyors of Lands, or the like; and perhaps some Almanack- makers in London. And amongst more than Two-Hundred Students (at that time) in our College, I do not know of any two (perhaps not any) who had more of Mathematicks than I (if so much) which was then but little; […] For the Study of Mathematicks was at that time more cultivated in London than in the Universities». John Wallis (1616-1703) Matematico (impiegato addirittura dal Long Parliament per violare i cifrari realisti),
166
Dopo un periodo di relativo “disprezzo”, con cui l’epoca umanistica
38aveva
giudicato le traduzioni e le compilazioni arabe di Aristotele sostenendo la necessità di
tornare sugli originali greci per potersi riappropriare della letteratura classica,
l’interesse per le lingue orientali conobbe una significativa rinascita nel XVII sec.
Mentre un’istituzione come il Collegio Trilingue di Lovanio prevedeva nel disegno di
Erasmo l’insegnamento esclusivo del greco, del latino e dell’ebraico, nel 1632
Cambridge arriverà ad istituire una cattedra per l’insegnamento della lingua araba,
seguita a breve distanza da Oxford (1635). Con le riforme statutarie dello stesso
periodo lo studio delle lingue orientali sarà addirittura inserito all’interno del
curriculum obbligatorio dell’undergraduated. L’interesse suscitato dalle culture orientali
nel periodo ha molteplici presupposti. Se il progressivo spostarsi dei traffici delle
spezie dal dorso del cammello arabo alla stiva di nave portoghese rendeva meno
necessaria la conoscenza del “nemico”, grande attenzione iniziavano ad attirare le
numerose minoranze cristiane (maroniti, armeni, ecc.) che vivevano a stretto contatto
con la Sublime Porta e che spesso si servivano della lingua araba come principale
veicolo di comunicazione. Con la Riforma specialmente, l’attenzione nei confronti
delle Chiese che si erano separate da Roma acquisiva consistenza e rinnovato vigore:
specialmente agli occhi degli inglesi costoro divenivano una sorta di precursori,
antesignani della loro separazione da Roma e dal Papa, cui guardare non tanto come
modelli, quanto piuttosto come possibili alleati nell’opposizione al cattolicesimo
39.
vicino a John Wilkins e al Club di filosofia sperimentale sorto ad Oxford intorno al 1645. Fu a lungo professore saviliano di geometria, membro fondatore della Royal Society e suo segretario nell’ultima decade del Seicento. Tra i pionieri negli studi della geometria analitica e nel calcolo differenziale, viene ricordato come colui che introdusse i principi di analogia e continuità alle scienze matematiche. Su di lui cfr. DNB, vol. XX, pp. 598-602 (la voce è stata redatta da A. M. Clerk).
38 Tale disprezzo non si era infatti limitato temporalmente al primo umanesimo: anche Bacone perpetuava la sfiducia nei confronti degli autori arabi nei suoi scritti. Cfr. Ad es. Questo passaggio del Novum Organum, citato in G. A. Russel, “Introduction. The Seventeenth-Century: the Age of «Arabick»”, in (a cura di) G. A. Russel, The 'arabick' interest of the natural philosophers in
seventeenth-century England. Leiden, Brill, 1994, p. 11: «The intervening ages of the World, in
respect to any rich and flourishing growth of the sciences, were unprosperous. For neither Arabians nor the Schoolmen need to be mentioned, who in the intermediate times rather crushed the sciences with a multitude of treatises, than increased their weight» (in New Organon 4:77) 39 Anche a Roma l’importanza delle comunità cristiane che parlano l’arabo venne percepita chiaramente in quel periodo. La principale iniziativa in proposito è rappresentata dalla creazione del Collegio Maronita a Roma (1584), che non rappresentò esclusivamente uno strumento di formazione di conversi che appartenevano in precedenza alle confessioni cristiane d’Oriente. Il Collegio arriva a dotarsi di un insegnante “madrelingua” come Gabriel Sionita (Jibrā’il al Sāhyūnī), che ricoprirà un ruolo centrale nello sviluppo degli studi orientali del suo tempo. Sionita insegnò arabo a Venezia e Roma, per trasferirsi poi a Parigi e allargare la sua docenza anche a studenti provenienti dalle nazioni riformate. Tra i suoi allievi figurano numerosi dei protagonisti delle prossime pagine, tra cui Matthias Pasor, che divenne professore di matematica a Heidelberg, ed Erpenius, un erudito fiammingo. Anche Edward Pocock (probabilmente il più grande arabista del suo tempo) si ferma a Parigi non solo per incontrare Grozio, ma anche Sionita.
167
Una ulteriore spinta verso lo studio dell’arabo viene dal fatto che alcuni dei primi
orientalisti cercarono di familiarizzarsi con tutte le lingue semite indistintamente
anche per aiutarsi in quello che era diventato un compito fondamentale per tutte le
confessioni cristiane: l’esegesi biblica e la preparazione di una edizione della Bibbia
filologicamente ineccepibile
40. Insieme al siriaco e all’aramaico, la lingua araba viene
guardata come una delle risorse filologiche in grado di risolvere i problemi posti dai
passi controversi della scrittura, in quanto erroneamente ritenuta derivata
dall’ebraico. Il ritorno del naviglio inglese nel Mediterraneo e la fondazione della
Levant Company
41comportavano poi maggiori contatti con l’Oriente, generando
ulteriore domanda di mediatori in grado di comunicare con le autorità locali.
Questi alcuni dei fattori principali che concorrono a spiegare l’attenzione in John
Greaves e numerosi tra i suoi contemporanei in merito allo studio delle lingue
orientali. Gli ecclesiastici in modo particolare ricoprirono un ruolo fondamentale
nello sviluppo di tale tendenza: un’infarinatura di arabo veniva considerata
conoscenza propedeutica per i futuri Doctors of Divinity al fine di migliorare e affinare
le loro conoscenze di ebraico. Il primo fautore di tale convinzione in Inghilterra fu
probabilmente il vescovo di Winchester Lancelot Andrews, che nella sua funzione di
Master a Pembroke Hall (Cambridge) patrocinò l’introduzione nel corpo insegnanti
di William Bedwell, il primo professore inglese ad insegnare la lingua araba in patria
42.
Bedwell iniziò a familiarizzarsi con gli autori arabi avendo a disposizione solamente la
farraginosa grammatica pubblicata da Guillame Postel ed il dizionario arabo dello
40 Non è un caso che l’arabistica risorga in coincidenza con la competizione internazionale legata alla produzione delle Bibbie Poliglotte: la Francia di Richelieu vara questo progetto nel 1626, che viene terminato dopo la morte del Cardinale. La risposta inglese apparve in sei volumi sotto la guida di Walton (1654-7), in piena epoca protettorale.
41 Nel 1580/1, grazie alla mediazione di William Harbone (per quanto si trattasse di un mercante e non fosse provvisto di credenziali, può essere considerato a tutti gli effetti il primo residente inglese presso la Sublime Porta) il sultano Murad III si dichiarò disposto a garantire agli inglesi il privilegio fiscale di non tassare per la loro differenza di fede coloro che vengono a stabilirsi a Costantinopoli a scopo commerciale. Con il rinnovo di tale offerta nel 1583, Harbone ottenne da Elisabetta una patente che dava licenza alla costituzione di una compagnia monopolistica. La Turkey Company (che aveva redatto uno statuto preliminare nel 1581) nel 1590 verrà rinominata Levant Company, con sedi principali in oriente a Costantinopoli, Aleppo e Smirne. Sull’argomento cfr. di H.G. Rawlinson, “The Embassy of William Harborne to Constantinople, 1583-8” in Transactions of the Royal Historical Society (1922) e Benrard Lewis, The Muslim
Discovery of Europe , London, Weidenfeld & Nicholson Ltd., 1982, spec. pp. 48,49 e ss.gg.
42 William Bedwell è una figura più conosciuta agli storici per la sua partecipazione all’edizione della King’s Bible. Nel saggio di P. M. Holt, “Background to Arabic studies in seventeenth-century England”, contenuto in (a cura di) G. A. Russel, The 'arabick' interest of the natural
philosophers in seventeenth-century England., op. cit. p.20 mi è capitato di imbattermi nella figura
di Robert Wakefeld (†1537) , un sacerdote cattolico dello Yorkshire laureatosi a Cambridge che si recò sul continente per studiare l’Ebraico, il Siriano e un po’ di arabo. Insegnò per breve tempo a Tubinga e Parigi, prima di ritornare in Inghilterra e divenire il cappellano di Enrico VIII (1519). Non sono riuscito a reperire ulteriori informazioni su di lui per appurare cosa insegnasse durante la sua docenza in queste università.
168
stampatore Raphelengius
43: ma nonostante fosse sostanzialmente un autodidatta,
riuscì ad acquisire notevole dimestichezza con questi studi, realizzando anche una
traduzione araba delle epistole apocrife di S. Giovanni. Oltre a porre le basi
dell’arabistica inglese, Bedwell fu il principale responsabile della costituzione di una
rete di comunicazione intellettuale su scala internazionale, che venne a costituire una
sorta di piccola “repubblica degli arabisti” all’interno della repubblica delle lettere.
Tra i principali link di questa comunità, che dimostra considerevole apertura nei
confronti di studiosi appartenenti ad ogni credo religioso, figurano Gabriel Sionita a
Parigi, ed il suo allievo fiammingo Erpenius, chiamato a ripristinare l’insegnamento
della lingua araba a Leida dopo dodici anni di silenzio della cattedra
44. Questo
“triangolo”, i cui vertici possono essere individuati tra l’Inghilterra, Leida e Parigi,
costituisce il nucleo propulsore degli studi orientali nel Nordeuropa, in quanto
promotore di numerose iniziative volte ad incrementare tale disciplina. Alla chiusura
della stamperia di Raphelengius, Bedwell ne acquisì i caratteri tipografici con
l’intenzione di impiantare questa attività in Inghilterra, al fine di pubblicare il lessico
arabo che stava realizzando
45. Alla cooperazione tra Bedwell e Erpenius si deve poi
l’arrivo in Inghilterra di Abudacnus
46, che rappresentò il primo anello di
collegamento tra l’Inghilterra e la lingua etiopica.
43Se già dal 1585 dei caratteri arabi erano in uso nella tipografia Medici a Roma, è a Leida che viene fondata la prima stamperia specializzata in testi in lingua araba. A impiantarla è Franciscus Raphelengius (1539-97) un apprendista dei Plantin di Anversa che decide di mettersi in proprio dopo essere stato il responsabile della sede di Leida aperta da Christoffel Plantin. Nonostante avesse studiato e visitato Cambridge, è per la maggior parte un autodidatta, che arriva a comporre un dizionario della lingua araba. Nel 1586 era stato chiamato ad insegnare ebraico presso l’università di Leida. I figli continueranno la tradizione editoriale paterna e pubblicheranno le traduzione delle epistole di S. Giovanni in arabo realizzata da Bedwell. Cfr. J. Brugman, “Arabic Scholarship”, pp.203-16 in (a cura di) GHM Posthumus Meyjes / T. H. Lunsingh Scheurleer,
Leyden University in Seventeenth Century. An Exchange of Learning, Leyden, Brill, 1975.
44 Dal 1599 al 1601, l’ebreo aschenazita Ferdinando Neophita aveva tenuto lezioni di arabo presso l’Università di Leida; l’insegnamento era poi decaduto. Erpenius è la latinizzazione di Thomas von Erpen, iscrittosi come studente di teologia in quello stesso ateneo nel 1602. Dopo aver studiato i primi rudimenti di arabo a Parigi presso Sionita, nel 1609 -tramite la mediazione di Giuseppe Scaligero- Erpenius si recò in Inghilterra per studiare con Bedwell ed approfondire le sue conoscenze. Cfr. J. Brugman, Arabic Scholarship, op. cit., p. 208.
45 Il lessico rimase inedito, dato che l’autore non riuscì a servirsi di questo set di caratteri (giunti incompleti). Anche i caratteri arabi della stamperia laudiana fondata ad Oxford nel 1637 al fine di patrocinare la pubblicazione delle opere di testi orientali erano stati fusi a Leida, ma vennero impiegati in un periodo decisamente posteriore.
46 Abudacnus (Yūsuf Abū Daquan), è uno studioso egiziano giunto a Roma nel 1595 con una lettera del patriarca Copto di Alessandria per Clemente VIII. Convertitosi al cattolicesimo, si recò a Parigi. Assieme a Sionita, fu uno degli insegnanti del giovane Erpenius, che raggiunse nuovamente a Leida dopo la sua nomina a professore di arabo presso l’università. Erpenius lo inviò in Inghilterra con una lettera di raccomandazione per Bedwell dove Abudancus giunse nell’estate del 1610. Sotto le pressioni di Bedwell e di Isaac Casaubon l’allora primate d’Inghilterra Richard Bancroft lo indirizzò alla volta del vicecancelliere di Oxford John King. Qui sembra avere speso gran parte del suo tempo presso la Bodleian Library, guadagnandosi la stima di Bodley e del suo primo bibliotecario Thomas James. Rimase sino al 1613, quando grazie
169
Nonostante John Greaves fosse un Oxford-man, l’influenza di Bedwell e del suo
lavoro deve essere stata notevole. Se non se ne può parlare a livello di formazione
diretta (nel corso delle mie ricerche non ho rinvenuto alcun contatto epistolare tra i
due), costui formò le conoscenze in lingue orientali di numerosi tra gli interlocutori
principali con cui Greaves ebbe modo di confrontarsi nel corso della sua carriera. Tra
questi figura certamente Matthias Pasor, un rifugiato dal Palatinato invaso che aveva
iniziato a studiare arabo a Parigi sotto l’egida di Sionita. Pasor, che in precedenza
insegnava matematica ad Heidelberg, fu accolto con benevolenza in Inghilterra, dove
ricevette il permesso di insegnare presso l’Università di Oxford, in cui si stabilì
(primavera 1624)
47. L’arrivo di Pasor ad Oxford, che si colloca in contemporanea
all’ingresso di Greaves come fellow deve aver rappresentato uno degli eventi
fondamentali all’interno del percorso formativo di quest’ultimo. Un prezioso
interlocutore di Greaves nello studio della lingua araba fu certamente un altro celebre
studente dell’Università di Oxford, di un anno più giovane di lui, destinato a divenire
il più grande arabista del suo tempo. Si tratta di Edward Pococke. Nato a Oxford nel
1604, anche Pococke era figlio di un ministro del culto anglicano. Sulle orme del
padre si era immatricolato a Magdalen Hall il 4 giugno del 1619, passando poi l’anno
successivo a Corpus Christi College, dove studiò greco ed ebraico sotto la tutela di
Gamaliel Chase. Durante il cursus studentesco (BA il 28/11/1622, MA il 28/3/1626)
iniziò a frequentare le lezioni di arabo tenute in forma extracurricolare da Matthias
Pasor sin dal 1626, sviluppando così quello che resterà l’interesse principale della sua
vita di studioso. Giudicando insufficienti i rudimenti di arabo appresi, Pococke si
rivolse anche a Bedwell, visitando spesso la sua residenza di Tottenham High Cross a
Londra, collegata al beneficio ecclesiastico di cui era detentore. Il primo incontro tra
Pococke e Greaves, due giovani studiosi con molto in comune anche dal punto di
all’ambasciatore delle Fiandre in Inghilterra Ferdinand de Boisschot ottenne una commendatizia per andare a insegnare Arabo ed Ebraico a Lovanio, da cui venne letteralmente cacciato nel 1617 a causa dell’animosità di colleghi ostili. Recatosi in Baviera nel 1618, soggiornò anche a Linz e Vienna. Con l’appoggio del bibliotecario imperiale, Sebastian Tengnagel (amico e corrispondente dello stesso Keplero) venne nominato dragomanno presso la città di Costantinopoli, posizione che mantenne per oltre due decenni. Fu autore di un testo sulla storia della chiesa giacobita (copta), che godette di grande fortuna e considerazione tra gli orientalisti inglesi. Per maggiori notizie su Abudacnus cfr. Alastar Hamilton “The English interest in the Arabic-speaking Christians”, in (a cura di) G. A. Russel, The 'arabick' interest, op. cit., . p.39.
47 Su M. Pasor cfr. specialmente il saggio di M. Feingold, “Oriental Studies” in (a cura di) N. Tyacke, Seventheeth Century – Oxford, vol. IV della History of University of Oxford, Oxford, Clarendon Press, 1997, pp. 449-503. Dello stesso autore cfr. poi “Patrons and professors : the origins and motives for the endowment of university chairs - in particular the Laudian professorship of Arabic”, in (a cura di) G. A. Russel, The 'arabick' interest, op. cit., pp. 109-27. La prolusione accademica con cui inaugurò la sua attività pubblica di docente (25 Ottobre 1626) venne stampata con il titolo di Oratio pro linguae Arabicae professione (Oxford, 1627).