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Anno CXVI (LII della 7aSerie) Novembre 2011 Fascicolo XI

LA GIUSTIZIA PENALE

Rivista mensile di Dottrina, Giurisprudenza e Legislazione

FONDATA NELL’ANNO 1893 DA GENNARO ESCOBEDO

Prof. Avv. GIUSEPPE SABATINI

COMITATO SCIENTIFICO

FERRANDO MANTOVANI

Ordinario di diritto penale

CORRADO CARNEVALE

Presidente di Sezione della Corte di cassazione

ORESTE DOMINIONI

Ordinario di procedura penale

CARLO FEDERICO GROSSO

Ordinario di diritto penale

GIORGIO SANTACROCE

Presidente della Corte di Appello di Roma

GIORGIO SPANGHER

Ordinario di procedura penale

GIOVANNI CONSO

Ordinario di procedura penale Pres. em. Corte Costituzionale

PAOLO DELL’ANNO

Ordinario di diritto amministrativo

ANGELO GIARDA

Ordinario di procedura penale

GIUSEPPE RICCIO

Ordinario di procedura penale

VINCENZO SCORDAMAGLIA

Ordinario di diritto penale

NATALE MARIO DI LUCA

Ordinario di medicina legale

REDAZIONE: FRANCESCO BRUNO, Titolare cattedra criminologia Univ. di Roma “La Sapienza”; DIANA CAMINITI, Magistrato; ANTONELLA DE BENEDICTIS, Avvocato; ALESSANDRO DIDDI, Ricercatore procedura penale Univ. di Roma “Tor Vergata”; FILIPPO DINACCI, Professore associato procedura penale Univ. di Bergamo; FRANCESCO FALCINELLI, Avvocato; VANIA MAFFEO, Ricercatore procedura penale Univ. di Napoli “Federico II”; MARCO MARIA MONA- CO, Dottore di Ricerca procedura penale; GIUSEPPE NOVIELLO, Magistrato; NITTO FRANCE- SCO PALMA, Magistrato; GIADA PAPA, Avvocato; FEDERICA PUGLIESE, Avvocato; Dott.ssa FRANCESCA ROSSO; PIER GERARDO SANTORO, Avvocato; PAOLO SIRLEO, Magistrato;

DELIO SPAGNOLO, Magistrato; ROBERTO STAFFA, Magistrato; Dott.ssa TIZIANA TREVISSON LUPACCHINI, Università “Tor Vergata” di Roma.

On line: www.lagiustiziapenale.org - webmaster e digital edition (ebook):

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GIÀ DIRETTA DAL

PIETRO NOCITA

D

Diirreettttoorree RReessppoonnssaabbiillee

ISSN 1971 - 4998

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LA GIUSTIZIA PENALE si pubblica in fascicoli divisi in tre parti: la prima parte (di almeno dodici sedicesimi annui) è dedicata ai Presupposti del Diritto e della Procedura penale; la seconda parte (di almeno ventisette sedicesimi annui) è dedicata al Diritto penale (Codice penale e leggi penali speciali); la terza parte (di almeno quindici sedicesimi annui) è dedi- cata alla Procedura penale (Codice di procedura penale e leggi penali speciali).

Ogni parte ha una numerazione autonoma: l’Indice è comune alle tre parti. Ai dodici fascicoli mensili segue un Indice generale annuale, con riferimento ai singoli articoli dei Codici e delle leggi speciali nonché un elenco cronologico delle sen- tenze riprodotte per esteso o per massima, con indice alfabetico delle parti a cui si riferiscono le sentenze, con indice anali- tico alfabetico delle parti a cui si riferiscono le sentenze, con indice analitico alfabetico e della bibliografia.

A) La Prima parte (I presupposti del diritto e della Procedura penale) contiene:

a) articoli originali, memorie e studi relativi alla criminologia, alla psichiatria, alla medicina legale, all’antropologia criminale, al diritto penitenziario, alle discipline ausiliarie del diritto e della procedura penale, al diritto internazionale, costi- tuzionale, amministrativo e civile;

b) sentenze con note critiche;

c) recensioni e bollettino bibliografico della dottrina italiana e straniera, relativi alle scienze sopra ricordate e alle scien- ze giuridiche e sociali in genere;

d) resoconti e commenti;

e) varietà.

B) La Seconda parte (Diritto Penale) e la Terza parte (Procedura Penale) contengono:

a) articoli originali di dottrina;

b) le principali sentenze per esteso, della Corte Suprema di Cassazione, del Tribunale Supremo Militare e dei giudici di merito, con note critiche e di commento;

c) massimario completo della giurisprudenza penale della Corte Suprema di Cassazione e massimario della giuri- sprudenza civile relativa ai rapporti fra giudizio civile e giudizio penale, alla responsabilità civile, alla circolazione stra- dale, con note di richiami;

d) massimario di giurisprudenza della Corte di cassazione interna di diritto e procedura penale militare;

e) dibattiti sui più importanti problemi e sulle questioni controverse in materia penale;

f) recensioni delle opere giuridiche italiane e straniere;

g) bollettino bibliografico delle pubblicazioni giuridiche con speciale riguardo alla duplice parte della dottrina;

h) sunti degli articoli pubblicati nelle Riviste italiane e straniere.

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Coordinatrice Anna Mascoli Sabatini

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DIBATTITI

ABU AWWAD V., Dalla sentenza El Dridi alla legge

129/2011: nuove disposizioni in merito alle procedu- re di allontanamento dello straniero irregolare, II,

FIORDALISI D., Il dubbio sui presupposti delle con- 611.

dotte di ricettazione ed incauto acquisto, II, 621.

VENERUSO D., Profili criminologici della violenza in

famiglia, I, 313.

NOTE A SENTENZA

CASANA A., Delitti contro la personalità dello Stato, II, 577.

FALATO F., Sentenza di non luogo a procedere: limiti

in fattispecie di reato associativo, III, 610.

LUDOVICI L., La regola dell’inoperatività della retro-

datazione dei termini cautelari in presenza di un giudicato di condanna al vaglio della Corte costitu- zionale: caduta di un (irragionevole) “tabù”, I, 297.

PINNA E., Configurabilità e limiti del concorso nel

delitto di emissione di fatture operazioni inesistenti,

II, 583.

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DECISIONI DELLA CORTE

MISURE CAUTELARI — Criteri di scelta - Gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art.

74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 - Obbligatorietà della custodia cautelare salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautela- ri - Omessa salvezza dell’ipotesi in cui siano acqui- siti elementi specifici dai quali risulti che le esigen- ze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure - Violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, del minor sacrificio necessario alla libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel- l’applicazione delle misure cautelari - Contrasto con la presunzione di non colpevolezza dell’imputato sino alla condanna definitiva - Illegittimità in parte qua, I, 289.

MISURE CAUTELARI PERSONALI — Termini di durata - Computo - Pluralità di ordinanze emesse per fatti diversi - Giudicato di condanna formatosi in relazione ai fatti di cui alla prima ordinanza ante- riormente alla emissione delle ordinanze successive - Inoperatività della retrodatazione - Violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza nonché del principio di predeterminazione legale dei termini

S O M M A R I O

S O M M A R I O

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massimi di durata – Illegittimità in parte qua, I, 296.

PERSONE GIURIDICHE ED ENTI PRIVI DI PERSONALITÀ GIURIDICA — Responsabilità amministrativa - notificazioni - Soggetto destinata- rio - Legale rappresentante che sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo - Incompatibilità - Omessa previsione - Denunciata violazione del principio di ragionevolezza, del dirit- to di difesa, delle garanzie del giusto processo non- ché asserito contrasto con la legge delega - Erroneità del presupposto interpretativo ed errata individua- zione della norma impugnata questione di illegitti- mità inammissibile, I, 306.

GIURISPRUDENZA INDICE PER MATERIA

APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI — Abolitio criminis con effetto par- zialmente abrogativo, sopravvenuta la decisione impugnata, su fattispecie di reato che abbiano for- mato oggetto dell’accordo - Effetti - Fattispecie rela- tiva all’abolitio del reato di bancarotta fraudolenta impropria, III, 633, 218.

APPROPRIAZIONE INDEBITA — Ingiusto profitto - Natura - Non necessariamente patrimoniale, II, 601, ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE — Associa- 208.

zione finalizzata alla commissione di reati contro la P.A. - Partecipazione di soggetti appartenenti alla P.A. - Necessità - Esclusione, III, 608.

ATTI PROCESSUALI — Traduzione degli atti - Soggetto che abbia svolto nello stesso procedimento il compito di trascrivere le registrazioni delle comu- nicazioni intercettate - Incompatibilità con l’ufficio di interprete o di incaricato della traduzione in lin- gua italiana delle stesse comunicazioni - Sussistenza, III, 600.

BELLEZZE NATURALI — Beni culturali - Qualificazione con un provvedimento della P.A. - Necessità - Esclusione - Beni appartenenti ad enti ecclesiastici civilmente riconosciuti - Configurabi- lità - Fattispecie relativa a una statuetta lignea del diciottesimo secolo appartenente a una chiesa, II, 601, 209.

CALUNNIA — Dichiarazione non veritiera resa all’au- torità di polizia da persona offesa dal delitto di atti persecutori che non abbia presentato querela - Configurabilità - Esclusione, II, 602, 210.

CASSAZIONE (RICORSO PER) — Motivi - Mancanza dei decreti autorizzativi delle intercetta- zioni - Deducibilità per la prima volta in sede di legittimità - Esclusione, III, 633, 219.

CIRCOSTANZE DEL REATO — Circostanze atte- nuanti comuni – Riparazione del danno - Delitto di rapina - Integralità del risarcimento - Estensione, II, 602, 211

DISTRUZIONE, SOPPRESSIONE O SOTTRAZIONE

— Occultamento di cadavere - Condotta - Sistemazione del cadavere in modo da ritardare il ritrovamento per un tempo apprezzabile - Sufficienza - Fattispecie relativa a collocamento par- ziale del cadavere in una macchia di rovi posta in zona isolata, II, 603, 212.

EDILIZIA — Condono edilizio previsto dal decreto- legge n. 269 del 2003 - Costruzione non residenzia- le - Inapplicabilità - Esclusione, II, 603, 213.

Condono edilizio previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003 - Domanda di condono edilizio - Silenzio - Assenso - Formazione – Condizioni, II, 604, 214 ESTORSIONE — Circostanze aggravanti speciali -

Commissione del reato da parte di più persone riuni- te - Nozione, II, 599.

Intermediario che per incarico e nell’esclusivo inte- resse della vittima di un furto ne contatti gli autori per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro senza conseguirne alcu- na parte - Configurabilità del reato - Esclusione, II, FRODE INFORMATICA — Introduzione nel sistema 599.

informatico postale tramite uso abusivo di chiavi personali di accesso per il trasferimento fraudolento di somme depositate in conto corrente postale - Configurabilità del delitto di frode informatica e non di accesso a un sistema informatico o telematico, II, 604, 215.

GIUDIZIO ABBREVIATO — Richiesta di interrogato- rio da parte dell’imputato - Ammissibilità, III, 634, GIUDIZIO DIRETTISSIMO — Tribunale monocratico 220.

investito della richiesta di convalida dell’arresto e del contestuale giudizio direttissimo - Mancata pre- sentazione dell’imputato evaso dagli arresti domici- liari - Omessa pronuncia sulla richiesta di convalida - Illegittimità, III, 635, 221.

GIUDIZIO DI RINVIO - Annullamento parziale sul punto relativo alla determinazione della pena - Formazione del giudicato sulla condanna - Sopravvenuta declaratoria di incompatibilità della norma incriminatrice con il diritto comunitario pro- nunciata dalla Corte di Giustizia Europea - Vincolatività per il giudice del rinvio - Fattispecie relativa al reato di vendita di supporti privi di con- trassegno della S.I.A.E, III, 635, 222.

INDAGINI PRELIMINARI — Sentenza del g.i.p. di non doversi procedere per intervenuta oblazione senza previa trasmissione degli atti al P.M. per le sue determinazioni - Provvedimento abnorme, III, 636, INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O 223.

S O M M A R I O

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COMUNICAZIONI — Identificazione anagrafica preventiva degli interlocutori - Necessità ai fini del- l’utilizzabilità - Esclusione - Valutazione del conte- nuto e del tenore delle comunicazioni intercettate - Sufficienza, III, 636, 224.

Reato di truffa aggravata in danno dello Stato - Ammissibilità - Esclusione, III, 637, 225.

MANDATO DI ARRESTO EUROPEO — Consegna per l’estero - Decisione - Condizioni - Doppia puni- bilità - Reati in materia di tasse ed imposte - Fattispecie relativa a operazioni di vendita eseguite da società tedesca in evasione dell’IVA all’importa- zione, III, 637, 225.

MISURE CAUTELARI PERSONALI — Condizioni di applicabilità - Principi di proporzionalità ed adegua- tezza - Verifica della corrispondenza della misura ai detti principi anche nel corso della sua esecuzione, III, 577.

Gravi indizi di colpevolezza - Dichiarazioni accusa- torie di dichiarante che in altro procedimento si avvalga della facoltà di non rispondere - Utilizzabilità nell’incidente cautelare del diverso procedimento, III, 637, 226.

Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Revoca o inefficacia sopravvenuta della misura impugnata - Persistenza dell’interesse a ricorrere ai fini del risar- cimento della riparazione per ingiusta detenzione – Condizioni, III, 585.

Impugnazioni - Utilizzabilità da parte del P.M. di nuovi elementi probatori nei confronti dell’indagato per il medesimo fatto - Modalità - Alternatività dei modi di utilizzabilità, III, 585.

Ordinanza del giudice - Elementi “a favore” da valu- tare a pena di nullità dell’ordinanza - Nozione, III, 638, 228.

Revoca - Presupposti - Riferimento esclusivo alla proporzione tra presofferto cautelare e pena irrogata - Illegittimità, III, 577.

Termine di durata massima della custodia cautelare - Reato continuato - Assoluzione in appello per il reato più grave e conferma della condanna per il reato meno grave - Effetti sul computo dei termini di custodia cautelare per la fase di giudizio - Esclusione - Fattispecie relativa ad assoluzione in appello dell’imputazione di associazione per delin- quere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e contestuale conferma della condanna per traffico di sostanze stupefacenti, III, 638, 229.

Termine di durata massima della custodia cautelare - Sospensione - Provvedimento adottato da giudice diverso da quello del procedimento in cui si è verifica- ta la causa di sospensione – Legittimità, III, 639, 230.

MISURE CAUTELARI REALI — Sequestro conser- vativo - Periculum in mora - Valutazione - Parametri, III, 640, 231.

MISURE DI PREVENZIONE — Manifestazioni spor- tive - Imposizione dell’obbligo di comparire presso

un ufficio o comando di polizia in coincidenza di manifestazioni sportive - Incontri amichevoli - Inclusione - Condizioni, II, 604, 216.

REATI FALLIMENTARI — Reati di persone diverse dal fallito - Fatti di bancarotta - Elementi inidonei a provare la qualità di amministratore di fatto dell’e- straneo - Utilizzabilità per attribuirgli la responsabi- lità concorsuale - Esclusione - Fattispecie relativa a concorso dell’estraneo, II, 605, 217.

REATI TRIBUTARI — Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti - Utilizzatore potenziale delle fatture - È concorrente nel reato con l’emittente - Regime deroga legge speciale . Inapplicabilità, II, 583.

RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI — Imprese individuali - Configurabilità, II, 605, 218.

Responsabilità dei soggetti che li rappresentano per la partecipazione ad un reato associativo finalizzato alla commissione di reati anche nell’interesse degli enti – Compatibilità, III, 608.

SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA — Impossibilità di confermare oggettivamente le gene- ralità fornite dall’imputato - Causa ostativa al bene- ficio – Insussistenza, II, 606, 219.

Subordinazione alla prestazione di attività non retri- buita a favore della collettività - Destinatario della prestazione un ente non appartenente alla P.A. come una onlus o un’associazione di volontariato - Legittimità, II, 606, 220.

STRANIERI — Inottemperanza all’ordine di esibizio- ne del passaporto o di altro documento di identifica- zione e del permesso di soggiorno o della regolare presenza nel territorio dello Stato - Configurabilità del reato solo nei confronti degli stranieri regolar- mente soggiornanti nel territorio dello Stato - Abolitio criminis nei confronti degli stranieri in posizione irregolare ex art. 1, comma 22, lett. h), della legge 15 luglio 2009, n. 94, II, 592.

STUPEFACENTI — Circostanze aggravanti speciali - Ingente quantità - Criteri di individuazione, II, 607, TURBATA LIBERTÀ DEGLI INCANTI — Tempo e 221.

luogo di consumazione - Fattispecie relativa a pre- sentazione di offerte concordate per far vincere l’im- presa prestabilita, II, 607, 222.

UDIENZA PRELIMINARE — Sentenza di non luogo a procedere - Condizioni, III, 608.

VENDITA DI PRODOTTI INDUSTRIALI CON SEGNI MENDACI — Prodotti industriali qualifica- bili come “oggetti di design” - Configurabilità del reato - Oggetti di design - Nozione, II, 608, 223.

VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE — Abbandono del tetto coniugale - Omessa prestazione dei mezzi di sussistenza - Rapporto di continenza - Esclusione - Fattispecie relativa a difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, II, 608, 224.

S O M M A R I O

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Reato previsto dal secondo comma dell’art. 570, Cod. pen. - Figura autonoma rispetto al reato previ- sto dal primo comma dello stesso articolo - Giudizio di comparazione con circostanze attenuanti - Non configurabilità - Fattispecie relativa ad applicazione della pena su richiesta delle parti, II, 609, 225.

VIOLENZA O MINACCIA A UN PUBBLICO UFFI- CIALE — Elemento oggettivo - Minaccia - Requisiti - Reazione genericamente minatoria non accompa- gnata dalla prospettazione di un danno ingiusto –Insufficienza, II, 609, 226

VIOLENZA SESSUALE — Induzione a prestazioni

sessuali mediante abuso della qualità e dei poteri di pubblico ufficiale - Concorso formale eterogeneo con il reato di concussione - Configurabilità - Fattispecie relativa a prestazioni sessuali pretese da un funzionario comunale preposto al controllo della regolarità delle notifiche dei verbali di contravven- zione nei confronti di cittadine extracomunitarie, II, 610, 227.

Procedibilità d’ufficio – Minore infrasedicenne affi- dato per ragioni di istruzione - Ragioni di istruzione - Nozione - Fattispecie relativa ad apprendista sal- tuario non retribuito, II, 610, 228.

S O M M A R I O

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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (*)

DECISIONI DELLA CORTE

Sentenza n. 231 - 22 luglio 2011 Pres. Maddalena - Rel. Frigo.

Misure cautelari - Criteri di scelta - Gravi indizi di colpev- olezza in ordine al reato di cui all’art. 74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 - Obbligatorietà della custodia cautelare salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - Omessa salvezza del- l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfat- te con altre misure - Violazione dei principi di uguaglian- za, ragionevolezza, del minor sacrificio necessario alla libertà personale dell’indagato o dell’imputato nell’ap- plicazione delle misure cautelari - Contrasto con la pre- sunzione di non colpevolezza dell’imputato sino alla con- danna definitiva - Illegittimità in parte qua (Cost. artt. 3, 13, comma primo, e 27, comma secondo; Cod. proc. pen. art.

275, comma 3 come modificato dall’art. 2, comma 1, del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, in legge 23 aprile 2009 n. 38).

È illegittimo – per violazione degli artt. 3, 13, comma prima, e 27, comma secondo della Costituzione – dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di con- trasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecu- tori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossi- codipendenza) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sus- sistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere sod- disfatte con altre misure (1).

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza depositata il 5 novembre 2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino ha proposto, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzio- nale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di con- trasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui non consente di applicare la misura degli arre- sti domiciliari, o altra misura cautelare comunque meno afflitti- va della custodia in carcere, in relazione al delitto di associa- zione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, previsto dall’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefa- centi e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).

Il giudice a quo premette di dover decidere su un’istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere, o di sostituzione della stessa con altra misura meno grave, proposta dal difensore di una persona imputata dei delitti di cui agli artt.

74 e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. All’interessata – sottoposta a custodia in carcere a partire dal 22 aprile 2009 – erano stati contestati, in particolare, la partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e plu- rimi fatti di acquisto e vendita illecita di tali sostanze: reati per i quali, con sentenza del 16 giugno 2010, emessa a seguito di giudizio abbreviato, ella era stata condannata in primo grado alla pena di nove anni di reclusione.

A sostegno dell’istanza, il difensore aveva dedotto che le esi- genze cautelari, legate al pericolo di commissione di reati ana- loghi, dovevano ritenersi cessate o quantomeno affievolite, alla luce di un complesso di circostanze: quali, in specie, l’«effica- cia deterrente» del lungo periodo di detenzione fino ad allora patito dall’imputata, la sua incensuratezza, il comportamento sostanzialmente collaborativo da lei tenuto nel corso del pro- cesso e l’esigenza di riallacciare i rapporti con i figli minori, interrotti dall’inizio della carcerazione preventiva. Il difensore aveva prodotto, altresì, la dichiarazione di disponibilità del responsabile di un istituto religioso ad accogliere l’imputata in regime di arresti domiciliari.

Ad avviso del giudice a quo, gli elementi addotti dalla dife- sa, seppure inidonei a dimostrare il venir meno delle esigenze cautelari, sarebbero comunque indicativi di una loro significati- va attenuazione: ciò, anche alla luce delle peculiarità della vicenda concreta, che aveva visto il vincolo associativo svilup- parsi in un ambito «sostanzialmente familiare» e in un periodo nel quale quasi tutti gli associati erano anche consumatori di sostanze stupefacenti. Le evidenziate circostanze farebbero rite- nere, in specie, che il periculum libertatis possa essere adegua- tamente fronteggiato con la misura degli arresti domiciliari in un luogo diverso da quello in cui le condotte criminose si erano sviluppate, quale l’istituto religioso indicato dal difensore.

All’accoglimento dell’istanza osterebbe, tuttavia, la preclu- sione, introdotta dalla novella legislativa modificativa dell’art.

275, comma 3, cod. proc. pen., in forza della quale, quando sus- sistono gravi indizi di colpevolezza per una serie di reati, – tra cui quello di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (evocato tramite il rinvio all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.) – «è applicata la custo- dia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».

Tale disposizione, secondo il corrente orientamento della giurisprudenza di legittimità, dovrebbe trovare applicazione – in forza del principio tempus regit actum, trattandosi di norma processuale – anche in rapporto alle misure cautelari da adotta- re per i fatti delittuosi commessi – come nel caso di specie – anteriormente alla data di entrata in vigore della novella legi- slativa.

Il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale LA GIUSTIZIA PENALE 2011 (Parte Prima: I Presupposti)

289 290

11. I. 2011

1

(*) A cura di G. Spangher.

(1) Continua l’opera di demolizione del principio di presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere contenuto nell’art. 275 c.p.p. già dichiarato incostituzionale da C.Cost. 28 luglio 2010, n.265 e, di recente, C. Cost.12 maggio 2011, n. 164, in questa Rivista, retro, I, 129 e I, 214, con nota di B. Andò, Tutto o niente. Presunzioni di sussis- tenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine a deter- minati delitti: la Corte Costituzionale e la differente dimensione caute- lare tra i delitti di mafia e l’omicidio volontario.

Un commento alla decisione della Corte costituzionale annotata, D.

Curtotti, nota a sentenza Corte costituzionale n. 231 del 2011 in Proc.

Pen. e Giust., 2011, n. 5, p 34.

Si rammenta che con ordinanza 27 luglio 2011, n. 250 è invece stata dichiarata la manifesta inammissibilità della questione sollevata in relazione all’art. 275 comma 4 c.p.p. nella parte in cui non prevede il divieto di disporre e mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quan- do imputata sia la madre di prole, con lei convivente, totalmente inval- ida, che versa in condizioni di salute particolarmente gravi e che, per

tale ragione, necessita di continue cure ed assistenza o il padre, qualo- ra la madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a fornire alla prole le cure e l’assistenza di cui ha ininterrottamente bisogno a cagione della insufficiente descrizione della fattispecie e per oscurità del quesito.

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della norma denunciata, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.

Al riguardo, il giudice a quo rileva come questa Corte, con la sentenza n. 265 del 2010, abbia già dichiarato costituzional- mente illegittimo l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per con- trasto con gli indicati parametri costituzionali, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevo- lezza in ordine ai delitti di cui agli artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. pen., è applicata la custodia cautela- re in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’i- potesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. (Omissis)

Considerato in diritto.

1. – Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dal- l’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgen- ti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui non consente di applicare misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psico- trope, previsto dall’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefa- centi e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).

Il rimettente reputa estensibili ai procedimenti relativi a detto reato le ragioni che hanno indotto questa Corte, con la sen- tenza n. 265 del 2010, a dichiarare costituzionalmente illegitti- ma la norma censurata in riferimento a taluni delitti a sfondo sessuale (artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater del codice penale).

Al pari di tali delitti, neppure quello previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 potrebbe essere, infatti, assimilato, sotto il profilo in esame, ai delitti di mafia, in relazione ai quali tanto questa Corte che la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno ritenuto giustificabile la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, stabilita dalla norma censurata. Per quanto gravi, i fatti che integrano tale delitto pre- senterebbero disvalori ampiamente differenziabili sul piano della condotta e, soprattutto, potrebbero bene proporre anche esigenze cautelari suscettibili di essere soddisfatte con misure diverse dalla custodia carceraria.

La presunzione censurata, di conseguenza, si porrebbe in contrasto – conformemente a quando deciso dalla citata senten- za n. 265 del 2010 – con i principi di eguaglianza e di ragione- volezza (art. 3 Cost.) e di inviolabilità della libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.), nonché con la presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.).

2. – La questione è fondata, nei termini di seguito specificati.

3. – Con la sentenza n. 265 del 2010, questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma censurata, nella parte in cui configura una presunzione assoluta – anziché soltanto relativa – di adeguatezza della sola custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti a sfondo sessuale: in particolare, per i reati di induzione o sfrutta- mento della prostituzione minorile, violenza sessuale e atti ses- suali con minorenne (artt. 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. pen.).

Ad analoga declaratoria di illegittimità costituzionale questa Corte è altresì pervenuta, successivamente all’odierna ordinan- za di rimessione, con la sentenza n. 164 del 2011, nei riguardi della medesima norma, nella parte in cui assoggetta a detta pre- sunzione assoluta anche il delitto di omicidio volontario (art.

575 cod. pen.).

3.1. – In entrambe le occasioni, la Corte ha rilevato come i limiti di legittimità delle misure cautelari – nell’ambito della cui disciplina si colloca la disposizione scrutinata – risultino espres- si, a fronte del principio di inviolabilità della libertà personale (art. 13, primo comma, Cost.) – oltre che dalle riserve di legge

e di giurisdizione (art. 13, secondo e quarto comma, Cost.) – anche e soprattutto dalla presunzione di non colpevolezza (art.

27, secondo comma, Cost.), a fronte della quale le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l’accer- tamento definitivo della responsabilità.

I principi costituzionali di riferimento implicano che la disci- plina della materia debba essere ispirata al principio del «mino- re sacrificio necessario» (sentenza n. 295 del 2005): la com- pressione della libertà personale va contenuta, cioè, entro i limi- ti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strut- turare il sistema cautelare secondo il modello della “pluralità graduata”, predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà persona- le; dall’altra, a prefigurare, in corrispondenza, criteri per scelte

“individualizzanti” del trattamento cautelare, coerenti e adegua- te alle esigenze configurabili nei singoli casi concreti.

Questo insieme di indicazioni costituzionali trova puntuale espressione nella disciplina generale dettata in materia dal codi- ce di procedura penale. A fronte della tipizzazione di un “venta- glio” di misure, di gravità crescente (artt. 281-285), il criterio di

«adeguatezza» (art. 275, comma 1) – dando corpo al principio del «minore sacrificio necessario» – impone al giudice di sce- gliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie.

Da tali coordinate si discosta vistosamente la disciplina det- tata dal secondo e dal terzo periodo del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen. – inserita tramite una serie di interventi novelli- stici – la quale stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti, una duplice presunzio- ne: relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari;

assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislato- re adeguata, ove la presunzione relativa non risulti vinta, unica- mente la custodia cautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa.

Proprio per i marcati profili di eccezione rispetto al regime ordinario, la disciplina derogatoria – riferita, ai suoi esordi, ad un ampio ed eterogeneo parco di figure criminose – era stata limitata, a partire dal 1995 e in una prospettiva di recupero delle garanzie, ai soli procedimenti per i «delitti di cui all’articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stes- so articolo» (art. 5, comma 1, della legge 8 agosto 1995, n. 332, recante «Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di dirit- to di difesa»).

Così circoscritta, essa aveva superato il vaglio tanto di que- sta Corte (ordinanza n. 450 del 1995), che della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 6 novembre 2003, Pantano con- tro Italia). Entrambe le Corti avevano, infatti, in vario modo valorizzato la specificità dei predetti delitti, la cui connotazione strutturale astratta (come reati associativi entro un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso, o come reati a questo comunque collegati) valeva a rendere «ragionevoli» le presun- zioni in questione, e segnatamente quella di adeguatezza della sola custodia carceraria: trattandosi, in sostanza, della misura più idonea a neutralizzare il periculum libertatis connesso al verosimile protrarsi dei contatti tra imputato e associazione.

Con l’intervento novellistico del 2009 (art. 2, comma 1, let- tere a e a-bis, del decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009), il legislatore ha com- piuto «un “salto di qualità” a ritroso», riespandendo l’ambito di applicazione della disciplina eccezionale a numerose altre fatti- specie penali, in larga misura eterogenee fra loro quanto a oggettività giuridica (fatta eccezione per i delitti “a sfondo ses- suale”), struttura e trattamento sanzionatorio.

3.2. – Ciò posto, questa Corte, nelle citate sentenze n. 265 del 2010 e n. 164 del 2011, ha ricordato che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza genera- lizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit.

In particolare, l’irragionevolezza della presunzione assoluta si LA GIUSTIZIA PENALE 2011 (Parte Prima: I Presupposti)

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coglie tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa (sentenza n. 139 del 2010)».

Sotto tale profitto, né ai delitti a sfondo sessuale dianzi indi- cati (sentenza n. 265 del 2010) né al delitto di omicidio volon- tario (sentenza n. 164 del 2011) poteva estendersi la ratio giu- stificativa del regime derogatorio già ravvisata in rapporto ai delitti di mafia: ossia che dalla struttura stessa della fattispecie e dalle sue connotazioni criminologiche – legate alla circostan- za che l’appartenenza ad associazioni di tipo mafioso implica un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimida- trice – deriva, nella generalità dei casi e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe adeguata solo la custodia in car- cere (non essendo le misure “minori” sufficienti a troncare i rap- porti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolosità).

Pur nella loro indubbia gravità e riprovevolezza – la quale peserà opportunamente nella determinazione della pena inflitta all’autore, quando ne sia riconosciuta in via definitiva la colpe- volezza – i delitti in discorso possono essere, e spesso sono, fatti meramente individuali, che trovano la loro matrice in pulsioni occasionali o passionali, ovvero in situazioni maturate nell’am- bito di specifici contesti (familiare, scolastico, dei rapporti socio-economici, e così via dicendo). Di conseguenza, in un numero tutt’altro che marginale di casi, le esigenze cautelari – pur non potendo essere completamente escluse – sarebbero suscettibili di trovare idonea risposta anche in misure diverse da quella carceraria, che valgano a neutralizzare il “fattore scate- nante” o ad impedirne la riproposizione. E così, anzitutto, quan- to ai fatti legati a particolari contesti, tramite misure che valga- no comunque ad operare una forzosa separazione da questi del- l’imputato o dell’indagato: arresti domiciliari in luogo diverso dall’abitazione (art. 284 cod. proc. pen.), eventualmente accom- pagnati da particolari strumenti di controllo (quale il cosiddetto braccialetto elettronico: art. 275-bis); obbligo o divieto di dimo- ra o anche solo di accesso in determinati luoghi (art. 283); allon- tanamento dalla casa familiare (art. 282-bis).

3.3. – Alla luce di tali rilievi, questa Corte ha quindi conclu- so che la norma impugnata violava, in parte qua, sia l’art. 3 Cost., per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi ai delitti considerati a quelli concernenti i delitti di mafia, non- ché per l’irrazionale assoggettamento a un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi concrete riconducibili ai relativi paradigmi punitivi; sia l’art. 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure caute- lari privative della libertà personale; sia, infine, l’art. 27, secon- do comma, Cost., in quanto attribuiva alla coercizione proces- suale tratti funzionali tipici della pena.

Al fine di ricondurre il sistema a sintonia con i valori costi- tuzionali, la Corte ha ritenuto che non fosse, peraltro, necessa- rio rimuovere integralmente la presunzione de qua, ma solo il suo carattere assoluto, che implicava una indiscriminata e tota- le negazione di rilievo al principio del “minore sacrificio neces- sario”. La previsione di una presunzione solo relativa di ade- guatezza della custodia carceraria – atta a realizzare una sem- plificazione del procedimento probatorio suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario – non eccede, per con- tro, i limiti di compatibilità costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordi- naria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso.

4. – Le considerazioni dianzi ricordate risultano valevoli, con gli opportuni adattamenti e precisazioni, anche in rapporto al delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostan- ze stupefacenti o psicotrope: delitto al quale il regime cautelare speciale risulta esteso tramite il richiamo “mediato” alla norma processuale di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.

4.1. – Pur nella particolare gravità che il fatto assume nella considerazione legislativa, anche nel caso in esame la presun- zione assoluta di adeguatezza della sola custodia carceraria non può considerarsi, in effetti, rispondente a un dato di esperienza generalizzato, ricollegabile alla «struttura stessa» e alle «conno- tazioni criminologiche» della figura criminosa.

È ben vero che, nelle ipotesi descritte dall’art. 74 del d.P.R.

n. 309 del 1990, diversamente che nei casi precedentemente scrutinati da questa Corte, non si è di fronte a un reato suscetti- bile di presentarsi come fatto meramente individuale ed episo- dico: trattandosi, al contrario, di un reato che – come la genera- lità delle fattispecie di tipo associativo – presuppone uno stabi- le vincolo di appartenenza del soggetto a un sodalizio crimino- so, volto al compimento di una pluralità non predeterminata di delitti. Questa sola caratteristica non è, tuttavia, ancora suffi- ciente a costituire un’adeguata base logico-giuridica della pre- sunzione di cui si discute. Lo dimostra eloquentemente già la semplice circostanza che lo stesso legislatore ordinario abbia ritenuto di dover includere fra i reati soggetti al regime cautela- re censurato solo talune particolari figure associative, e non anche quella generale dell’associazione per delinquere, prevista dall’art. 416 cod. pen. (fatta eccezione per i casi in cui essa è menzionata dal richiamato art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto diretta a commettere determinati reati-fine: in pratica, alla data di entrata in vigore della novella del 2009, le sole ipo- tesi di cui al sesto comma dello stesso art. 416).

Questa Corte, d’altro canto – nel ritenere assistita da ade- guato fondamento razionale la presunzione de qua in rapporto al delitto di associazione di tipo mafioso – ha già avuto modo di porre in evidenza come tale conclusione si giustifichi alla luce non del mero vincolo associativo a scopi criminosi, quanto piut- tosto delle particolari caratteristiche che esso assume nella cor- nice di detta fattispecie (sentenze n. 164 del 2011 e n. 265 del 2010).

Il delitto di associazione di tipo mafioso è, infatti, normati- vamente connotato – di riflesso ad un dato empirico-sociologi- co – come quello in cui il vincolo associativo esprime una forza di intimidazione e condizioni di assoggettamento e di omertà, che da quella derivano, per conseguire determinati fini illeciti.

Caratteristica essenziale è proprio tale specificità del vincolo, che, sul piano concreto, implica ed è suscettibile di produrre, da un lato, una solida e permanente adesione tra gli associati, una rigida organizzazione gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e, dall’altro, una diffusività dei risultati illeciti, a sua volta produttiva di accrescimento della forza inti- midatrice del sodalizio criminoso. Sono tali peculiari connota- zioni a fornire una congrua “base statistica” alla presunzione considerata, rendendo ragionevole la convinzione che, nella generalità dei casi, le esigenze cautelari derivanti dal delitto in questione non possano venire adeguatamente fronteggiate se non con la misura carceraria, in quanto idonea – per valersi delle parole della Corte europea dei diritti dell’uomo – «a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine», minimizzando «il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizza- zioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti»

(sentenza 6 novembre 2003, Pantano contro Italia).

Altrettanto non può dirsi per il delitto di associazione fina- lizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Quest’ultimo si concreta, infatti, in una forma speciale del delit- to di associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura dei reati-fine (i delitti previsti dall’art. 73 del d.P.R. n.

309 del 1990). Per consolidata giurisprudenza, essa non postula necessariamente la creazione di una struttura complessa e gerar- chicamente ordinata, essendo viceversa sufficiente una qualun- que organizzazione, anche rudimentale, di attività personali e di mezzi economici, benché semplici ed elementari, per il perse- guimento del fine comune. Il delitto in questione prescinde, altresì, da radicamenti sul territorio, da particolari collegamenti personali e soprattutto da qualsivoglia specifica connotazione del vincolo associativo, tanto che, ove questo in concreto si pre- sentasse con le caratteristiche del vincolo mafioso, il reato ben potrebbe concorrere con quello dell’art. 416-bis cod. pen. (come già ritenuto dalle Sezioni unite della Corte di cassazione: sen- tenza 25 settembre 2008-13 gennaio 2009, n. 1149).

Si tratta, dunque, di fattispecie, per così dire, “aperta”, che, descrivendo in definitiva solo lo scopo dell’associazione e non anche specifiche qualità di essa, si presta a qualificare penal- mente fatti e situazioni in concreto i più diversi ed eterogenei:

da un sodalizio transnazionale, forte di una articolata organiz- zazione, di ingenti risorse finanziarie e rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino ristretto ad un ambito familia- LA GIUSTIZIA PENALE 2011 (Parte Prima: I Presupposti)

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re – come nel caso oggetto del giudizio a quo – operante in un’area limitata e con i più modesti e semplici mezzi.

Proprio per l’eterogeneità delle fattispecie concrete riferibili al paradigma punitivo astratto, ricomprendenti ipotesi netta- mente differenti quanto a contesto, modalità lesive del bene pro- tetto e intensità del legame tra gli associati, non è dunque pos- sibile enucleare una regola di esperienza, ricollegabile ragione- volmente a tutte le «connotazioni criminologiche» del fenome- no, secondo la quale la custodia carceraria sarebbe l’unico stru- mento idoneo a fronteggiare le esigenze cautelari. In un signifi- cativo numero di casi, al contrario, queste ultime potrebbero trovare risposta in misure diverse e meno afflittive, che valgano comunque ad assicurare – nei termini in precedenza evidenzia- ti – la separazione dell’indiziato dal contesto delinquenziale e ad impedire la reiterazione del reato.

4.2. – Né può considerarsi significativa, in senso contrario, la circostanza che la fattispecie associativa prevista dall’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 risulti accomunata all’associazione di tipo mafioso nella sottoposizione alla disciplina stabilita all’art.

51, comma 3-bis, cod. proc. pen.: disposizione alla quale – come accennato – la norma censurata preliminarmente rinvia al fine di individuare i delitti soggetti allo speciale regime caute- lare di cui si discute.

Per corrente rilievo, infatti, la predetta disciplina risponde a una logica distinta ed eccentrica rispetto a quella sottesa alla disposizione sottoposta a scrutinio. Il richiamato art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. prevede una deroga all’ordinaria regola (recata dal comma 3 dello stesso articolo ed espressione del cosiddetto principio di accessorietà) che vorrebbe attribuite le funzioni di indagine, di esercizio dell’azione penale e di soste- gno dell’accusa nei procedimenti di primo grado all’ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente, devolvendole a quello presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.

Si tratta di norma ispirata da ragioni di opportunità organiz- zativa degli uffici del pubblico ministero, anche in relazione alla tipicità e alla qualità delle tecniche di indagine richieste da talu- ni reati, ma che non consentono inferenze in materia di esigen- ze cautelari, tantomeno al fine di omologare quelle relative a tutti procedimenti per i quali quella deroga è stabilita. Ne è evi- dente riprova l’eterogeneità della lista delle fattispecie crimino- se cui la norma stessa fa riferimento, che già primo visu evi- denzia come il relativo criterio di selezione non consista affatto in una particolare “qualità” del periculum libertatis. Detta lista – mentre non include, ad esempio, l’associazione per delinque- re finalizzata a commettere rapine a mano armata o estorsioni – abbraccia invece figure quali l’associazione finalizzata al con- trabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater del d.P.R.

23 gennaio 1973, n. 43, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale») o l’associa- zione diretta a commettere i delitti di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen., in materia di contraffazione di marchi o altri segni distintivi e di commercio di prodotti con segni mendaci (ciò a seguito dell’interpolazione dell’art. 51, comma 3-bis, cod. proc.

pen. operata dall’art. 15, comma 4, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante «Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionaliz- zazione delle imprese, nonché in materia di energia»).

4.3. – Contrariamente a quanto assume l’Avvocatura dello Stato, la presunzione assoluta censurata non può neppure rinve- nire, da ultimo, la sua base di legittimazione costituzionale nella gravità astratta del delitto associativo che qui viene in rilievo, desumibile dalla severità della pena edittale, o nell’esigenza di eliminare o ridurre situazioni di allarme sociale, correlate alla pericolosità della diffusione del traffico e del consumo di sostanze stupefacenti rispetto a beni quali l’ordine pubblico e la salute individuale. A tale riguardo, non si può, infatti, che riba- dire quanto già affermato da questa Corte nelle precedenti pro- nunce sul tema (sentenze n. 164 del 2011 e n. 265 del 2010). In primo luogo, cioè, che la gravità astratta del reato, considerata in rapporto alla misura della pena o alla natura dell’interesse protetto, è elemento significativo in sede di giudizio di colpe- volezza, particolarmente ai fini della determinazione della san- zione, ma inidoneo a fungere da elemento preclusivo della veri- fica del grado delle esigenze cautelari e all’individuazione della misura concretamente idonea a farvi fronte. In secondo luogo, poi, che il contenimento dell’allarme sociale causato dal reato

non può essere annoverato tra le finalità della custodia cautela- re, costituendo una funzione istituzionale della pena, perché presuppone la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l’allarme.

5. – Alla luce delle considerazioni che precedono, la presun- zione assoluta sancita dalla norma censurata va dunque trasfor- mata, anche in rapporto al delitto oggetto dell’odierno scrutinio, in presunzione solo relativa.

L’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen. va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di col- pevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esi- genze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

6. – Giova precisare che non interferisce con l’odierno thema decidendum il problema dell’operatività o meno del regime cau- telare previsto dalla norma censurata in rapporto all’ipotesi – che non risulta ricorrere nel giudizio a quo – contemplata dal comma 6 dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (associazione finalizza a commettere fatti di «lieve entità» ai sensi dell’art. 73, comma 5, del medesimo decreto): problema che trae origine dalla sancita applicabilità a tale fattispecie delle disposizioni generali in tema di associazione per delinquere (delitto non assoggettato, come detto, al regime cautelare speciale). Qualora si opti, infatti, per la soluzione negativa, all’ipotesi in parola non si applicherebbe neppure la presunzione relativa di adegua- tezza della sola custodia in carcere, nei termini stabiliti dalla presente sentenza, rimanendo la fattispecie integralmente sog- getta alla disciplina ordinaria in punto di trattamento cautelare.

Per questi motivi la Corte Costituzionale dichiara l’illegitti- mità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in mate- ria di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazio- ni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel pre- vedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 74 del d. P. R. 9 ottobre 1990, n.

309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stu- pefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilita- zione dei relativi stati di tossicodipendenza) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Sentenza n. 233 - 22 luglio 2011 Pres. Quaranta - Rel. Frigo.

Misure cautelari personali – Termini di durata - Computo - Pluralità di ordinanze emesse per fatti diversi – Giudicato di condanna formatosi in relazione ai fatti di cui alla prima ordinanza anteriormente alla emissione delle ordinanze successive – Inoperatività della retroda- tazione – Violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza nonché del principio di predeterminazio- ne legale dei termini massimi di durata – Illegittimità in parte qua (Cost., artt. 3 e 13, quinto comma; Cod. proc. pen.:

art. 297, comma 3).

È illegittimo – in riferimento agli articoli 3 e 13, quinto comma della Costituzione - l’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui – con riferimento alle ordi- nanze che dispongono misure cautelari per fatti diversi – non prevede che la regola in tema di decorrenza dei termini in esso stabilita si applichi anche quando, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato si stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda LA GIUSTIZIA PENALE 2011 (Parte Prima: I Presupposti)

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ordinanza. Infatti, la norma censurata, così come interpretata dal diritto “vivente”, è irragionevole in quanto crea ingiustifi- cate disparità di trattamento tra imputati che versano in situa- zioni uguali, essendo il ritardo nella emissione della seconda ordinanza in grado di determinare indebiti prolungamenti dello stato detentivo anche se avvenuta dopo il passaggio in giudica- to della sentenza di condanna attinente i fatti contestati ab ori- gine. Riconoscendo efficacia ostativa alla retrodatazione in presenza di un giudicato formatosi in relazione ad un fatto diverso da quello contestato successivamente, la norma de qua viola, inoltre, il principio di cui all’art. 13 comma 5 c.p.p., in quanto consente al pubblico ministero di prescegliere il dies a quo di decorrenza di ciascuna misura, con conseguente elusio- ne dei limiti massimi di durata della custodia cautelare prefi- gurati dal legislatore (1).

Ritenuto in fatto

Con ordinanza depositata il 26 novembre 2010, la Corte di cassazione, prima sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, quinto comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.

297, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui – secondo l’interpretazione datane dalle Sezioni unite della stes- sa Corte di cassazione, qualificabile come «diritto vivente» –

«impedisce la retrodatazione della custodia cautelare in carcere nelle ipotesi in cui per i fatti contestati nella prima ordinanza l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudi- cato, prima della adozione della seconda misura».

Il Collegio rimettente riferisce, in punto di fatto, che l’impu- tato ricorrente nel giudizio principale era stato raggiunto da due LA GIUSTIZIA PENALE 2011 (Parte Prima: I Presupposti)

297 298

(1) La regola dell’inoperatività della retrodatazione dei termini cautelari in presenza di un giudicato di condanna al vaglio della Corte costituzionale: caduta di un (irragionevole) “tabù”.

SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I motivi della decisione. - 3. Considera- zioni conclusive.

1. Con la presente sentenza, la Corte Costituzionale interviene nuo- vamente sul tormentato tema delle contestazioni a catena, e lo fa - come già successo in un recente passato (1) - pronunciandosi nel senso della parziale incostituzionalità dell’art. 297 comma 3 c.p.p. Da un punto di vista della tecnica decisoria, il giudice delle leggi fa ancora una volta ricorso allo strumento delle sentenze additive la cui caratteristica, come è noto, è quella di incidere direttamente sul tessuto della disposizione interessata estendendone lo spettro applicativo (2). Per effetto della pro- nuncia de qua, dunque, la regola della retrodatazione si applica anche alle ipotesi – prima non contemplate – nelle quali « per i fatti contesta- ti con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda ordinan- za». È interessante notare come la declaratoria di incostituzionalità non colpisca l’art. 297 comma 3 c.p.p. in quanto tale ma in ragione dell’in- terpretazione che di tale disposizione è stata fornita dalla giurispruden- za di legittimità (3). Sebbene, dunque, per “salvare” la conformità a Costituzione dell’art. 297 comma 3 c.p.p. sarebbe stato sufficiente una sentenza interpretativa di rigetto, la Corte chiarisce come la strada della incostituzionalità costituisca, allo stato, l’unica percorribile: avendo tro- vato conferma in un recente intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e nella successiva giurisprudenza di legittimità (4), il principio della inapplicabilità della retrodatazione in presenza di un giu- dicato di condanna ha acquistato carattere di “diritto vivente”, con con- seguente inibizione del potere della Corte di reinterpretare il testo nor- mativo (5).

2. Quanto alle ragioni che hanno portato all’incostituzionalità della

norma, due sono i principali punti di criticità costituzionale riscontrati dalla Corte nell’ambito della disciplina in esame. Sotto un primo profi- lo, la Corte sottolinea coma la teoria che esclude dal campo applicativo dell’art. 297 comma 3 c.p.p. l’ipotesi in cui le ordinanze successive siano state emesse dopo il passaggio in giudicato della condanna inter- venuta per i fatti contestati ab initio, sia causa di irragionevoli disparità di trattamento rilevanti a norma dell’art. 3 Cost.: la retrodatazione si applicherebbe, infatti, ai soli casi in cui, per un periodo magari anche considerevole, le due misure si siano sovrapposte – annullandosi quin- di in un unico periodo detentivo – e non, invece, quando l’indebito sacrificio della libertà personale sia stato addirittura maggiore, essendo la nuova misura stata emessa soltanto dopo il pieno decorso del prece- dente titolo custodiale, o addirittura anche della stessa pena detentiva.

La disciplina in esame collide, poi, con il parametro di cui all’art. 13 comma 5 Cost.: il p.m., infatti, servendosi dell’espediente di provocare l’emissione delle ordinanze successive alla prima soltanto dopo il con- solidarsi del giudicato, è svincolato da ogni controllo, potendo così sostituirsi al legislatore nella individuazione della durata dello status custodiae.

Sulla scia di analoghi rilievi critici sviluppati dalla dottrina (6), la Corte costituzionale sottolinea come le ragioni addotte dalla Suprema Corte per giustificare l’inoperatività della retrodatazione in presenza di un giudicato siano del tutto infondate. Il rilievo secondo cui, il soprav- venire di una sentenza irrevocabile, provocando una interruzione di continuità tra le misure, renderebbe impossibile il verificarsi di indebiti prolungamenti dello stato detentivo è, infatti, il frutto di una errata inter- pretazione della ratio sottesa alla retrodatazione: scopo dell’art. 297 comma 3 c.p.p. non è, come erroneamente affermato, quello di impedi- re che, attraverso l’emissione di diverse ordinanze, si verifichi un sur- rettizio prolungamento dei termini della prima misura – essendo gli stessi predeterminati per legge ex art. 303 c.p.p. – ma, al contrario, quel- lo di impedire che, attraverso il suddetto espediente, si verifichino inde- biti incrementi della durata “complessiva” della custodia cautelare per effetto del cumulo integrale dei termini cautelari afferenti a ciascun tito- lo custodiale; termini che, invece, qualora, il p.m. si fosse attivato tem- pestivamente, avrebbero potuto confluire in un unico periodo custodia- le così riducendo di molto l’intera durata dello stato detentivo.

Tra gli elementi posti dalla giurisprudenza di legittimità a supporto della tesi restrittiva, figurerebbero, altresì, la regola del ne bis in idem e il meccanismo di scomputo del presofferto: l’uno perché, paralizzando l’azione penale, escluderebbe in radice il rischio di indebiti prolunga- menti dello status custodiae conseguenti ad un uso distorto dell’azione cautelare, stante l’accessorietà della seconda rispetto alla prima; l’altro perché, una volta mutato il titolo detentivo, quella di imputare alla dura- ta di una misura cautelare la carcerazione patita in esecuzione di pena verrebbe a costituire un’operazione non consentita dall’ordinamento.

Quanto al primo argomento, non è difficile per la Corte obiettare come, dal passaggio in giudicato della sentenza, nessun limite possa farsi sca- turire all’esercizio del potere penale/ cautelare in relazione a fatti diver- si, essendo la forza preclusiva del divieto di un secondo giudizio circo- scritta ai soli casi di idem factum. Né alcun ostacolo di ordine logico- sistematico alla regola della retrodatazione potrebbe farsi discendere dalla detrazione della custodia cautelare dalla pena concretamente inflit- ta ex art. 657 comma 1 c.p.p. La tesi opposta è, infatti, destituita di fon- damento perché imperniata su una erronea ed anacronistica premessa concettuale: che status custodiae e detenzione quoad poenam siano entità tra loro inconciliabili (7). Al contrario, poichè è lo stesso legisla- (1) C. cost., sentenza n. 408 del 2005, in Giur. cost., 2005, con nota

di Montagna M., Punti fermi in tema di contestazioni a catena e termi- ni di durata della custodia cautelare e in Cass. pen., 2006, p. 16, con nota di Romeo, Osservazioni sull’illegittimità costituzionale dell’art.

297 comma 3 c.p.p.

(2) In argomento, v. Martinez. Diritto costituzionale, Milano, 1997, p. 638.

(3) Sez. un., 23 aprile 2009, Iaccarino, in Cass. pen., 2010, p. 487, con nota critica di L. Ludovici, L’impatto del giudicato sul computo dei termini cautelari: si restringe ancora il campo applicativo dell’art. 297 comma 3 c.pp., e in Gu. dir., 2009, f. 31, p. 80, con nota critica di G.

Romeo, Sulla retrodatazione dei termini di custodia la soluzione conti- nua a non convincere. Quanto all’orientamento avallato dalle Sezioni Unite, v. Sez. VI, 25 marzo 2003, Monteforte, in C.E.D., Cass., n.

225911; Sez. V, 19 gennaio 2006, Crisafulli, in Cass. pen., 2007, p.

1669; Sez. IV, 13 giugno2007, Arena, ivi, 2008, p. 3729; Sez. IV, 8 mag- gio 2007, Osifo, in C.E.D., Cass., n. 236993; Sez. IV, 3 ottobre 2007, Del Bianco Marcos, ivi, n. 238740; Sez. I, 15 novembre 2007, Contaldo, ivi, n. 238881; Sez. V, 20 febbraio 2008, Virga, ivi, n. 240484.

(4) Sez. IV, 3 luglio 2009, Lopez, in C.E.D. Cass., rv. n.243322; Sez.

I, 11 novembre 2009, Sermone, ivi, rv. 245514; Sez. VI, 24 novembre 2009, Misseri, ivi, rv. 246132; Sez. I, 16 marzo 2010, Cava, ivi, rv.

246704. Per l’opposta tesi della irrilevanza del giudicato ai fini dell’ap- plicazione dell’art. 297 comma 3 c.p.p., v., invece, Sez. VI, 2 aprile 2007, Parrino, in C.E.D., Cass., n. 236505; Sez. VI, 4 ottobre 2007, ivi, n. 238232; Sez. VI, 24 settembre 2008, Amato, ivi, n. 241406.

(5) Sul punto v. Martinez. Diritto costituzionale, cit., 1997, p. 634, secondo cui «l potere di reinterpretare il testo si arresta però, per rico- noscimento della stessa corte (v. ad esempio, sentt. N. 167 del 1976, nn.

79 e 88 del 1977) innanzi alla costante interpretazione giurisprudenzia- le che attribuisce al precetto legislativo un determinato significato (dirit- to vivente)».

(6) L. Ludovici, L’impatto del giudicato, cit., pp. 493 e ss.

(7) Il principio della prevalenza della detenzione esecutiva sullo sta- tus custodiae è stato rimosso dal nostro sistema processuale già sotto la vigenza del codice Rocco per effetto delle modifiche apportare in mate- ria dalla l. n. 398 del 1984. In argomento, con riferimento all’art. 271 c.p.p. abr., v. Jannelli, Commento all’art. 2 l. 28/07/1984, in Leg. Pen., 1985, p. 78. Per quanto riguarda invece il principio della compatibilità tra pena detentiva e custodia in carcere così come disciplinato nell’at- tuale assetto normativo, v. Amato, sub art. 297 c.p.p., p. 152 e ss., in

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