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ISEE - Conto in banca Fino a poco tempo fa l’80% dichiarava di non avere conti in banca Oggi lo sostiene il 19%

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Corriere della Sera 24 novembre 2015

ISEE - Conto in banca Fino a poco tempo fa l’80% dichiarava di non avere conti in banca Oggi lo sostiene il 19%

Cambia l’indicatore della ricchezza. Ma il peso della povertà resta lo stesso: a rischio un italiano su quattro.

ROMA - Fino all’anno scorso l’80% delle famiglie italiane che faceva domanda per un posto all’asilo nido dichiarava solennemente di non avere un conto in banca. Zero euro sul libretto, al limite pochi spiccioli sotto il materasso. Adesso la percentuale dei «no euro», cioè di chi non ha alcun risparmio, è scesa al 18,9%. Non per magia. Ma perché alla semplice autodichiarazione di una volta sono stati aggiunti dei controlli incrociati con le tabelle delle banche dati. Ha fatto discutere e farà ancora discutere la riforma dell’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente che misura la «ricchezza» delle famiglie e viene usato per formare la graduatorie d’accesso ai servizi sociali. Ma che qualcosa andasse sistemato sembra fuori discussione.

Le nuove regole sono in vigore dall’inizio dell’anno: oltre ai controlli incrociati danno un peso maggiore al patrimonio delle famiglie, immobili compresi. Il primo risultato — dice il rapporto pubblicato nei giorni scorsi dal ministero del Lavoro — è la diminuzione generale del numero delle domande. Nei primi sei mesi di quest’anno sono state 2,2 milioni. Nello stesso periodo del 2014 eravamo arrivati a 2,9 milioni. Il calo sfiora il 25%. Ed molto forte nelle regioni meridionali, soprattutto in Campania, dove arriva quasi al 50%. Ma per il nuovo «riccometro», come viene chiamato, c’è ancora da sciogliere il nodo sui disabili. I sussidi alle famiglie vengono considerati come una fonte di reddito, e quindi conteggiati nel calcolo. Una misura bocciata nei mesi scorsi dal Tar del Lazio sulla quale il 3 dicembre arriverà il giudizio finale da parte del Consiglio di Stato. Se il verdetto venisse confermato, una parte delle norme andrebbe riscritta da capo.

Cambiano gli strumenti per misurare la ricchezza, dunque. Ma il peso della povertà resta sempre lo stesso. L’Istat ha fissato al 28,3% la stima delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale nel 2014. Più di un italiano su quattro. Un valore stabile rispetto all’anno precedente, che vede mutare solo il suo mix interno. Scende leggermente la quota delle persone «gravemente deprivate», cioè che non possono permettersi un pasto proteico ogni due giorni o affrontare una spesa improvvisa da 800 euro. Ma sale, altrettanto leggermente, la fetta di chi vive in famiglie a «bassa intensità

lavorativa», cioè dove lo stipendio entra in casa solo due o tre mesi l’anno. La metà delle famiglie italiane ha un reddito che non supera i 2 mila euro netti al mese. E, da qualsiasi punto di vista si guardi alla povertà, la situazione peggiora quando si scende verso il Mezzogiorno.

Il governo studia minicorrettivi al piano contro la povertà inserito nel disegno di legge di Stabilità, che comincia adesso il suo percorso alla Camera. Dovrebbero essere solo ritocchi sul contributo per le famiglie con minori che vivono sotto la soglia di povertà assoluta. Potrebbe saltare la precedenza, nelle graduatorie per avere il contributo, assegnata alle famiglie con minori in condizioni di

particolare disagio e quindi inseriti nel circuito giudiziario. E anche la norma che rende il contributo non più standard ma proporzionale al grado di povertà.

Lorenzo Salvia

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