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Linee guida LINFOMI

Edizione 2015

(2)

2

Coordinatore Massimo Federico Oncologia Medica - Università-Centro Oncol. Modenese - Modena Segretario Stefano Luminari Medicina Diagnostica, Clinica e di Sanità Pubblica - Università -

Modena

Estensori Monica Balzarotti Ematologia - Istituto Humanitas - Rozzano MI

Antonio Carbone Anatomia Patologica - Centro di Riferimento Oncologico IRCCS Istituto Nazionale Tumori - Aviano

Luca Castagna Terapia Cellulare - Isituto Humanitas - Rozzano MI Graziella Pinotti Oncologia Medica - A. O. Circolo-Fond. Macchi - Varese Umberto Ricardi Oncologia - Università di Torino

Michele Spina Oncologia Medica A - Centro di Riferimento oncologico - Aviano PN Lucilla Tedeschi Oncologia Medica - A. O. S. Carlo Borromeo - Milano

Revisori Augusto Federici SIE Immunoematologia e Medicina Trasfusionale - Ospedale Luigi Sacco - Milano

Stefano Molica Oncologia Medica - A.O. A. Pugliese - Catanzaro

(3)

3

Indice

1. Parte generale ... 9

1.1 Epidemiologia dei linfomi ... 9

1.2 La diagnosi istopatologica ... 9

2. Linfomi diffusi a grandi cellule B ... 11

2.1 Epidemiologia ... 11

2.2 Classificazione istopatologica e Diagnosi Multidimensionale ... 11

2.3 Stadiazione clinica ... 12

2.4 Suddivisione in gruppi prognostici ... 13

2.5 Trattamento dei DLBCL ... 14

2.6 Trattamento del paziente anziano………. 23

2.7 Definizione dei criteri di risposta ... 23

2.8 Follow-up ... 24

2.9 Figure……… 26

3. Linfomi follicolari ... 30

3.1 Epidemiologia ... 30

3.2 Inquadramento diagnostico ... 30

3.3 Trattamento del linfoma follicolare ... 33

3.4 Valutazione della risposta ai trattamenti ... 42

3.5 Follow-up ... 42

3.6 Figure ... 44

4. Linfomi di Hodgkin ... 50

4.1 Epidemiologia ... 50

4.2 Diagnosi ... 50

4.3 Classificazione istopatologica ... 50

4.4 Stadiazione ... 52

4.5 Indagini diagnostiche ... 53

4.6 Trattamento del linfoma di Hodgkin... 54

4.7 Valutazione della risposta ai trattamenti - Ruolo della PETinterim e PET finale ... 62

4.8 Follow-up ... 62

4.9 Hodgkin e gravidanza ... 64

4.10 Figure ... 66

5. Pazienti con infezione da HIV ... 70

5.1 HIV e linfoma di Hodgkin ... 70

5.2 HIV e linfoma non Hodgkin ... 70

5.3 Terapia di salvataggio ... 71

6. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ... 72

7. Bibliografia ... 74

Allegato: Tabelle GRADE evidence profile

(4)

4

Abbreviazioni

aaIPI Indice Prognostico Internazionale aggiustato per età

ABC Activated B-cell like

ABVD doxorubicina, bleomicina, vinblastina, dacarbazina ADCC citotossicità anticorpo mediata

B2M β2 microglobulina

BEAC carmustina, etoposide, citarabina, ciclofosfamide

BEACOPP bleomicina, etoposide, doxorubicina, ciclofosfamide, vincristina, procarbazina, prednisone BEAM carmustina, etoposide, citarabina, melphalan

BL Linfoma di Burkitt

B-LLC leucemia linfatica cronica a cellule B

BMI coinvolgimento midollare

CLL/SLL Leucemia Linfatica cronica/ Linfoma a piccoli linfociti CHOP ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone

CMV citomegalovirus

COP ciclofosfamide, vincristina, prednisone

CS stadio clinico

CT chemioterapia

CTX ciclofosfamide

CVP ciclofosfamide, vincristina, prednisone DLBCL Linfomi diffusi a grandi cellule B

DHAP desametasone, cisplatino, Ara-C, prednisone

DFS tempo libero da malattia

EBV Virus Epstein-Barr

ECG elettrocardiogramma

EFS sopravvivenza libera da eventi

EMA antigene di membrana epiteliale

EORTC European Organisation for Research and Treatment of Cancer ESHAP etoposide, metilprednisolone, Ara-C, cisplatino, prednisone

FC fludarabina, ciclofosfamide

FDG [18F] fluorodesossiglucosio FF2F tempo libero da secondo fallimento

FFP tempo libero da progressione

FFS sopravvivenza libera da fallimento FFTF tempo libero da fallimento del trattamento

FN fludarabina, mitoxantrone

FND fludarabina, mitoxantrone, desametasone

GBC Germinal centre B-cell like

GHSG German Hodgkin Study Group GVHD Graft-versus-host disease

Hb emoglobina

HBV virus epatite B

HBC virus epatite C

HCT-CI hematopoietic cell tranplantation-comorbidity index HDC/HDT chemioterapia ad alte dosi/ Terapia ad alte dosi HIV sindrome da immunodeficienza acquisita

HPF High power field

IAP Accademia Internazionale di Patologia ICE ifosfamide, carboplatino, etoposide IEV ifosfamide, epirubicina, vepesid

IFN interferone

IGEV ifosfamide, gemcitabina, vinorelbina IPI Indice Prognostico Internazionale

IPS Score Prognostico Internazionale

ISH Ibridazione in situ

LCA antigene comune leucocitario

LDH Lattato deidrogenasi

LF Linfoma follicolare

(5)

5

LH Linfoma di Hodgkin

LNH Linfoma non Hodgkin

LoDLIN Longest diameter of the largest involved node

LPL Linfoma linfoplasmacitico

MAC CONDIZIONAMENTO mieloablativo

MCL Linfoma mantellare

MDC Mezzo di contrasto

MINE Mitoxantrone, Ifosfamide, Etoposide

MOPP Mecloretamina, vincristina, procarbazina, prednisone

MS Malattia stabile

MZL Linfoma marginale

NRM Mortalità non correlata a ricaduta

ORL Otorinolaringoiatra

OS Sopravvivenza globale

PBL Linfoma plasmablastico

PCR Reazione polimerasica a catena

PEL Effusione linfoma tosa primaria

PET Tomoscintigrafia globale corporeaad emissione di positroni PFS Sopravvivenza libera da progressione

PG Progressione

PS Performance status

QOL Qualità della vita

RC Remissione completa

RP Remissione parziale

R-CHOP Rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone R-CVP Rituximab, ciclofosfamide, vincristina, prednisone

R-CODOX-M/IVAC Rituximab, ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, metotrexate, ifosfamide, etoposide, citarabina

REAL Revised European-American Lymphoma

R-FCM Rituximab, fludarabina, ciclofosfamide, mitoxantrone R-FM Rituximab, fludarabina, mitoxantrone

R-FND Rituximab, fludarabina, mitoxantrone, desametasone

RFS Tempo libero da recidiva

R-HyperCVAD Rituximab, ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, desametasone RIC Condizionamento ad intensità ridotta

R-IF, RT-IF Radioterapia Involved Field

RIT Radioimmunoterapia

R-MCP Rituximab, mitoxantrone, clorambucile, prednisolone

RMN Risonanza magnetica nucleare

RT Radioterapia

SCT Trapianto cellule staminali

sIPI IPI alla recidiva o progressione

SPD Somma dei prodotti dei diametri

STANFORD V Mecloretamina, doxorubicina, vinblastina, vincristina, bleomicina, etoposide, prednisone TAC, TC Tomografia (assiale) computerizzata

TB Tumor burden

TBI Irradiazione total body

TRM Mortalità correlata al trattamento

UNL Limite normale superiore

VEBEP Vinorelbina, endoxan, bleomicina, epirubicina, prednisone VES Velocità di eritrosedimentazione

WHO World Health Organization

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6

Formulazione dei quesiti e delle raccomandazioni SIGN

La formulazione del quesito sul quale si andrà a porre la raccomandazione clinica non dovrebbe essere generico (del tipo: “qual è il ruolo di xxx nel trattamento…”), bensì aderente alla strutturazione P.I.C.O. e cioè:

“Nei pazienti con (menzionare le specifiche caratteristiche di malattia, stadio, ecc.)………..

il trattamento con (descrivere l’intervento terapeutico oggetto del quesito)……….

è suscettibile di impiego in alternativa a….. (descrivere il trattamento altrimenti considerato in alternativa all’intervento in esame)?”

Le raccomandazioni vengono presentate in tabelle.

Nel caso delle raccomandazioni prodotte con metodologia SIGN (Scottish Intercollegiate Guidelines Network), la riga d’intestazione della tabella è verde, mentre è in arancione nel caso di applicazione del metodo GRADE (v. capitolo specifico).

Qualità dell’evidenza

SIGN (1) Raccomandazione clinica (3)

Forza della raccomandazione

clinica (2)

B

Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di FANS e paracetamolo dovrebbe essere effettuata per periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti collaterali.

Positiva debole

(1) Qualità dell’evidenza SIGN

Nell’approccio SIGN, la qualità delle evidenze (singoli studi / metanalisi…) a sostegno della raccomandazione viene valutata tenendo conto sia del disegno dello studio sia di come esso è stato condotto:

il Livello di Evidenza viene riportato nel testo a lato della descrizione degli studi ritenuti rilevanti a sostegno o contro uno specifico intervento. I livelli di evidenza dovranno essere precisati (e riportati nel testo) solo per le evidenze (studi) che sostengono la raccomandazione clinica e che contribuiscono a formare il giudizio della Qualità delle Evidenze SIGN.

Livelli di Evidenza SIGN

1 Revisioni sistematiche e meta-analisi di RCT o singoli RCT 1 ++ Rischio di bias molto basso.

1 + Rischio di bias basso.

1 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili.

2 Revisioni sistematiche e meta-analisi di studi epidemiologici di caso/controllo o di coorte o singoli studi di caso/controllo o di coorte.

2 ++ Rischio di bias molto basso, probabilità molto bassa di fattori confondenti, elevata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 + Rischio di bias basso, bassa probabilità presenza fattori di confondimento, moderata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili, esiste un elevato rischio che la relazione intervento/effetto non sia causale.

3 Disegni di studio non analitici come report di casi e serie di casi.

4 Expert opinion.

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7

La Qualità Globale delle Evidenze SIGN viene quindi riportata con lettere (A, B, C ,D) che sintetizzano il disegno dei singoli studi, unitamente all’indicazione sulla diretta applicabilità delle evidenze e alla eventuale estrapolazione delle stesse dalla casistica globale.

Ogni lettera indica la “fiducia” nell’intero corpo delle evidenze valutate che sostengono la raccomandazione; NON riflettono sempre l’importanza clinica della raccomandazione e NON sono sinonimo della forza della raccomandazione clinica

Qualità Globale delle Evidenze SIGN

A

Almeno una meta-analisi o revisione sistematica o RCT valutato 1++ e direttamente applicabile alla popolazione target oppure

Il corpo delle evidenze disponibili consiste principalmente in studi valutati 1+ direttamente applicabili alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto

B

Il corpo delle evidenze include studi valutati 2++ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Evidenze estrapolate da studi valutati 1++ o 1+

C

Il corpo delle evidenze include studi valutati 2+ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Evidenze estrapolate da studi valutati 2++

D

Evidenze di livello 3 o 4

Evidenze estrapolate da studi valutati 2+

(2) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA

Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura. Dovrebbe essere formulata sulla base del P.I.C.O. del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √.

La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli:

Forza della raccomandazione

clinica

Terminologia Significato

Positiva Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezio-ne) l’intervento xxx dovrebbe es-sere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima inten-zione”

L’intervento in esame dovrebbe essere conside-rato come prima opzione terapeutica (evidenza che i benefici sono prevalenti sui danni)

Positiva Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx può essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame può essere considerato come opzione di prima intenzione, consapevoli dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili (incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui danni)

Negativa Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non dovrebbe essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame non dovrebbe essere considerato come opzione di prima intenzione; esso potrebbe comunque essere suscettibile di impiego in casi altamente selezionati e previa completa condivisione con il paziente (incertezza riguardo alla prevalenza dei danni sui benefici)

Negativa Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezio-ne) l’intervento xxx non deve es-sere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima inten-zione”

L’intervento in esame non deve essere in alcun caso preso in considerazione (evidenza che i danni sono prevalenti sui benefici)

(8)

8

1. Parte generale

1.1 Epidemiologia dei linfomi

I Linfomi maligni rappresentano il quinto tipo di tumore per frequenza nel mondo occidentale, con una incidenza pari a circa 19-20 casi per 100.000 abitanti.

L’incidenza dei linfomi è ampiamente influenzata da fattori geografici, razziali e temporali ed è superiore nei paesi industrializzati, nei soggetti di sesso maschile e di razza bianca.

Dopo una fase epidemica che nei paesi occidentali ha portato ad un incremento dei casi di linfoma del 50%

circa dagli anni ‘70 agli anni ’90, numerosi studi concordano sul fatto che l’incidenza delle malattie linfoproliferative si sia attualmente stabilizzata o registri solo incrementi minori.

Le cause del notevole incremento del passato sono sicuramente da ascrivere al miglioramento diagnostico, e, almeno in alcune realtà, alla pandemia di infezione da HIV registrata negli anni ’80. In Italia si stima che

ogni anno vengano diagnosticati circa 16.000 nuovi casi di linfoma con un incremento annuo pari all’ 1,3% [1].

Recentemente anche gli studi epidemiologici sulle malattie linfoproliferative stanno acquisendo la filosofia dei sistemi classificativi REAL/WHO che considerano i linfomi come un insieme di entità clinico-biologiche distinte. L’effetto è che anche dal punto di vista epidemiologico è stata documentata ampia variabilità tra i diversi tipi di linfoma. Accanto ai linfomi follicolari e ai linfomi a grandi cellule, per i quali è descritto un incremento di incidenza di circa 1,5%, è infatti riportata una riduzione dei casi di CLL del 2% circa [2].

Nonostante i soggetti di razza bianca registrino incidenza superiore per la maggior parte dei linfomi, altre malattie linfoproliferative come i linfomi a cellule T sono più frequenti nella razza nera. Nei soggetti di razza asiatica infine si registrano meno casi di CLL/SLL e di linfoma di Hodgkin [2].

1.2 La diagnosi istopatologica

La biopsia linfonodale è da considerarsi il “gold standard” nella diagnosi di linfoma. La diagnosi di linfoma infatti, è usualmente posta su sezioni istologiche ottenute da campioni linfonodali escissi chirurgicamente.

Quando non si apprezzano linfonodi superficiali patologici, l’agobiopsia con ago grosso (Tru-cut) eco/TAC guidata è un’alternativa valida alla chirurgia diagnostica.

Il campione bioptico è utilizzabile per un’ampia gamma di indagini, dalla istopatologia convenzionale, agli accertamenti immunoistochimici, agli studi di citometria a flusso e di genetica molecolare. A differenza dell’aspirazione con ago sottile (fine-needle), l’agobiopsia con ago grosso (Tru-cut) eco/TAC guidata ha il vantaggio di fornire un campione istologico anziché uno striscio citologico.

La procedura con agobiopsia eco/TAC guidata è anche un metodo efficace per accertare ripresa di malattia o progressione di malattia in pazienti con diagnosi di linfoma già stabilita in precedenza [3].

Una corretta diagnostica dei linfomi maligni è fondata sull’appropriato trattamento del tessuto da esaminare, sull’istituzione di una refertazione standardizzata, sull’applicazione di principi classificativi moderni e sulle definizioni di requisiti minimi.

1.2.1 Trattamento dei campioni bioptici tissutali da esaminare

Linee guida molto precise per il trattamento dei vari tessuti interessati da un linfoma sono state fornite dal Gruppo Italiano di Ematopatologia (GIE) [4] e sono reperibili sul sito della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citodiagnostica/Divisione Italiana dell’International Academy of Pathology (SIAPEC/IAP) all’indirizzo www.siapec.it [5].

In linea di principio, si consiglia l’invio immediato a fresco del campione bioptico al Patologo, affinché quest’ultimo possa procedere alla criopreservazione di una parte di questo ed all’ottimale trattamento del restante.

(9)

9

1.2.2 Istituzione di una refertazione standardizzata

Standardizzare la refertazione è il mezzo ottimale per assicurare che il referto patologico diagnostico includa le informazioni necessarie per il trattamento del paziente, l’accertamento di fattori prognostici e predittivi, il grading, lo staging, l’analisi degli outcome e i codici di registrazione tumorale [6].

Le informazioni minime da includere nel referto diagnostico finale sono:

A. le principali e pertinenti informazioni clinico-anamnestiche;

B. la descrizione macroscopica;

C. le seguenti informazioni diagnostiche:

1. Tipo istologico. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica raccomanda l’uso della WHO Classification of Tumors of the Hematopoietic and Lymphoid Tissues [7]. L’assegnazione di varianti morfologiche o cliniche é considerata opzionale per molti scopi clinici. Se viene utilizzata una classificazione alternativa, questa deve essere specificata nella diagnosi.

2. Studi speciali ad es. immunoistochimica, studi di genetica molecolare, virologici e citogenetici; la diagnosi o il commento dovrà contenere una frase che riguarda questi studi e le loro implicazioni diagnostiche.

1.2.3. Principi diagnostico-classificativi

I linfomi corrispondono a diverse distinte entità patologiche, la cui diagnosi richiede la conoscenza dei seguenti fattori:

- Morfologici;

- Profili fenotipici;

- Caratteristiche molecolari e citogenetica;

- Informazioni cliniche.

Tale assunto è stato fatto proprio dalla WHO, che lo ha codificato in due edizioni successive della “WHO Classification of Tumours of the Haematopoietic and Lymphoid Tissues”, delle quali la più recente é divenuta disponibile fra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 [7].

“Neoplasia in situ” è un concetto ben consolidato nei tumori epiteliali. Solitamente questo è il primo step nel processo di accumulo di eventi genetici e molecolari che portano allo sviluppo e alla progressione del tumore. Negli ultimi anni, il concetto “neoplasia in situ” è stato trasferito anche nell’ambito dei linfomi.

La Classificazione WHO del 2008 ha collocato il tema delle lesioni in situ tra i primi eventi nell'evoluzione della neoplasia linfoide [7]. In queste lesioni le cellule neoplastiche sono localizzate "nella sede" che è occupata dalla controparte normale della cellula tumorale, senza invasione delle strutture circostanti. I linfomi in situ sono stati riconosciuti sia per il linfoma follicolare che per il linfoma mantellare [7].

Per i linfomi HIV-associati si può fare riferimento al recente lavoro di Carbone e Colleghi [8].

I linfomi più comuni che insorgono in presenza di immunosoppressione associata ad HIV includono oggi il linfoma di Burkitt (BL) e il linfoma B diffuso a grandi cellule (DLBCL). È interessante notare, tuttavia, che linfomi che insorgono specificamente nei pazienti HIV positivi comprendono l’effusione linfomatosa primaria (PEL) (Linfoma delle cavità sierose) e la sua variante solida, il linfoma KSHV-associato correlato con la malattia di Castleman, e il linfoma plasmablastico (PBL), del cavo orale. La frequenza dei vari sottotipi di linfomi HIV-associati è la seguente: 50% per il DLBCL, 40% per il BL, e 10% per tutti gli altri sottotipi. Tra questi ultimi, sia il PEL che il PBL rappresentano il 3% ciascuno.

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10

1.2.4. Requisiti minimi

Requisiti minimi in immunoistochimica

Si raccomanda di usare un algoritmo fenotipico basato sugli anticorpi inclusi nel panello rappresentato nella Figura a. Tale pannello offre un aiuto cruciale nel riconoscimento diagnostico e nella classificazione precisa della maggior parte dei linfomi a cellule B. Si ricorda tuttavia che non sono rari i casi in cui si osservano eccezioni ai fenotipi standard [9].

Figura a. Algoritmo immunofenotipico per la classificazione delle principali neoplasie linfoidi a cellule B mature

Requisiti minimi in studi di genetica molecolare

Si raccomanda di ottenere informazioni diagnostiche sulla clonalità dell’infiltrato linfoide (B o T cellulare) attraverso:

 Lo studio dell’espressione delle catene leggere K/λ mediante ISH (quando appropriato);

 Lo studio dei riarrangiamenti dei geni che codificano per le immunoglobuline e/o il T-cell receptor mediante PCR.

Requisiti minimi in studi virologici Occorre almeno poter disporre di:

 Definizione dell’infezione da Epstein-Barr virus mediante ISH;

 Definizione dell’infezione da HHV8 mediante immunoistochimica.

Requisiti minimi in studi citogenetici

Allo stato attuale non previsti; è obbligatorio servirsi di un laboratorio di riferimento.

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2. Linfomi diffusi a grandi cellule B

2.1 Epidemiologia

I linfomi diffusi a grandi cellule B (DLBCL) rappresentano il sottogruppo più frequente di linfoma non Hodgkin (LNH) pari a circa il 30% di tutti i LNH. Dai dati del registro tumori di Modena [1] relativi al periodo 1997-2003, per i DLBCL risulta un’incidenza standardizzata per età pari a 4.8 casi/100.000 persone/anno (dati registro tumori 2000-2003, www.registro-tumori.it).

2.2 Classificazione istopatologica e Diagnosi Multidimensionale

Nell’ambito dei casi che rispondono ai criteri diagnostici dei DLBCL, mancano aspetti patologici utili a stratificare ulteriormente i pazienti al fine di predire la prognosi, la risposta alla terapia, e in futuro la scelta stessa del trattamento. Recentemente, grazie allo studio dei profili di espressione genica, sono stati descritti tre principali sottotipi di DLBCL definiti “GCB”, “ABC” e “Mediastinici” sulla base delle analogie con un’ipotetica cellule d’origine, che presentano una diversa prognosi

[10].

Il gruppo di pazienti con GCB DLBCL ha una sopravvivenza analoga al sottotipo “mediastinco” e significativamente migliore rispetto al gruppo ABC (OS 60% VS 35%, p < 0.0001) [11]. Uno studio del gruppo di Rosenwald ha registrato una più alta percentuale del sottotipo ABC nei pazienti di età superiore ai 60 anni [10]. Questo dato è stato confermato da uno studio retrospettivo condotto da Mareschal et al su 131 pazienti di età superiore ai 50 anni (età media alla diagnosi di 68 anni) riportando un significativo aumento del sottotipo ABC all’aumentare dell’età [12]. Simili risultati sono stati ottenuti dall’analisi dei dati dello studio di Lenz [13].

Sono stati fatti numerosi tentativi per replicare con tecnica immunistochimica la suddivisione dei DBLCL in base alla cellule d’origine ottenuta con lo studio di espressione genica ma i risultati sono stati insoddisfacenti. Ad oggi non esistono raccomandazioni per utilizzare il sottotipo DLBCL nella pratica clinica.

Nell’ambito dei DLBCL vanno inoltre aggiunte le forme “non classificabili” con caratteristiche intermedie tra DLBCL e linfomi di Burkitt (BL), o B-UNC/BL/DLBCL. Queste forme hanno tipicamente un cariotipo complesso mostrando la doppia traslocazione bcl2 e C-MYC. Questi casi sono denoiminati “double hit”, e presentano dal punto di vista clinico una prognosi significativamente più infausta rispetto agli altri DLBCL.

Classificazione WHO [7]:

VARIANTI

Varianti morfologiche comuni

 Centroblastico

 Immunoblastico

 Anaplastico

Varianti morfologiche rare SOTTOGRUPPI

Sottogruppi molecolari

 Germinal centre B-cell-like (GBC)

 Activated B-cell like (ABC) Mediastinal DLBCL

 Inclassificabili DLBCL- Burkitt o “double hit”

Sottogruppi immunoistochimici

 CD5-positive DLBCL

 Germinal centre B-cell-like (GBC)

 Non-germinal centre B-cell-like (non-GBC)

(12)

12

SOTTOTIPI/ENTITA’

 Linfoma a grandi cellule B ricco in istiociti e cellule T

 Linfoma diffuso a grandi cellule B primitivo del sistema nervoso centrale

 Linfoma diffuso a grandi cellule B primitivo cutaneo, leg type

 Linfoma diffuso a grandi cellule B dell’anziano EBV positivo

 Altri linfomi a grandi cellule B

 Linfoma a grandi cellule B primitivo del mediastino (timico)

 Linfoma a grandi cellule B intravascolare

 Linfoma diffuso a grandi cellule B associato a infiammazione cronica

 Granulomatosi linfomatoide

 Linfoma a grandi cellule B ALK-positivo

 Linfoma plasmablastico

 Linfoma a grandi cellule B in soggetti con malattia di Castleman multicentrica associata a infezione KSHV

 Linfoma delle cavità sierose (Primary effusion Lymphoma) CASI BORDERLINE

 Linfoma a cellule B, non classificabile, con caratteristiche intermedie tra linfoma diffuso a grandi cellule B e linfoma di Burkitt, o “double hit” .

Il linfoma di Burkitt a istologia intermedia o i DLBCL CD10+ con un indice di proliferazione >90% con o senza caratteristiche simili al linfoma di Burkitt possono essere considerati per trattamenti più aggressivi come per il BURK-A. Per questi casi sarebbe appropriatao valutare i riarrangiamenti di BCL2, BCL6 e MYC.

 Linfoma a cellule B, non classificabile, con caratteristiche intermedie tra linfoma diffuso a grandi cellule B e linfoma di Hodgkin classico, o “gray zone lymphoma”

DIAGNOSI MULTIDIMENSIONALE

 Adeguata immunofenotipizzazione per stabilire la diagnosi

 IHC panel: CD20, CD3, CD5, CD10,CD45, BCL2, BCL6, Ki67, IRF4/MUM1 oppure

 Analisi dei marker cellulari di superficie mediante citometria a flusso:

Kappa/Lamba, CD45, CD3, CD5, CD19, CD10, CD20 UTILE IN DETERMINATE CIRCOSTANZE

 Studi immunoistochimici addizionali per stabilire il sottotipo di linfoma

 IHC panel: CCND1, Kappa/Lambda, CD138, EBER-ISH, ALK, HHV8

 Analisi molecolari per ricercare riarrangiamenti genici dei recettori degli antigeni; riarrangiamenti CCND1, BCL2, BCL6, MYC mediante FISH o IHC

 Citogenetica o FISH: t(14;18); t(8;14).

2.3 Stadiazione clinica

La valutazione pre-trattamento di un paziente con nuova diagnosi di DLBCL prevede le indagini elencate nella Tabella 1, che permettono l’identificazione dello stadio di malattia come definito dalla classificazione di Ann Arbor/Cotswold [14].

(13)

13

Tabella 1. Indagini pre-trattamento per un paziente con nuova diagnosi di DLBCL (segue)

* v paragrafo 2.4

ESAME INDICAZIONE NOTE

Anamnesi ed esame obiettivo Obbligatori Emocromo e chimica clinica inclusi LDH

e sierodiagnosi per HBV, HCV, HIV Obbligatori Biopsia osteomidollare monolaterale

dalla cresta iliaca posteriore Obbligatoria Rx torace standard in 2 proiezioni Obbligatoria

TC collo torace addome-pelvi con MDC Obbligatoria RMN in caso di intolleranza/

controindicazione al MDC

PET total body Altamente raccomandata

Valutazione ORL Altamente raccomandata

ECG + visita cardiologica Obbligatori Ecocardiogramma o MUGA scan per

valutazione della frazione di eiezione Obbligatorio TC/RMN cerebrale, scintigrafia

scheletrica, ecografia testicolare, studio radiologico e/o endoscopico del tratto gastroenterico

Situazioni particolari In base alla sede di insorgenza

Esame citologico chimico-fisico del liquido cefalo-rachidiano

Obbligatorio

in situazioni particolari

Presentazioni a rischio di diffusione meningea: SNC, testicolo, regioni

paravertebrali/vertebrali, seni paranasali, palato duro, midollo osseo, IPI intermedio-alto o alto rischio* con LDH elevate e localizzazione in due o più sedi extranodali

A tutti i pazienti giovani in età fertile devono essere resi noti i rischi di infertilità connessi alla chemioterapia e la necessità di evitare una gravidanza nel periodo del trattamento e almeno nei due anni successivi. Devono essere quindi proposti l’assunzione di estroprogestinico oppure la criopreservazione di tessuto ovarico/ovociti e, rispettivamente, la criopreservazione del liquido seminale.

2.4 Suddivisione in gruppi prognostici

I DLBCL vengono suddivisi in gruppi prognostici in base all’Indice Prognostico Internazionale (IPI) [15] e all’ IPI “aggiustato per età” (age-adjusted IPI, aa IPI). I fattori che contribuiscono al calcolo dell’IPI sono:

 Età > 60 anni,

 LDH sieriche > UNL,

 Performance status > 2,

 Stadio Ann Arbor III-IV,

 Coinvolgimento > 1 sede extranodale.

(14)

14

I fattori di rischio invece per il calcolo dell’aaIPI sono:

 LDH sierica > UNL,

 Performance status > 2,

 Stadio Ann Arbor III-IV.

Le tabelle seguenti (Tabella 2; Tabella 3) illustrano la suddivisione in gruppi prognostici e le relative probabilità di RFS e OS in base all’IPI e all’aaIPI.

Tabella 2. Indice Prognostico Internazionale

Gruppo di rischio N fattori %RFS 5 anni % OS 5 anni

BASSO 0-1 70 73

BASSO-INTERMEDIO 2 50 51

ALTO-INTERMEDIO 3 49 43

ALTO 4-5 40 26

Tabella 3. IPI aggiustato per età (aaIPI) , per pazienti di età < 60 anni

Gruppo di rischio N fattori %RFS 5 anni % OS 5 anni

BASSO 0-1 73 77

INTERMEDIO 2 66 51

ALTO 3 22 30

2.5 Trattamento dei DLBCL

2.5.1 Scelta del regime R-CHOP

Il paziente con linfoma diffuso a grandi cellule B deve essere avviato a una chemioterapia contenente antracicline e associata a rituximab.

Lo studio randomizzato del gruppo francese GELA [16] (Livello di evidenza 1++) ha confrontato 8 cicli CHOP e 8 cicli CHOP + rituximab (R-CHOP) in 399 pazienti di età compresa tra 60 e 80 anni. A 10 anni di follow-up, l’aggiunta di rituximab allo schema R-CHOP ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale del 6%, e la sopravvivenza libera da malattia per i pazienti con remissione completa del 22%. Analoghe le conclusioni del gruppo della Mayo Clinic [17] (Livello di evidenza 1++), in cui l’aggiunta del rituximab, somministrato simultaneamente o successivamente a CHOP, ha conferito un vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione del 30% circa a due anni.

Nell’analisi di popolazione effettuata dai ricercatori della British Columbia Cancer Agency sono stati confrontati i risultati terapeutici di 140 pazienti con DLBCL in stadio avanzato trattati con CHOP nei 18 mesi precedenti l’introduzione del rituximab nella pratica clinica e 152 trattati con R-CHOP nei primi 18 mesi dopo l’introduzione. Si è evidenziato un incremento della sopravvivenza globale dal 53% al 77% e della sopravvivenza libera da progressione dal 52% al 71%. Il vantaggio dell’aggiunta di rituximab è stato indipendente dall’età < o > 60 anni [18] (Livello di evidenza 2++).

Nello studio randomizzato MinT (Mabthera International trial) [19] (Livello di evidenza 1++), 823 pazienti di età < 61 anni con DLBCL a basso rischio (IPI 0-1) hanno ricevuto 6 cicli CHOP (o CHOP-like o regimi di III generazione) versus i medesimi regimi con l’aggiunta di rituximab. Quest’ultima ha determinato un incremento della EFS del 18% (74 vs 56%) e della OS del 10% (90% vs 80%) a sei anni di follow up.

Il gruppo tedesco [20] (Livello di evidenza 1++) ha confrontato, in pazienti anziani tra 61 e 80 anni, il trattamento con CHOP somministrato ogni 14 giorni (CHOP 14) con R-CHOP sempre somministrato ogni 14 giorni (R-CHOP 14) per sei vs otto cicli. L’aggiunta di rituximab a 6 cicli di CHOP 14 ha determinato un

(15)

15

incremento di EFS del 19.3 % (66.5 vs 47.2%) e di OS del 10.4% (78.1% vs 67.1%) rispetto alla sola chemioterapia.

Nel primo decennio del nuovo millennio diversi gruppi hanno proposto la terapia dose-dense con R-CHOP ogni 14 giorni. Più recentemente due studi randomizzati uno francese e uno inglese hanno riportato i dati di confronto fra R-CHOP 21 con il dose-dense R-CHOP 14 senza trovare alcuna differenza significative tra le due schedule in termini di PFS, OS e EFS. Si è confermata invece una maggiore tossicità midollare con neutropenia di grado 3 o 4 nel braccio dose-dense che ha richiesto un maggiore utilizzo di G-CSF [21, 22].

In conclusione, in base agli studi randomizzati disponibili è possibile concludere che lo schema di riferimento per il paziente anziano con DLBCL è rappresentato dall’ immunochemioterapia R-CHOP somministrata per 6 cicli con intervallo interciclo di tre settimane seguita da 2 dosi aggiuntive di rituximab.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica A

Il regime R-CHOP dovrebbe essere utilizzato in tutti i pazienti con DLBCL indipendentemente dal gruppo di rischio [16, 17, 19, 20].

Positiva forte

2.5.2 Stadi localizzati (I-II) favorevoli (IPI 0, non bulky) (Very favorable MiNT)

Due studi randomizzati hanno dimostrato una maggior efficacia terapeutica della chemio-radioterapia rispetto alla sola chemioterapia. Nello studio SWOG [23] la sopravvivenza libera da progressione e la sopravvivenza globale sono risultate significativamente migliori nei pazienti trattati con 3 CHOP seguiti da radioterapia tipo involved fields con dosi di 36 Gy, rispetto ai pazienti trattati con sola chemioterapia (8 CHOP), pur in presenza di una progressiva riduzione di tale differenza ad una successiva e più recente analisi [24].

Nello studio ECOG [25] 172 pazienti in remissione completa dopo 8 cicli CHOP sono stati randomizzati tra radioterapia involved fields con dosi di 30 Gy e sola osservazione, con sopravvivenze libere da malattia a 6 anni rispettivamente pari al 73% e 56% (p=0.05).

La reale necessità di radioterapia al termine di un programma chemioterapico viene posta in discussione dai risultati di due studi randomizzati francesi, condotti rispettivamente su pazienti giovani (chemioterapia intensiva ACVBP) [26] e su pazienti anziani (4 cicli CHOP) [27], capaci di dimostrare analoghi risultati terapeutici indipendentemente dall’aggiunta della radioterapia; questa risulta anzi in una sopravvivenza globale inferiore per i pazienti anziani (> 69 anni), in relazione ad un possibile contributo di morbidità iatrogena (involved fields 40 Gy); nei giovani, devono viceversa essere segnalati i possibili problemi di tossicità tardiva (secondi tumori) di una chemioterapia dose-dense quale lo schema ACVBP.

Lo scenario attuale si è ulteriormente modificato in seguito all’aggiunta del rituximab alla chemioterapia anche negli stadi localizzati.

E’ sicuramente corretto pensare a opzioni terapeutiche personalizzate definite sulla base del calcolo degli score prognostici: IPI [15] e IPI modificato per gli stadi iniziali. Quest’ultimo si differenzia dall’IPI generale solo per il fatto che lo stadio II è considerato un fattore prognostico sfavorevole rispetto allo stadio I [28, 29].

I pazienti in stadio localizzato (I e II1) e a buona prognosi (IPI 0), in assenza di malattia bulky (very favorable MinT) hanno come standard terapeutico di riferimento una breve chemioimmunoterapia (3-4 cicli), con regimi contenenti antracicline (R-CHOP o R-CHOP like), seguita da una radioterapia di consolidamento con dosi di 30 Gy [30]. Infatti in uno studio inglese su 460 pazienti, che randomizzava 45 vs 30 Gy, non si rilevano differenze in termini di incidenza di remissioni complete e durata di risposta (Livello di evidenza 1++). L’eventuale omissione della radioterapia nei pazienti in remissione completa, documentata anche mediante ristadiazione funzionale (PET), non è attualmente da considerarsi convenzionale al di fuori di uno studio clinico controllato, sottolineando peraltro come l’eventuale alternativa ad una radioterapia di consolidamento debba prevedere un numero di cicli totale di chemioterapia decisamente maggiore a quello di una strategia combinata (6 cicli versus 3-4 cicli).

(16)

16

Va ancora ricordato che da una parte la maggior parte degli studi randomizzati relativi al ruolo della radioterapia appartengono all’era “pre-rituximab”, ma dall’altra non vi sono ancora molti dati riguardo l’omissione della radioterapia dopo R-CHOP [31]. Oltre al già citato studio di Lowry et al, un lavoro retrospettivo dell’MDACC relativo a 469 pazienti affetti da DLCL (190 dei quali in stadio iniziale) e trattati con R-CHOP ± radioterapia, ha dimostrato il ruolo protettivo della radioterapia di consolidamento (eseguita in 142 pazienti) sia in termini di PFS che di OS [32].

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica

B

Nei pazienti in stadio localizzato I e II e con IPI 0 in assenza di malattia bulky possono essere somministrati 3-4 cicli di chemioimmunoterapia (R-CHOP 21) seguiti da radioterapia IF con dosi di 30 Gy, se le localizzazioni di malattia risultano includibili in volumi radioterapici ragionevoli (stadi I e II1) [30].

√ In alternativa, secondo la presentazione clinica, può essere utilizzato un ciclo completo di chemioimmunoterapia R- CHOP 21 per 6 cicli senza radioterapia.

Positiva forte

2.5.3 Stadi avanzati favorevoli (III-IV, IPI 1) e stadi iniziali sfavorevoli (bulky e/o IPI 1)

Il trattamento standard dei pazienti in stadio III-IV oppure I-II sfavorevole (bulky e/o incremento LDH e/o compromissione del PS) è rappresentato da 6-8 cicli di chemio-immunoterapia secondo schema R- CHOP/CHOP-like [33] (Livello di evidenza 1++) che attualmente è il regime terapeutico con il miglior rapporto costo-beneficio (vedi studio MinT paragrafo 2.5.1). Il vantaggio di R-CHOP rispetto a CHOP si mantiene anche quando il rituximab è associato allo schema CHOP eseguito ad intervalli ridotti (R- CHOP14) nel paziente anziano [20, 34].

Il gruppo francese GELA ha randomizzato 379 pazienti con aaIPI pari a 1 a ricevere R-CHOP oppure trattamento intensificato con R-ACVBP e successiva intensificazione e ha osservato un vantaggio per il gruppo trattato con terapia intensificata in termini sia di EFS che di PFS che di OS [35]. Tuttavia, due grandi studi randomizzati, uno francese e uno inglese, concludono che una volta inserito il rituximab la superiorità della terapia dose dense (R-CHOP 14) rispetto allo standard (R-CHOP 21) non è confermata [21, 22].

Nel paziente in stadio localizzato sfavorevole la chemioimmunoterapia R-CHOP è seguita dalla radioterapia IF sulle sedi originali di malattia, con dosi totali di 30 Gy in frazionamento convenzionale [23-25, 31]

(Livello di evidenza 1++). L’eventuale omissione della radioterapia in base alla risposta PET non è attualmente da considerasi convenzionale al di fuori di uno studio clinico controllato [36].

In assenza di studi clinici randomizzati ben disegnati a valutare il reale contributo terapeutico nella malattia avanzata, il ruolo della radioterapia quale consolidamento post-chemioterapia è attualmente discusso ed appare limitato, in assenza di dati certi che ne possano sostenere un impiego routinario. In casi selezionati di persistenza localizzata di malattia, la radioterapia potrebbe avere un ruolo importante nell’eventuale conversione in RC: le dosi consigliate sono di 36-40 Gy, in frazionamento convenzionale, da somministrare a circa 4 settimane dalla fine del programma chemioterapico su volumi che tengano conto della presentazione iniziale, della risposta alla chemioterapia e del residuo di malattia valutabile all’imaging morfologico e/o funzionale.

Per quanto riguarda il consolidamento della risposta (RC al termine della chemioimmunoterapia), nei pazienti con linfoma in stadio localizzato, rimane ancora da chiarire il reale contributo dell’irradiazione delle lesioni inizialmente bulky (diametro massimo compreso tra 5 e 10 cm). In un’analisi “esplorativa” sugli 823 pazienti trattati nel protocollo MinT, il gruppo tedesco conclude che il rituximab riduce il rischio di recidiva legato alle dimensioni massime della massa tumorale, ma non lo annulla: qualsiasi cut-off dimensionale

(17)

17

compreso tra 5 e 10 cm di diametro massimo della massa tumorale separa due catorie prognosticamente differenti; per convenzione, e in considerazione dei dati storici, viene confermato il limite dei 10 cm [37]; al riguardo, l’indicazione al trattamento radioterapico è spesso condizionata nel singolo caso da valutazioni relative al rapporto rischio-beneficio (sede, età, pattern di risposta) (Livello di evidenza 2++). Nell’era PET, recenti segnalazioni suggeriscono l’indicazione a irradiare le singole regioni con captazione residua indipendentemente dall’estensione bulky all’esordio: si tratta tuttavia di valutazioni retrospettive [38]. Le dosi consigliate sono di 30-36 Gy, in frazionamento convenzionale, da somministrare a 4 settimane circa dal termine della chemioterapia sulla presentazione iniziale bulky, tenendo però conto della risposta ed aggiungendo adeguati margini.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica

A

I pazienti in stadio avanzato favorevole (II-IV, IPI 1) e in stadio localizzato sfavorevole (stadio I-II con malattia bulky e/o con IPI 1) dovrebbero essere trattati con 6-8 cicli di chemioimmunoterapia (R-CHOP) [33].

Positiva forte

B

In presenza di malattia Bulky alla diagnosi, alla fine della chemioterapia può essere somministrata radioterapia IF sulla sede Bulky in origine, con dosi totali di 30 Gy in frazionamento convenzionale [23-25, 31].

Positiva debole*

* La forza della raccomandazione non può essere forte perché negli studi disponibili non è mai stata utilizzata una valutazione della risposta con PET

.

2.5.4 Stadi avanzati sfavorevoli (aaIPI>2) nel paziente di età < 65 anni

Il trattamento standard dei pazienti in stadio III-IV oppure I-II sfavorevole (bulky e/o incremento LDH e/o compromissione del PS) è rappresentato da 6-8 cicli di chemio-immunoterapia secondo schema R- CHOP/CHOP-like [33] (studio Mint vedi paragrafo 2.5.1) (Livello di evidenza 1++)

.

Per questo gruppo di pazienti, la cui prognosi rimane ancora grave, sono in corso trials clinici di confronto tra regimi dose-dense, tipo R-CHOP14, e terapia ad alte dosi (high-dose chemotherapy, HDC) con supporto di cellule staminali autologhe.

In letteratura sono presenti diversi studi randomizzati che hanno confrontato l’impiego della HDC in pazienti considerati a cattiva prognosi sulla base della presenza di alcuni fattori prognostici ed in alcuni studi con una post-hoc riclassificazione secondo IPI [39-54]. I risultati sono nel complesso contrastanti con alcuni studi che hanno definito un vantaggio per l’uno o l’altro approccio terapeutico. Tali differenze sono dovute ai diversi criteri di inclusione utilizzati e alle varie linee chemioterapiche di induzione somministrate, sia in termini di dosi che di numero totale di cicli.

Due metanalisi hanno valutato l’impatto della HDC con supporto di cellule staminali autologhe [55, 56].

Dall’analisi di Strehl et al. [55] (11 studi randomizzati - 2228 pazienti), la mortalità globale non è risultata significativamente differente tra i pazienti trattati con HDC o chemioterapia convenzionale; tuttavia quando si è suddivisa la popolazione in sottogruppi (18 sottogruppi considerati), la HDC è risultata migliorare la sopravvivenza nella popolazione considerata se: i) il drop-out nel braccio HDC era inferiore al 25% [39, 41, 46, 47, 50], ii) i pazienti con IPI intermedio-alto e alto ricevevano una terapia di induzione completa prima della HDC [40, 45], iii) veniva applicata la terapia ad alte dosi sequenziale [47, 50].

In seguito tuttavia lo studio Mistral, pubblicato nel 2006 [57], non ha dimostrato un vantaggio della terapia ad alte dosi sequenziale rispetto alla terapia convenzionale.

Nella metanalisi di Greb et al. [56, 58] (15 studi randomizzati - 2758 pazienti) la HDC non portava a un miglioramento della OS; suddividendo però i pazienti in gruppi in base all’IPI, la HDC sembrava aumentare la sopravvivenza di quelli ad alto rischio. Al contrario, la EFS non è risultata differente nei due gruppi di rischio.

(18)

18

Infine, in uno studio di farmaco-economia effettuato sui dati generati da uno studio randomizzato [46], è stato dimostrato che in pazienti a rischio intermedio-alto secondo l’IPI, la HDC rappresenta una terapia migliore in termine di costo-efficacia rispetto alla terapia convenzionale [59].

In conclusione nel paziente giovane con aaIPI 2-3 la HDC è da considerarsi un’opzione adeguata a discrezione dei curanti, anche se è auspicabile l’arruolamento in protocolli prospettici randomizzati.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica A

I pazienti in stadio avanzato sfavorevole (aaIPI 2-3 ) di età <65 anni dovrebbero essere trattati con 6-8 cicli di chemioimmunoterapia (R-CHOP) [33].

Positiva forte

2.5.5 Pazienti non in remissione completa al termine della terapia di prima linea

In questi casi la non RC va considerata, di fatto, come un fallimento della terapia di prima linea e i pazienti vanno pertanto avviati al trattamento di salvataggio.

Fanno eccezione i casi con RP caratterizzata da focale residuo di malattia alla PET. In una valutazione retrospettiva del gruppo canadese di 196 pazienti trattati con 6 cicli R-CHOP e radioterapia sui residui PET irradiabili, i casi irradiati hanno mostrato una FFP a 3 anni sovrapponibile a quella di pazienti in remissione completa (PET negativa) dopo R-CHOP [60]. Pertanto nei casi con residuo PET unico e irradiabile al termine della chemioimmunoterapia R-CHOP potrebbe essere indicata la radioterapia.

2.5.6 Terapia di salvataggio

I pazienti con malattia in recidiva o refrattaria alla prima linea vanno avviati a una chemioterapia di salvataggio seguita, se la malattia si dimostra chemiosensibile, da HDC con supporto cellulare autologo [61]

(Livello di evidenza 1++). Lo studio PARMA, fase III randomizzato pubblicato nel 1995, riguarda 215 pazienti con linfoma aggressivo recidivato o refrattario, avviati a terapia di seconda linea. I 109 casi con risposta parziale o completa dopi due cicli DHAP, sono stati assegnati a due ulteirori cicli DHAP oppure a consolidamento ad alte dosi con supporto di cellule staminali. EFS e OS a 5 anni sono risultate significativamente superiori per i pazienti del gruppo “alte dosi” (EFS 46 vs12%, p 0,001; OS 53 vs 32, p 0.038).

I risultati della sequenza CT di salvataggio-HDC sono stati stigmatizzati dallo studio randomizzato CORAL [62], in cui per tutti i pazienti inclusi la OS e la PFS a 3 anni sono rispettivamente 49% e 37%. In questo studio si conclude anche che non vi è differenza nell’uso dei diversi schemi di induzione RDHAP o RICE prima del consolidamento ad alte dosi.

I fattori prognostici fondamentali nei pazienti con DLBCL recidivato-refrattario sono 1) la chemioresistenza alla terapia di prima linea e la durata della risposta alla terapia di prima [62, 63] 2) la risposta alla terapia di salvataggio [63, 64] 3) l’IPI alla recidiva o progressione [63, 65-69] 4) il precedente trattamento con rituximab [62, 70, 71] 5) lo stato della malattia al momento del trapianto, valutato tramite PET [72-80].

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica A

Il paziente con linfoma recidivato/refrattario responsivo alla terapia di salvataggio dovrebbe essere avviato al trattamento ad alte dosi [61].

Positiva forte

(19)

19

2.5.7 Condizionamento: ruolo del rituximab e della radioimmunoterapia

Gli schemi utilizzati nei programmi di HDC sono variabili, senza che un condizionamento si sia dimostrato superiore ad altri principalmente per la mancanza di studi randomizzati, tranne uno di confronto tra BEAM e BEAC con un vantaggio di EFS e OS per BEAM. Per quanto riguarda gli schemi di condizionamento, l’associazione BEAM rimane ancora il riferimento pur in assenza di studi randomizzati. Diversi studi hanno riportato risultati sovrapponibili e tossicità accettabile con schemi analoghi come FEAM (con fotemustina) e BEAM (con bendamustina). Nella tabella 4 sono riportati i principali studi in cui si confrontano i vari schemi di condizionamento e nella tabella 5, i dati ottenuti in studi utilizzando schemi alternativi al BEAM. É da notare che un solo studio ha preso in considerazione solo pazienti con DLBCL [81-93].

Tabella 4. Studi retrospettivi in cui BEAM é stato confrontato con altri regimi di condizionamento

Autore N Istologia Schema OS PFS TRM

Salar 2001 365 DLBCL CyTBI vs

BEAM vs BEAC vs

CBV

≈30%

≈60%

≈30%

≈50%

14%

7%

Jantunen 2003 36 vs 36

Varie BEAM vs

BEAC

65% vs 55%

55% 9% vs 3%

Wang 2004 20 vs

52

Varie BEAM vs

CEB

84% vs 60%

72% vs 58%

0 vs 11%

Puig 2006 38 vs

75

Varie BEAM vs

CBV

/ / 7% vs 25%

Jo 2008 28 vs

69

Varie BEAM vs

BEAC

63% vs 32%

62% vs 28%

7% vs 7%

Zaucha 2008 48 vs 59

Varie BEAM vs

BuMelTT

50% vs 65%

28% vs 50%

0 vs 10%

Liu 2010 46 vs

27

Varie BEAM vs

CyTBI-E

63% vs 53%

50% vs 50%

2% vs 7%

Kim 2011 43 vs

22

Varie BEAM vs

BuCyE

40% vs 40%

45% vs 40%

4% vs 9%

Tabella 5. Risultati ottenuti con schemi alternativi al BEAM.

Autore N Istologia Schema OS PFS TRM

Gutierrez Delgado

2001 351 Varie CyTBI-E vs

BuMelTT

44%

42%

32%

34%

16%

21%

Aggarwal 2006 31 vs

18 LNH

ivBuCyE (vs osBuCyE)

58% vs

28% 17% 3% vs

28%

Liu 2010 26 vs

47 Varie CyTBI-E vs BuMelTT

54% vs 63%

50% vs 50%

8% vs 4%

Musso 2010 84 Varie FEAM / / 2.4%

Carella 2010 81 Varie TEAM / 85% 1%

Visani 2011 43 Varie BeEAM 90% 70% 0

Tuttavia, in assenza di studi controllati, il regime BEAM rimane ancora lo schema di condizionamento di riferimento prima della reinfusione delle cellule staminali autologhe.

(20)

20

Oggi è da considerarsi obsoleto un regime di condizionamento contenente TBI [94]. Di conseguenza, gli schemi utilizzati comprendono diverse combinazioni di farmaci, principalmente alchilanti, antimetaboliti e inibitori delle topoisomerasi, che risultano ben tollerati con una tossicità prevalentemente mucosa [95].

L’aggiunta di rituximab a dosi e con tempi di somministrazione variabili ha permesso di migliorare i risultati clinici. Khouri et al [96] hanno confrontato i risultati ottenuti associando al BEAM il rituximab durante la mobilizzazione, il condizionamento e anche dopo HDC. Con questo schema, rispetto a quanto osservato in un gruppo senza rituximab, la DFS era 67% vs 43% e la OS era 80% vs 53%, in favore dello schema con rituximab. Va tuttavia sottolineato che queste considerazioni sono state pubblicate in epoca precedente all’uso sistematico del rituximab in prima e seconda linea, e pertanto potrebbe risultare oggi annullata la differenza nell’uso di rituximab nella fase “pericondizionamento”.

Infine anche i radioimmunoconiugati (RIT), quali l’90Yittrio Ibritumomab (Zevalin) e il 131I Tositumomab (Bexxar), iniziano ad essere integrati nel condizionamento prima della reinfusione delle cellule staminali autologhe. Il razionale per l’uso dei RIT è nella supposta efficacia della radioterapia nell’eradicare le cellule linfomatose, senza aumentare il danno su tessuti sani. In generale, finora sono stati pubblicati solo studi di fase I e II che possono essere suddivisi in funzione della dose di RIT e della associazione o meno con chemioterapici ed includendo popolazioni di pazienti con differenti istologie. I risultati sono promettenti in termini di PFS e OS con tossicità moderata [97-100]. Si tratta di studi eterogenei per selezione dei pazienti, dosaggio e schedula di somministrazione di RIT, pertanto difficilmente paragonabili tra loro con conseguente difficoltà a trarne conclusioni solide. Pertanto l’aggiunta dei radioimmunoconiugati ai regimi di condizionamento è da considerarsi solo nell’ambito di studi clinici controllati.

2.5.8 Trapianto allogenico

Il ruolo del trapianto allogenico nella strategia terapeutica del DLBCL deve essere ancora definita. La tendenza attuale è di sottoporre pazienti avanzati, possibilmente chemiosensibili, spesso ricaduti dopo HDC con supporto autologo o con recidiva dopo diverse linee di terapia, al trapianto allogenico preceduto da un condizionamento di intensità ridotta (reduced intensity regimen, RIC), al fine di diminuire la TRM, per poter sfruttare l’effetto “graft versus lymphoma”.

In vari studi sono riportati i risultati ottenuti in pazienti con linfoma aggressivo, tra cui il DLBCL, utilizzando un condizionamento mieloablativo (myeloablative conditioning, MAC) [101-107].

Nei trial in cui il trapianto allogenico è stato confrontato con l’autologo [101, 103, 108], la OS è risultata al meglio identica e molto spesso inferiore a causa della elevata TRM. Ma ciò che è importante sottolineare è la dimostrazione della esistenza di un effetto immunologico contro le cellule di linfoma, testimoniato dalla frequenza di ricadute post-allo inferiore rispetto a quanto osservato dopo HDC. Da circa un decennio una serie di studi hanno riportato che l’uso di RIC riduce la TRM, permettendo un più ampio utilizzo del trapianto allogenico.

Dodici sono stati gli studi più significativi condotti sul trapianto allogenico con condizionamento RIC [109- 120]. Il confronto con gli studi precedenti è difficile soprattutto per la differenza delle caratteristiche generali (di solito i pazienti sottoposti a RIC hanno un’età maggiore con un numero significativo di comorbidità) e specifiche legate alla malattia (più linee di terapia, ricadute dopo autologo). Nonostante questi limiti, la TRM è nella maggior parte dei casi ridotta ed in alcune serie la sopravvivenza è particolarmente significativa.

Il valore prognostico della presenza di comorbidità è stato sottolineato da alcuni studi del Fred Hutchinson Cancer Research Center [121]. Questo score definito HCT-CI (hematopoietic cell transplantation- comorbidity index), permette di individuare almeno 3 gruppi di pazienti con un rischio di mortalità trapiantologica significativamente differente. Lo stesso score è stato successivamente adattato ai pazienti con linfoma e leucemia linfatica cronica [120] e da questa analisi è risultato che i pazienti con uno score di 0 hanno la stessa TRM qualunque sia il tipo di condizionamento, RIC o MAC. Al contrario, per valori superiori, i regimi MAC sono gravati da una TRM crescente e da una riduzione della OS. Lo stesso score è stato anche valutato in pazienti con linfoma che hanno ricevuto solo RIC.

(21)

21

Nello studio italiano, l’analisi effettuata in pazienti con linfoma e mieloma, tutti condizionati con RIC, ha validato lo score di Sorror, che ha permesso di suddividere i pazienti in 3 gruppi (HCT-CI 0, 1-2, >3) con TRM, PFS e OS significativamente differenti [122].

La casistica americana, con un numero più basso di pazienti ma trattati in modo uniforme, conferma l’influenza dell’HCT-CI solo sulla TRM con modalità di segregazione differente (HCT-CI 0-2 vs >3) [119].

Altri studi hanno recentemente analizzato i risultati ottenuti con il trapianto allogenico nei pazienti con DLBCL. La qualità metodologica di questi studi è limitata in quanto si tratta in ogni caso di studi retrospettivi, da registro e con diversi bias di selezione [123, 124].

In entrambi gli studi, circa il 30% dei pazienti riceveva un condizionamento mieloablativo, che era gravato da una maggiore NMR nello studio EBMT, mentre non risultava avere un peso prognostico nello studio italiano, in cui la NMR era influenzata solo dal tipo di donatore (alternativo vs HLA identico). In uno studio del registro americano (CIBMTR), Lazarus et al. [125] sono stati confrontati i risultati ottenuti in pazienti con DLBCL con la HDC o con un trapianto allogenico da donatore familiare HLA identico preceduto da un condizionamento mieloablativo. Le 2 coorti di pazienti presentano caratteristiche differenti, con una maggiore presenza di fattori prognostici negativi nel gruppo allogenico. I risultati sono stati che la TRM è più alta dopo allogenico durante il primo anno di follow up (41 % vs 12%), per poi essere simile, mentre l’incidenza di ricaduta a 1, 3 e 5 anni (33% vs 30%, 37% vs 33%, 40% vs 33%, rispettivamente) non differisce statisticamente, e la PFS (56% vs 29%, 47% vs 24%, 43% vs 22%) e OS (66% vs 33%, 53% vs 26%, 49% vs 22%) risultano essere migliori nel gruppo HDC.

In conclusione il trapianto allogenico può avere un ruolo nella strategia terapeutica del DLBCL recidivato/refrattario, ma comunque sempre e solo nell’ambito di uno studio clinico.

2.5.9 Terapia per i pazienti non candidabili a trapianto autologo di cellule staminali

I pazienti ricaduti dopo trapianto autologo di cellule staminali o non candidabili a tale procedura hanno una prognosi infausta a breve termine.

Ad oggi non esistono evidenze sufficenti per formulare raccomandazioni per la scelta terapeutica di questa fase della malattia pertanto la definizione del programma terapeutico deve essere basata sulla valutazione del singolo paziente optando se disponibile per l’arruolamento in uno studio clinico controllato.

2.6 Trattamento del paziente anziano

Il linfoma diffuso a grandi cellule B rappresenta il sottotipo più comune di LNH nella popolazione anziana.

Benché l’età costituisca di per sé un fattore prognostico negativo, oltre il 50% degli anziani che possono essere sottoposti a chemioterapia curativa, ha la prospettiva di guarire dal linfoma.

Nelle decadi passate, studi clinici prospettici nel sottogruppo degli anziani hanno mostrato ottimi risultati terapeutici anche in questa popolazione di difficile gestione e cura. Per il paziente anziano in buone condizioni generali sono applicabili le evidenze precedentemente descritte che identificano nella terapia R- CHOP lo schema di riferimento.

Il problema maggiore nella trattazione del linfoma a grandi cellule dell’anziano è rappresentato dalla scelta del trattamento nei casi in cui al linfoma si aggiunge la presenza di copatologie, di situazioni di inabilità o ridotta funzione che condizionano in maniera significativa la scelta terapeutica [126]. Questi pazienti non sono rappresentati negli studi randomizzati precedentemente menzionati e ad essi non possono essere direttamente applicate le raccomandazioni fatte per il paziente senza comorbidità.

In assenza di studi randomizzati condotti specificatamente per la popolazione dei pazienti anziani o fragili i livelli di evidenza sono molto bassi e si basano su scelte empiriche condivisibili e sui risultati di studi di fase II.

In questo contesto un primo obbiettivo è quello di rendere oggettiva la valutazione del paziente.

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