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La funzione di organizzatore culturale della legge 180/78

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Narrare i gruppi. Prospettive cliniche e sociali. Anno II, Vol. I, Marzo 2007

note

La funzione di organizzatore culturale della legge 180/78

FAUSTO ROSSANO1

Quando si parla di legge 1802, si parla di Salute Mentale e può sembrare quasi un obbligo di etichetta, una sorta di atto dovuto, chiamare direttamente in ballo questa Legge: la mia intenzione è del tutto diversa e riguarda gli a- spetti della funzione di Organizzatore culturale che a mio avviso la 180 ha svolto e svolge tuttora, nonostante siano trascorsi ormai quasi 30 anni dalla sua nascita.

Le parole “Organizzatore culturale” definiscono almeno due azioni: la prima riguarda la persona o l’ente che si assume il compito di predisporre e coordinare in modo sistematico e funzionale lo svolgimento di eventi colletti- vi; la seconda, tipica della embriologia, indica invece il territorio o parte dell’embrione che esplica, durante lo sviluppo, una fondamentale influenza morfo-genetica su altri territori o parti, provocandone la progressiva determi- nazione ovvero stimolandone l’ulteriore differenziamento istologico e morfo- logico.

Non mi sembra scorretto pensare che nella prima accezione la 180, pur non essendo un Ente o una persona, in realtà demanda a Enti e Persone non tanto delle regole o delle tecniche cui aderire pedissequamente ma il compito di predisporre e coordinare… un fatto collettivo, una nuova organizzazione basata su nuove premesse e nuovi statuti culturali.

1 ASL - Napoli 1.

2 La legge 180 nasce dalle lotte anti-istituzionali che sin dagli anni ’60 caratterizzarono la nostra società civile e che, grazie a F. Basaglia, determinarono la chiusura del Manicomio di Trieste e, sulla stessa scia, di altri Manicomi italiani. Il riscontro legislativo di quelle esperienze fu appun- to la L.n.180/78, che rivoluzionò completamente il sistema psichiatrico italiano, e non solo, sancendo la necessità di provvedere alla definitiva chiusura di tutti i Manicomi e alla attivazione di una rete di servizi territoriali a struttura dipartimentale per affrontare adeguatamente e nei luoghi di appartenenza le malattie mentali. La legge 180 successivamente fu ripresa quasi integralmen- te nella Riforma sanitaria del 1978.

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Entrambe le definizioni richiamano complessivamente le funzioni della 180 che infatti, nel bene e nel male, dà solo delle direttive generali in cui far confluire il fatto psichico, fatto ribadito positivamente nel senso della Salute Mentale piuttosto che negativamente in termini di malattia psichiatrica.

Una valutazione alla distanza evidenzia come si sia potuto creare una sorta di network di comunicazioni tra le diverse realtà territoriali, benché poco for- malizzato, che ribadendo la necessità del continuo confronto con la diversità e la molteplicità, ci permette di formulare ipotesi e promuovere modelli in grado di far avanzare la nostra conoscenza, diminuendo così lo scarto tra teoria e prassi.

In questo senso la 180 gioca il ruolo di organizzatore nel primo tipo: ricor- diamo la negazione dell’ accentuazione della territorialità come peculiare e- spressione della soggettività e della unicità della sofferenza psichica, non gene- ralizzabile in ricette sempre valide per tutto e tutti.

L’aspetto di organizzatore nel secondo senso è particolarmente intrigante in quanto sembra proprio che la 180 abbia funzionato (e non solo quando ha funzionato) esercitando una fondamentale influenza su altri territori o parti, provocandone la determinazione o stimolandone l’ulteriore differenziamento.

In tal senso, si vengono a determinare effetti diretti positivi della 180, che cambiano radicalmente le modalità della psichiatria.

Ma anche gli aspetti disfunzionali hanno un effetto importante: la improv- visa mancanza di luoghi ove rinchiudere la follia, che non sono di certi i pochi posti letto dei primi ed improvvisati SPDC, danno una forza, quasi un’autonomia al paziente, una nuova dignità che rappresenta la controfaccia del perduto potere di custodia dello psichiatra.

La forza della follia mette in crisi non più e soltanto la famiglia del malato ma anche lo psichiatra che si trovano a colludere sulla “necessità” - non più ri- solta dalla presenza dell’O.P. (Ospedale Psichiatrico) - di isolare, allontanare il disturbo dovuto alla presenza del malato stesso.

L’improvvisa applicazione della 180 coglie la psichiatria e le sue risorse (U- niversità, Ospedali, Case di cura private) del tutto impreparata di fronte al ribal- tamento dell’abituale scenario: ora deve nascere il rapporto, non già come atto di illuminata umanità dello psichiatra progressista che si svolge all’interno delle strutture psichiatriche, ma come nuovo unico necessario strumento di tratta- mento: nasce di fatto la terapia!

Il concetto di organizzatore non è nuovo in psicoanalisi e permette di pen- sare in termini evolutivi, in grado di crescente complessità, alla costruzione del- la psiche. Le più recenti ricerche che si interrogano sul fondamento culturale della identità personale aprono nuove vie di interpretazione a certi fenomeni, permettendo di uscire dalla dicotomia individuale/sociale.

Al riguardo viene fatto di pensare agli organizzatori psichici e socio- culturali presenti nel pensiero di Kaes.

In senso junghiano, il discusso concetto di archetipo va riletto anche alla luce di queste domande e permette di apprezzare la modernità anticipatrice di

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Fausto Rossano

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Jung laddove sostiene la forte funzione organizzatrice degli archetipi sull’esperienza psichica, tanto sul versante delle immagini individuali che su quello culturale.

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