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Immissioni intollerabili e modello di tutela giurisdizionale: profili problematici - Judicium

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Academic year: 2022

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I

GNAZIO

Z

INGALES

Immissioni intollerabili e modello di tutela giurisdizionale: profili problematici

SOMMARIO: 1.- Oggetto dell’indagine 2.- Immissioni intollerabili provocate da utenti di aree appartenenti alla pubblica amministrazione: misure giurisdizionali adottabili e giudice munito di potestas iudicandi 3.- Legittimazione passiva 4.- Forme di esecuzione civile

1. Oggetto dell’indagine

Oggetto del presente lavoro è l’analisi di alcune questioni problematiche riguardanti il modello procedimentale applicabile e le forme di tutela invocabili in presenza di immissioni intollerabili provocate da utenti di un’area appartenente alla pubblica amministrazione; area gestita direttamente da quest’ultima

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.

Ai fini che qui interessano, le questioni di maggiore rilevanza da affrontare sono quelle riguardanti: 1) l’assetto di distribuzione delle competenze giurisdizionali che caratterizza la materia de qua; 2) l’individuazione dei soggetti nei cui confronti possono essere proposte le azioni, ex art.

2043 c.c., di risarcimento dei danni generati dalle immissioni e quelle, inibitorie e di condanna ad un facere, esperibili a mente dell’art. 844 c.c.; azioni, queste ex art. 844 c.c.

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, come è noto, tradizionalmente concepite come volte ad ottenere: a) una declaratoria di accertamento della intollerabilità ed illiceità delle immissioni provenienti da un fondo ed il conseguenziale ordine, di

1 Lo spunto per la presente indagine è stato fornito dalla recente Corte cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4848. Nella vicenda approdata in Cassazione e sfociata nella sentenza citata, si trattava di immissioni acustiche provenienti da un parco giochi di proprietà di un Comune, ma gestito da una società; immissioni che avevano indotto le parti attrici a rivolgersi al giudice ordinario.

Per ragioni di contenimento dell’indagine, non potranno, però, in questa sede, analizzarsi né il modello di tutela applicabile in caso di immissioni intollerabili provocate da utenti di un’area appartenente all’amministrazione ma data in concessione ad un soggetto diverso, né il modello di tutela da seguire in presenza di immissioni intollerabili direttamente provocate dal concessionario.

2 Questo il testo della disposizione:

“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.

Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.

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carattere inibitorio

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, di cessazione delle stesse; b) una pronunzia di condanna ad un facere consistente nella realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le predette immissioni; 3) le forme di esecuzione, dirette ed indirette, delle pronunzie adottabili ai sensi dell’art. 844 c.c. nella materia de qua.

2. Immissioni intollerabili provocate da utenti di aree appartenenti alla pubblica amministrazione: misure giurisdizionali adottabili e giudice munito di potestas iudicandi

Come detto, secondo la tradizionale ricostruzione, le forme di tutela concepibili in presenza di immissioni consistono nell’adozione: a) di un provvedimento con cui si accerti l’intollerabilità e l’illiceità delle immissioni e si ordini la cessazione dell’attività molesta; b) di un provvedimento di condanna alla realizzazione di quelle opere idonee ad eliminare le immissioni eccedenti la normale tollerabilità; c) di un provvedimento di condanna al risarcimento, ex art. 2043 c.c., dei danni generati da dette immissioni.

Ribadito questo dato, il primo interrogativo a cui ora, in fase di avvio della presente ricerca, occorre rispondere è il seguente: a quale giudice deve chiedersi, eventualmente anche in via cumulativa, l’emanazione di tali provvedimenti (adottabili, alla luce delle considerazioni che si svolgeranno nel terzo paragrafo, anche nei confronti della pubblica amministrazione) allorquando le immissioni intollerabili risultino provocate da semplici fruitori (quali, ad esempio, gli utenti di un parco pubblico) di un’area di proprietà di (e gestita da) un ente pubblico?

Con la menzionata sentenza n. 4848 del 27 febbraio 2013, intervenuta a definire una vicenda processuale caratterizzata dalla presenza di un cumulo di domande volte ad ottenere, nei confronti di un Comune, statuizioni di accertamento dell’illegittimità delle immissioni, di condanna alla cessazione delle stesse, e di condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo risarcitorio, le Sezioni Unite della Suprema Corte, ribadendo precedenti orientamenti, hanno osservato, forse un po’ laconicamente, che, nelle ipotesi di immissioni intollerabili provocate da semplici utenti di aree

3 Osserva BASILICO G., La tutela civile preventiva, Milano, 2013, 209-210: “il contenuto primario della tutela inibitoria è rappresentato dall’ordine di cessazione: inibire significa impedire, pertanto il provvedimento giudiziale invocato si dirige nei confronti di un comportamento illegittimo, che viene, così, interdetto e che non può più essere proseguito o reiterato. È evidente che quel comportamento, qualificato come illecito, sia pure attraverso varie e diverse sfumature, è un comportamento già esaurito nella sua fattispecie, ma di cui si protraggono ancora gli effetti – pregiudizievoli o, quanto meno, pericolosi – oppure è un comportamento fisiologicamente destinato alla reiterazione, di talché l’ordine inibitorio servirà ad impedirla”.

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appartenenti alla pubblica amministrazione, la giurisdizione spetta al giudice ordinario; e ciò, sia perché in tali ipotesi non verrebbero in contestazione scelte discrezionali della pubblica amministrazione, sia perché, “nelle controversie che hanno ad oggetto la tutela del diritto alla salute…garantito dall'art. 32 Cost., la P.A. è priva di alcun potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva”.

Con riferimento al tipo di vicenda preso in considerazione nel presente lavoro, vale a dire (giova ripetere) con riferimento al caso in cui le immissioni intollerabili siano provocate da utenti di un’area di proprietà di (e gestita direttamente da) un’amministrazione, la soluzione fornita dal giudice di legittimità appare corretta.

Si deve, invero, in primo luogo, escludere, nella materia de qua, la sussistenza di qualsivoglia ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Inapplicabile risulta l’art. 133, comma 1, lett. f), del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), il quale devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,

“salvo ulteriori previsioni di legge”, “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonché del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

Anche a prescindere dal dato di fatto, a mio avviso difficilmente contestabile, consistente nella impossibilità di ricondurre le controversie ex art. 844 c.c. al genus di quelle riguardanti le materie dell’urbanistica e dell’edilizia, l’art. 133, comma 1, lett. f), assoggetta alla giurisdizione del giudice amministrativo “gli atti e i provvedimenti”, e non meri comportamenti, quali sono quelli generatori di immissioni intollerabili e di cui si può chiedere la cessazione.

Peraltro, quand’anche la norma avesse fatto riferimento - così come faceva l’abrogato art. 34, comma 1, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 - a meri “comportamenti” (rectius: a comportamenti riconducibili - in linea con quanto affermato da Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204

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, e da Corte cost.,

4 In Dir. proc. amm., 2004, 799, con nota di CERULLI IRELLI V., Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004 (osservazioni a primissima lettura), e di VILLATA R., Leggendo la sentenza n. 204 della Corte costituzionale; in Foro it., 2004, I, 2594, con note di BENINI S., di TRAVI A., La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80, dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, e di FRACCHIA F., La parabola del potere di disporre il risarcimento: dalla giurisdizione «esclusiva» alla giurisdizione del giudice amministrativo; ed in Guida al diritto, n. 29/2004, 88, con nota di FORLENZA O., Con le restrizioni sui diritti soggettivi addio al criterio dei «blocchi di materie».

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11 maggio 2006, n. 191

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, e poi codificato dall’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo

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-, quantomeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere), i

In dottrina, su tale sentenza, cfr., inoltre, SASSANI B., Costituzione e giurisdizione esclusiva: impressioni a caldo su una sentenza storica, in www.judicium.it; DELLE DONNE C., Passato e futuro della giurisdizione esclusiva del GA nella sentenza della Consulta n. 204/2004: il ritorno al "nodo gordiano" diritti-interessi, ibidem; LAMORGESE A., La giurisdizione nei servizi pubblici dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, ibidem; CARBONE V. - CONSOLO C. - DI MAJO A., Il “waltzer delle giurisdizioni” rigira e ritorna a fine ottocento, in Corr. giur., 2004, 1125 ss.; CARIOLA A., La responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi, in La tutela aquiliana degli interessi legittimi (Atti del convegno di Catania dei giorni 5 e 6 novembre 2004 organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, dalla Sezione di Catania del Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano” e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania), Catania, 2005, 26 ss.; TISCINI R., Il ricorso straordinario in Cassazione, Torino, 2005, 568 ss.; FERRONI M. V., Il ricorso in Cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, Padova, 2005, 119 ss.; CLARICH M., La «tribunalizzazione» del giudice amministrativo evitata, in Giorn. dir. amm., 2004, 969 ss.; POLICE A., La giurisdizione del giudice amministrativo è piena, ma non è più esclusiva, ibidem, 974 ss.; MATTARELLA B. G., Il lessico amministrativo della Consulta e il rilievo costituzionale dell'attività amministrativa, ibidem, 979 ss.; PAJNO A., Giurisdizione esclusiva ed «arbitrato»

costituzionale, ibidem, 983 ss.; MAZZAROLLI L., Sui caratteri e i limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte costituzionale ne ridisegna l'ambito, in Dir. proc. amm., 2005, 214 ss.; VIRGA G., Il giudice della funzione pubblica (sui nuovi confini della giurisdizione esclusiva tracciati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004), in www.LexItalia.it; GAROFOLI R., La nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici dopo Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, ibidem; SAITTA F., Tanto tuonò che piovve: riflessioni (d'agosto) sulla giurisdizione esclusiva ridimensionata dalla sentenza costituzionale n. 204 del 2004, ibidem; MONACILIUNI M., La breve stagione del potere monitorio del giudice amministrativo, con particolare riferimento ai crediti dei farmacisti, ibidem;

GIACCHETTI S., Giurisdizione esclusiva, Corte costituzionale e nodi di Gordio, in Cons. Stato, 2004, II, 1647 ss.;

CARAMAZZA I. F., Le nuove frontiere della giurisdizione amministrativa (dopo la sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204), in Rass. Avv. Stato, 2004, 741 ss.; CHINE' G., I nuovi confini delle giurisdizioni:

quale futuro per la giurisdizione (esclusiva) del giudice amministrativo?, in Giur. it., 2005, 917 ss.; CONTI R., Corte costituzionale, riparto delle giurisdizioni e art. 34 D.Lgs. n. 80/98: fu vera rivoluzione?, in Urb. e app., 2004, 1035 ss.;

LUCA E., Sentenza n. 204/2004: ragioni della Consulta e necessità di un nuovo intervento legislativo, in Rass. amm.

sic., 2004, 1483 ss.; CAPOBIANCO R., I limiti della giurisdizione esclusiva nella sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, in Giust. amm., 2004, 848 ss.; RAPONI F., Osservazioni "a caldo" sulla sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204. I diritti di credito in materia di servizi pubblici ritornano al giudice ordinario?, in www.AvvocatiAmministrativisti.it; LORENZONI F., Commento a prima lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 5 luglio 2004, in www.Federalismi.it.; ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, 16 ss..

Nella pronunzia de qua, si osserva che «la nuova formulazione dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, quale recata dall'art.

7, comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000… si pone in contrasto con la Costituzione nella parte in cui, comprendendo nella giurisdizione esclusiva - oltre “gli atti e i provvedimenti” attraverso i quali le pubbliche amministrazioni (direttamente ovvero attraverso “soggetti alle stesse equiparati”) svolgono le loro funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed edilizia - anche “i comportamenti”, la estende a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita - nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere».

5 In Foro it., 2006, I, 1625, con note di TRAVI A., Principi costituzionali sulla giurisdizione esclusiva ed occupazioni senza titolo dell’amministrazione, e di DE MARZO G., Occupazioni illegittime e giurisdizione: le incertezze della Consulta.

Con tale pronunzia, il Giudice delle leggi ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 325 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B), trasfuso nell’art. 53, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001 n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere”.

6 Tale disposizione prevede che: “Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti

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“comportamenti” eventualmente contemplati da tale ipotetica norma sarebbero stati esclusivamente quelli delle pubbliche amministrazioni, e non quelli dei semplici fruitori dell’area.

Con riferimento all’ipotesi - che esula dai confini della presente indagine e che richiederebbe comunque un’autonoma e specifica analisi – di immissioni intollerabili provenienti da un’area appartenente all’amministrazione ma data in concessione ad un diverso soggetto, a prima vista inapplicabili sembrerebbero poi (il condizionale è, però, d’obbligo stante l’opaca lettera dei seguenti dati normativi con cui si edifica un assetto di riparto di difficile decifrabilità, e stante il fatto che su tale assetto ci si può, in questa sede, soffermare solo di sfuggita): a) l’art. 133, comma 1, lett. b), del codice del processo amministrativo, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, “salvo ulteriori previsioni di legge”, “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche”. La disposizione sembra fare, invero, riferimento esclusivamente a giudizi aventi ad oggetto la legittimità di vere e proprie determinazioni amministrative relative al rapporto di concessione, e non l’accertamento dell’eventuale illiceità di comportamenti quali quelli posti appunto in essere da semplici utenti di un’area pubblica data in concessione; b) l’art. 133, comma 1, lett. c), del codice del processo amministrativo, che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, “salvo ulteriori previsioni di legge”, “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”. Le azioni esperibili in presenza di immissioni intollerabili provenienti da un’area pubblica data in concessione non sembrano, invero, essere prese in considerazione da tale disposizione, la quale limita l’operatività della giurisdizione esclusiva: 1) alle liti riguardanti le concessioni di pubblici servizi, i provvedimenti adottati in materia di pubblici servizi all’esito di un procedimento amministrativo, l’affidamento del servizio, la vigilanza sul soggetto gestore; 2) e alle liti riguardanti

l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni. Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico”.

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le specifiche materie richiamate nella parte finale del testo; materie all’interno delle quali non sono sussumibili le controversie ex art. 844 c.c..

Non sussistendo dati normativi fondanti ipotesi di giurisdizione esclusiva, ai fini della individuazione del giudice munito di potestas iudicandi, occorre allora guardare alla consistenza delle posizioni giuridiche soggettive lese dalle immissioni. Ed al riguardo, la circostanza che nella materia oggetto di indagine, in presenza di domande di tutela rivolte esclusivamente nei confronti di meri comportamenti, di stampo privatistico, generatori di immissioni intollerabili, non vengono in rilievo provvedimenti amministrativi (il potere esercitato dall’amministrazione resta, invero, fuori dalla scena della vicenda, e non permea di sé il comportamento illecito tenuto, il quale, dunque, non riflette coloriture pubblicistiche) e la condivisibilità dell’orientamento giurisprudenziale che individua anche nel diritto alla salute il bene tutelato dall’art. 844 c.c.

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inducono ad affermare, in ossequio al tradizionale criterio di riparto fondato sui binomi diritto soggettivo-giurisdizione ordinaria e interesse legittimo-giurisdizione amministrativa, la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario

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. Giurisdizione che, sempre in base alle tradizionali regole di riparto, andrà affermata anche con riferimento ai giudizi di risarcimento dei danni derivanti dalle predette immissioni, trattandosi di disporre un ristoro patrimoniale per la lesione – derivante da meri comportamenti di stampo privatistico - di posizioni giuridiche qualificabili come diritti soggettivi

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.

La situazione, ovviamente, cambia se l’azione esperita “investe” in via principale non il comportamento, generatore dell’immissione, tenuto dal privato all’interno dell’area di proprietà dell’amministrazione, ma la scelta dell’amministrazione di destinare detta area allo svolgimento di quella attività fonte delle immissioni intollerabili.

Se si vuole ottenere una statuizione, idonea al giudicato, che accerti l’invalidità della scelta di carattere urbanistico dell’amministrazione, non può che entrare, invero, in gioco il menzionato art.

133, comma 1, lett. f), del codice del processo amministrativo, che, come visto, attribuisce alla

7 Cfr. Corte cass., sez. II, 9 gennaio 2013, n. 309, secondo cui “l'art. 844 c.c., comma 2, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata, ponendo alle immissioni il limite della normale tollerabilità ha inteso tutelare il diritto alla salute ed il diritto ad un ambiente salubre”; Corte cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4848, cit..

8 Per questa conclusione, cfr. CAMERIERO L., Il divieto di immissioni tutela la proprietà ma anche la salute del proprietario, in www.diritto24.ilsole24ore.com, Gli Approfondimenti, n. 3/2011, 36, che osserva: “ove…si intendano contestare le modalità di svolgimento dell’attività autorizzata, la quale cesserebbe di essere lesiva con l’adozione di taluni accorgimenti, la giurisdizione tornerebbe al G.O. non venendo in rilievo la necessità di annullare un provvedimento amministrativo”.

9 Cfr. CAMERIERO L., Il divieto di immissioni tutela la proprietà ma anche la salute del proprietario, cit., 36: “se…il privato chieda il risarcimento dei danni nei confronti della P.A. per un’attività che sia stata fonte di immissioni pregiudizievoli per la salute, la giurisdizione compete al G.O. essendo, come noto, la P.A. priva di alcun potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva”.

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giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio”.

Allo stesso modo, la giurisdizione spetterà sempre al giudice amministrativo in caso di domanda volta ad ottenere un giudicato sulla invalidità del provvedimento di concessione dell’area ove si svolge l’attività da cui derivano le immissioni o sulla invalidità della regolamentazione del servizio reso dal concessionario. Anche in queste ipotesi, invero, l’oggetto del giudizio è un vero e proprio atto amministrativo, il cui sindacato è devoluto, in sede di giurisdizione esclusiva, all’autorità giudiziaria amministrativa.

Per le medesime ragioni attinenti all’oggetto del giudizio, ovviamente, sussisterà la giurisdizione, sia essa di legittimità o esclusiva

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, del giudice amministrativo anche nei casi in cui si chieda di accertare con efficacia di giudicato l’invalidità di un provvedimento che autorizzi lo svolgimento di attività, anche in aree non appartenenti all’amministrazione, costituenti potenziali fonti di immissioni

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.

Ed in tutte queste ipotesi di giurisdizione esclusiva, nonché in presenza di provvedimenti amministrativi lesivi di interessi legittimi assoggettati alla giurisdizione amministrativa di legittimità, la potestas iudicandi del giudice amministrativo si estende anche alle domande di risarcimento dei danni derivanti dall’esercizio dell’attività provvedimentale.

Ed invero, è noto che il potere di disporre, nell’ambito della tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, il risarcimento del danno da provvedimento non costituisce una

“materia” a sé, devoluta in via esclusiva alla giurisdizione ordinaria o a quella amministrativa, ma rappresenta, come affermato dalla Corte costituzionale

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, uno strumento di tutela ulteriore (che

10 Anche al riguardo può, invero, segnalarsi una specifica ipotesi di giurisdizione esclusiva. Si veda l’art. 133, comma 1, lett. r), del codice del processo amministrativo, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,

“salvo ulteriori previsioni di legge”, “le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alla disciplina o al divieto dell'esercizio d'industrie insalubri o pericolose”.

11 Anche per tale ipotesi, si veda CAMERIERO L., Il divieto di immissioni tutela la proprietà ma anche la salute del proprietario, cit., 36, che osserva: “Ove… il privato lamenti che sia stata autorizzata dalla P.A. un’attività fonte di intollerabili immissioni, la giurisdizione spetta al G.A. dovendosi verosimilmente chiedere l’annullamento dell’atto lesivo”.

12 Cfr., con riferimento alla tutela risarcitoria nell’ambito del processo amministrativo, Corte cost., 6 luglio 2004, n.

204, cit., che afferma: «il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione. L'attribuzione di tale potere non soltanto appare conforme alla piena dignità di giudice riconosciuta dalla Costituzione al Consiglio di Stato…, ma anche, e soprattutto, essa affonda le sue radici nella previsione dell'art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di

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arricchisce, in un’ottica di valorizzazione del disposto di cui all’articolo 24 Cost., la gamma delle forme di tutela offerte dall’ordinamento) rispetto a quello tradizionale attivabile con l’impugnazione dell’atto lesivo.

In questo quadro, il legislatore, nel delineare l’ambito della giurisdizione amministrativa, ha stabilito (nell’articolo 7, commi 4 e 5, e nell’articolo 30, comma 6, del codice del processo amministrativo): 1) che, in caso di lesione di interessi legittimi, delle eventuali domande di condanna al risarcimento dei danni, anche se introdotte in via autonoma, conoscerà il giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità (così risolvendo i dubbi sul riparto sorti all’indomani dell’emanazione della legge 21 luglio 2000, n. 205)

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; 2) e che sempre al

adeguati poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto, peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione esclusiva), che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti patrimoniali consequenziali e l'eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l'art. 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce null'altro che attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost.».

13 Si ricordi che l'articolo 7, comma 3, primo periodo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dall’articolo 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, stabiliva, “con formula di per sé per nulla cristallina” (così CONSOLO C., Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Le tutele: di merito, sommarie ed esecutive, Torino, 2012, 144), che il Tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, potesse conoscere di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. Formula che non chiariva se l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di statuire sulle domande di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi fosse completa o riguardasse solo i casi di domande risarcitorie conseguenziali a rituali impugnazioni degli atti lesivi. Su tale modifica dell’articolo 7, comma 3, primo periodo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, si veda CONSOLO C., Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Le tutele: di merito, sommarie ed esecutive, cit., 144, che osserva: “L’intervento del legislatore, anziché chiarificatore, ha creato perplessità in seno agli interpreti. Si è così dubitato che la formula attribuisse in via generale al giudice amministrativo il potere esclusivo di decidere delle domande di risarcimento per la lesione degli interessi legittimi. Si è così offerta da alcuni autori una interpretazione valorizzatrice delle esigenze del simultaneus processus concludendo per la giurisdizione amministrativa ogni volta che fosse già instaurato un giudizio per l’annullamento dell’atto sia in caso di giurisdizione amministrativa di legittimità che in ipotesi di giurisdizione esclusiva. Ogni volta invece che non si volesse addivenire ad una pronuncia di accoglimento oppure si avesse una troppo lunga attesa o anche un rigetto in rito dell’azione di annullamento amministrativa, si riteneva fosse aperta la via del giudice ordinario. La soluzione, peraltro accolta dalle più recenti dottrina e giurisprudenza, è nel senso che il giudice amministrativo sia giudice naturale dell’interesse legittimo sia nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia in caso di giurisdizione amministrativa di legittimità e pertanto non residui alcun margine di attribuzione di giurisdizione al giudice ordinario”.

14 E con riferimento a tali domande, la nuova disciplina dettata dall’articolo 30, commi 3, 4 e 5, del codice del processo amministrativo è la seguente:

3. “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti” [norma, questa, che, risolvendo l’annosa questione, delinea un sistema che non subordina la possibilità di conseguire il risarcimento del danno alla tempestiva proposizione ed all’accoglimento dell’impugnazione avverso l’atto lesivo, imponendo, però, al giudice amministrativo adito “di tener conto (nella stessa logica dell’art. 1227 c.c.) del concorso di negligenza del privato leso che non avesse impugnato il provvedimento e consolidato così il danno”. Il virgolettato appartiene a CONSOLO C., Spiegazioni di diritto processuale civile, I, Le tutele: di merito, sommarie ed esecutive, cit., 144. Su tale sistema cfr., anche, CARINGELLA F., Corso di Diritto amministrativo. Profili sostanziali e processuali, I, Milano, 2011, 605 ss.];

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giudice amministrativo spetterà occuparsi di quelle domande risarcitorie proposte, a tutela di diritti soggettivi, nell’ambito delle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva

15

.

Come si vede, l’idea che traspare da dette disposizioni è quella di creare un sistema in cui tutte le forme di tutela (di accertamento e risarcitoria, o demolitoria e risarcitoria) invocabili in presenza di un atto amministrativo invalido siano tendenzialmente erogabili da un unico giudice

16

(gli articoli menzionati si riferiscono al giudice amministrativo, ma, trattandosi di norme di riparto, la loro valenza, ovviamente, è generale e, dunque, trascende i confini del processo amministrativo,

“coinvolgendo”, di riflesso ed in via residuale, anche la giurisdizione del giudice ordinario);

soluzione, questa, che appare confermata anche dalla lettera dell’articolo 7, comma 7, del codice del processo amministrativo, che recita: “il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi”.

3. Legittimazione passiva

Nei confronti di chi invocare tutela in presenza di immissioni intollerabili provocate da utenti di un’area appartenente alla (e gestita dalla) pubblica amministrazione? Nei confronti degli utenti o nei confronti della pubblica amministrazione proprietaria dell’area?

Pur senza ripercorrere le tappe giurisprudenziali che hanno scandito la nota ed annosa questione attinente alla natura dell’azione esperibile ex art. 844 c.c. (azione reale, a tutela della proprietà e dei diritti reali di godimento, accostabile all’azione negatoria di cui all’art. 949 c.c.

oppure, diversamente, azione personale), mi pare che oggi si debba constatare come, secondo la giurisprudenza prevalente, le domande volte ad ottenere provvedimenti che accertino

4. “Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere”;

5. “Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”.

15 Si ricordi che già l’articolo 35, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall’articolo 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, prevedeva che: “Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”.

16 Oltre a Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, cit., sulla legittimità costituzionale della scelta del legislatore “di collegare…, quanto all'attribuzione della giurisdizione, la tutela risarcitoria a quella della situazione soggettiva incisa dal provvedimento amministrativo illegittimo”, cfr., con riferimento al sistema antecedente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, Corte cost., 11 maggio 2006, n. 191, in Foro amm.-C.D.S., 2006, 1353.

(10)

l’intollerabilità delle immissioni e ordinino esclusivamente la loro cessazione possano essere proposte tanto nei confronti dell’autore materiale delle immissioni

17

, quanto nei confronti del proprietario del fondo

18

.

Diversa è invece la soluzione con riferimento all’ipotesi di domanda diretta ad ottenere un provvedimento di condanna alla realizzazione di quelle opere strutturali necessarie per far cessare le immissioni intollerabili.

Tale domanda, invero, può essere avanzata esclusivamente nei confronti del proprietario del fondo

19

; e ciò, ovviamente, tenuto conto: a) che, trattandosi di modifiche permanenti dello stato dei luoghi, non possono che venire in primo luogo in rilievo la posizione e l’interesse del proprietario;

b) che solo al proprietario può essere addossato un obbligo di intervento sulla struttura dell’area.

Passando, infine, alle domande risarcitorie ex art. 2043 c.c. volte ad ottenere un ristoro per il pregiudizio subito a causa delle immissioni, va osservato come, ferma ovviamente la possibilità di agire nei confronti dell’autore materiale delle immissioni, in tale materia possa riconoscersi anche la legittimazione passiva del proprietario del fondo

20

, il quale può essere convenuto in giudizio ogni

17 Cfr. Corte cass., sez. III, 29 aprile 2005, n. 8999 (“va rilevato che l'azione può essere proposta anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni…quando…l'attore chieda puramente e semplicemente la cessazione delle immissioni”).

18 Cfr. Corte cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4848, cit., che, nel confermare Corte app. Milano, 26 giugno 2006, osserva che: “la sentenza impugnata ha rilevato che l'azione ex art. 844 c.c. deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo, dal momento che tale norma regola un rapporto tra proprietari di fondi vicini e non tra autori materiali delle immissioni; al riguardo ha ritenuto che spetta al proprietario del fondo porre in essere tutte le cautele idonee ad evitare le immissioni dannose, anche se derivanti da attività in sé legittima e da chiunque esse siano provocate…”. Cfr. anche Corte cass., sez. II, 9 maggio 1997, n. 4086, secondo cui: “l'azione tendente a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità, ex art. 844 c.c., ha carattere reale e rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della proprietà, le quali mirano a far dichiarare e sanzionare non soltanto l'inesistenza di vere e proprie servitù vantate sul fondo dell'attore, ma anche a far accettare, in senso più ampio, l'inesistenza di qualsiasi diritto e, inoltre, l'illegittimità di turbative e molestie in danno del fondo stesso, al fine di conseguire la cessazione di queste ultime; e pertanto, in caso di turbative e molestie consistenti in immissioni intollerabili, può ritenersi, in concrete circostanze, che l'azione volta a farle cessare possa essere esperita nei confronti sia del proprietario dell'immobile che dell'autore materiale delle stesse…”.

19 Cfr. Corte cass., sez. III, 29 aprile 2005, n. 8999, cit. (l’azione, ex art. 844 c.c., contro le immissioni intollerabili “va proposta nei confronti del proprietario o di tutti i comproprietari se mira al conseguimento di un effetto reale, come avviene quando è volta…ad ottenere il compimento delle modifiche strutturali del bene indispensabili per farle cessare”); Corte cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4848, cit..

20 Cfr. Corte cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4848, cit.; Corte cass., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 318, resa con riferimento ad una vicenda in cui l’autore delle immissioni era il conduttore del fondo (questa la massima della pronunzia: in materia di azione personale di risarcimento del danno da immissioni intollerabili, va riconosciuta la legittimazione passiva del proprietario del fondo da cui derivano le immissioni stesse, ancorché queste siano originate solo dalle particolari modalità di uso del fondo da parte del conduttore del medesimo, quando sussiste il nesso oggettivo di causalità e non di mera occasionalità tra la condotta del proprietario e l'evento dannoso, e risulti, altresì, che l'eccedenza delle immissioni, rispetto ai limiti legali, sia imputabile a sua colpa per avere concesso il fondo in locazione con la consapevolezza della destinazione dello stesso ad attività di per sé molesta ai vicini e per non avere adottato alcun provvedimento idoneo ad indurre il conduttore ad apportare le modifiche e gli adattamenti necessari per eliminare le immissioni intollerabili).

(11)

qualvolta si contesti allo stesso di non essersi adoperato (di non aver, cioè, posto in essere tutte le cautele necessarie) per impedire le immissioni o di aver permesso consapevolmente lo svolgimento di attività destinate ineluttabilmente a determinarle.

Dunque, nelle ipotesi adesso in esame, quando cioè l’immissione intollerabile è originata dal comportamento di utenti di un’area appartenente alla (e gestita dalla) amministrazione, detta amministrazione, quale proprietaria, potrà, alla luce degli attuali orientamenti giurisprudenziali, essere destinataria, non solo di pronunzie di accertamento dell’intollerabilità e di condanna a titolo risarcitorio, ma anche di veri e propri ordini, di facere o di non facere, aventi come contenuto il compimento di tutte quelle modifiche strutturali indispensabili per neutralizzare le immissioni o la cessazione delle stesse.

Relativamente a quest’ultimo tipo di ordine è opportuno, però, svolgere una considerazione ulteriore.

Con riferimento alle ipotesi che vedono l’amministrazione proprietaria (e soggetto gestore) dell’area ma non autrice delle immissioni, parlare di ordine di cessazione delle immissioni lascia, invero, perplessi.

In questi casi, infatti, un vero e proprio ordine (di carattere inibitorio) di cessazione delle immissioni dovrebbe essere rivolto, non nei confronti del mero proprietario dell’area, che, non essendo l’autore delle immissioni, non può interromperle illico et immediate, ma solo nei confronti di chi (l’utente) pone in essere il comportamento illecito

21

. All’amministrazione potrebbe, invece, essere eventualmente ordinato di far cessare (attraverso, ad esempio, una diversa regolamentazione dell’accesso e dell’uso dell’area) le immissioni provenienti da un fondo alla stessa appartenente. In sostanza, relativamente alle ipotesi de quibus, all’amministrazione potrebbe essere richiesto un facere, e non una semplice astensione.

Ad ogni modo, gli ordini di cui può essere destinataria l’amministrazione nella materia de qua – siano essi di facere o di non facere - non impattano nel divieto sancito dall’articolo 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato E [“Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere gli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio (comma 1). L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei tribunali in quanto riguarda il caso deciso (comma 2)”], il quale

21 L’ordine inibitorio “è solo negativo, è solo, cioè, ordine di astensione o di cessazione, e quindi di non facere”. Il virgolettato appartiene a BASILICO G., La tutela civile preventiva, cit., 218.

(12)

mira ad evitare che il giudice, in violazione del principio di separazione dei poteri, possa invadere sfere di discrezionalità amministrativa

2223

.

Ordinando semplicemente la cessazione delle (rectius: di far cessare le) immissioni intollerabili e di realizzare le opere idonee a neutralizzarle, il giudice non giunge, invero, a comprimere alcuna fascia di discrezionalità amministrativa insindacabile dall’autorità giudiziaria ordinaria

24

, ma eroga tutela a salvaguardia di un diritto, quello alla salute, il cui “nucleo forte” - consistente nel valore primario della garanzia di condizioni che non mettano a repentaglio l’integrità psico-fisica

22 Relativamente alla portata di detto art. 4, più rigorosa appare la lettura tradizionalmente offerta dalla giurisprudenza, la quale ritiene che, in linea generale, il divieto di cui alla richiamata norma investa, oltre che le statuizioni di revoca o modifica esplicitamente menzionate ed i provvedimenti di carattere costitutivo (anche con effetto caducatorio) rivolti verso l’attività provvedimentale, tutte le pronunzie di condanna comunque incidenti sulle potestà autoritative della pubblica amministrazione.

In generale, sulla invasione della sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione quale ipotesi di violazione del principio di separazione dei poteri, si veda FIGORILLI F., Giurisdizione piena del giudice ordinario e attività della pubblica amministrazione, Torino, 2002, 48-49, che osserva: “È noto come il legislatore del 1865 avesse assegnato, al giudice dei diritti, dei limiti ben precisi nell’esercizio delle sue funzioni, attribuendogli (ex art. 2) le controversie aventi ad oggetto la tutela di diritti soggettivi (c.d. limite esterno) ed impedendogli (ex art. 4, 2° comma) di emanare sentenze costitutive, in grado di incidere sugli atti espressione della potestà d’imperio dell’autorità amministrativa (c.d. limite interno). Detti limiti cognitori e decisori – rinvenibili in capo all’autorità giudiziaria ordinaria chiamata a pronunciarsi sugli «atti dell’autorità amministrativa», secondo la testuale definizione fornita dall’art. 4, 1° comma, della legge abolitiva del contenzioso – appaiono come l’espressione più eloquente dell’esigenza, di chiara ispirazione liberale, di mantenere rigorosamente separata la realtà giurisdizionale dall’azione dei pubblici poteri: in pratica, in tutti i casi in cui rilevino valutazioni discrezionali riservate all’amministrazione, è esclusa la competenza del giudice ordinario sulle situazioni giuridiche soggettive non riconducibili al modello del diritto soggettivo”.

Sulla problematica, cfr. anche MENCHINI S., La tutela del giudice ordinario, in CASSESE S. (a cura di), Trattato di Diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, V, Il processo amministrativo, Milano, 2003, secondo cui:

“l’art. 4, l. n. 2248/1865, avendo lo scopo di impedire che il giudice usurpi una potestà pubblica, riservata all’autorità che di essa è titolare, può trovare applicazione esclusivamente quando la norma sostanziale individui un potere di imperio (in senso proprio) e l’amministrazione lo eserciti mediante il ricorso al procedimento e all’atto prestabiliti dal legislatore” (pag. 4900); “l’art. 4 della legge abrogatrice entra in campo soltanto quando si sia in presenza di una vera e propria potestà pubblica e di un atto che costituisca formale esercizio di essa, i cui effetti incidano in modo diretto sull’esistenza e sul contenuto del diritto soggettivo dedotto in giudizio; in tali ipotesi, la norma citata impedisce, almeno di regola, al giudice non soltanto di «caducare» il provvedimento, ma pure di rimuoverne o di sospenderne gli effetti (e, a maggior ragione, di sostituirsi con proprie determinazioni alla pubblica autorità nell’attuazione della funzione ad essa riservata). Ne consegue che è fatto divieto al magistrato ordinario: 1) di eliminare (in tutto o in parte) l’atto amministrativo, che del potere pubblico costituisca formale manifestazione; 2) di surrogare l’amministrazione nella emanazione o nella modificazione dell’atto ovvero di condannarla ad emanarlo, dovendosi invece limitare a dichiararne l’illegittimità e a non tenerne conto riguardo alla situazione sostanziale controversa; 3) di emettere sentenze costitutive contro le autorità, le quali siano dirette vuoi alla rimozione o alla sostituzione dell’atto, vuoi alla surrogazione dell’amministrazione rimasta inerte; 4) di pronunciare sentenze di condanna che obblighino l’autorità pubblica a prestazioni di fare (o di non fare), a sopportare, a dare beni determinati, ogni volta che la sanzione con tali provvedimenti comminata si risolva nella sostituzione del giudice all’amministrazione nello svolgimento della funzione pubblica” (pag. 4904).

23 Per una definizione di discrezionalità amministrativa, cfr. VIRGA P., Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, 19, secondo cui la stessa consiste nella “facoltà di scelta fra comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla «causa» del potere esercitato”.

24 Corte cass., sez. un., 27 febbraio 2013, n. 4848, cit., osserva che, in caso di “domanda diretta ad ottenere l'esecuzione di opere idonee ad eliminare le immissioni”, “la parte agisce a tutela dei diritti soggettivi lesi dalle immissioni stesse, senza investire alcun provvedimento amministrativo”.

(13)

dell’individuo - non può subire, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, fenomeni di compressione e degradazione.

4. Forme di esecuzione civile

Ci si deve ora interrogare in ordine alle forme di esecuzione civile delle misure adottabili ex art. 844 c.c..

Partiamo dall’ordine di cessazione delle immissioni intollerabili.

Trattasi, come detto, di un provvedimento avente carattere indubbiamente inibitorio e quindi di un ordine di non facere, come tale non eseguibile coattivamente in caso di mancata astensione spontanea da parte del soggetto intimato

25

.

Il giudice potrà, però, fare uso dello strumento di coercizione indiretta disciplinato dall’art. 614 bis c.p.c.

26

e condannare così l’obbligato al pagamento di una somma denaro “per ogni violazione o inosservanza successiva”, vale a dire per ogni nuova violazione dell’obbligo di astensione cristallizzato nel provvedimento inibitorio

27

.

Passiamo, adesso, all’ordine di far cessare le immissioni intollerabili adottabile nei confronti dell’amministrazione.

Qui, trovandoci di fronte ad un ordine di facere rivolto ad una amministrazione, la questione relativa alla possibilità di una esecuzione coattiva del provvedimento attraverso gli strumenti del libro terzo del codice di procedura civile presenta aspetti certamente più problematici.

25 Cfr., per tutti, BASILICO G., La tutela civile preventiva, cit., 217-218, che osserva: “mentre di fronte all’ordine giudiziale di fare alcunché, si può discutere e verificare se, ed in quale misura, esso sia eseguibile coattivamente, poiché il facere può essere sia fungibile che infungibile, di fronte ad un ordine inibitorio, che…è solo negativo, è solo, cioè, ordine di astensione o di cessazione, e quindi di non facere, è evidente che esso è sempre infungibile: solo l’intimato può astenersi o cessare, senza alcuna possibilità di surrogazione”.

26 Questo il testo della norma:

“Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile”.

27 Sulla utilizzabilità dell’art. 614 bis c.p.c. nel campo delle tutele inibitorie, cfr., per tutti, BASILICO G., La tutela civile preventiva, cit., 220 ss..

(14)

L’attuazione di un ordine del genere potrebbe implicare, invero, lo svolgimento di una attività provvedimentale volta, prevalentemente, a regolamentare l’accesso e la fruizione dell’area da cui provengono le immissioni eccedenti la normale tollerabilità.

In questo quadro, ferma restando la possibilità di promuovere il giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo una volta formatosi il giudicato, sarebbe possibile attivare e disporre, ai sensi dell’art. 612 c.p.c. o dell’art. 669 duodecies c.p.c. (con riferimento alle misure cautelari), una esecuzione civile coattiva volta a sostituire, nel compimento di detta attività provvedimentale, l’amministrazione inadempiente? E tale sostituzione potrebbe avvenire attraverso la nomina di un commissario ad acta?

Sia pur con la necessaria prudenza, ad entrambi gli interrogativi potrebbe fornirsi una risposta di segno positivo.

Se si valorizza il fatto che nella materia de qua non vengono in rilievo attività di carattere infungibile

28

, e che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la garanzia dell’integrità del “nucleo forte” (tutelabile in modo pieno dal giudice ordinario) del diritto alla salute (diritto alla salute, come detto, presidiato anche dall’art. 844 c.c.) non può essere subordinata a scelte costituenti esercizio di vera e propria discrezionalità amministrativa, può, invero, giungersi ad affermare che una esecuzione civile coattiva che richieda anche l’effusione di potere amministrativo (non discrezionale, come appena detto) non si ponga in contrasto con l’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato E, e con il principio della separazione dei poteri.

E tale esecuzione potrà concretamente essere svolta attraverso la nomina di un commissario ad acta

29

; nomina che appare consentita dalla lettera dell’articolo 68, comma 1, c.p.c. (secondo cui:

28 Come è noto, invero, l’infungibilità è legata alla natura del soggetto obbligato ed alla libertà ed intangibilità della sua sfera personale. Di conseguenza, il fenomeno dell’infungibilità non appare configurabile a fronte dell’esercizio, da parte di una pubblica amministrazione, di una attività-funzione volta (così come imposto dai principi ricavabili dall’art. 97 Cost.) al perseguimento dell’interesse pubblico generale. In dottrina, cfr. SASSANI B., Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto. Contributo allo studio della tutela dichiarativa nel processo civile e amministrativo, Padova, 1989, 45-46, che osserva: l’esecuzione amministrativa “manifesta concretamente l’incondizionata e completa fungibilità dell’attività pubblica quale attività funzionalizzata. Proprio in quanto funzione, essa è attività obiettivamente e globalmente controllabile nello svolgimento e finalizzata al perseguimento di un interesse (il c.d. interesse pubblico) che, per quanto non attribuibile all’ordinamento nella sua universalità, non può ridursi ad un interesse «proprio» del soggetto agente nel senso in cui «proprio» del titolare del diritto soggettivo è l’interesse perseguito con l’esercizio di questo (in tal caso l’interesse si identifica con un profitto del soggetto). L’interesse obiettivamente correlato ad una funzione appare così perseguibile attraverso il meccanismo della sostituzione del giudice al soggetto istituzionalmente gravato del compito di soddisfarlo. In maniera espressiva, ma non paradossale, si può dire che è il soggetto che è in funzione del perseguimento dell’interesse e non questo in funzione del soggetto. La fungibilità è, in linea di principio, assoluta”. Sul punto, mi permetto di rinviare anche a ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, cit., 110-111.

29 Sulla non estraneità al sistema della possibilità di nominare, anche nell’ambito di giudizi civili, commissari ad acta con lo specifico compito di sostituirsi all’amministrazione inadempiente, cfr., in dottrina, SASSANI B., L'esecuzione

(15)

“Nei casi previsti dalla legge o quando ne sorge necessità, il giudice, il cancelliere o l'ufficiale giudiziario si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sé solo”) e che si giustifica pienamente anche in un’ottica di garanzia dell’effettività del dictum giudiziale.

Qualora, invece, si dovesse ritenere di essere in presenza di attività di carattere infungibile, ci si potrebbe, anche qui, esclusivamente avvalere dello strumento di cui al menzionato art. 614 bis c.p.c..

Non resta adesso che interrogarsi in ordine alla possibilità di eseguire coattivamente, secondo i modelli di cui agli artt. 612 c.p.c. e 669 duodecies c.p.c. ed attraverso, se del caso, una eventuale nomina di un commissario ad acta, il provvedimento con cui si ordini all’amministrazione di realizzare quelle modifiche strutturali del fondo necessarie al fine di far cessare le immissioni intollerabili. Domanda, questa, che, a mio avviso, dovrebbe sfociare in una risposta di segno positivo, ove si consideri che anche qui non vengono in rilievo attività infungibili o poteri amministrativi riconducibili a sfere di discrezionalità amministrativa.

delle sentenze civili di condanna dell'amministrazione nei rapporti di lavoro, in Riv. esec. forz., 2005, 13;

SANTANGELI F., I ricorsi avverso le decisioni di organi amministrativi e i poteri del giudice civile. Elementi comuni, in SANTANGELI F. (a cura di), Riordino e semplificazione dei procedimenti civili, Milano, 2012, 71. Mi permetto, altresì, di rinviare a ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, cit., 112 ss.; Id, L’attuazione coattiva delle ordinanze cautelari del giudice ordinario in materia di pubblico impiego privatizzato, in I T.A.R., 2000, II, 543 ss.; Id., Il commissario ad acta nel quadro della tutela cautelare in materia di rapporto di lavoro privatizzato, in La tutela cautelare amministrativa e ordinaria. Il pubblico impiego, Atti del convegno di Taormina del 1° marzo 2003, Catania, 2003, 133 ss..

In giurisprudenza, optano per la tesi dell’ammissibilità della nomina di commissari ad acta anche nell’ambito del processo civile Trib. Enna, ord. 28 settembre 2004, inedita, Trib. Ariano Irpino, ord. 16 dicembre 2002, in lavoropubblico.formez.it/contenzioso, e Trib. Bari, ord. 12 febbraio 1997, in Giur. it., 1998, 276.

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