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Presentazione di Vittorio Nozza e Giuseppe Pasini

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Academic year: 2022

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Le motivazioni di una collaborazione decennale

La collaborazione, ormai decennale, tra Caritas Italiana e la Fondazione «E. Zancan» ha consentito di fornire all’opinione pubblica italiana, alle Chiese locali, alle Caritas diocesane, agli operatori sociali informazioni utili sulle caratteristiche, la con- sistenza e l’evoluzione di molti fenomeni di povertà, disagio, emarginazione, esclusione sociale e le relative politiche messe in atto per contrastarle.

Il Rapporto è divenuto nel corso degli anni uno strumento di riferimento per molte realtà impegnate nello studio dei bisogni sociali, nella formulazione di linee e di provvedimenti in mate- ria di politiche sociali e nei servizi alla persona. In particolare con il Sesto Rapporto è iniziata – e proseguirà annualmente – la valorizzazione del Progetto «Rete Caritas», che ha lo scopo di sostenere lo sviluppo delle Caritas sul territorio, a partire dalla promozione e crescita dei tre luoghi/strumenti pastorali essen- ziali per esprimerne l’identità: il Centro di Ascolto, l’Osserva- torio delle Povertà e delle Risorse, il Laboratorio diocesano per la promozione delle Caritas parrocchiali. L’obiettivo è quello di connettere strettamente le funzioni dell’ascoltare, dell’osservare e del discernere per arrivare ad animare comunità e territori.

Dai dati raccolti presso i luoghi dell’incontro, dell’ascolto e della relazione con i poveri emerge, purtroppo, che la povertà nel nostro paese continua ad essere fortemente presente, sem- pre più strutturale. Come si legge all’interno del Rapporto, an- che l’Istat segnala che le persone in condizione di povertà rela- tiva sono il 13,1% dell’intera popolazione. Ma le valutazioni più drammatiche riguardano le regioni meridionali, dove il 26,5%

della popolazione è sotto la soglia di povertà. Numeri che con- di Vittorio Nozza e Giuseppe Pasini

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fermano le conseguenze di una rinuncia a guardare comples- sivamente ai fenomeni di povertà e la tendenza a scivolare su singole questioni, con il rischio di continuare ad enfatizzare un approccio categoriale e disorganico.

In questo contesto, continuare a sperare, significa alzare lo sguardo verso una prospettiva più alta, che superi il rischio sempre incombente di confondere la promozione umana con l’assistenza, la dignità della persona e i suoi diritti con qualche provvedimento più o meno utile, l’impegno per la coesione so- ciale con una attenzione ai bisogni direttamente proporzionale alla capacità di riuscire a rappresentarli.

Per la comunità cristiana continuare a sperare è un doveroso imperativo, non perché ingenua o superficiale, ma in quanto portatrice di una speranza più grande e custode dell’ascolto di tante storie e volti di sofferenza e di difficoltà, che ci interro- gano a livello personale e comunitario.

Il presente lavoro vuole cercare di rispondere anche a que- ste domande di senso, di giustizia, di vicinanza, di promozione e aiuto. Prendere coscienza della portata di questa sfida è la con- dizione necessaria per non rimanere sopraffatti dalla logica della inevitabilità dei dati e delle tendenze, o dalla ineluttabilità dei fatti compiuti.

Perché un «Rapporto» sulla povertà?

Rispetto ai precedenti Rapporti, all’interno dei quali erano presenti più temi ed aree problematiche oggetto di approfondi- mento, Caritas Italiana e Fondazione «E. Zancan» hanno scelto come obiettivo centrale di questo, il settimo, il tema della po- vertà economica. L’obiettivo esplicito è contribuire a definire le principali linee strategiche di un possibile piano globale di lotta alla povertà, da attuarsi sulla dimensione nazionale e regionale1. Si tratta di un primo tentativo, anche in vista dell’apertura di un

1 In anteprima Caritas Italiana e Fondazione «E. Zancan» hanno pre- sentato il 24 luglio 2007, presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati, la prima parte del Rapporto, che si interroga sulla assenza nel nostro paese di po- litiche organiche di lotta alla povertà e sul percorso da attivare e le linee stra- tegiche da seguire per costruire un piano nazionale di contrasto alla povertà.

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confronto e un dibattito su questo tema, da condividere con gli operatori della politica e del sindacato, il mondo accademico e della ricerca, i vari soggetti del volontariato e del terzo settore.

La scelta rientra nella tradizione operativa di Caritas Italiana e Fondazione «E. Zancan», da anni impegnate non solo ad evi- denziare e a denunciare le disfunzioni e le contraddizioni pre- senti nello stato sociale del nostro paese, ma anche ad offrire contributi positivi per il loro superamento.

Nel dettaglio, le ragioni della scelta che caratterizza il set- timo rapporto sono sostanzialmente tre: l’assenza di un piano di contrasto alla povertà, la ricaduta negativa di questo vuoto nella famiglia, il rischio di un progressivo allargamento dell’esclusione sociale.

Sul primo dei tre aspetti, è noto che l’Italia manca di un piano di lotta alla povertà. Storicamente, dai governi del dopo guerra il problema fu preso diverse volte in esame. Domenico Rosati ripercorre nel suo saggio l’intero arco delle iniziative più caratteristiche, a partire dall’inchiesta parlamentare «sulla mise- ria e sui mezzi per combatterla», promossa nel 1951 e affidata all’On. Ezio Vigorelli; passando poi allo schema decennale «per lo sviluppo dell’occupazione e del reddito» del 1954; ai vari pro- grammi del Centrosinistra; alla strategia dell’uguaglianza propo- sta da Ermanno Gorrieri e condensata più tardi nel libro Parti uguali fra disuguali (2002); alla legge 328/2000, che prevedeva dopo il ciclo sperimentale del «Reddito Minimo d’Inserimento», un’integrazione al reddito per tutte le persone che si trovavano, per qualsiasi motivo, sotto la soglia della povertà; al «Reddito di ultima istanza, di stampo prettamente assistenziale, previsto nel

«Patto per l’Italia» del 2001. Su questo tema, la storia del no- stro paese è disseminata di «buone intenzioni», che non si sono tuttavia mai tradotte in un piano esplicito, serio, organico di lotta alla povertà, ivi compresa la dotazione di criteri e di tempi di verifica della sua efficacia.

Una seconda ragione che ci ha incoraggiati a focalizzare il rapporto sul piano di lotta alla povertà, scaturisce dal legame esistente tra povertà e dimensione familiare, con particolare ri- guardo al tema della diminuzione della natalità. L’analisi su I volti ufficiali della povertà, curata nel rapporto da Maria Bezze, conferma un dato già noto e cioè che la povertà si concentra più facilmente nelle famiglie numerose (quelle con cinque o più

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componenti) e nelle famiglie con figli soprattutto minori. In buona sostanza, le realtà familiari con più figli sono più espo- ste alla povertà. Brutalmente possiamo dire che ogni figlio che si aggiunge costituisce per la famiglia una crescita del rischio dì impoverimento. Il nostro Paese, coscientemente o meno, in- coraggia le famiglie a non fare figli; nessuno infatti liberamente sceglie di impoverirsi. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l’Ita- lia sta agli ultimi posti nel mondo per quanto concerne la fecon- dità.

I curatori del presente rapporto auspicano che il paese prenda coscienza di questa scelta, che è insieme suicida e in netto contrasto con la Costituzione. La nostra Carta infatti af- ferma che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie nume- rose» (art. 31). Disimpegnarsi dal problema della povertà, equi- vale a favorire una società sempre più vecchia e dalle prospet- tive future preoccupanti. Un serio piano di contrasto alla po- vertà, d’altronde, non può esaurirsi nella produzione di misure riparatorie di una realtà già degradata, ma impone di sviluppare anzitutto interventi di prevenzione della povertà: tra questi va data priorità alle politiche a sostegno delle famiglie.

Giungiamo infine alla terza motivazione: tradizionalmente, i rapporti Caritas-Zancan portano come sottotitolo Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia. Non si tratta di un acco- stamento casuale o decorativo (assunto, peraltro, anche dalla Commissione nazionale d’indagine sull’esclusione sociale presso il ministero del Welfare che, come vorremmo segnalare, dopo oltre vent’anni, si trova attualmente in stato di blocco delle at- tività).

L’accostamento tra povertà ed esclusione sociale proviene dalla convinzione che tra i due termini esiste un rapporto di causa-effetto. È abbastanza evidente che i poveri, già molto im- pegnati nella sopravvivenza quotidiana, non hanno né il tempo né la voglia di occuparsi della «cosa pubblica». Chi si sente tra- scurato ed escluso dall’Amministrazione pubblica è compren- sibilmente tentato a sua volta di escludere lo Stato dai propri interessi. Oltre al considerare che la povertà di per sé comporta meno opportunità di partecipazione nella vita pubblica. In tal modo, la povertà si salda con l’esclusione sociale. Ora, se i po-

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veri fossero casi singoli e isolati, si potrebbe pensare che si tratta di situazioni fisiologiche, se non addirittura di scelte libere di autoemarginazione. Ma quando la povertà assume il carattere di fenomeno sociale le cui proporzioni raggiungono il 13-15%

della popolazione, si deve parlare di patologia conclamata. Nes- sun governo che abbia a cuore la vita democratica può onesta- mente disinteressarsene. Inoltre la presenza di una massa così consistente di cittadini esclusi dalla vita sociale costituisce un elemento di pericoloso contagio e di degrado, anche perché la partecipazione e l’esercizio della cittadinanza attiva comportano già di per sé costi e sacrifici.

La Costituzione si è preoccupata di ricordare che «Ogni cit- tadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un‘attività o una funzione che concorra al pro- gresso materiale o spirituale della società» (art. 4). L’affermazione costituisce un atto di fiducia nell’uomo. Equivale a dire che nessun contributo può andar perduto, giacché ogni cittadino – ricco o povero – è una risorsa ed ha qualcosa di positivo da offrire al bene comune.

Riteniamo pertanto che un piano di lotta alla povertà debba preoccuparsi non soltanto di dare adeguate risposte alle legit- time attese di sviluppo personale dei poveri e ai loro bisogni primari, ma anche di favorire una loro inclusione nel cammino e a vantaggio di tutti.

L’emarginazione di un solo cittadino rende più povera l’in- tera società.

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