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Corso Teorico Pratico di Paghe e Contributi A cura di Patrizia Macrì

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Academic year: 2022

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Corso Teorico – Pratico di Paghe e Contributi A cura di Patrizia Macrì

IL LAVORO FLESSIBILE DOPO LA RIFORMA FORNERO Il Contratto di collaborazione coordinata a progetto

PREMESSA

La riforma del lavoro (Legge n. 92/2012), meglio nota come Legge Fornero, era stata presentata dal legislatore come una riforma necessaria per rispondere con prontezza e determinazione alla crisi dei mercati finanziari dimostrando la volontà di cambiamento del nostro Paese rispetto alle normative del passato, troppo spesso eluse dai datori di lavoro in cerca di escamotage e “soluzioni alternative” per pagare pochi contributi. Attorno alla formazione della nuova riforma, pertanto, è stato facile e allo stesso tempo quasi naturale creare un certo clima di aspettative, aspettative che però, purtroppo, ancora una volta non hanno trovato realizzazione dalla Legge approvata in Parlamento. Al contrario, all’indomani del varo della legge molti sono stati i commenti negativi, alcuni addirittura poco lusinghieri, come quello ormai famoso rilasciato da Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, che ha definito questa riforma come “una vera boiata”. Gli imprenditori che erano in attesa di aiuti da parte dello Stato per poter riattivare la produzione potendo contare su una legge che permettesse di ridurre in un certo qual modo il costo del lavoro, sono rimasti assai delusi dalla stesura finale della legge di riforma, così come i disoccupati che, dall’altro lato della barricata, aspettavano con la stessa ansia norme che gli permettessero di trovare un nuovo impiego dopo aver, magari, perso il precedente a causa della crisi economica. La nuova legge, invece, non lascia spazio alla speranza andando addirittura controcorrente rispetto alle aspettative generali, dal momento che il suo punto chiave può essere identificato con l’intento punitivo, tutto il contrario, quindi, di ciò che si aspettava il mondo del lavoro per uscire dalla fase di stallo in cui si trova. E questo intento punitivo si riscontra soprattutto nel giro di vite riservato ai contratti a progetto ma anche alle partite iva, alcune delle quali viste con molto sospetto, e ai contratti a tempo determinato, in cui, però si alternano norme restrittive a clausole permissiviste.

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IL CONTRATTO DI COLLABORAZIONE A PROGETTO

Uno degli obiettivi dichiarati dal legislatore, che ha fortemente voluto la legge di riforma, è stato quello di favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro più stabili, ribadendo il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato, ridistribuendo in modo più equo le tutele dell’impiego, contrastando l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con riguardo alle tipologie contrattuali ed i possibili usi elusivi di obblighi contributivi e fiscali degli istituti contrattuali esistenti. Con queste premesse era ovvio che uno dei primi contratti ad essere messo sotto la lente di ingrandimento non poteva che essere il contratto di collaborazione a progetto, nato a suo tempo come sostituto del vecchio contratto di collaborazione coordinata e continuativa finito sul banco degli imputati proprio perché accusato di essere stato utilizzato con troppa facilità e, soprattutto, al fine di eludere gli obblighi contributivi e fiscali propri del contratto di lavoro subordinato. Tuttavia è bene ricordare che in alcuni casi residuali il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) trova ancora applicazione come ad esempio nei confronti di agenti di commercio, di professioni intellettuali, di amministratori di società, o ancora nei confronti di pensionati. Ma cerchiamo di fare ordine nella serie di modifiche che hanno interessato questo contratto che risulta essere uno dei contratti “atipici” più utilizzato nel nostro Paese, ma a cui le norme restrittive della Riforma Fornero sembrano aver messo un indubbio freno, dal momento che le aziende non sono più molto propense ad utilizzare questo tipo di istituto contrattuale che, se non utilizzato correttamente, può dar vita automaticamente ad un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non voluto.

CONFRONTO TRA CO.CO.CO. E CO.CO.PRO.

Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.) aveva le seguenti caratteristiche che continuano ad essere valide per le figure a cui può ancora essere applicabile questo tipo di contratto:

Autonomia sia per quanto riguarda i tempi sia per quanto riguarda le modalità di esecuzione del lavoro affidato al collaboratore;

Coordinamento con il committente;

Continuità temporale del rapporto di lavoro;

Retribuzione corrisposta in forma periodica e prestabilita.

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L’Inps ha a suo tempo definito i collaboratori co.co. come lavoratori che operano in piena autonomia, senza alcun vincolo di subordinazione, ma che si coordinano con il committente datore di lavoro nell’espletamento della propria attività lavorativa nel quadro di un rapporto unitario e continuativo. Questi lavoratori risultano pertanto funzionalmente inseriti nell’organizzazione aziendale e possono operare all’interno del ciclo produttivo del committente, al quale viene riconosciuto un potere di coordinamento dell’attività del lavoratore con le esigenze dell’organizzazione aziendale.

Ed è proprio la commistione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato a snaturare il senso dell’istituto della collaborazione coordinata e continuativa. Dal momento che il collaboratore co.co. era funzionalmente inserito nell’organizzazione aziendale e poteva partecipare al ciclo produttivo dell’azienda, come ammesso dalla stessa Inps, era facile per un datore di lavoro poco rispettoso delle regole, far passare per collaborazione coordinata e continuativa un rapporto di lavoro invero subordinato.

Per questo motivo il Legislatore si è sentito in dovere di cambiare le regole del gioco fissando dei paletti al ricorso smodato alle co.co.co. prevedendo un’integrazione ai requisiti necessari per poterne stipulare uno e cambiandone, di fatto, la forma. Tali modifiche sono state apportate dal D.Lgs. 276/2003, meglio conosciuto come Legge Biagi, che ha di fatto cancellato per la quasi totalità dei soggetti il vecchio co.co.co. e introducendo il più restrittivo contratto di collaborazione a progetto (co.co.pro.). Questo tipo di contratto si caratterizza per i seguenti requisiti:

 L’esistenza di un progetto, ovvero di un programma o fase di esso;

 L’autonomia del collaboratore in funzione del risultato;

 Il coordinamento con il committente;

 La durata del rapporto di lavoro che deve essere determinata o determinabile;

 L’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione;

 L’assenza di un vincolo di subordinazione;

 La facoltà di trattativa sulla retribuzione.

N.B. È importante sottolineare che la normativa del Contratto a Progetto non riguarda i rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione. Infatti, secondo quanto stabilito dalla circolare Ministeriale del 15 luglio 2004, il rapporto di lavoro co.co.co. nella Pubblica Amministrazione non è soggetto alle disposizioni della

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riforma Biagi (D.lgs. 276/03) in materia di contratto a progetto, e definisce i presupposti e i limiti alla stipula dei contratti, insieme alla corretta gestione degli adempimenti fiscali e previdenziali relativi.

A quanto pare, però, anche l’introduzione di un vincolo maggiormente restrittivo rispetto al passato, quale la presenza di un progetto o fase di essa, non è bastata a frenare il ricorso all’istituto della collaborazione coordinata per fini elusivi. Tutto ciò si evince anche dalle parole dello stesso legislatore che ha dichiarato che gli intervesti voluti nei confronti delle collaborazioni a progetto vanno nella direzione di una razionalizzazione dell’istituto al fine di evitarne utilizzi impropri in sostituzione di contratti di lavoro subordinato. La legge di riforma si propone, quindi, di modificare nuovamente il contratto a progetto al fine di renderne più stringente ed ineludibile il ricorso.

Il primo intervento di riforma riguarda proprio il requisito del progetto. La legge di riforma nel definire il nuovo contratto di lavoro a progetto stabilisce che lo stesso non possa più essere riferito ad un programma di lavoro o ad una fase ma è necessario:

Identificare un progetto specifico;

Determinare un risultato finale;

Differenziarsi dall’oggetto sociale del committente;

Escludere compiti meramente esecutivi o ripetitivi.

L’IDENTIFICAZIONE DEL PROGETTO E DI UN RISULTATO

L’identificazione di un progetto specifico diventa, pertanto, l’elemento cardine del nuovo contratto di collaborazione a progetto. Il comma 1 dell’art. 23 della Legge in oggetto riscrive, infatti, il comma 1 art. 61 del D.Lgs. 276/2003 stabilendo che ferma restando la disciplina degli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile, devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

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Lo stesso concetto è stato ribadito dalla Circolare del Ministero del lavoro n. 7 del 2013 che fornendo chiarimenti in merito alle novità introdotte dalla legge di riforma precisa, nuovamente, che il contratto a progetto può inquadrare solo attività connotate dal raggiungimento di uno specifico risultato, obiettivamente riscontrabile e non coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa committente.

Precedentemente il Ministero era intervenuto anche con la Circolare n. 29/2012, con la quale ribadiva con forza il concetto secondo cui il progetto gestito autonomamente dal collaboratore non può sinteticamente identificarsi con l’oggetto sociale, ma deve essere caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica e predeterminatezza del risultato atteso e rappresentare una vera e propria “linea guida” contenente le modalità di esplicitazione dell’obbligazione del collaboratore. Dal punto di vista squisitamente tecnico la circolare 7/2013 afferma che la legge di riforma non fa altro che tradurre in legge il consolidato orientamento giurisprudenziale volto a delimitare l’ambito di utilizzo del contratto a progetto, esclusivamente per lo svolgimento di attività connotate dal raggiungimento di uno specifico risultato obiettivamente riscontrabile e non coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa committente. E questo concetto la giurisprudenza lo aveva più volte ribadito ancor prima dell’entrata in vigore della Legge Fornero e già all’indomani dell’entrata in vigore della Legge Biagi, legge introduttiva della collaborazione a progetto. E’, ad esempio, del 15.04.2005, una sentenza del Tribunale di Torino che già attribuisce elementi di specificità al progetto o fase di esso, escludendo la validità di un contratto a progetto quando quest’ultimo possa in qualche modo essere ricondotto all’oggetto sociale dell’azienda. Il giudice, motivando le sue decisioni, afferma infatti che pur nell’assoluta novità dell’applicazione di tale disposizione, con connesse naturali difficoltà di tutti gli operatori economici e giuridici, e anche alla luce del complesso dibattito suscitato in dottrina dalla norma che utilizza parametri e concetti di difficile inquadramento giuridico (progetto, programma ecc), alcuni elementi chiari e minimali possono essere individuati attenendosi alla lettera alla disposizione: il progetto deve caratterizzarsi per la specificità; il collaboratore deve conservare margini di autonomia, ancorché coordinabili con l’organizzazione del committente; in ogni caso l’attività deve essere valutata e valutabile indipendentemente dal tempo di esecuzione. Pertanto, pur dovendo il collaboratore rapportarsi ad una organizzazione aziendale, nel cui ciclo produttivo andrà ad inserirsi in modo più o meno stretto, è certo, tuttavia, che deve essere

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quantomeno distinguibile l’organizzazione aziendale dall’attività del collaboratore che ad essa si rapporta in modo che, eliminando la collaborazione, deve evidentemente residuare un’organizzazione aziendale.

La giurisprudenza si era già espressa, non solo sulla specificità del progetto, ma anche sul risultato da raggiungere. E’ del 2006 la sentenza, sempre del Tribunale di Torino, con la quale viene disconosciuto un contratto a progetto in quanto ai fini dell’individuazione del progetto nel contratto si effettua una descrizione complessiva della generale attività che è identificabile con l’oggetto sociale dell’impresa stessa e non certo il “progetto specifico” o “la fase di esso” affidato al lavoratore. Il contratto (contestato) specificava inoltre che “il collaboratore si impegna a prestare la diligenza richiesta dalla natura dell’attività medesima”, evidentemente qualificando inequivocabilmente tale prestazione quale prestazione di mezzi e senza alcuna individuazione di un risultato ancorché legato ad

“fase” di attività. La prestazione priva di qualsivoglia riferimento a risultato, ancorché parziale , finisce per tradursi in mera messa a disposizione delle energie lavorative con onere di diligenza così come è caratteristico del lavoro subordinato.

Infine il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Questo ulteriore elemento introdotto dalla legge di riforma, ha lo scopo di rafforzare ancora di più la genuinità del rapporto di lavoro a progetto in quanto affinché il contratto possa essere considerato valido, oltre a prevedere un progetto specifico, non coincidente con l’oggetto sociale, e il raggiungimento di un risultato è necessario che dalle modalità di svolgimento della prestazione non emergano i caratteri della routinarietà o elementarità. E’ bene precisare che per compiti meramente esecutivi devono intendersi compiti caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito, anche di volta in volta, dal committente senza alcun margine di autonomia anche operativa da parte del collaboratore. In altre parole, sono tali tutte quelle attività in cui, fermo restando il collegamento funzionale con la struttura organizzativa del committente, al collaboratore non residua alcuna possibilità di autodeterminazione nelle modalità esecutive dell’attività. Per quanto attiene, invece, ai compiti meramente ripetitivi, il concetto di ripetitività indica quelle attività rispetto alle quali non è necessaria alcuna indicazione da parte del committente. Si tratta, infatti, di attività elementari tali da non richiedere, per la loro stessa natura, nonché il contenuto delle mansioni, nella quali si articolano,

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specifiche indicazioni di carattere operativo fornite di volta in volta dal committente.

Pur avendo assegnato la Legge stessa alla contrattazione collettiva il compito di stabilire quali siano le attività per cui non è consentito stipulare un regolare contratto a progetto, il Ministero, con la circolare n. 29/2012, ha ritenuto opportuno indicare, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, sulla base di orientamenti giurisprudenziali già esistenti, quelle attività difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto ancorché astrattamente riconducibili ad altri rapporti di natura autonoma. Tali figure, rispetto alle quali il personale ispettivo procederà automaticamente a ricondurre il rapporto di lavoro eventualmente posto in essere con un co.co.pro. ad un rapporto di lavoro subordinato sono:

 Addetti alla distribuzione di bollette, o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;

 Addetti alle agenzie ippiche;

 Addetti alle pulizie;

 Autisti ed autotrasportatori;

 Baristi e camerieri;

 Commessi e addetti alle vendite;

 Custodi e portieri;

 Estetiste e parrucchieri;

 Facchini;

 Istruttori di autoscuola;

 Letturisti di contatori;

 Magazzinieri;

 Manutentori;

 Muratori e qualifiche operaie nell’edilizia;

 Piloti e assistenti di volo;

 Prestatori di manodopera nel settore agricolo;

 Addetti alle attività di segreteria e terminalisti;

 Addetti alla somministrazione di cibi e bevande;

 Prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti bound.

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LA MISURA DEL COMPENSO

La Legge Biagi, introducendo per la prima volta il contratto di lavoro a progetto, stabiliva anche, all’art. 63, il compenso da corrispondere al collaboratore per la prestazione resa che doveva essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito considerando i compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione della prestazione. Al fine di perseguire lo scopo di evitare l’utilizzo fraudolento ed elusivo del contratto di collaborazione a progetto, la legge di riforma del lavoro, oltre a confermare che il compenso, come in passato, deve essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, dispone che lo stesso non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici e in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati, dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati. In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto. In altre parole, in virtù della nuova disposizione, il compenso minimo del collaboratore a progetto va individuato dalla contrattazione collettiva così come avviene per i rapporti di lavoro subordinato. E’ bene precisare che il riferimento normativo è alle retribuzioni minime, ossia ai minimi tabellari determinati dai contratti collettivi di categoria e non a tutto il complesso delle voci retributive eventualmente previste da tali contratti. Tuttavia, fin tanto che la contrattazione collettiva non preveda una precisa quantificazione dei compensi dei collaboratori coordinati e continuativi a progetto, appare evidente la difficoltà nell’identificare un compenso congruo per tale figura professionale atteso che, come lo stesso Ministero ammette, pur non potendosi parametrare il compenso al tempo impiegato per realizzare il progetto, l’elemento temporale assume comunque importanza ai fini della valutazione circa la congruità dell’importo attribuito al collaboratore. Non meno problematico appare il “paragone”, intrinseco nella lettura della norma, tra il valore economico di una prestazione resa in regime di autonomia

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e quella resa in regime di subordinazione. Ma le differenze esistenti tra una prestazione autonoma e una subordinata non si limitano alle modalità esecutive della prestazione stessa, dal momento che al lavoratore subordinato vengono garantiti una serie di prestazioni, non dovute invece per il collaboratore coordinato e continuativo, che è e resta comunque un lavoratore autonomo. Sarebbe auspicabile, pertanto, avere delle linee giuda maggiormente precise per la determinazione del compenso del collaboratore, non essendo ritenuto il generico paragone tra prestazione eseguita e minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva per i lavoratori subordinati, troppo soddisfacente. A rafforzare tali argomentazioni sembra che anche l’interpretazione dello stesso Ministero sul compenso del collaboratore non sia troppo restrittiva dal momento che, sotto il profilo sanzionatorio ha, al momento, stabilito che il personale ispettivo debba di norma astenersi dall’adottare eventuali provvedimenti di diffida accertativa, fatta salva l’ipotesi in cui non sia controversa la quantificazione del credito in quanto, come più volte ripetuto in precedenti orientamenti interpretativi, tale provvedimento deve fondarsi su parametri certi, oggettivi e quindi inequivocabili. Bisogna tener presente, inoltre, che in relazione al lavoro a progetto l’assoggettamento contributivo è legato alle somme effettivamente erogate al collaboratore, a prescindere da una valutazione di congruità delle stesse.

LA CESSAZIONE DEL CONTRATTO

Il nuovo contratto di collaborazione a progetto è indissolubilmente legato alla realizzazione di un progetto specifico, pertanto anche la sua risoluzione è strettamente connessa con la realizzazione dello stesso. Tuttavia il legislatore non ha mancato di prevedere specificatamente le possibili ipotesi per la risoluzione anticipata del contratto limitando di fatto l’autonomia contrattuale delle parti. In particolare, l’art. 23 della Legge 92/2012, alla lettera e), ferma restando la possibilità per entrambe le parti in causa di recedere anticipatamente dal contratto per giusta causa, introduce la possibilità per il collaboratore di recedere dal contratto prima della scadenza del termine, dandone regolare preavviso al committente, purché tale ipotesi sia prevista nel contratto individuale di lavoro. Al committente, invece, viene concessa la possibilità di sciogliere anticipatamente il contratto in essere solamente nel caso in cui siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto (c.d. inadempienza). D’altro canto la risoluzione del

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contratto per inadempimento è già contemplata dal c.c. ed è applicabile a tutti i tipi di contratti a prestazioni sinallagmatiche avendo statuito l’art. 1453 che nei contratti a prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto. In questi casi, però, l’inadempienza deve essere “valutata” dal giudice secondo i principi di proporzionalità e casualità. Ad esempio, secondo quanto stabilito anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6039 del 18.04.2012, lo stato di malattia del collaboratore non può essere addotto quale causa di inadempimento, configurando solamente una sospensione temporanea del sinallagma del contratto. In definitiva, pertanto, si può affermare che la possibilità di recedere anticipatamente dal nuovo co.co.pro. è prevista solo in capo al collaboratore sempre che tale facoltà sia stata contemplata nel contratto individuale, mentre il datore-committente resta vincolato all’intera durata inizialmente prevista, fatte salve solamente la giusta causa e la recessione per inadempimento.

LA CONTRIBUZIONE PREVIDENZIALE

Sempre nell’ottica dichiarata dal Legislatore di andare verso una razionalizzazione del contratto di collaborazione coordinata a progetto al fine di evitarne utilizzi impropri in sostituzione del contratto di lavoro subordinato, considerato l’unico veramente valido, oltre a prevedere dei disincentivi a livello normativo che si ripercuotono, come abbiamo potuto vedere, nei requisiti, sono stati previsti dei disincentivi anche a livello contributivo. E’ confermato, infatti, l’aumento progressivo delle aliquote contributive che dall’attuale 28,00% per i soggetti non iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie, ridotta al 19% per i soggetti iscritti, invece, ad altre forme di previdenza obbligatoria o titolari di pensione, fino ad arrivare al 33% per i primi e al 24% per i secondi nel 2018. In questo modo viene meno quello che per anni è stato il motore trainante di questo tipo di contratto, ossia il risparmio economico garantito rispetto al contratto di lavoro subordinato, se pensiamo che al momento della prima introduzione delle collaborazioni coordinate e continuative era stata stabilita un aliquota unica pari al 10%, consentendo l’accesso al co.co.pro. solamente a quei casi che configurano realmente una prestazione autonoma svolta sotto il coordinamento di un committente. Il pagamento dei contributi rimane suddiviso per 1/3 a carico del collaboratore e per i 2/3 a carico del committente. La quota a carico del collaboratore viene trattenuta in

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busta paga e l’intero ammontare del versamento viene fatto dal committente tramite modello F24, entro il 16 del mese successivo a quello di riferimento. Dal punto di vista delle tutele dobbiamo dire che agli attuali contratti di collaborazione coordinata e continuativa vengono garantiti una serie di istituti quali la maternità, la malattia e l’infortunio non previsti quando l’aliquota contributiva era pari solo al 10% del corrispettivo lordo pagato al collaboratore. Tuttavia, tali tutele sono disciplinate da norme specifiche molto differenti da quelle che regolano gli stessi istituti per i lavoratori subordinati e, molto spesso, l’erogazione dell’indennità è legata a requisiti di contribuzione minima. Ancora, la Gestione Separata dell’Inps, gestione a cui sono diretti i pagamenti dei contributi in parola, assicura trattamenti pensionistici ai collaboratori, calcolati secondo il metodo contributivo.

L’aumento delle aliquote contributive, pertanto, è stato ideato non solo per disincentivare il datore-committente a ricorrere al co.co.pro. solamente al fine di risparmiare sul costo del lavoro ma anche al fine di garantire pensioni più eque ai collaboratori che fino ad oggi non hanno visto assicurato il loro diritto alla pensione dal momento che i loro contributi sono stati versati con aliquote di molto inferiori a quelle dei lavoratori subordinati calcolate, per di più, su compensi molto spesso troppo bassi.

TABELLA N. 1: Collaboratori NON iscritti ad altre forme di previdenza

ANNO % CTR INPS % COLLABORATORE % COMMITTENTE

2013 28,00 % 9,33 % 18,66 %

2014 29,00 % 9,66 % 19,32 %

2015 30,00 % 10,00 % 20,00 %

2015 31,00 % 10,33 % 20,66 %

2017 32,00 % 10,66 % 21,32 %

2018 33,00 % 11,00 % 22,00 %

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TABELLA N. 2: Collaboratori iscritti ad altre forme di previdenza

ANNO % CTR INPS % COLLABORATORE % COMMITTENTE

2013 19,00 % 6,33 % 12,66 %

2014 20,00 % 6,67 % 13,34 %

2015 21,00 % 7,00 % 14,00 %

2015 22,00 % 7,33 % 14,66 %

2017 23,00 % 7,67 % 15,34 %

2018 24,00 % 8,00 % 16,00 %

COLLABORAZIONI CHE NON NECESSITANO DI PROGETTO

Un punto che non è stato toccato dalla Riforma Fornero, riguarda la deroga prevista dall’art. 61 del D.Lgs. 276/2003 con la quale si è voluto sottrarre al regime del contratto a progetto alcuni tipi di attività o determinate figure che per le loro caratteristiche non possono essere utilizzate in alcun modo in maniera elusiva.

Pertanto continuano a non necessitare di alcun progetto le attività di collaborazione coordinate e continuative rese:

 da professionisti intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in Albi professionali;

dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni, anche tecniche;

in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal Coni;

da coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.

Per quanto riguarda i contratti di collaborazione coordinata e continuativa nei confronti di professionisti iscritti in Albi Professionali è bene precisare che sono esclusi dal campo di applicazione del progetto quando l’oggetto della prestazione è riconducibile all’attività professionale per l’esercizio della quale è richiesta l’iscrizione all’Albo. Ovviamente, nel caso in cui la prestazione richiesta al professionista sia una prestazione che niente abbia a che vedere con l’oggetto della sua professione, il contratto di collaborazione stipulato con il professionista necessiterà del progetto come previsto dalla normativa.

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Ai pensionati che percepiscono la pensione di vecchiaia sono equiparati, ai fini dell’esclusione dal regime del progetto nei contratti di collaborazione, anche i pensionati che percepiscono la pensione di inabilità e di anzianità al maturare, però, dei requisiti di età per il pensionamento di vecchiaia.

LA PRESUNZIONE DI SUBORDINAZIONE

Sempre allo scopo di evitare l’utilizzo del contratto di collaborazione coordinata a progetto a fini elusivi, la legge 92/2012 ha modificato l’art. 69 del D.Lgs. 276/2003 dandone un’interpretazione più restrittiva. L’articolo in questione, prima della riforma, stabiliva infatti che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente

alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. Il nuovo articolo riscritto dalla Riforma Fornero stabilisce ora che salvo prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l’attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente, fatte salve le prestazioni di elevata professionalità che possono essere

individuate dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Alla luce della nuova interpretazione, possiamo, pertanto individuare una presunzione relativa, salvo prova contraria, di subordinazione nel caso in cui la prestazione di lavoro venga svolta dal collaboratore con modalità analoghe a quella svolta dal lavoratore subordinato. Pertanto, in caso di contestazioni, il contratto si riterrà automaticamente di natura subordinata, spettando poi al datore di lavoro- committente fornire l’onere della prova contraria dimostrando che il contratto posto in essere è, invero, un contratto genuino. Tale previsione, come già anticipato, ha come scopo principale quello antielusivo, anche se da un punto di vista squisitamente tecnico, la scelta della presunzione relativa non sembra

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rappresentare una panacea per le controversie in tema di qualificazione del rapporto di lavoro, vista anche l’evidente semplificazione di metodo operata, qualificando un rapporto di lavoro subordinato invece che autonomo, solamente per il modus operandi in cui la prestazione viene resa. Nessun dubbio, invece, può sorgere nel caso in cui il contratto di collaborazione sia privo dell’elemento progettuale dato che il Legislatore è intervenuto con una norma di interpretazione autentica chiarendo con l’art. 1 comma 24 della Legge 92/2012 che l’art. 69 comma 1 del D.lgs. 276/2003 si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Da un punto di vista pratico, è possibile ritenere assente il progetto anche qualora lo stesso sia carente di tutti o di alcuni requisiti richiesti, ossia il collegamento ad un determinato risultato finale, l’

autonoma identificabilità rispetto all’oggetto sociale del committente, lo svolgimento di compiti non meramente esecutivi o ripetitivi. Pertanto, ai fini di un’eventuale riqualificazione del rapporto di lavoro, il Ministero afferma che, alla luce di quanto statuito ed interpretato, il personale ispettivo potrà convertire un co.co.pro. in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, interessando conseguentemente gli Istituti previdenziali per i profili di competenza, quando non ravvisi nel contratto uno specifico progetto ovvero verifichi che l’individuazione del progetto si traduce in un’insieme di “clausole di stile”.

Patrizia Macrì 28 Giugno 2013

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