• Non ci sono risultati.

Epifanio Ferdinando Centum Historiae seu Observationes

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Epifanio Ferdinando Centum Historiae seu Observationes"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

Epifanio Ferdinando

Centum Historiae seu Obser vationes

Storia Quarantasettesima, o Caso XLVII

Perdita del linguaggio e del raziocinio, o demenza, stoltezza e diminuzione della memoria

. 1605, mese di marzo.

Mita di Lezze, della quale è stata fatta menzione altrove nelle prime Storie, settantenne, signora molto rispettabile, che per l’età volgeva già al temperamento freddo, alzandosi dal letto di mattina, non riuscì a drizzarsi in piedi e cadde immediatamente a terra;

aiutata, si rimise di nuovo a letto, balbettando un poco, e muovendo limitatamente e con difficoltà il braccio destro. Oltre a tutto questo, però, era leso il ragionamento (discursus), ossia la capacità logica era lesa e abolita, poiché rispondeva sempre ad ogni domanda in modo affermativo; anche la memoria era offesa, ossia ridotta, infatti non ricordava con sicurezza. Ci fu una causa esterna per la malattia, perché la settuagenaria aveva digiunato per tutta la Quaresima e, prima che la malattia si manifestasse, di giorno, di primo mattino, recandosi in chiesa per la ricorrenza della Beata Annunciazione di Maria, avvertì e percepì un freddo intenso, e rimase all’aria aperta fino a tardi. Vennero praticati numerosi rimedi affinché non sopraggiungessero l’apoplessia, il coma, o una paralisi più estesa e complicata. Con le cure, tuttavia, recuperò il movimento del braccio che era impedito, e la balbuzie venne risolta ed annullata; ciononostante rimase la diminuzione della memoria e la perdita del ragionamento logico. L’anno dopo, nello stesso mese, essendosi ripetuta ed aggravata la sintomatologia, perse completamente la memoria e la capacità di parlare.

Questa è tutta la storia dei sintomi patologici (praeter naturam) per la quale, come nostra abitudine, ci soffermeremo sulle cause non naturali, naturali, e preternaturali [patologiche].

Quanto alle prime, molto può l’aria dell’ambiente sui corpi animati, poiché quasi tutte le malattie derivano dall’aria e dai cibi: pertanto il freddo dell’aria, percepito di giorno e l’umidità sul tardi, a metà primavera, furono la causa, in quanto raffreddano ed umidificano il capo ed il cervello.

Riguardo alle cause naturali, per quanto, come si evidenzia dall’altra Storia, il temperamento naturale di questa paziente fosse caldo-umido, tuttavia per la natura idropica (ascititia) e per l’età, infatti, incliniamo sempre al freddo e secco, e per il digiuno il corpo fu molto raffreddato e molto più indebolito il corpo ed il capo. Tale dieta, infatti, per provata esperienza indebolisce il sangue e raffredda anche l’organismo. Per il concorso di tutte queste cose fu inevitabile che incorresse in una malattia fredda, ossia nella perdita della memoria e della capacità di parlare].

Di conseguenza ammalò di una affezione patologica che raramente si verifica, secondo Galeno, “3, De locis affec., cap. 4”, ed io stesso ho osservato due volte questa affezione: la prima nel suocero del maestro Gentile, che aveva un danno nella memoria maggiore che nella parola; e poi in questa donna il danno si avvertiva maggiormente nella parola più che nella memoria. E non c’è da sorprendersi perché questi sintomi si interscambio ed hanno molte cose in comune, sia nella causa sia nella parte ammalata.

Res non naturales

Res narturales

Res praeter naturam

(2)

La causa infatti, ora più ora meno intensa, interessando ora questa ora quella parte del cervello, produce sintomi differenti, sicché in presenza della memoria danneggiata, Galeno, “3, De locis affec. cap. 5”, Paolo [Egineta], “lib. 3 cap. 11”, Ezio [Amidano], “lib.

6, cap. 23”, ripetutamente affermarono che era danneggiata la ragione, o la mente, o il discorso, o il raziocinio, o l’intelletto; tali termini, o vocaboli, infatti, chiamali come vuoi, sono uguali.

Il sintomo del quale ci occupiamo (habemus prae manus), se non vogliamo allontanarci neppure la misura di un’unghia [per non discostarci troppo] dalla dottrina di Galeno, nel

“lib. 1 Prorhet., 60”, viene detto µèρωσις, riguardo al ricordare, ed invece ¥νοια, cioè stupidità, demenza, stoltezza, relativamente al parlare; infatti nello stesso passo citato da Galeno si dice µèρωσις, quando la capacità di ricordare e la capacità logica (mens) sono diminuite; quando invece il discorso logico è completamente abolito, si parla di stupidità o di stoltezza, in greco ¥νοια. Celso, a sua volta, “lib. 3 cap. 18”, comprende tutte le malattie della facoltà animale primaria di guida [facoltà principale dell’anima razionale (facoltà egemonica)] sotto il nome di insania, e gli Arabi sotto il nome di confusione mentale; tuttavia affinché i tirocinanti (tyrones) capiscano meglio bisogna sapere, secondo Galeno, “2 De sympt. caus. cap. 2”, che tutte le funzioni della facoltà principale e di guida possono essere danneggiate in tre modi, come accade anche in altre: invero o sono diminuite, o alterate, o abolite; tralascio per il momento di trattare una per una le singole cose, perché troppo a lungo si protrarrebbe la nostra esposizione. Nel nostro caso è sufficiente dire che era danneggiata la memoria, non perduta del tutto, né alterata, infatti essa non risulta mai alterata, ma indebolita; mentre il discorrere, ossia il ragionamento logico, eccetera, era del tutto perduto.

La memoria era ridotta, infatti una o due volte al giorno si ricordava molto bene di alcune cose e si dimenticava di altre. Il discorso [logico] era del tutto assente, perché non rispondeva alle domande in modo giusto, né adatto, né a proposito, e non riconosceva in modo giusto, non parlava in modo appropriato, né agiva in modo conforme alla ragione.

Per passare ora alla natura (essentia) di questi sintomi, la demenza, o stoltezza, o stupidità, in greco ¥νοια, consiste nella lesione della funzione del cervello o nella perdita della facoltà, cioè della facoltà primaria regolatrice (di guida), per una causa morbifica [patologica]; e quanto alla memoria, e con essa alla capacità (vim) immaginativa, lesa, poiché si serve dell’organo, prima della memoria e dell‘intelletto, la funzione è lesa o diminuita.

Da ciò appare dunque evidente che queste affezioni sono in modo singolare (in nova) sintomi della facoltà animale, esistente nel cervello, abolita relativamente al discorso logico e diminuita riguardo alla memoria.

Essendo stato detto prima, e lo confermò Galeno, “2 De caus. symp. cap. 7” e “3 De loc. affec. cap. 5”, che la lesione di queste funzioni e facoltà può provenire dalla stessa causa, non essendo il grado di frigidità così grande, od elevato, nella parte posteriore del cervello, la memoria, che ivi risiede, non era abolita o tolta, ma diminuita; nella parte anteriore del cervello, invece, il grado di frigidità era maggiore, anzi elevato, e perciò il discorso logico era tolto del tutto; e da Galeno, “3 De loc. affec. cap. 5”, abbiamo che nella abolizione del discorso logico è richiesta una frigidità maggiore che non nella perdita della memoria.

Si potrà dire: la mente, cioè il ragionamento e l’intelletto, che secondo Aristotele e la buona filosofia, “2 e 3 De Anima”, non è congiunta né organica, in qual modo può essere lesa?

Nomen

Essentia

Genus Sympto- Mati

Dubitatio

(3)

La risposta è facile, poiché essa viene lesa per accidente, ossia per lesione dell’immaginazione, la quale, essendo una funzione organica [strumentale], come prima abbiamo accennato, si serve dell’organo come strumento.

La parte ammalata in tale affezione è lo stesso cervello, riguardante tutta la sua struttura, o in ciascuna sua parte o la sua massa, secondo [Galeno], “3 De loc. affec.

cap. 4 e 3”, da Ippocrate e Platone, “Plac. cap. 3” e “3 De locis affec. 5”, e nella lesione della parola è maggiormente colpita la parte anteriore del cervello, mentre in quella della memoria lo è la parte posteriore.

Questa affezione viene generata tutte le volte che una causa morbifica, cioè la frigidità, secondo Galeno, “lib. 4 De praesag. ex puls. cap. 8”, altera o muta il temperamento del cervello, per cui, perdendo la composizione [crasim] e la temperie [eucrasia], proporzionata a se stesso, la sua facoltà non immagina in modo giusto, né memorizza, né ragiona, e per questo nella definizione si è detto da “causa patogena”, che certamente possono essere molteplici, e le enumerano Galeno, Paolo ed Ezio. Fra le altre cause che producono danno alla memoria ed al ragionamento (e mi riferisco alle cause estrinseche) ci fu quel digiuno che impoverì molto e raffreddò ed indebolì il cervello, tanto che non senza ragione Galeno aveva detto nel “lib. De renae sec adversus Erasistr., cap. 9”, che il lungo digiuno produce episodi convulsivi (epilepticos) e contagia la testa, e, “3 De rat. vict. in acutis, trac. 17”, indebolisce in sommo grado, ma ci fu il digiuno “per accidente” e quel freddo avvertito la mattina e quella umidità a tarda sera; infatti, secondo Ezio, l’aria fredda è causa di stoltezza. Ci sono le cause antecedenti come il temperamento idropico, legato all’età della sofferente che tende al freddo; al sesso, infatti le donne sono in misura maggiore più fredde degli uomini; e alla vita oziosa e sedentaria. Le cause interne sono il più delle volte gli umori flemmatici, e qualche volta, secondo Ezio, gli umori melanconici. Ippocrate conosceva bene queste cause quando affermava, anche nelle Epistole, che agli smemorati si raffredda il cervello; e nel libro “De sacro morbo” affermò che quelli che perdono la ragione a causa degli umori flemmatici [pituita], sono tranquilli, non urlano né si agitano; al contrario di quelli insani a causa dell’umore bilioso [bile]. Galeno conosceva bene anche queste cause importanti, nei passi citati, e “lib. 4 De praesag ex puls., cap.

8”, ove affermò che la stoltezza era una malattia da raffreddamento del cervello, infatti qualora concorra anche l’umidità si genera il coma [cataphora].

Secondo Ezio, nei passi citati, può pertanto essere solo la discrasia fredda a diventare la causa del danno nella memoria e nel raziocinio, ma può essere anche l’afflusso con discrasia della materia pituitosa, come si era verificato nel nostro caso, così come si era verificato nel nostro caso, non in una quantità in proporzione.

Riguardo alle differenze vi è una malattia in cui la memoria è danneggiata più della ragione; e al contrario un’altra in cui è lesa l’immaginazione, la memoria e la psiche (mens); un’altra affezione ancora, nella quale viene lesa avvolte l’una, avvolte l’altra, ora l’altra ancora: infatti ora è lesa la ideazione [immaginazione], ora la memoria, ora la parola. La lesione avviene ora nella parte posteriore del cervello, ora nella parte anteriore; ora proviene da discrasia semplice; ora dalla stessa con afflusso di umori.

Un’altra può accadere nello stesso cervello per predisposizione [natura], un’altra per concordanza (consensum), cioè [proveniva] da un’altra zona del corpo, come racconta Ippocrate in “5, Epid. 105”, riguardo ad un idropico, che divenne stolto per l’afflusso di umore pituitoso [flemma] al cervello e per il suo propagarsi. Infine esiste dall’inizio della procreazione un’altra stoltezza, quasi non morbosa, ma naturale, come era,

Responsio

Pars affe- cta

Genera- tio

Causae

Differentiae

(4)

secondo Ippocrate, “4, Epid.”, quella della moglie dell’emiro; e un’altra morbosa, anzi patologica [praeter naturam], come era nel nostro caso.

I segni del tipo di patologia erano inequivocabili, infatti “la tua loquela ti fa manifesto”

[Dante, Inferno, Canto X v. 25. N.d.T.]; alle domande la memoria si rivelava diminuita ed era chiara la perdita del ragionamento, infatti non rispondeva né parlava in modo appropriato (ad rem); tra i segni si può enumerare il detto di Galeno, “De nat. hum., 39”,

“la stoltezza e la dabbenaggine [provengono] dal sangue”; e questa ammalata era di temperamento sanguigno; in realtà Galeno va inteso con riferimento al sangue denso, infatti Ippocrate, “lib. De flat.”, disse che dal sangue proveniva la saggezza, ma intendeva il sangue tenue (subtilem); ed Aristotele stabilì i segni molto manifesti della stoltezza, o stupidità, nel “lib. De Virtutibus”, dove definiva l’ignoranza, l’incapacità, l’inettitudine e la smemoratezza sintomi associati (comites) della stoltezza; cosa infatti avrebbe potuto dire di più chiaro il grande filosofo, essendo cose tutte presenti nella nostra paziente, e prima di lui Ippocrate, nel “De morb. virgin.”, in cui collocò il torpore mentale e la stoltezza ed altro nel delirio delle vergini?

I segni delle differenze, cioè che la memoria fosse diminuita e il discorso [logico]

abolito, erano manifestati dalle parole della stessa ammalata; che la lesione più importante risiedesse nella parte anteriore e media del cervello era evidenziato dalla funzione danneggiata, cioè dall’abolizione del discorso logico; però la lesione nella parte posteriore, cioè nella memoria, era minore. Che si trattasse di discrasia fredda [intemperie] e non umida era manifesto, poiché non era presente un sonno eccessivo, secondo Galeno, “3 De loc. affec., cap. 5”, ed era chiaro che la secchezza fosse piuttosto associata alla frigidità: infatti non c’era alcuna secrezione di muco (escrementorum) dalle narici. Che si aggiungesse anche, oltre questa discrasia, una porzione di umore flemmatico [pituitoso], e forse di umore melanconico, è lecito dimostrare per l’età, la vita precedente e la oziosità. Quanto al fatto che fosse anche per “essenza” e “primitiva”

(primam passiorum), non collegavamo questa sofferenza nel cervello ad alcuna lesione in altre parti, e si riconosceva facilmente che fosse morbosa perché [la paziente] era vissuta sempre sana e non aveva mai vacillato nella memoria e nel ragionamento.

Quanto alla Prognosi dichiarai che i segni erano molto difficili e forse quasi impossibili da curare per la gravità del sintomo, per l’importanza della parte principale e per la lesione delle facoltà primarie, soprattutto perché era perduta la capacità di parlare e c’era forse il pericolo di apoplessia, o di letargia, era infatti presente già l’inizio della paralisi, secondo Ezio ed Avicenna, in relazione anche all’età di settant’anni; la vecchiaia infatti di per sé è una malattia, secondo Aristotele, “5 De gen. animal.”, inoltre la malattia era diventata difficile ed incurabile, poiché alla flemma [pituita] era associata la melanconia, che rivela la cronicità della patologia [materia].

E dunque ostacoli da ogni parte e anche la Prognosi si rendeva più difficile; infatti non si è mai letto, nelle Sacre Scritture, che Gesù, nostro Salvatore, abbia curato gli stolti ed i folli; però la causa del perché nostro Signore non guarì gli stolti può essere che essi non lo abbiano né voluto, né non voluto, e perciò non li guarì, infatti secondo Sant’Agostino:

“Chi ti ha creato non ti salverà senza la tua volontà”; ma si potrebbe dire che fu perché gli stolti non gli andarono incontro, o meglio bisognerebbe dire che quando sanò gli

“spiritati” [indemoniati], sanò anche gli stolti: nella vita di San Benedetto non si legge forse che anche lo stolto fu sanato da Lui? Bisognava tuttavia che la cura venisse intrapresa, perlomeno finché la morte improvvisa non colpisse la paziente, poiché infatti la nostra ammalata poteva vivere a lungo con la stoltezza, quand’anche miserevolmente;

Signa

Signa different iarum

Progno- sis

(5)

e così avvenne! Venne infatti preservata dall’incombente paralisi, dall’apoplessia e dalla letargia [coma], ma rimase in quello stato per molti e molti anni.

Bisognava pertanto individuare i rimedi. Era necessario riscaldare la discrasia fredda, ma non con rimedi fortemente secchi, a motivo di quella porzione di melanconia, ma un pochino umidi, e poiché insieme alla discrasia erano presenti “in predominio” gli umori flemmatici, ed “in secondo ordine” quelli melanconici, bisognava perciò purgare questi con medicamenti ad essi adatti, e si doveva rafforzare il cervello. Ma conseguiamo questi obiettivi seguendo tre vie: la Dieta, la Chirurgia, e la Farmacia [Terapia].

Quanto alla dieta si privilegiava l’aria chiara, monda, luminosa, calda ed odorosa, moderatamente secca, e veniva predisposta secondo arte con resina di olivi, oppure di storace e incenso, che producono un effluvio moderatamente umido e untuoso, esattamente (quadrantem) corrispondente alle nostre prescrizioni; si evitava il freddo eccessivo e l’eccessiva umidità della terra, della palude, del vento, soprattutto l’Aquilonio [Tramontana], e l’umidità notturna e lunare; infatti l’aria lunare produce i lunatici [epilettici] ed i morbi del capo; si sceglieva la residenza abituale piuttosto in alto, non a pianterreno, e per quanto era possibile rivolta ad Oriente. I cibi consistevano in alimenti ottimi e “attenuanti e caldi”, secondo Ezio, come la carne di castrato, di capretto, piccoli uccelli, capponi, colombi, fagiani, pernici, beccafichi, tordi, merli, fringuelli e passeri. Si preferivano le carni, si evitavano i pesci, le verdure “fredde”, la frutta, il formaggio, il latte, ogni genere di farinacei, e la carne di maiale, agnello, pecora, manzo e le loro parti interne; i legumi nocivi, la brassica rapa, l’aglio, il porro, ed anche le cipolle sono nocive. Sono utili l’uva passa, le mandorle secche ed abbrustolite, i pinoli, i fichi, e soprattutto sono apprezzati, da bere, le uova di gallina; i suddetti cibi, in maggior parte, venivano conditi con questa polvere che descriviamo:

R. Polvere di ginepro, salvia, rosmarino, issopo, timo, sambuco, noce moscata, pepe, cannella, croco, cariofilla, zenzero, ana, parti uguali.

La bevanda era acqua di legno santo [guaiaco]: non beveva vino, e, qualora l’avesse bevuto, l’avremmo proibito a causa della paralisi iniziale. A mala pena poteva muovere il corpo; talora si sollecitava l’alvo con ghiande e talvolta con energici clisteri, secondo Paolo, “lib. 3 cap. 11”, ed essi non sono diversi da quelli che sono stati descritti nella Storia sulla paralisi. Il sonno era notturno, giammai di giorno, giusto quanto diceva la Scuola di Salerno: “Se mantener vuoi il corpo sano, rifuggi il sonno meridiano”.

Qualche volta permettevamo che si adirasse, infatti l’ira giova a questi nostri sintomi predetti.

Riguardo alla Chirurgia non vi era motivo alcuno per estrarre sangue, sia a causa della malattia di tipo freddo, sia a motivo dell’età, sia perché si effettuavano più opportunamente, non essendo presente una sindrome pletorica, né alcun difetto nel sangue, frizioni e forti legature, per distruggere quel tipo di umore nel cervello, al di là della già detta discrasia; si applicavano ventose secche sulle spalle.

Non furono effettuate cauterizzazioni sulla testa, poiché temevo quel grado di

“secchezza“; io di solito uso, con felicissimo esito, questo genere di rimedi, soprattutto nel caso in cui predomini la discrasia “fredda ed umida”, avendo, tuttavia, ben purgato il corpo, e Dio mi è Testimone, che con cauterizzazioni, opportunamente eseguite sulla testa, talora tre volte, talaltra quattro o cinque, lungo le suture [craniche], ho curato negli anni passati il suocero del maestro Gentile, che aveva già perduto la memoria, e altri due

Indicatio- nes

Curatio Diaeta

Pulvis in cibis

Aqua li- gni sancti

Chirurg.

Cauteria seu inu- stiones

(6)

stolti e folli giovani: uno, figlio di Gaspare Guarini, che ricevette sette cauterizzazioni;

l’altra fu la moglie di Dilluvio, ed entrambi furono restituiti alla buona salute.

Ogni giorno, infatti, noi vediamo pastori di greggi eseguire bruciature sulla testa delle pecore pazze e guarirle; e gli Egizi praticavano ustioni sulla testa degli insani [pazzi], come insegna Prospero Alpino, “lib. 3 De Med. Aegypt., cap.12”. Ma su questo genere di rimedi e proprio sul fuoco [cauterio], molte cose sono state dette altre volte da noi, per cui non conviene ripeterle sempre. Tuttavia, al posto delle cauterizzazioni in “atto”, fatte col fuoco, ricorremmo a quelle “in potenza” ed ai sinapsmi [impacchi] che secondo Ezio giovano moltissimo, ed affinché non venisse indotta una eccessiva secchezza, li equilibravamo sempre con rimedi umidi, che erano di questo genere:

R. Sterco di colombini, senape, cantaridi intere, lievito con mollica di pane e terebentina, quanto basta per fare sinapismi; e, rasata la testa nella parte mediana e posteriore, venivano applicati, mattina e sera, un po’ caldi, e venivano continuati per svariati giorni.

Riguardo alla Farmacia, sebbene i vecchi non debbano essere affatto purgati, ma è permesso agire solamente sul modo di mangiare, costei, tuttavia, era una settantenne robusta, vegeta e quasi di ferro, e tutt’oggi, a ottant’anni e anche più, mentre riscriviamo queste Storie, continua a vivere con tali sintomi, perciò la malattia e la sintomatologia non dipendevano dallo scorrere dell’età, ma dalla discrasia morbosa, motivo per cui quando perduravano le forze, subito, senza alcuna precedente preparazione del corpo, essendo la cura molto urgente, ed essendoci la probabilità che si verificasse una nuova paralisi, l’apoplessia o la letargia, e sopravvenisse la morte violenta ed improvvisa, nella stessa ora in cui fui chiamato la purgai, anche perché era digiuna, con queste pillole; Ezio, infatti, somministra senza alcun indugio i purganti [drastici]; le pillole erano di questo tipo:

R. Pillole di agarico, pillole cocchie, pillole di lapislazzuli, pillole aggregative, ana, scrupoli 2; con catartico rosato fare sette pillole, ed indorarle.

Un’ora dopo tale somministrazione assunse questo decotto [apozema] caldo, così composto:

R. Sciroppo di nove infusi di rose rosse, once 3 e mezza; sciroppo del Suessano e sciroppo persico, ana, oncia 1 e mezza; agarico, dramme 2; cuocere quanto basta per farne decotto; si ottenne una abbondante evacuazione.

E venne subito preparato questo Sciroppo Magistrale, in questo modo, che veniva assunto, di giorno e di sera, caldo di primo mattino e verso le ore ventitrè del giorno;

in questi casi, infatti, il pericolo sta nell’indugiare (in mora), e non è sempre conveniente procedere con rimedi ordinari, ma bisogna rotolare ogni sasso [nel senso di tentare il possibile], e stancare gli ammalati a tutte le ore con l’abbondanza dei rimedi; sciroppo era così composto:

Sinapsi- mi

Pharmac.

Pillulae

Apozema

(7)

R. Legno santo, ottimamente limato e recente, once 5; infondi per dodici ore in questo caso in acqua di fonte; fai bollire poi fino a riduzione a metà; a questo punto aggiungi: foglie di stecade, rosmarino, salvia, betonica, sambuco, melissa e corteccia di cedro, ana, manipolo 1; semi di coriandolo preparato, dramma 1; bollire secondo arte, venga colato e sia conservato come sciroppo, da assumere caldo, la cui dose sia di once 7.

Veniva usata molto spesso, prima e dopo l’evacuazione del corpo, questa conserva:

R. Sciroppo di stecade, e di bettonica, ana, oncia 1 e mezza; sciroppo di infusione di rose, oncia 1; diambra e diapliris, ana, dramma 1. Mescolare e fare il condito [conserva, confettura].

Si praticavano unzioni alla nuca, alle tempie, alla fronte ed alla parte posteriore ed anteriore del capo.

R. Olio di noce moscata, a gocce, dramma 1; balsamo artificiale, dramma mezza; mescolare.

Prima dell’applicazione dei sinapismi si facevano queste irrigazioni (stillicidia o embrochationes), a somiglianza di una piccola cascata, che cade dall’alto:

R. Origano, timo, serpillo, bettonica, foglie di rose rosse secche, ana, manipolo 1; i quattro anonidi, ana, pugno 1; fai bollire in acqua, aggiungi aceto ottimo, oncia 1; castoreo, dramma 1.

Purgato il corpo, subito dopo veniva usato questo sternutatorio, fatto di senape, pepe ed elleboro nero, con aceto. Si usava un masticatorio con zenzero e piretro. Nel frattempo, mentre si facevano queste cose, poiché questi sintomi di solito sono duraturi, fastidiosi, e difficili da curare, passata la settima giornata, nuovamente nell’ottava volemmo purgare l’ammalata, in questo modo.

R. Pillole di lapislazzuli, di fumaria, di agarico, e pillole masticine, ana, scrupoli 2; con catartico rosato, fare sette pillole da avvolgere nell’ostia [nevola].

Un’ora dopo assumeva questo apozema [decotto]:

R. Trocischi di agarico, dramme 2; elleboro nero, dramma 1 e mezza; semi di anice e di finocchio, ana, dramma mezza; fiori cordiali, pugno 1; fai decotto in acqua di cisterna; fai colatura, e sciogli sciroppo del Suessano, once 4;

sciroppo di nove infusioni di rose rosse, oncia 1 e mezza. Mescolare.

Evacuò abbondantemente, e si succedevano di nuovo i sopraddetti rimedi e i decotti, eccetera; ed altri ne furono eseguiti; fra gli altri, per recuperare la memoria ed il linguaggio, si ricorreva a queste tavolette che sono molto miracolose, e noi ne acquisimmo grandissima pratica, e sono così fatte:

Syr. magi- stralis, seu decoctū

Conditū

Inuctio- nes

Stillicidia

Sternuta- toria Masticato- Ria

Pillulae

Apozema

(8)

R. Semi di coriandolo preparato, semi di peonia, ana, dramma 1; draganto, zucchero candito rosato, farina di fave abbrustolite, ana, dramma 1 e mezza;

polvere di sanguisughe preparate, grani 7; mastice, cariofilla, macis, noce moscata, ana, grani 3; liquirizia rasa, dramma mezza; zucchero fine, once 3;

sciogli ogni cosa con succo di rose rosse, e fai tavolette, da tenere in bocca e da deglutire a poco a poco.

Venivano anche applicate alcune gocce di balsamo al palato, alle orecchie ed alle narici.

Talora venivano apposti sulla sutura coronale e all’occipite questi impiastri, cioè impiastri con mirra. Si usava spesso nei cibi e negli alimenti pestati questa polvere che è molto efficace nella perdita della memoria; infatti è composta di ingredienti che agiscono con qualità manifeste e con qualità occulte, ed è così fatta:

R. Incenso, radice di acoro, cioè calamo aromatico, cimino, radice di galanga, ana, dramma 1; croco, scrupolo mezza; di tutti fai polvere sottilissima che veniva assunta nelle uova da bere.

Veniva usato olio di mattone sulle tempie e sull’occipite, tanto per la memoria che per la perdita della parola, secondo Mesuè. Mangiava di sera mirabolani chebuli in conserva [conditi], e qualche volta assumeva fino ad una dramma di Confezione di Diafenico, e talvolta Confezione di Alchermes; talvolta infatti, anche per contenere la stoltezza, sono da usare i letificanti cordiali, sebbene, secondo Ippocrate e Galeno, la malattia risieda nel cervello.

Col mio consenso veniva usata anche una lozione per la testa, che giova moltissimo nel caso di disturbi della memoria, secondo Niccolò Fiorentino, “lib. 3 cap. “De Laesionibus operationum virtutis memorativae”; la lozione, usata una volta la settimana, veniva applicata dalla stessa paziente; essa era così composta:

R. Senna, rose, fiori di camomilla, acoro, stecade, foglie di alloro, noce di cipresso, salvia, iva artetica, bacche di edera, ana, parti uguali; fai bollire in liscivia; conviene maggiormente d’inverno; in estate però si rinunci a stecade ed alloro e vengano messi rose in maggior quantità.

Iacopo de’ Partibus, oltre ad Avicenna, loda molti rimedi, usatissimi, come l’acoro, nutrito nel miele, e confezionato; loda il pepe lungo, preparato nello stesso modo, ed altre polveri, preparate da noi.

Infine somministrammo per due volte, fino ad una dramma per volta, la Confezione Anacardina, sciolta non nel vino, perché non ne fosse aumentata la calidità [calore], ma in acqua rosata. In verità, riguardo alla diminuzione della memoria ed alla perdita del linguaggio, tutte queste cose giovarono poco o nulla, ma venne favorevolmente eradicata la paralisi iniziale e la balbuzie; i sopraddetti medicamenti, però, vennero adoperati per prevenire affinché non si verificassero l’apoplessia, la letargia, una paralisi più grave ed anche la morte improvvisa. Questo è tutto.

Mesagne, 11 luglio 2003, Traduzione a cura di M. L. Portulano e A. E. Distante.

(Diritti Riservati).

Tabellae ad memo- riam, & lo- quelam re- cuperandam

Balsamum

Empla- Stra

Pulvis ad deperditam memoriam

& discur- Sum

Oleum de lateribus

Lotio ca- pitis

Confectio anacardina

Riferimenti

Documenti correlati

Here, we show that solid-state NMR and isotope labeling methods can be used to characterize the structural features of the protein antigen component of vaccines and to investigate

Per quanto Schumpeter si sia arrovellato attorno al profilo attitudinale dell’imprenditore, e abbia implicitamente ed esplicitamen- te attinto a esperienze e modelli

Due frambulari avevano messo sotto assedio le fortezze di Voumeron e Chelidonion, nell’Elide, che sembra fossero sul punto di cedere: il nostro si lanciò quindi attraverso

È infatti possibile che la situazione polmonare nelle prime 12 ore possa deteriorar- si rapidamente per la comparsa di edema polmonare che richiederà un trattamento con diuretici

We found that the diversity of yield responses to weather patterns that are critical to yield (i.e., the proxy for the climate resilience of crops) is declining in farmers’ wheat

The adaptive model reduction strategy we propose relies on (i ) employing a Snapshot Splitting Technique (SST), which enables us to enrich the information content associated with

Come per la riabilitazione cognitiva, la ragione principale della scarsità della ricerca sugli interventi ambientali per la prevenzione e il controllo dei BPSD, è la mancanza di

descritto nel sesto capitolo; 3) la fondazione - nel 1969 - dell’Instituto Nacional de Medicina Veterinaria e dei laboratori diagnostici ad esso collegati; 4)